Nuovi Movimenti Religiosi

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Nuovi Movimenti Religiosi
Sommario
EDITORIALE di L. Meddi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3
DOSSIER
La ministerialità della Chiesa via della missione
di Sandra Mazzolini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
Ministeri “missionari”. Per una orientazione teologica
di Gianni Colzani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
16
Presbitero e missione
di Fernando Domingues, mccj . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
20
Ministeri laici: una prospettiva missionaria
di Vito del Prete . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
30
Il contributo dei movimenti ecclesiali alla missione nel
XX secolo
di Fidel González Fernández mccj . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
40
SPECIALE
Sette e nuovi fenomeni religiosi. Cosa caratterizza
sociologicamente una setta o movimento religioso
di Luca Pandolfi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
57
Nuovi Movimenti Religiosi
di Jesus Angel Barreda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
65
Quali atteggiamenti e comportamenti nella pastorale?
di Paul Steffen. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
88
PERCORSI BIBLIOGRAFICI
Ecumenismo
di Adele Scarnera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
100
SUSSIDI MISSIONARI
Dati statistici e sfide per la missione. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
110
Città del Vaticano
In data 20 maggio 2006 il Santo Padre Benedetto XVI
ha nominato Arcivescovo Metropolita di Napoli (Italia)
l’Eminentissimo Card. Crescenzio Sepe, finora Prefetto della Congregazione
per l’Evangelizzazione dei Popoli. […]
e ha nominato Prefetto della medesima congregazione
l’Eminentissimo Card. Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India).
Al card. C. Sepe
un grato ringraziamento
per la guida svolta in questi anni
e al card. I. Diaz
un benvenuto caloroso.
Il Cardinale Ivan Dias, Arcivescovo di Bombay (India), è nato a Mumbai il 14 aprile
1936. È stato ordinato sacerdote a Bombay l’8 dicembre 1958. Ha studiato presso
la Pontificia Accademia Ecclesiastica a Roma (1961-1964). Si è laureato in Diritto
Canonico nel 1964 presso la Pontificia Università Lateranense a Roma. Nel 1964
ha lavorato presso la Segreteria di Stato per preparare la visita di Papa Paolo VI a
Bombay in occasione del Congresso Eucaristico Internazionale.
Tra il 1965 e il 1973 è stato Segretario presso le Nunziature Apostoliche in Danimarca, Svezia, Norvegia, Islanda, Finlandia, Indonesia, Madagascar, Isola della
Riunione, Isole Comore, Mauritius. Tra il 1973 e il 1982 è stato Capo Sezione
presso la Segreteria di Stato per l’Unione Sovietica, gli Stati Baltici, Bielorussia,
Ucraina, Polonia, Bulgaria, Cina, Viet Nâm, Laos, Cambogia, Sudafrica, Namibia,
Lesotho, Swaziland, Zimbabwe, Etiopia, Rwanda, Burundi, Uganda, Zambia,
Kenya, Tanzania. L’8 maggio 1982 è stato nominato Arcivescovo titolare di Rusubisir e Pro-Nunzio Apostolico in Ghana, Togo e Benin (1982- 1987). Il 19 giugno
dello stesso anno ha ricevuto l’ordinazione episcopale nella Basilica di San Pietro.
Tra il 1987 e il 1991 è stato Pro-Nunzio Apostolico nella Corea del Sud. Dal 1991
al 1997 Nunzio Apostolico in Albania.
L’8 novembre 1996 è stato nominato Arcivescovo di Bombay e il successivo 13
marzo ha preso possesso della diocesi.
È stato Presidente Delegato alla 10ª Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
Vescovi (ottobre 2001). È stato creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del
21 febbraio 2001, del Titolo dello Spirito Santo alla Ferratella, da Giovanni Paolo
II. È Membro delle Congregazioni: per la Dottrina della Fede; per il Culto Divino e
la Disciplina dei Sacramenti; per l’Educazione Cattolica; dei Pontifici Consigli: della Cultura; per i Laici; della Pontificia Commissione per i Beni culturali della Chiesa; della Prefettura per gli Affari Economici della Santa Sede; del Consiglio di Cardinali per lo studio dei problemi organizzativi ed economici della Santa Sede.
(S.L.) (Agenzia Fides 20/5/2006)
2
Editoriale
di Luciano MEDDI
Questo numero della rivista è dedicato a due ricerche che hanno appassionato recentemente la vita del nostro Istituto.
***
3
editoriale
Il primo tema è l’analisi dei ministeri per la missione. Anche se in modo incompleto la rivista ha voluto indagare alcuni aspetti di questa tematica così
determinante per il futuro della missione. Abbiamo voluto mettere l’accento su alcuni aspetti. In primo luogo abbiamo focalizzato il tema riflettendo
sulla natura ministeriale della missione. La comune responsabilità verso
l’annuncio porta con sé una rilettura della ministerialità della chiesa come
sfondo per la comprensione dei ministeri adatti alla missione.
S. Mazzolini offre alcuni punti di partenza di natura ecclesiologica. L’affermazione che la Chiesa è per sua natura è essenzialmente missionaria porta
naturalmente alla affermazione che l’annuncio del Vangelo è dovere che
attiene a ciascuno di coloro che sono pienamente incorporati nella comunità dei credenti in Cristo. L’incommensurabilità di Dio e del suo amore
salvifico e la piccolezza del segno umano che lo manifesta fa comprendere
il riconoscimento del peccato e del limite creaturale che disegnano le forme della vita ecclesiale e dei ministeri. L’odierna valorizzazione della Chiesa locale e/o particolare, con riferimento allo sviluppo e alla pluralità delle
forme ministeriali, comporta una rigorosa ed effettiva presa in considerazione del progetto ecclesiologico ed ecclesiale delle small christian communities, variamente denominato e articolato nelle diverse aree continentali.
Un uso corretto delle fonti della Tradizione consente una congrua lettura
del processo di istituzionalizzazione, che ha configurato il cammino della
Chiesa nella storia degli uomini e delle donne sin dalle sue origini. A partire da questi principi e riferendosi principalmente a EN 73 si può delineare
una lettura diacronica dello sviluppo della ministerialità della Chiesa che
attesta la progressiva concentrazione sul ministero ordinato, ma anche il
suo superamento verso una visione plurale dei ministeri.
G. Colzani riprende la linea storica dell’indagine sottolineando la riduzione di tipo sacramentale-liturgico; la riduzione dei ministeri entro la sfera
autoritativa e gerarchica della chiesa ma anche che solo da poco l’affermazione della corresponsabilità di tutti i battezzati ha trovato rinnovata attenzione. Seguendo il suggerimento di H.U.von Balthasar, ripropone di avvicinare ministero e sequela come l’orizzonte in cui il ministero prende for-
editoriale
ma per concludere che è l’amore universale della Pasqua che dà concretamente forma ai ministeri che, in questo modo, nascono dalla missione e sono per la sua continuazione come centro della propria vita. Provando a
riarticolare le forme della ministerialità egli propone l’ambito della attenzione alla persona umana, della coppia e della famiglia, della società civile.
F. Domingues propone una riflessione pastorale sul presbitero e la missione in due momenti specifici. In un primo momento si chiede in che modo
l’identità e la missione del presbitero si colleghino alla missione di evangelizzare i non credenti e i membri delle altre tradizioni religiose del mondo.
Il secondo momento è dedicato a riflettere sul ruolo specifico del presbitero e su alcuni elementi caratteristici del suo ruolo in quei contesti umani e
geografici dove si sta annunziando il vangelo ‘per la prima volta’, i contesti
ad gentes. Egli individua tre compiti fondamentali per il ministero del presbitero: la responsabilità della circolazione della parola; l’animazione dei
ministeri della comunità, la presidenza della eucaristia.
L’esperienza missionaria di V. Del Prete consente una panoramica sulle figure ministeriali laicali maggiormente presenti nei diversi contesti missionari. Le aree del ministero laicale possono essere sintetizzate dalle tre parole che erano scritte su un grande poster pendente dalla facciata del Centro Diocesano Pastorale di Loikaw (Birmania): Worshipping, witnessing
evangelizing community: comunità che adora, che testimonia e che evangelizza. Particolare attenzione viene data alla nascita dei Prayer Leaders.
Questi che assumono varie denominazioni, dipendenti dal cammino e dalle particolarità delle Chiese locali fungono di fatto come capi delle comunità cristiane. Nelle Chiese dell’America Latina svolgono le funzioni di
quasi parroci; in Asia di Prayer Leaders, in Africa di capi di comunità.
Però vi sono delle note comuni a tutti: essi agiscono in comunione con la
Chiesa, in un contesto di pastorale di insieme, sono scelti e designati dalla
comunità, con nomina da parte del vescovo, cui tocca far il discernimento
degli i carismi e dare il mandato di esercitarli. Questo non è un aspetto
marginale, scontato, e moralistico della vocazione e missione laicale. Costituisce piuttosto il punto nevralgico della missione della Chiesa, oggi. Toglie il cristianesimo dalla sfera puramente cultuale, e ne fa emergere la forza del messaggio capace di innestarsi e trasformare la società nella sua visione e stili di vita, nei punti di interesse, nel lavoro, tempo libero, tecnologia, educazione, famiglia. L’importanza di questa figura ci fa decidere di
dedicare in futuro una riflessione più adeguata.
L’ultima riflessione di questa parte è dedicata al contributo dei movimenti
ecclesiali alla missione nel XX secolo. F. González Fernández presenta la
configurazione di questa nuova realtà della chiesa dal punto di vista della
missione. Come soggetto comunitario può essere ritenuto ministero missionario. Egli riprende l’affermazione “laico, vale a dire cristiano” per indicare le radici dell’impegno dei nuovi movimenti ecclesiali vero l’evangeliz4
zazione. Come già altre volte nella storia della chiesa è il bisogno stesso
della missione a chiamare nuovi soggetti all’annuncio. I cristiani che partecipano alla vita ecclesiale attraverso questi movimenti sono coscienti del
fatto che il loro battesimo li mette in grado di fare missione: una missione
che non passa attraverso deleghe, ma che scaturisce dalla stessa natura ontologica del loro battesimo e in stretto collegamento con la realtà concreta
e le circostanze nelle quali ognuno si trova a vivere. Radicati nella “bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo”, coscienti di appartenere al
Mistero della Pentecoste, coscienti che lo Spirito attua la missione nella
storia, i movimenti ecclesiali si presentano come esperienze di unità e comunione, espressione di molteplicità dei carismi per la missione.
Chiude questo numero della rivista una percorso bibliografico sull’Ecumenismo curato dalla prof.ssa A. Scarnera.
***
“È vero, nel corso del millennio da poco concluso e specialmente negli
ultimi secoli, tanti sono stati i progressi compiuti in campo tecnico e scientifico; vaste sono le risorse materiali di cui oggi possiamo disporre. L’uomo
dell’era tecnologica rischia però di essere vittima degli stessi successi della
sua intelligenza e dei risultati delle sue capacità operative, se va incontro
ad un’atrofia spirituale, ad un vuoto del cuore. Per questo è importante
che apra la propria mente e il proprio cuore al Natale di Cristo, evento di
salvezza capace di imprimere rinnovata speranza all’esistenza di ogni essere umano” (Benedetto XVI, Messaggio Urbi et Orbi, Natale 2005)
[l.m..]
5
editoriale
Il secondo tema affrontato dalla rivista riguarda il vasto fenomeno delle
sette e nuovi fenomeni religiosi. Questo tema è stato oggetto di una giornata di studio che ha visto riuniti docenti e studenti.
Attraverso “le buone, vecchie categorie di C. Glock” di pratica, appartenenza, esperienza, credenza, conoscenza alle è stata aggiunta una sesta, organizzazione il prof. L. Pandolfi ne ha illuminato la dimensione sociologica, anche attraverso la presentazione di un questionario distribuito tra gli
studenti. J.A. Barreda a descritto i tratti storici e ideologici di alcune sette
del vasto fenomeno del Pentecostalismo e della Nuova Era. P. Steffen ha illustrato gli atteggiamenti e i comportamenti che la pastorale può e deve assumere nella situazione di incontro-scontro con tali nuovi fenomeni religiosi. Dopo aver dato una panoramica della situazione nei diversi continenti, ha sottolineato come il superamento delle cause che generano l’entusiasmo dei cattolici verso tali nuove esperienze può aiutare la pastorale
stessa.
Dossier
Ministeri
per la
missione
La ministerialità della Chiesa
via della missione
di Sandra Mazzolini
1. La complessità di una tema sullo
sfondo del Concilio Vaticano II
La pertinenza di un rimando
preliminare all’insegnamento ecclesiologico del Concilio Vaticano II
può essere affermata, a partire dal
fatto che esso non è stato ancora
compiutamente recepito nell’odierna stagione ecclesiale. Di particolare rilevanza per il soggetto del nostro articolo è il complesso modello
conciliare di una Chiesa che per sua
natura è essenzialmente missionaria
(cf. AG 2), costruito sulla triplice
categoria della Chiesa come misteRM XXII (2006) 2, pp. 7-15
ro, sacramento e popolo di Dio (cf.
LG I-II).
Mistero, sacramento e popolo di
Dio delineano innanzitutto una visione di Chiesa profondamente radicata sia nel mistero di Dio, sia
nella storia umana. Ne consegue
che la natura della comunità ecclesiale è configurata non estrinsecamente da una rete di relazioni, che
rimandano, da un lato, alla sua origine e al suo compimento (il Dio
Unitrino) e, dall’altro, alla sua presenza nel tempo intermedio della
storia. A proposito di tale aspetto, i
soggetti delle relazioni nella e della
Chiesa sono molti: i soggetti ecclesiali della tradizione cattolica, le varie tradizioni cristiane, le diverse
culture, religioni e sistemi di pensiero1.
Il Concilio precisa conseguentemente che la missione della Chiesa
è il suo stesso essere e ciò che ne
giustifica la presenza nel cammino
degli uomini e delle donne, metten-
Tale complessa rete di relazioni introduce
come elemento ecclesiologico costitutivo la categoria del dialogo; la riflessione ecclesiologica
postconciliare si è occupata in modo sporadico
di tale dato, a fronte di sua una attuazione anche
istituzionale (cf. A.M. NAVARRO LECANDA,“Colloquium salutis”. Para una teología del diálogo
eclesial. Un dossier, Editorial ESET, Vitoria-Gasteiz 2006).
1
7
dossier
Il tema della ministerialità della
Chiesa, sia pure assunto nella prospettiva del rapporto tra ministeri e
missione, è troppo ampio per poter
essere sviluppato in poche battute.
Il nostro articolo si limiterà quindi
a toccare alcune questioni, che costituiscono le coordinate fondamentali entro le quali l’argomento
può essere più adeguatamente sviluppato: l’affermazione che la Chiesa peregrinante è per sua natura
missionaria (cf. AG 2); la ministerialità come tema interdisciplinare
ed ecumenico; la storicità delle forme della vita ecclesiale e dei ministeri; l’ermeneutica della Tradizione
e il discernimento dei “segni dei
tempi”.
dossier
do in rilievo i fondamenti teologici
ed ecclesiologici della missione ecclesiale – il riferimento primo e fondante è al progetto salvifico universale del Dio Trinitario –, dai quali
conseguono sia l’unicità della missione, sia la sua diversificazione, declinata a partire dai diversi contesti
nei quali la Chiesa è radicata. L’annuncio del Vangelo è quindi dovere
che attiene a ciascuno di coloro che
sono pienamente incorporati nella
comunità dei credenti in Cristo; tale
effettiva valorizzazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana confligge con posizioni riduttive, talvolta ancora presenti nel vissuto ecclesiale, che formalizzano in vari
modi tale dovere, utilizzando il mero lessico della delega e della supplenza. Soggetto della missione ecclesiale è per contro ciascun battezzato, in quanto membro di una
Chiesa particolare, che per sua natura è missionaria e che, in quanto
comunione, esiste come soggetto di
una pluriforme rete di relazioni2.
2. La ministerialità della Chiesa
come tema interdisciplinare ed
ecumenico
La ricerca sulla ministerialità
della Chiesa deve tenere in considerazione altri due altri elementi, che
riguardano sia il metodo sia i contenuti: l’argomento è infatti interdisciplinare ed ecumenico. In entrambe le due prospettive, è evidente
Tale pluriformità riguarda pure modalità e
finalità della missione ecclesiale.
2
8
che l’argomento non può essere indagato in senso unilaterale e che richiede capacità dialogica e di discernimento; fruttuoso appare l’uso
di modelli ecclesiologici e ministeriali, dato anche lo stretto rapporto
tra modello di Chiesa e modello di
ministero3.
Il tema della ministerialità della
Chiesa è un tema interdisciplinare,
un argomento cioè nel quale sono
coinvolte discipline diverse del sapere teologico e non (basti pensare
all’ecclesiologia, alla teologia pastorale, al diritto canonico, alla storia
della Chiesa, ecc.). Tale interdisciplinarietà è gravida di conseguenze.
Le discipline di riferimento, pur
trattando il medesimo argomento,
sono di fatto differenti per la metodologia d’indagine perseguita e per
gli specifici criteri ermeneutici assunti. La disamina dell’argomento
comporta quindi, da un lato, di superare i limiti della propria specifica competenza disciplinare e, dall’altro, di procedere rigorosamente,
senza equiparare o confondere i diversi piani. Mancando tali precauzioni, non è assente il rischio di
proiettare i propri desideri su sta-
Cf. A. DULLES, Modelli di Chiesa, EMP
2005, 191-207; E. CATTANEO (ed.), I ministeri
nella Chiesa antica. Testi patristici dei primi tre
secoli, Paoline 1997, 31s; Ministero presbiterale
in trasformazione, Morcelliana, Brescia 2005
(cf. in particolare il contributo di A. Maffeis,
che studia la prospettiva tridentina, sia analizzando i testi dogmatici e di riforma, sia individuandone la ricezione nei concili provinciali
presieduti da Carlo Borromeo e nella diocesi
di Brescia durante l’episcopato di Domenico
Bollani).
3
A tale proposito, il Cattaneo osserva che
tenere “distinti i due orizzonti, quello storico e
quello teologico, non è sempre facile, però deve
essere tentato, perché la ricerca sia metodologicamente corretta e non inficiata da giudizi anacronistici. Di questo tipo sono, a esempio, quei
non rari processi di “idealizzazione delle origini”, dove in realtà quelle “origini” non sono altro che la proiezione ideale di scelte personali,
senz’altro rispettabili, ma non applicabilit tali e
quali al passato” (E. CATTANEO [ed.], I ministeri nella Chiesa antica, 31s.).
5
Cf W. KASPER, Vie dell’unità. Prospettive
per l’ecumenismo, Queriniana, Brescia 2006,
195-198.
6
Cf. E. CATTANEO (ed.), I ministeri nella
Chiesa antica, 25s. Cf anche G. FROSINI, “Ministeri”, in G. BARBAGLIO – G. BOF – S. DIANICH
(edd.), Teologia, San Paolo, Milano 2002, 981s.
4
stessa del dialogo ecumenico presuppone infatti che ciascun partner,
consapevole della propria identità
cristiana e della propria appartenenza a una tradizione ecclesiale specifica, si impegni da tale prospettiva integralmente assunta nella faticosa,
ma possibile, ricerca di punti essenziali comunemente condivisi. In tale
prospettiva, esemplificativo appare
l’invito di Giovanni Paolo II a ripensare congiuntamente il ministero di
unità del vescovo di Roma (cf. Ut
unum sint 96)7, che “rappresenta,
probabilmente, in campo ecumenico, il passo più impegnativo e ricco
di conseguenze che sia stato fatto da
parte cattolica dal concilio Vaticano
II ad oggi”8.
Per quanto concerne l’uso di modelli, tralasciando da parte i problemi ancora aperti (non ultimo quello
della loro valutazione) 9, non c’è
dubbio che essi consentono una sintesi del già conosciuto e guidano
verso nuove intuizioni teologiche,
purché essi siano usati in senso analogico e nella consapevolezza del lo-
Cf. S. MAZZOLINI, “Natura e missione della chiesa nell’enciclica Ut unum sint”, in Asprenas 53 (2006), 110s.
8
P. HÜNNERMANN, ““Una cum”. Funzioni
del ministero petrino dal punto di vista cattolico”, in ID., Papato ed ecumenismo. Il ministero
petrino al servizio dell’unità, EDB, Bologna
1999, 103. Per il teologo tedesco nell’invito sono già indicate “le prospettive di fondo della visione che l’attuale vescovo di Roma ha di se
stesso e del suo ministero in relazione a queste
problematiche e che cerca di realizzare” (ivi,
107). Circa il motivo e l’oggetto di tale invito, cf
ivi, 104s.
9
Cf. A. DULLES, Modelli di Chiesa, 226-228.
7
9
dossier
gioni ecclesiali differenti da quella
che, unica, ci è data di vivere4.
L’approccio ecumenico al tema
non è di poca rilevanza; il post-Concilio è segnato da un vasto dibattito
a livello infracattolico ed ecumenico
su diversi aspetti della ministerialità;
la discussione finora condotta tra
membri di diverse tradizioni cristiane testimonia un progressivo rasserenamento del clima del dibattito,
l’individuazione di elementi di convergenza, cui si coniuga la consapevolezza delle diversità che permangono5, difficoltà di non poco conto
se si pensa che i vari modelli di ministero dipendono dalla concezione
stessa di Chiesa6. Pur riconoscendo
che la diversificata comprensione
del ministero può aiutare a comprendere meglio una realtà che un
solo modello non è in grado di esprimere, occorre al tempo stesso evitare
semplicistiche posizioni irenicamente sincretistiche. La metodologia
dossier
ro essere inadeguati, se presi singolarmente, a tematizzare compiutamente il soggetto in esame. Il mistero della Chiesa non si attua infatti in
un solo modello ecclesiologico; perciò ogni assolutizzazione è un modo
improprio di adoperare i modelli
ecclesiologici o ministeriali, così come lo è una loro assunzione acritica,
dal momento che i modelli possono
veicolare anche aspetti inaccettabili
o quantomeno discutibili. Va rispettata infine la stretta correlazione tra
la scelta del modello ecclesiologico
e lo sviluppo di specifici argomenti
teologici ed ecclesiologici10.
3. Storicità delle forme della vita
ecclesiale e dei ministeri
La riflessione sulla storicità delle
forme della vita ecclesiale e dei ministeri si muove nell’orizzonte del
come e del perché della presenza
della comunità ecclesiale nella storia degli uomini e delle donne, ovvero dell’articolata missione della
Chiesa. L’assunzione della categoria
della storicità da parte del pensiero
ecclesiologico richiede una certa
precauzione, perché occorre distinguere tra il senso di tali forme, che
rimanda immediatamente al progetto salvifico universale di Dio11 e la
Sull’uso dei modelli ecclesiologici, cf. ivi,
19-40.
11
Il Cattaneo ricorda a tale proposito che la
sola risposta storica alla questione delle differenti
concezioni di ministero a un certo punto non è
più sufficiente, perché tale diversità dipende dal
modello ecclesiologico soggiacente (cf. E. CATTANEO [ed.], I ministeri nella Chiesa antica, 31).
10
10
loro concretizzazione, intesa nel
doppio aspetto della forma e dell’esercizio, sui quali incidono anche
elementi propri di contesti sia socio-culturali sia ecclesiali specifici12.
Come ricorda Benedetto XVI
nell’enciclica Deus caritas est (Dce),
“l’attività della Chiesa è espressione
di un amore che cerca il bene integrale dell’uomo; cerca la sua evangelizzazione mediante la Parola e i
Sacramenti, impresa tante volte
eroica nelle sue realizzazioni storiche; e cerca la sua promozione nei
vari ambiti della vita e dell’attività
umana” (Dce 19). Le forme della
vita ecclesiale e dei ministeri sono
dunque epifanici, o in senso lato
‘sacramentali’, perché la loro ragion
d’essere risiede appunto nel rendere manifesto, in modo umano, il mistero comunionale del Dio Unitrino
che, automanifestandosi all’uomo
da Lui creato, lo chiama alla vita di
comunione con Sé. L’inciso “in modo umano” allude non soltanto alle
modalità di tale manifestazione, ma
anche al fatto che tale visibilizzazione avviene nella paradossalità della
debolezza del segno e delle forme
umane, incommensurabilmente più
piccoli della grandezza divina.
Da tale sproporzione tra l’incommensurabilità di Dio e del suo
amore salvifico e la piccolezza del
segno umano che lo manifesta consegue il riconoscimento del peccato
e del limite creaturale che disegna-
12
Cf. S. RECCHI, “Chiese d’Africa e strutture ecclesiali adattate”, in Concilium 4 (2006),
100-113.
no le forme della vita ecclesiale e
dei ministeri13. Da tale doppio limite oggettivo, e perciò insuperabile
nella storia, discende che nessuna
forma della vita ecclesiale e di ministero può essere segno e strumento assolutamente adeguato della salvezza. Esso perciò, da un lato,
richiede conversione (cf LG 8) e,
dall’altro, implica sviluppo e pluralità, che valorizzano, tra l’altro, anche la realtà locale e particolare
della Chiesa; la corretta accezione
di sviluppo e pluralità non prescinde ovviamente dalla continuità e
dall’unità.
L’odierna valorizzazione della
Chiesa locale e/o particolare, con
riferimento allo sviluppo e alla pluralità delle forme ministeriali, comporta una rigorosa ed effettiva presa in considerazione del progetto
ecclesiologico ed ecclesiale delle
small christian communities, variamente denominato e articolato nelle
diverse aree continentali14. Si tratta
13
La qualificazione della Chiesa come “sacramento” permette di fondare in senso propriamente ecclesiologico tali asserzioni e offre
effettive possibilità di ulteriori considerazioni
(cf. A. DULLES, “The sacramental ecclesiology
of Lumen gentium”, in Gregorianum 86 [2005],
550-562; S. MAZZOLINI, “La Chiesa sacramento
del regno”, ivi, 629-643)
14
Per una visione d’insieme, sia pure generica
e disomogenea, cf. J.G. HEALEY – J.H. HINTON
(eds.), Small Christian Communities Today. Capturing the New Moment, Orbis Books, Maryknoll
(NY) 2005. Con riferimento all’Africa e all’Asia,
4.1. Ermeneutica della Tradizione:
l’uso delle fonti; l’istituzione del
ministero diaconale come momento esemplificativo; la puntualizzazione del linguaggio e delle forme
ministeriali
L’ermeneutica della Tradizione
implica una prima considerazione
sui criteri di valutazione dei documenti storici della tradizione ecclesiale, da cui ne consegue un loro
uso fondativo e non giustificativo.
Nel primo caso, le fonti sarebbero
impiegate a sostegno di una visione
predeterminata, delineata cioè a
prescindere da esse e dalla loro specificità. Nel secondo, invece, il punto di partenza è dato dalle fonti
cf. M. MALU NYIMI, “Le comunità ecclesiali di
base nella teologia africana. Fraternità evangeliche e iniziative socio-politiche”, in Concilium 4
(2006), 39-53; J. TAN, “La Chiesa e il Regno. Un
nuovo modo di essere Chiesa in Asia”, in M.
AMALADOSS – R. GIBELLINI (edd.), Teologia in
Asia, Queriniana, Brescia 2006, 320-342.
11
dossier
4. Ministeri tra Tradizione e segni
dei tempi: una fedeltà creativa
di un progetto già in atto in diverse
parti del mondo, che richiede però,
a nostro modo di vedere, un supplemento di riflessione, che concerne, tra l’altro, anche il tema della
ministerialità della Chiesa, nella
doppia prospettiva della novità e
continuità e della pluralità e unità.
Detto in altri termini, si tratta di
una riflessione sul processo di istituzionalizzazione della Chiesa, nella
cui comprensione concorrono sia
una corretta ermeneutica della Tradizione sia il discernimento dei segni dei tempi.
dossier
stesse, indagate con metodi appropriati e valorizzate nella loro peculiarità.
Una lettura fondativa non disconosce la frammentarietà del quadro
d’insieme: è soltanto con una certa
approssimazione, che va puntualmente dichiarata, che ci è dato oggi
l’accesso al pensiero ecclesiologico e
alla prassi ecclesiale della comunità
cristiana delle origini, la quale, sotto
il profilo culturale e istituzionale, dista da noi anni luce. Tale frammentarietà, che presenta a volte anche il
tratto dell’ambiguità e del non detto,
non impedisce però di individuare
elementi fondamentali e dinamiche
di fondo, la cui recezione è necessaria, per consentire un ampliamento
della riflessione, tenendo conto dello
sviluppo del pensiero ecclesiologico
e magisteriale e delle istanze che la
società pone oggi alla Chiesa15.
Un uso corretto delle fonti della
Tradizione consente una congrua lettura del processo di istituzionalizzazione, che ha configurato il cammino
della Chiesa nella storia degli uomini
e delle donne sin dalle sue origini e il
cui senso può essere compreso, riflettendo su quanto Benedetto XVI
scrive a proposito del diaconato nella Dce. In apertura della seconda
In conformità con il Vaticano II, W. Kasper individua tre prospettive ermeneutiche delle testimonianze della tradizione, che vanno
comprese in analogia ai segni dei tempi, alla totalità della fede della Chiesa intera (rilevante è il
criterio della hierarchia veritatum), in analogia al
fine escatologico. Sulla tradizione come principio di conoscenza teologica, cf. W. KASPER, Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1972, 74-103.
15
12
parte dell’enciclica, Benedetto XVI
tratta della carità della Chiesa come
manifestazione dell’amore trinitario
(cf Dce 19), per sviluppare poi il tema della carità come compito ecclesiale (cf Dce 20-25), ripercorrendo
momenti significativi della vita della
comunità neotestamentaria e dell’epoca patristica. Rilevante è l’attenzione posta sulla “scelta di sette uomini che fu l’inizio dell’ufficio diaconale (cfr. At 6,5-6)” (Dce 21), perchè
“all’interno della comunità dei credenti non deve esservi una forma di
povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa” (Dce 20). Attraverso questo
iniziale processo di istituzionalizzazione, significato dalla scelta dei sette diaconi, “la “diaconia” – il servizio dell’amore del prossimo esercitato comunitariamente in modo ordinato – era ormai instaurata nella
struttura fondamentale della Chiesa
stessa” (Dce 21). Nell’impostazione
dell’enciclica, dunque, come la carità
attiene all’essenza della Chiesa, così
il compito della carità afferisce alla
sua struttura fondamentale; le due
prospettive, data la natura teandrica
della comunità ecclesiale (cf LG 8),
sono complementari.
La consapevolezza di tale essenzialità percorre quasi in crescendo
le diverse fasi della storia cristiana.
Scrive il Papa che con “il passare
degli anni e con il progressivo
diffondersi della Chiesa, l’esercizio
della carità si confermò come uno
dei suoi ambiti essenziali, insieme
con l’amministrazione dei Sacramenti e l’annuncio della Parola: praticare l’amore verso le vedove e gli
le elementi di continuità si intrecciano con quelli di discontinuità, in
un orizzonte ecclesiologico che è
quello della Chiesa comunione di
Chiese sorelle16.
4.2. Ministerialità della Chiesa fra
Tradizione e discernimento dei segni dei tempi. Un’esemplificazione:
Evangelii Nuntiandi 73
Una lettura diacronica dello sviluppo della ministerialità della
Chiesa attesta la progressiva concentrazione sul ministero ordinato,
che procede in parallelo a una speculare e diversificata assunzione di
quei modelli ecclesiologici meramente piramidali e clericali, che
hanno così configurato, complici
dinamiche culturali e storiche coeve, la presenza della Chiesa cattolica nel mondo17.
Recependo la tradizione del NT
e dei Padri, il Concilio Vaticano II
ha consegnato alla Chiesa un modello ecclesiologico più articolato,
che richiede di ripensare seriamente le figure ministeriali; tale operazione va intesa nel senso sia di ripensamento delle forme dei ministeri già esistenti, sia di riconoscimento di nuove figure ministeriali18.
Cf. E. CATTANEO (ed.), I ministeri nella
Chiesa antica, 50-199.
17
Cf. G. FROSINI, “Ministeri”, 984-990.
18
Il complesso modello ecclesiologico profilato dal Concilio implica una più ampia riflessione sui ministeri che, proprio a partire da esso, non si possono più concentrare soltanto sul
ministero conferito dal sacramento dell’ordine
(cf. ivi, 990-995).
16
13
dossier
orfani, verso i carcerati, i malati e i
bisognosi di ogni genere appartiene
alla sua essenza tanto quanto il servizio dei Sacramenti e l’annuncio
del Vangelo” (Dce 22). A riprova di
ciò, egli menziona le primitive strutture giuridiche relative al servizio
ecclesiale della carità (cf Dce 23).
Non c’è dubbio che tale accresciuta
consapevolezza, che si concretizza
nell’istituzione di strutture che rendono praticabile in modo continuativo l’esercizio della carità, pur nel
cambiamento dei contesti e delle situazioni, richiama la coscienza che
la Chiesa ha di esistere “nel mondo
[come] testimone dell’amore del
Padre, che vuole fare dell’umanità,
nel suo Figlio, un’unica famiglia”
(Dce 19); si disegnano di conseguenza forme di carità ecclesiale,
dalle quali emerge con chiarezza
che tutta “l’attività della Chiesa è
espressione di un amore che cerca il
bene integrale dell’uomo” (ivi).
La tradizione neotestamentaria e
quella dei Padri attesta indicazioni
analoghe per quanto riguarda i ministeri ecclesiali; se il NT non mostra una speciale preoccupazione di
fissare una terminologia tecnica per
quanto concerne l’organizzazione
della comunità e usa nomi generici
per indicare chi sovrintende, già a
partire dal periodo immediatamente successivo si registra una fissazione graduale del linguaggio ministeriale, per esprimere una realtà strutturale che già va costituendosi; alla
puntualizzazione linguistica, si accompagna una progressiva configurazione dei ministeri della comunità
cristiana dei primi secoli, nella qua-
dossier
Tale ripensamento può avvalersi di
almeno due indicazioni di per sé significative: poiché i differenti ministeri dipendono sostanzialmente dal
modello di Chiesa, ne consegue che
la loro tipologia non può essere ridotta a un mero elenco a numero
chiuso; le forme degli stessi ministeri ritenuti essenziali sono state modificate in senso funzionale alle diverse modalità di presenza ecclesiale in un dato contesto.
Il problema ecclesiologico ed ecclesiale relativo ai ministeri non si
risolve certamente clonando anacronisticamente il modello della
Chiesa antica e sdoganandolo nelle
diverse aree continentali, ma recependo in forma attiva e creativa
istanze fondamentali della Chiesa
antica che hanno generato o favorito sviluppi, verificati e verificabili,
in senso dottrinale, istituzionale,
pastorale e organizzativo. Si tratta
di istanze che rimandano sia alla Rivelazione, sia alla storia umana. Il
riferimento alla Rivelazione è elemento di sviluppo nella misura in
cui la sua interpretazione implica la
consapevolezza che il messaggio
della Rivelazione continua a svelarsi
più completamente in misura che la
storia della Chiesa progredisce verso il suo termine19. Il rimando al dinamismo della storia umana suppone per contro una capacità di lettura dei ‘segni dei tempi’; la Chiesa
che viene da Dio e a Lui tende vive
19
Cf., ad esempio, CONGREGAZIONE PER LA
DOTTRINA DELLA FEDE, Mysterium Ecclesiae (24
giugno 1973), 5.
14
nel tempo intermedio nella storia
dei popoli, nelle diverse culture della terra. Questa storicità della Chiesa è un dato essenziale, per una non
debole analogia con il mistero del
Verbo Incarnato (cf. LG 8); pellegrina in attesa del compimento
escatologico, la comunità ecclesiale
non è estranea a tutto ciò che è proprio del qui e ora nel quale essa è
profondamente radicata.
EN 73 può essere letto nella prospettiva dello sviluppo e della pluralità dei ministeri, poiché esso recepisce in modo essenziale le precedenti
indicazioni. Questo numero rimanda
innanzitutto all’insieme dell’esortazione apostolica di Paolo VI, che delinea la centralità di Gesù Cristo e
l’assoluta necessità dell’annuncio
esplicito del suo mistero; tale cornice
fortemente cristologica puntualizza
inoltre, in senso funzionale, il carattere evangelizzatore dei diversi soggetti ecclesiali. Esso è riferibile poi
sia alle precedenti decisioni di Paolo
VI a proposito dei ministeri sia alla
celebrazione del Sinodo dei Vescovi
del 1974, dedicato all’evangelizzazione, la cui prospettiva, in termini generali, è quella di un effettivo sviluppo e pluralità dei ministeri, sicché la
ministerialità della Chiesa è tematizzata non soltanto con riferimento al
ministero conferito dall’ordine sacro.
Ripercorrendo la documentazione
disponibile, si può osservare che gli
interventi dei Padri sinodali in materia sono volti a dare impulso, orientare, normare una realtà che, di fatto, è già in atto. Nonostante alcune
voci discordanti, che possiamo approssimativamente connotare anche
ze del vissuto ecclesiale; la necessità
della preparazione, in particolare di
coloro che sono impegnati nel ministero della Parola.
A chiusura di questo articolo, ci si
potrebbe chiedere come e se tali indicazioni siano state recepite. La domanda è certamente complessa – basterebbe in tal senso confrontare questo testo con il Codice di Diritto Canonico e soprattutto con l’esortazione
apostolica di Giovanni Paolo II Christifideles laici –; ci limitiamo perciò a
una battuta per la verità piuttosto generica. Una lettura dell’insieme della
documentazione prodotta circa la ministerialità della Chiesa ci sembra lasciare ancora aperti diversi ambiti di
ricerca20; anche uno sguardo d’insieme gettato sul vissuto ecclesiale contemporaneo suggerisce che questo tema non è ancora chiuso. Le linee portanti di ulteriori studi ci sembra dovrebbero chiarire in modo non equivoco sia i termini, sia i contenuti, sia
gli ambiti, sia le modalità di attuazione della specifica ministerialità dei diversi soggetti ecclesiali.
Sandra Mazzolini
Facoltà di Missiologia
20
Tale apertura non concerne l’accesso delle
donne al sacerdozio ordinato, sul cui divieto esistono autorevoli e definitivi pronunciamenti magisteriali. Riconoscendo completamente l’autorevolezza di tale pronunciamento definitivo, al
tempo stesso riteniamo però ancora aperta la riflessione sugli spazi possibili per uno specifico
ed effettivo riconoscimento della soggettualità
ecclesiale delle donne (cf S. MAZZOLINI, “Modello ecclesiologico e ministero. Elementi per una
ricerca del riconoscimento della presenza delle
donne nella vita e nella missione ecclesiali”, in
Annali di studi religiosi 7 [2006], 281-303).
15
dossier
con una certa nota di preoccupazione, i Padri sinodali sembrano orientati verso una promozione dei ministeri, che già costituiscono una realtà
presente nella vita ecclesiale di alcune Chiese particolari.
In apertura, EN 73 sottolinea
l’importanza della presenza attiva
dei laici nelle realtà temporali, ricordando immediatamente dopo che
non “bisogna tuttavia trascurare o
dimenticare l’altra dimensione: i laici possono anche sentirsi chiamati a
collaborare con i loro Pastori nel sevizio della comunità ecclesiale, per
la crescita e la vitalità della medesima, secondo ministeri diversissimi,
secondo la grazia e i carismi che il
Signore vorrà loro dispensare”. Ricordando l’opera di molti Pastori,
religiosi e laici in ordine alla ricerca
di modi sempre più adatti in ordine
all’annuncio del Vangelo, Paolo VI
incoraggia l’apertura, teorica e pratica, in atto e ricorda che la Chiesa,
accanto ai ministeri ordinati, “riconosce il ruolo di ministeri non ordinati ma adatti ad assicurare speciali
servizi alla Chiesa”. Tocca poi argomenti utili per una corretta comprensione del tema: il riferimento
alla Chiesa delle origini e alle “necessità presenti dell’umanità e della
Chiesa” come “linee maestre che
permetteranno di ricercare con saggezza e di valorizzare i ministeri, di
cui la Chiesa ha bisogno e che molti
suoi membri saranno lieti di abbracciare per la maggior vitalità della comunità ecclesiale”; l’unità come criterio sul quale valutare il loro valore
pastorale; l’elenco di alcuni ministeri nuovi, ma molto legati a esperien-
Ministeri “missionari”.
Per una orientazione teologica
dossier
di Gianni Colzani
Il tema dei “ministeri” ha subito
un notevole ampliamento di significati: designa infatti, tanto le persone
dei pastori ed i coniugi, alla cui base
sta un sacramento, quanto i catechisti ed i lettori, che svolgono invece
un semplice servizio ecclesiale. È
normale interrogarsi sul senso di
questo ampliamento: si tratta di una
semplice modificazione di linguaggio
che lascia inalterata la realtà o siamo
invece di fronte ad un reale e grande
principio di cambiamento ecclesiale?
Per poter capire cosa significa
questo ampliamento, bisogna rifarsi
al concilio Vaticano II che ne è l’origine. Per quanto non faccia dei ministeri un tema privilegiato, il concilio delinea quella concezione ecclesiologica di fondo che li sostiene.
Parlando della radice battesimale
del popolo di Dio, il concilio illustra
il comune servizio sacerdotale di
tutti i discepoli di Cristo (Lumen
Gentium 10-11), insiste sul volto
profetico e carismatico di questo
popolo (Lumen Gentium 12) e mostra come lo Spirito “dispensa tra i
fedeli grazie speciali con le quali li
rende adatti e pronti ad assumersi
vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione
della chiesa” (ivi).
Ne viene un profondo ripensamento di tutto l’organismo ecclesiale: più che una semplice ridistribu16
zione di compiti, abbiamo qui un ripensamento della chiesa nel suo essere e nella sua vita perché tutta
quanta esprima il servizio misericordioso di Cristo all’umanità. Solo una
comunità corresponsabile dei suoi
impegni e della sua stessa vita è in
grado di sostenere un simile rinnovamento. Voluta dal Vaticano II, questa trasformazione obbliga le comunità a prendere coscienza di un precedente sviluppo distorto; prenderne
coscienza è il primo passo per un
sincero cambiamento.
1. Il peso negativo di una storia
Fondata da Gesù Cristo, la Chiesa vive la sua obbedienza a Cristo Signore in una storia segnata dalla fede
e dalla carità dei suoi membri ma
non immune nemmeno dalle loro
paure e dai loro sbagli. Per quanto il
senso ultimo del cammino della
Chiesa rimandi in ultima analisi a
Cristo Signore ed al suo Spirito, le
sue scelte storiche e la testimonianza
evangelica dei suoi membri hanno
un rilievo non piccolo; il volto storico di una Chiesa è fatto dai doni del
suo Signore ma anche dal coraggio o
dalle paure dei suoi membri.
In questo cammino storico trovano spazio anche i ministeri; non solo
non sono fissati una volta per tutte
ma, come richiama At 6,1-6 a propoRM XXII (2006) 2, pp. 16-19
sto, sono stabiliti nei termini giuridici propri dei diritti/doveri di ognuna
delle due forme di vita.
L’idea di una chiesa animata dallo
Spirito e vivificata dai suoi carismi si
è persa; solo da poco l’affermazione
della corresponsabilità di tutti i battezzati hanno trovato rinnovata attenzione. Non si tratta di clericalizzare i laici ma di pensarli nella concreta situazione delle loro chiese per
cominciare a precisare, in quel contesto, il modo più adatto per vivere il
servizio che ogni discepolo deve alla
proclamazione del vangelo ed alla
comunità.
2. Per una concezione personale e
missionaria del ministero
Al di là dei rapporti tra clero e
laicato, l’aspetto più ostico che il
ministero presenta è il suo carattere
impersonale; in ultima analisi, il carattere impersonale del ministero è
frutto del suo aspetto collegiale: solo entrando nel “collegio” apostolico i singoli diventano apostoli. Per
questa via, diventare apostolo è essere reso capace di quei compiti a
cui abilita l’appartenenza a quel collegio apostolico a cui succede il collegio episcopale; per questa via, il
ministero rischia di strutturarsi attorno a prestazioni anonime, attorno a diritti e doveri che, come in
tutte le dinamiche istituzionali, tendono ad irrigidirsi in forme non
sempre rispettose della dignità di
tutti. Sostenere, apologeticamente,
che questi uffici sono stati voluti da
Cristo e sono animati dal suo Spirito non equivale a dire che la loro di17
dossier
sito del diaconato, dipendono sia dal
discernimento del volere di Cristo
sia dal modo di affrontare i problemi
che, volta per volta, la storia propone. Una seria analisi di questo cammino non può cominciare che da
una autocritica; solo una seria consapevolezza di questo cammino permette di evitare di ricadere nei medesimi errori.
Il primo limite è una riduzione
di tipo sacramentale-liturgico che
restringe i ministeri entro la sola
sfera cultuale, senza interesse per la
missione della chiesa. Da una parte
il gesto di preghiera e di imposizione delle mani da parte di una comunità orante, che una volta abilitava ai diversi servizi ecclesiali, diventa esclusivo della ordinazione
sacerdotale; dall’altra la teologia insisterà sulla centralità della celebrazione liturgica e raccoglierà il ministero ordinato attorno al potere sacerdotale della consacrazione del
pane e del vino e del perdono dei
peccati. Il risultato di questa storia
porterà a ritenere che i ministeri,
sottratti ormai al laico, spettano solo al chierico ordinato.
Il secondo limite riconduce i ministeri entro la sfera autoritativa e gerarchica della chiesa. Invece di aprirsi a tutta la vita e la missione della
chiesa, i ministeri sono qui limitati
agli aspetti strutturali e gerarchici
della istituzione ecclesiale. Si fa così
strada una netta separazione ed una
più sottile contrapposizione tra clero
e laicato. I rapporti tra presbiteri e
christifideles sono colti in ciò che i
due stati hanno di diverso più che in
ciò che hanno in comune e, per que-
dossier
mensione umana non possa degradarsi.
Per questo mi sembra utile accogliere il suggerimento di Balthasar
che, andando alla loro comune origine, propone di avvicinare ministero
e sequela. Per la sua stessa struttura,
la sequela ha una connotazione personale: è la risposta di chi è chiamato
ed è l’espressione di uno sforzo di
riorientamento spirituale della propria vita su Dio. In Mc 10,21 la sequela non sviluppa un programma,
non offre un ideale né una legge a
cui agganciare la propria vita ma
presenta Gesù in modo assoluto.
“Vieni e seguimi” è il farsi presente
della sovranità di Dio, è una sorta di
“requisizione” di chi è chiamato da
parte di chi chiama. Seguire Gesù è
adeguarsi spiritualmente alla sapienza del suo vangelo.
Proprio perché la sequela ha questa assolutezza di riferimento a Cristo senza che questo comporti una
serie di cose da fare, la sequela resta
come l’orizzonte in cui il ministero
prende forma; la chiamata a svolgere
un ufficio concretizza la sequela, le
dà forma. Ora, poiché la sequela
presenta l’autorità dell’amore universale di Dio sulla nostra vita, solo
l’amore universale della Pasqua dà
concretamente forma ai ministeri
che, in questo modo, nascono dalla
missione e sono per la sua continuazione come centro della propria vita.
Come il suo Signore, anche il cristiano non può che essere amore-perl’umanità, uomo-per-gli-altri, offerta
di una esistenza redenta e redimente.
Non solo ministero e sequela non
sono divise ma sono necessariamente
18
unite; al di là di ogni diversità tra vita
laicale e figura sacerdotale, la centralità della sequela fa sì che sia Cristo,
comunque, che educa i suoi discepoli e li introduce a quella vita nella
Chiesa e con la Chiesa che prosegue
l’opera del Signore. Bene intesa,
questa funzione ministeriale non è riducibile a quei ruoli che anche una
società funzionale conosce; in particolare non è accettabile quella opposizione tra persona e ruolo che, in
una vita centrata su se stessi, considera come esteriore ogni come compito per gli altri. Al contrario, la ministerialità di tutta la chiesa mostra
come ogni cristiano sia in una situazione missionaria di fronte a questa
società e come questa sua radice
debba esprimersi in un personale
servizio alla proclamazione del vangelo di Gesù e alla testimonianza
della sua carità.
3. Le forme di una ministerialità
evangelizzatrice
Le forme proprie della ministerialità sono diverse e molteplici; l’attuale insistenza sulla necessità di una
nuova evangelizzazione e sulla ripresa di un impegno missionario chiede
con forza che tutti – ciascuno secondo la propria misura – cooperino a
questo impegno. Va detto che, rispetto alla chiese più antiche, le giovani chiese mostrano più libertà e
più intraprendenza nel riconoscer e
nel promuovere i volti nuovi di questa ministerialità; a volte la ricchezza
della tradizione può trasformarsi
quasi in un peso che non permette
una grande libertà di cammino.
impegnano a sorreggere le famiglie
con una molteplicità di servizi.
La società civile rappresenta il
terzo ambito di un orizzonte che, insieme ad una uguaglianza di diritti
da garantire per tutti, esige del pari
una viva partecipazione al cammino
comune. L’attuale globalizzazione,
con le sue sfide, non fa che rinforzare il bisogno di rivedere la tradizione
civile e religiosa dei diversi popoli
per attrezzarla alle sfide di questo
tempo. La sensibilità politica con
tutti i suoi complessi temi, la centralità della persona vista come risorsa
della vita economica e non come suo
limite, l’importanza della cultura con
la sua attenzione per la città, l’ambiente ed i “media” sono i punti centrali di questo cammino.
Su questo nuovo sfondo prende
vita una rinnovata comprensione
della educazione cristiana e della vocazione stessa; per una rinnovata
azione pastorale sono necessarie una
migliore valorizzazione dei giovani e
delle donne, degli anziani e dei malati, così come occorre una ricomprensione della vita consacrata. Del pari
andranno valorizzate le molteplici
forme di vita laicale; come ha insegnato il concilio nel capitolo quinti
della costituzione Lumen Gentium
sulla universale vocazione alla santità, dovunque ci si trovi è possibile
aspirare alla vita perfetta.
L’insieme di queste osservazioni è
un invito a guardare con fiducia il
cammino odierno della Chiesa; è l’inizio di una nuova importante stagione ecclesiale.
Gianni Colzani
Facoltà di Missiologia
19
dossier
Più che un elenco di queste forme
ministeriali nuove, vorrei cominciare
con il richiamare i diversi ambiti in
cui il credente può vivere il suo impegno per la persona, la società e la
Chiesa. L’attenzione alla persona
umana comporta un riconoscimento
ed una promozione dei diritti inviolabili della persona; tra questi vale la
pena di richiamare sia il diritto alla
vita sia quello della libertà religiosa.
Adoperarsi perché questi primi, elementari diritti si diffondano e siano
rispettati non appartiene solo ad un
generale dovere evangelico ma alla
capacità del cristiano di affrontare
alcune delle fondamentali sfide della
nostra storia odierna. Promuovere e
sostenere questo impegno riconoscendovi un vero e proprio cammino
ministeriale a cui i credenti sono
chiamati fa parte del modo con cui
le comunità formano ed educano le
coscienze attraverso l’indicazione di
concrete priorità.
La coppia e la famiglia sono un
secondo ambito in cui la chiesa riconosce come un naturale spazio per il
suo mistero di comunione e di carità.
Cellula della società, la famiglia è
protagonista di una pratica di attenzione ai bisogni dell’essere umano e
di una educazione ad una cultura
della solidarietà attenta a tutti, ma
soprattutto ai più bisognosi e ai più
deboli. Questo compito è sempre
più importante; più le istituzioni diventano complesse per organizzazione e gestione, più diventa facile la
deriva di una burocrazia impersonale; per questo la chiesa può e deve riconoscere il ministero della copia e
le molte forme di volontariato che si
Presbitero e missione
di Fernando Domingues, mccj
dossier
Introduzione
Intendiamo proporre questa riflessione pastorale sul presbitero e la
missione in due momenti specifici.
In un primo momento ci chiediamo in che modo l’identità e la
missione del presbitero si colleghino alla missione di evangelizzare i
non credenti e i membri delle altre
tradizioni religiose del mondo. Ci
aiuterà in questo un breve sguardo
ad alcuni elementi del Magistero
ufficiale della chiesa negli ultimi decenni.
Il secondo momento lo dedichiamo a riflettere sul ruolo specifico
del presbitero in quei contesti umani e geografici dove si sta annunziando il vangelo ‘per la prima volta’, i contesti ad gentes. Ci aiuteranno qui gli anni di servizio missionario in Kenya, dal 1992.
Nella riflessione conclusiva ci
chiediamo se si possa parlare di una
chiara dimensione missionaria nell’identità e ministero di ogni presbitero nella chiesa.
1. Missione: vocazione di tutti, o di
alcuni?
Il Concilio Vaticano II presenta
il ministero e l’identità dei presbiteri in un contesto ad ampio respiro.
Il presbitero è un intimo collaboratore del ministero apostolico dei ve20
scovi (cfr. PO 2), al servizio di tutta
la chiesa, la quale ha la sua origine
nell’eterno disegno di salvezza universale che nasce dal cuore del Padre e si attua nella storia per Cristo,
nella forza del suo Spirito (LG 2).
Con il suo ministero specifico, il
presbitero partecipa, a modo suo,
alla missione di tutta la chiesa, che è
di essere sacramento, cioè segno e
agente, di quella forza divina che sta
trasformando l’umanità e l’universo
intero verso quella pienezza di vita
che chiamiamo il Regno di Dio.
Nel suo servizio alla comunità
cristiana, il presbitero ha quindi bisogno di una attenzione permanente al mondo che è chiamato a servire e deve cercare nella cultura e nella tradizione religiosa della gente
che serve quei semina verbi che lo
Spirito del Signore ha sparso dappertutto, e che noi vediamo germogliare in maniera misteriosa e spesso sorprendente nell’esercizio concreto del nostro ministero.
1.1. Missione, carisma particolare
di alcuni.
Nel Decreto Ad Gentes, sull’attività missionaria della chiesa, il Concilio fa una chiara distinzione tra attività missionaria – verso i non
evangelizzati, attività ecumenica –
verso i cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali, e attività pastorale
RM XXII (2006) 2, pp. 20-29
1.2. Presbiteri ‘esclusivamente missionari’.
La riflessione stimolata dal Vaticano II in questo tema che ci riguarda continuò con intensità, e
produce nuovi frutti già con l’enciclica Evangelii Nuntiandi, che Paolo VI pubblica in seguito al Sinodo
del 1974, sull’attività missionaria
della Chiesa.3
“Tutta la Chiesa è missionaria, e l’opera
evangelizzatrice è un dovere fondamentale del
popolo di Dio” (AG 35).
2
Si lega tutto il nº6 del Decreto Ad Gentes.
3
Il testo integrale si trova nella raccolta Enchiridion della Chiesa Missionaria, a cura delle
Pontificie Opere Missionarie, Direzione Nazionale Italiana, EDB Bologna 1997, nº 921-1090.
1
Mentre nei documenti del Vaticano II si tendeva a sottolineare il
carattere missionario di tutta la
chiesa, in questa enciclica si da più
rilievo al fatto che nella Chiesa ci
sono delle vocazioni ‘esclusivamente missionarie’ ad gentes. Mentre
ogni cristiano è in qualche modo
missionario in quanto partecipa alla
vita e alla missione della chiesa nel
mondo, Dio chiama alcuni cristiani,
tra i quali tanti presbiteri e religiosi/e, a dedicare il loro ministero
apostolico esclusivamente all’evangelizzazione dei non cristiani (cfr.
Ev.Nunt 73). Volendo enfatizzare il
fatto che nella chiesa tutti sono missionari ma che alcuni lo sono in maniera esclusiva, questo bellissimo
documento del magistero missionario ci lancia qualche sfida per quanto riguarda il presbitero: Essendo
un servizio di presidenza, il ministero presbiterale si capisce soltanto
nel suo rapporto organico con la
comunità cristiana, in maniera particolare nella celebrazione dei sacramenti. Che senso ha questo ministero dove la comunità cristiana
ancora non esiste? Ci sono state situazioni missionarie dove il prete
che presiedeva all’eucaristia era l’unico battezzato presente!
Forse proprio questa perplessità
ci ha aiutato a riscoprire la prima
caratteristica, il primo compito del
sacerdote in quanto collaboratore
del ministero apostolico: predicare
la Parola che, con la forza dello Spirito, converte i cuori e invita i nuovi
credenti a formare comunità. È da
questo primo servizio di predicazione che sorgono gli altri due: quello
21
dossier
– in seno alle comunità cattoliche
(cfr. AG 6).
Di conseguenza, non era difficile
distinguere tra i sacerdoti che lavoravano nella pastorale, e quelli che
lavoravano ad extra, in zone territoriali e umane ancora fuori della
chiesa, i missionari; anche se i Padri
conciliari non si stancavano mai di
sottolineare il carattere, la natura
missionaria di tutta la chiesa.1 Lo
stesso Decreto parla di questi chiamati all’evangelizzazione ad extra,
come di persone che hanno ricevuto una vocazione speciale, un ‘carisma particolare’ che li abilita a questo modo peculiare di esercitare il
presbiterato. Il fine proprio del ministero di questi missionari è quello
di impiantare la chiesa dove questa
ancora non esiste o là dove essa è
insufficientemente stabilita.2
di governare (animare) la comunità,
e quindi anche quello di presiedere
alla celebrazione dei sacramenti.
Sottolineando il fatto che ci siano dei cristiani (tra i quali spiccano
i presbiteri e i religiosi) che si dedicano specificamente ed esclusivamente all’evangelizzazione ad gentes, l’Evangelii Nuntiandi ci ha aiutato a valutare il ministero della Parola, cioè la predicazione del Vangelo come elemento essenziale e
primo nell’identità e missione del
sacerdote.
dossier
1.3. Dialogo, il cammino della
missione.
Senza voler percorrere tutto il
cammino di approfondimento della
riflessione missionaria della chiesa
negli ultimi decenni, ci è di aiuto
qui considerare un altro elemento
alquanto nuovo nel Magistero, che
ci è presentato dall’Enciclica Redemptoris Missio (1990) di Giovanni Paolo II. 4 Mentre conferma
quanto detto in documenti precedenti, il Papa fa un passo ulteriore e
presenta il dialogo come il cammino
della missione per gli anni venturi
(cfr. Red Miss, n.55).
E chi non ricorda con piacere
l’insistenza di Benedetto XVI su
questo stesso tema del dialogo già
nei suoi primi discorsi come Papa?
Giovanni Paolo II insiste sul fatto che il dialogo con i credenti di
4
Vedi il testo in AAS 83 (1991), pp. 249340; anche in Enchiridion della Chiesa Missionaria, nnº 1671-1939.
22
altre tradizioni religiose non indebolisce in nessun modo l’integralità,
la chiarezza e la forza dell’annunzio
missionario del Vangelo. Infatti,
l’annuncio è efficace soltanto se fatto in atteggiamento di sincero
ascolto e dialogo con le persone, i
loro valori culturali e soprattutto la
loro esperienza religiosa. L’ascolto
del Vangelo che può portare la persona o i gruppi umani ad un cammino di conversione ed eventualmente al battesimo, deve necessariamente aver luogo nell’ambito
dell’esperienza religiosa di chi
ascolta. Similmente, il dialogo è autentico, veritiero e onesto soltanto
se ciascuno degli interlocutori presenta, quale offerta del bene più
prezioso che possiede, la propria fede nella sua completezza. Rimane
quindi chiaro che il dialogo interreligioso non solo non sostituisce nè
diminuisce l’annuncio esplicito del
Vangelo, ma lo esige nella sua integralità.
Ai presbiteri missionari non è
più possibile separare l’evangelizzazione in quanto annuncio esplicito
del Vangelo di Cristo da un genuino dialogo interreligioso.
L’offerta del Vangelo nella dinamica del dialogo esige, come passo
previo, l’ascolto e la conoscenza approfondita della tradizione e dell’esperienza religiosa concreta degli
interlocutori. Un sacerdote missionario che predicasse la Parola senza
conoscere con un minimo di
profondità l’universo religioso nel
quale gli ascoltatori vivono la propria esistenza, corre il serio rischio
di entrare in un ‘dialogo tra sordi’
dove tutti parlano ma nessuno
ascolta. Se qualche frutto apostolico si trova comunque in situazioni
simili, è certamente dovuto alla meravigliosa capacità dello Spirito di
far crescere erba verde anche dalla
sterilità dei nostri deserti umani.
La Redemptoris Missio (nº33)
identifica, nella globalità della missione universale della chiesa, tre sue
articolazioni specifiche:
Il fatto che Giovanni Paolo II
presenti questi grandi indirizzi come articolazioni costitutive della
stessa missione della chiesa che va
portata avanti sul cammino del dialogo, presenta delle nuove sfide a
tutti i presbiteri ivi impegnati.
Prima di tutto, anche la ‘cura pastorale’ in ambienti cristiani va vista
come missione evangelizzatrice.
Una pastorale di ‘manutenzione’
che si limitasse soltanto alle richieste di servizio religioso che arrivano
dai fedeli si rivela qui manifestamente insufficiente.
Di conseguenza, bisognerebbe
pensare che anche i presbiteri nella
‘missione pastorale’ e nella ‘nuova
evangelizzazione’, come quelli che
operano sulle frontiere della missione ad gentes, sono, tutti quanti,
chiamati ad evangelizzare percorrendo i cammini del dialogo; non
basta lamentarsi dicendo che l’uomo di oggi si è chiuso ai valori religiosi e si è allontanato dal Vangelo
e dalla vita ecclesiale, bisognerà che
noi presbiteri ci domandiamo onestamente se il nostro ministero viaggia sui binari del dialogo (reale capacità di ascolto, uso di un linguaggio che l’ascoltatore capisce, conoscenza dell’esperienza religiosa ed
esistenziale degli interlocutori, …)
o se ci viaggiamo sui binari di un
reale monologo, presumendo comodamente che se la gente non ci
capisce tocca a loro cambiare, mentre noi possiamo tranquillamente
23
dossier
• La missione ad gentes: verso le
persone e contesti umani dove
Cristo non è ancora conosciuto
come unico Salvatore o dove le
comunità cristiane stentano ancora a fare i primi passi;
• L’azione o cura pastorale: negli
ambienti dove la chiesa è solidamente stabilita e ha bisogno di
trovare le strategie e le modalità
concrete più adatte per continuare a dare una testimonianza
credibile della propria fede nei
vari ambiti della propria società,
come la famiglia, l’università, i
malati, le carceri, la scuola, i giovani, gli operai, gli immigranti,…
• La nuova evangelizzazione: che
indica tutto un lavoro di autentica evangelizzazione e di riedificazione della chiesa nei contesti
umani e geografici di antica tradizione cristiana dove, però, vasti gruppi umani, seppur battezzati, riducono la loro pratica cristiana ai momenti celebrativi con
forte capacità di aggregazione
sociale (battesimo, matrimonio,
funerali) senza che l’esperienza e
la celebrazione della fede incidano significativamente in queste
celebrazioni, per non parlare
della sua quasi totale assenza
dalla loro vita quotidiana.
dossier
continuare a usare il linguaggio e i
gesti che a noi sono chiari.
A volte, guardando le strategie
concrete che usiamo nel nostro ministero si percepisce una forte assenza di spirito missionario. Sembrerebbe quasi che abbiamo invertito la logica del Buon Pastore:
istallati nell’ovile insieme alla pecora nº 100, aspettiamo che le 99
smarrite decidano di tornare.
Da questo breve sguardo ad alcuni elementi del magistero recente per
approfondire il rapporto tra presbitero e missione, si può dire che il Vaticano II ha messo i presbiteri e i vescovi, a capo di tutte le comunità cristiane, sulla strada della missione: è
di tutta la chiesa la responsabilità ed
il privilegio di annunziare il Vangelo
all’umanità intera. Siamo arrivati con
la Redemptoris Missio di Giovanni
Paolo II all’invito pressante a collocare la missione – lo spirito e le dinamiche tipiche dell’evangelizzazione –
nel cuore della vita e del ministero di
ogni presbitero, sia egli impegnato
ad gentes, nella nuova evangelizzazione o nella cura pastorale.
2. Il presbitero, nel contesto missionario ad gentes.
Nel secondo passo di questo
contributo, intendo riflettere su alcuni tratti del mio servizio come
presbitero missionario in Kenya,
con tutti i suoi limiti (non più di 10
anni, tra il 1992 e il 2005). In questo modo penso di rilevare alcuni
elementi caratteristici del ministero
del presbitero che serve nel contesto dell’evangelizzazione ad gentes.
24
2.1 La Parola al centro.
Il decreto conciliare sulla nostra
vita e ministero come presbiteri
(Presbyterorum Ordinis) presenta, al
numero 4, la predicazione della Parola come il ‘primo dovere’ dei presbiteri in quanto collaboratori dei
vescovi nell’adempimento del mandato di “annunciare a tutti il Vangelo di Dio” (cfr. 2Cor 11,7).
Personalmente, questo compito
io l’ho spesso e, credo, progressivamente vissuto come un vero privilegio: disporre di strumenti teorici per
approfondire il Vangelo come Parola scritta che porta all’incontro vitale con Colui che è la Parola Incarnata, e poi avere la possibilità di trasmettere questa Parola a tanti altri.
Questo cammino di approfondimento e di incontro lo si sperimentava non solo nei momenti di studio
e di meditazione, ma soprattutto nei
momenti di predicazione, poiché
anche questa può diventare una vera esperienza di ciò che ordinariamente si chiama “vivere in Cristo”
(cfr. Gal 2,20).
Ascoltare la Parola insieme agli
altri missionari e missionarie è stato
spesso uno sforzo arricchente. La
mattinata settimanale di riflessione
condivisa sulle letture della Domenica successiva ci faceva scoprire dimensioni nuove nella Parola e nel
nostro ministero. Questa complementarietà ministeriale nell’ascolto
non era sempre facile, ma spesso ci
portava a scoprire nella Parola una
freschezza che la meditazione fatta
dal punto di vista del ‘predicatore di
professione’ rischia di non cogliere.
luce che permette loro di capire il
Vangelo di Cristo e di vedere come
viverlo nella loro realtà concreta.
Questo è ancora più vero quando
l’ascolto è fatto in un contesto comunitario di riflessione e studio
oranti in vista di una sequela più autentica.
La Parola ascoltata diventa poi
Parola predicata, sia nel contesto liturgico dell’omelia, sia nelle varie
attività di catechesi, nella visita alle
famiglie, nell’incontro con i malati e
quelli che li assistono, ma anche
quando si ‘predica senza parole’,
cioè nell’esercizio concreto delle varie attività di carità e di solidarietà,
come nei vari progetti di promozione umana.
In ogni caso, la Parola ascoltata
nel contesto concreto della gente e
insieme a loro, facilmente diventa
dialogo con la loro vita nella quale
il Signore risorto risponde nel presente al loro bisogno concreto di
salvezza.
2.2 Animatore di ministeri
Strettamente collegato al ministero della Parola di cui sopra, è il
servizio presbiterale di coordinamento e animazione dei ministeri
nella comunità cristiana.
La comunità nata dall’ascolto
della Parola sente dall’inizio l’imperativo di viverla in tutte le dimensioni dell’esistenza dandone una testimonianza credibile agli altri (cfr.
AG 6). Da questa realtà sorge una
pluralità di ministeri che lo Spirito
suscita . Alcuni di questi sono già
stabiliti dalla tradizione plurisecola25
dossier
Ancora un altro momento significativo di ascolto comunitario era
la partecipazione, in un ruolo che
non era di presidenza, agli incontri
settimanali della piccole comunità
cristiane dove si meditava insieme e
si pregava la lettura del Vangelo
della domenica successiva. Questo
si mostrava spesso di una ricchezza
sorprendente, poiché essendo fatto
in lingua locale africana, dava alla
nostra gente una possibilità reale di
portare il Vangelo a ‘contatto diretto’ con la loro vita quotidiana nella
baraccopoli dove abitavamo. Non
di rado mi trovavo davanti interpretazioni veramente nuove per me,
per il semplice fatto che non si trattava qui di meditare il vangelo per
insegnare ai poveri, ma si trattava
dei poveri che riflettevano sul vangelo dal loro punto di vista, dalle
sfide concrete che dovevano affrontare. Inoltre, si meditava e si riesprimeva il Vangelo dal di dentro
della loro esperienza religiosa, sempre profondamente segnata dalle
credenze tipiche della religione tradizionale africana.
L’ascolto comunitario della Parola fatto dai missionari, sia tra di
noi, sia con la gente locale, mi sembrava necessario per evitare di cadere in “interpretazioni private”
(cfr. 2 Pt 1,20), spesso parziali, in
risposta a situazioni, culture e tradizioni religiose, che una persona da
sola, per di più uno straniero, non
riesce mai a conoscere con sufficiente profondità.
L’esperienza confermava ciò che
crediamo per fede, cioè che tutti i
battezzati ricevono dallo Spirito la
dossier
re della Chiesa (Catechisti, assistenza ai poveri, ai malati, ministeri collegati alla celebrazione dell’Eucaristia, etc.), altri sorgono come risposta a necessità locali come il ministero della riconciliazione in zone di
conflitto latente o attivo, servizi
specifici in zone colpite dalla pandemia dell’AIDS (servizi di prevenzione, assistenza fisica e spirituale ai
malati, alle loro famiglie, cura degli
orfani, etc.). Si noti, almeno di passaggio, che i vari ministeri ecclesiali
che servono i malati gravi, sono inseparabili dalla loro assistenza spirituale in un contesto dove la malattia è sempre vissuta come espressione e conseguenza di un male morale e spirituale, proprio o altrui.
Al presbitero tocca metter in
moto e coordinare, nella comunità
locale, il processo di discernimento
dei ministeri necessari alla vita e al
servizio della comunità. Alcuni di
questi ministeri servono al ‘funzionamento della comunità, mentre altri esprimono il servizio e la testimonianza della comunità ad extra.
Naturalmente poi, ci vuole spesso
una buona dose di immaginazione
per creare percorsi di formazione
iniziale e di formazione permanente
per i nuovi ministri, in particolare
quando si tratta di creare espressioni ministeriali nuove; alcune aree
che ci hanno richiesto uno sforzo
particolare di discernimento e formazione di nuovi ministri: le madri
non sposate, le bande giovanili, gli
orfani, i raccoglitori di rifiuti, etc.
Buona parte del tempo e delle
energie del presbitero si spendono
nel lavoro di animazione e coordi26
namento di questi ministeri, affinché tutti i membri servano in armonia e nella complementarietà che
serve alla crescita dell’unico corpo
ecclesiale (1Cor 12, 12 ss).
Una Chiesa che nasce e cresce
nell’ascolto comunitario della Parola, facilmente sviluppa dinamiche
ministeriali ad ogni livello della sua
vita cosicché ogni membro diventa
un ministro. Ricordo che, in una festa di Pentecoste, durante la celebrazione del sacramento della Cresima, invitavo, secondo la consuetudine locale, ogni cresimando a dichiarare davanti alla comunità il
servizio concreto che assumeva tra
le molte possibilità che già esistevano; anche una giovane malata grave
avanzò a stento appoggiata a due
stampelle rozze per dire il suo ministero: “soffrirò per tutti voi e specialmente per i nostri sacerdoti”.
Aveva capito il senso di una Chiesa
tutta quanta ministeriale.
Trovavo particolarmente gratificante vedere persone i cui talenti
nascosti venivano scoperti e si sviluppavano precisamente nel contesto di questi ministeri, spesso portando la persona a trovare un nuovo senso della sua dignità umana e
cristiana.
2.3 Presiedere l’Eucaristia.
È nella celebrazione eucaristica
domenicale che la comunità, presieduta dal presbitero, celebra la sua
vita come corpo del Signore Risorto
e quindi segno e strumento della
azione concreta del Suo Spirito nel
contesto concreto in cui vive.
non in una questione di devozione,
si radica il pensiero che nella celebrazione dell’eucaristia, il sacerdote in qualche modo offre anche se
stesso come sacrificio al Padre e
poi vive questa offerta di sé nelle
varie attività quotidiane del suo ministero.5
Il presbitero presidente non
può concludere l’eucaristia senza
solennemente inviare questo ‘corpo di Cristo qui ed ora’ nel mondo
a fare il Suo lavoro. Pronunciare
quell’Ite! finale è parte integrante
del servizio di chi presiede, nell’eucaristia: è Cristo che invia la
sua comunità a portare al mondo
l’annuncio del Vangelo e a trasformare quello stesso mondo nella direzione del Suo Regno. Il nostro
‘andate’ pronunciato formalmente
al termine della celebrazione viene
poi attuato in tutte le iniziative che
promuovono l’impegno apostolico
di tutti i membri e gruppi della comunità, ciascuno nel suo contesto
e secondo i carismi specifici che lo
Spirito gli concede. Già il Decreto
Ad Gentes (nº 21) riconosceva che
soltanto attraverso la parola e l’azione dei laici il Vangelo può veramente penetrare in tutte le sfere
della vita concreta della gente.
L’efficacia evangelizzatrice delle
piccole comunità cristiane e la loro
5
“La carità pastorale non solo scaturisce
dall’eucaristia, ma trova nella celebrazione di
questa la sua più alta realizzazione, così come
dall’eucaristia riceve la grazia e la responsabilità
di connotare in senso “sacrificale” la sua intera
esistenza.” (Giovanni Paolo II, Pastores Dabo
Vobis, 23). Cfr. Presbyterorum Ordinis, 14.
27
dossier
Di nuovo, tocca al presbitero assicurarsi che nella celebrazione dell’eucaristia, la vita concreta del Corpo di Cristo così come egli vive ‘qui
e ora’, sia celebrata e resa visibile in
tutta la sua ricchezza. Siccome bisognava gestire il tempo in modo tale
che la celebrazione non durasse oltre l’ora e mezza assegnata, si cercava di distribuire la manifestazione
degli aspetti più importanti della vita ecclesiale localmente vissuta, nell’arco delle celebrazioni dell’anno
liturgico.
La celebrazione del Corpo di
Cristo sacramentale nei segni del
pane e del vino è inseparabile dalla
vita concreta della comunità locale, corpo di Cristo nella storia.
Donde il bisogno costante di attivare e coordinare il processo necessario e inevitabile dell’inculturazione nella liturgia. Le due coordinate da tenere sempre presenti
erano la reale comunione di fede e
di rituale con il ‘corpo universale’
di Cristo e, allo stesso tempo, la fedeltà alla vita concreta di questo
stesso ‘corpo’ nella sua espressione
locale.
Ma il servizio presbiterale di
presidenza non si può ridurre alle
strategie organizzative della celebrazione; al cuore di tale servizio
sta il fatto che il presbitero preside
in persona Christi; nella sua persona concreta, consacrata dal sacramento dell’Ordine, è Cristo che si
manifesta e agisce come capo che
offre la sua vita sulla croce per la
vita di tutto il suo corpo ecclesiale
(cfr. Col 1,18 ss; Ef 5,23 ss). Si può
dire che proprio in questa realtà, e
dossier
forza missionaria di convocazione
confermano pienamente questa intuizione del Vaticano II. Infatti sono ancora oggi le stesse piccole comunità cristiane, circa cento nella
nostra parrocchia, che invitano o
semplicemente attirano i circa 200
adulti e giovani che ogni anno
chiedono di essere ammessi al catecumenato.
Il servizio presbiterale di presiedere all’eucaristia si trova, quindi,
al termine del cammino che la comunità locale inizia e continua nell’ascolto della Parola, ma è, allo
stesso tempo il punto di partenza e
la base dell’impegno missionario
della stessa comunità locale.
Bisogna infine menzionare che
l’immagine del prete missionario
che parte per un paese lontano dove non ci sono cristiani e dove lui,
da solo, incomincia ad annunciare il
Vangelo, non corrisponde oggi alla
realtà del servizio missionario.
Ai nostri giorni, ci sono dappertutto delle comunità cristiane, anche se in tante zone del mondo ancora piccolissime. E anche quando
si inizia in una nuova zona, il presbitero parte sempre accompagnato. Non solo per convenienza di organizzazione pratica, ma proprio
perché abbiamo riscoperto l’importanza dell’essere inviati ‘due a
due’ (Mc 6,7) per garantire un minimo di autenticità all’apostolato
missionario.
Se negli anni subito dopo il Concilio, l’impegno per lo sviluppo nei
paesi che si chiamavano ‘terzo
mondo’ era una caratteristica centrale del servizio missionario di
28
tutti6 e quindi anche di quello del
presbitero, oggi è il dialogo la grande sfida da affrontare nello sforzo
di offrire il vangelo ai non credenti
e ai credenti di altre tradizioni religiose: non solo perché altre religioni hanno riscoperto il loro dirittodovere missionario, ma perché anche noi cristiani stiamo, seppur lentamente, scoprendo il valore teologico e le immense ricchezze spirituali che lo Spirito di Dio ha seminato nelle altre religioni. L’Evangelizzazione diventa sempre più un
dialogo con articolazioni multiformi tra il vangelo di Cristo come lo
vive la comunità dei missionari e
quei valori culturali e religiosi che
lo Spirito dello stesso Cristo ha già
offerto agli ascoltatori nelle loro recenti o antiche tradizioni.7 Qui il
servizio presbiterale di predicazione della Parola assume delle connotazioni nuove e apre nuove possibilità di arricchimento anche alla tradizione cristiana (cfr. AG 22; Red
Miss 52).
6
Si veda un’autorevole espressione di questa enfasi nei discorsi di Paolo VI ai vescovi del
SECAM e alle autorità civili a Kampala, il 31
luglio 1969, durante il suo viaggio apostolico in
Uganda (AAS 61 (1969) pp. 572 ss).
7
Si veda a questo riguardo quanto dice un
interessante documento pubblicato immediatamente dopo la Redemptoris Missio: Pontificio
Consiglio per il dialogo Interreligioso e Congregazione per L’Evangelizzazione dei Popoli,
Istruzione Dialogo e annuncio: Riflessioni e
orientamenti sull’annuncio del Vangelo e il dialogo interreligioso, 19 maggio 1991 (Il testo integrale si trova nell’AAS 84(1992), 414-446; ibid.
1263, e anche nella raccolta Enchiridion della
Chiesa Missionaria, nº1940-2039.
Riflessione conclusiva
Fernando Domingues, mccj
Rettore Pontificio Collegio Urbano
dossier
Già la Redemptoris Missio (nº
34) indicava la difficoltà di stabilire
dei confini nettamente definibili tra
le zone geografiche e umane di Cura Pastorale, quelle di Nuova Evangelizzazione, e quelle della Missione
ad Gentes. Questi confini sembrano
ancora più difficili da vedere oggi
per quanto riguarda la vita e ministero dei presbiteri che operano in
questi tre ambiti, poiché le dinamiche tipiche del ministero presbiterale nella missione ad Gentes si manifestano sempre più necessarie anche negli altri due ambiti.
I movimenti migratori oramai
presenti in tutto il mondo ci fanno
trovare nei paesi tradizionalmente
conosciuti come cristiani vaste popolazioni mai evangelizzate. Allo
stesso tempo, in questi stessi paesi,
forse non è esagerato dire che la
stragrande maggioranza della popolazione autoctone ha abbandonato
la vita ecclesiale e in buona parte
anche la fede cristiana.
Un presbitero che volesse oggi
limitare il suo ministero strettamente alla cura pastorale dei cattolici
che regolarmente trova in Chiesa
nelle celebrazioni domenicali mi
sembra, a dir poco, che vive in una
situazione di grave anacronismo, e
questo si applica a qualsiasi paese
del mondo d’oggi.
Se ogni presbitero, in forza della
sua stessa identità e del ministero
che gli è stato affidato come ‘collaboratore del ministero apostolico’,
è un proclamatore della Parola del
Vangelo e uno che edifica la Chiesa
nel mondo verso l’Eucaristia e dal-
l’Eucaristia, allora è molto difficile
immaginare una situazione nella
quale un presbitero non abbia bisogno di mettere in moto le dinamiche di evangelizzazione tipiche della missione ad gentes.
Coltivare lo spirito missionario
nella vita e nel servizio di tutti i presbiteri non solo ci sembra necessario oggi in ogni parte del mondo,
ma ci aiuterà anche a ritrovare la
gioia della nostra identità che è essenzialmente apostolica.
29
Ministeri laici: una prospettiva missionaria
dossier
di Vito del Prete
In questo tempo di trasformazione epocale si avvertono maggiormente la necessità e l’urgenza di
dell’evangelizzazione, perché crediamo che la energia della Parola di
Dio, Cristo, sia la sola capace di offrire la salvezza integrale all’umanità e di operare la comunione di
tutti i popoli. La Chiesa perciò si è
riscoperta ministra e serva del mondo, spostando l’attenzione da se
stessa, per rivolgerla verso l’umanità, destinataria della salvezza”. Ed
è il mondo nel suo insieme che Dio
vuole salvare. In questo mondo in
cui Dio agisce, la Chiesa deve servire questa Sua presenza e azione attraverso tutti i suoi membri, ed essere il segno e lo strumento privilegiato di cui Egli si serve per portare
l’uomo a scoprire il suo vero essere
e a riconoscere il suo vero destino.
A questa missione è chiamato
tutto il Popolo di Dio nella sua interezza: vescovi, cui è stato consegnato direttamente il mandato di
evangelizzazione alle genti, i preti e
i religiosi, la cui vocazione ha una
dimensione e connotazione missionaria e il laici/e, che con il battesimo sono resi un popolo santo, consacrato alla missione. “Essi vengono
consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per
offrire sacrifici spirituali, e far conoscere i prodigi di Colui che dalle
30
tenebre li chiamò all’ammirabile luce” (LG. N.10). Non vi possono essere alibi per questa comune vocazione missionaria. “vige infatti fra
tutti una vera uguaglianza riguardo
alla dignità e all’azione comune a
tutti i fedeli nell’edificare il Corpo
di Cristo.” (LG. 32).
Ogni fedele laico dunque è insieme testimone e vivo strumento
della stessa missione della Chiesa
“secondo la misura con cui Cristo
gli ha dato il suo dono” (Ef. 4,7)
(LG. n. 33). È una chiamata diretta
di Cristo alla corresponsabilità della missione, nella molteplicità dei
doni dello Spirito e dei bisogni dell’umanità.
Tutti i membri della Chiesa devono operare ma in sinergia, ognuno conservando e autenticando la
propria vocazione, non in contrapposizione, ma in comunione e corresponsabilità della missione. “Ora
voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte”
(1Cor. 12, 27).
È quindi la comunità cristiana il
luogo dove lo Spirito continua a
manifestarsi (1 Cor. 14) con una ricchezza di carismi. È lo Spirito che
dà la responsabilità autorevole alla
missione. È lo Spirito che rende efficaci i ministeri necessari alla missione, li unisce, li ordina, e li preserva.
RM XXII (2006) 2, pp. 30-39
1. Ministeri per la missione evangelizzatrice
1.1. Essa normalmente è una minoranza sparuta in mezzo a milioni
di persone di altre fedi. Per questo
è chiamata continuamente ad autenticare la propria fede, di cui deve dare ragione a coloro che non
credono in Cristo. Deve cioè testimoniare la specificità del messaggio
cristiano, per mostrarne la differenza dalle altre fedi religiose e ideologie, quasi a realizzare una comunità
alternativa, che si fonda sui vincoli
di comunione, giustizia, solidarietà,
amore.
1.2. Essa, lì dove si trova in paesi
poveri, parte dagli ultimi, emarginati, poveri e oppressi, dovunque essi
si trovano, vicini e lontani. Si mette
da parte dei perdenti di questo
mondo, per dare loro dignità e speranza. Questa scelta, che è condivisione, non ha significato di strategia
apostolica, ma è espressione necessaria del Vangelo, che comanda di
31
dossier
Essi sono segni concreti ed efficaci della carità di Cristo e attraverso cui l’unico Spirito dona ad ogni
fedele la chiamata e la responsabilità della missione, nel processo della nuova creazione, cui tende tutta
l’attività della Chiesa.
Possiamo dire che la missione
evangelizzatrice è la fonte creatrice
e innovatrice di ministeri. ed è sulla
missione che la ministerialità dei
laici sta o cade. Lì dove la Chiesa è
realmente al servizio del Regno, dove si trova realmente nello stato di
missione, là lo Spirito di Dio suscita
i ministeri necessari. Essi perciò sono molteplici come ricca e molteplice sarà la nuova creazione. Non
possono essere limitati e fissati una
volta per sempre.
Le Chiese sperimentano che senza la effettiva opera di evangelizzazione ogni acquisizione teorica sulla
natura e corresponsabilità del laicato si rivela in partenza vana e sterile,
restando allo stato di soli principi.
Certo vi abbondano ministeri intraecclesiali, in relazione ai bisogni
veri o presunti, finalizzati al mantenimento e benessere della comunità
cristiana. Questo capita specialmente nelle Chiese antiche, dove pure vi
è una coscienza ministeriale, ma che
trova sbocco prevalentemente nei
ministeri liturgici e catechetici.
È nelle chiese “missionarie”, di
quelle, che in un certo qual senso si
trovano nella condizione delle prime comunità cristiane, minoranze
sparse nell’Impero Romano, che si
aprono nuovi orizzonti ministeriali,
con il riconoscimento di compiti di
responsabilità a tutte le forme di vita cristiana, per calare l’annuncio di
Gesù Cristo nella loro società, e
metterla in contatto dinamico e salvifico con le realtà umane e cosmiche. È lì che si manifesta più chiaramente l’indole secolare della Chiesa, chiamata a condividere il cammino storico e il destino della società, ad essere sacramento e mezzo
di comunione tra Dio e l’umanità.
Difatti la Chiesa “in missione”
presenta caratteristiche tali da esigere il sorgere e l’impiego di svariati ministeri.
dossier
partire dagli ultimi. La comunità
cristiana, povera essa stessa, si rivolge ai poveri di tutte le specie, caricandosi dei loro problemi, e lavorando perché le loro sofferenze e
privazioni siano alleviate. È chiamata a fare molte volte opere di supplenza, per la carenza o il malfunzionamento delle strutture statali o
sociali, ma con un cuore che batte
come il cuore del Padre.
1.3. La comunità cristiana è spinta dalle situazioni ad esercitare fortemente il suo ruolo profetico. È come
una sentinella, che è sensibile a tutto
quanto offende la dignità degli uomini. Indifesa essa stessa, in quanto
non oggetto di garanzie o privilegi
dalle strutture statali o civili, è soggetta a persecuzioni e restrizioni, ma
non rinuncia alla sua fedeltà a Dio e
all’uomo. La icona adottata dalle
chiese asiatiche è quella della chiesa
serva sofferente ad imitazione del
servo sofferente di Iawhè.
1.4. La comunità cristiana si deve
mettere in dialogo con tutta la realtà
esistente, le culture e le religioni.
Lavora per creare ponti di comunione con tutti, innestando valori
religiosi e sociali in vista di una fraternità e solidarietà universali.
1.5. La comunità cristiana deve
incarnarsi nella realtà in cui è presente, perché il messaggio che testimonia e annuncia sia percettibile,
comprensibile, significativo ed efficace. L’inculturazione, o la re-inculturazione diventa una necessità per
l’evangelizzazione.
32
1.6. La comunità cristiana sente
la necessità di presentare un’immagine completa di Chiesa, che comprenda la totalità del Popolo di
Dio, e non solo vescovi, clero e religiosi. In questo senso Le è più facile svestirsi di clericalismo, e riconoscere nei fatti la dimensione vocazionale missionaria e ministeriale
del popolo di Dio. E non solo ministeri a servizio della comunità cristiana, in relazione ai sacramenti o
catechesi, ma ministeri veramente
laicali, in linea con la missione messianica di Cristo.
L’area o le aree del ministero laicale possono essere sintetizzate dalle tre parole che erano scritte su un
grande poster pendente dalla facciata del Centro Diocesano Pastorale di Loikaw (Birmania): Worshipping, witnessing evangelizing community: comunità che adora, che testimonia e che evangelizza.
Sulla scia di queste tre note cercherò di presentare i ministeri laicali di cui sono dotate le giovani chiese di missione.
2. Una Comunità che adora e celebra
2.1. Significato della liturgia
Sparse tra le Genti, le chiese di
missione si sentono chiamate a rendere lode a Dio in Cristo Gesù a
nome della società nella quale sono
presenti. Nel culto esse proclamano
il Vangelo, rispondono alla liberazione sperimentata, battezzano per
un nuovo inizio della creazione, e
anticipano il Regno di Dio con la
celebrazione del memoriale della
2.2. Ministeri liturgici e catechetici
Ma, proprio in quanto disperse
su vasti territori, queste comunità
non hanno la possibilità e la gioia di
celebrare con la grande comunità il
mistero di salvezza di Dio in Cristo.
Se è vero che la liturgia e la fonte e
il culmine della vita cristiana, bisogna non solo trovare i modi per venire incontro a questa esigenza fondamentale della comunità, ma anche ripensare il modello e immagine di Chiesa. Questo ha messo in
moto una riflessione teologica e una
prassi pastorale, che si sono concretizzate poi nella costituzione di comunità ecclesiali di base (variamente denominate dalle chiese dei vari
continenti) e il sorgere e l’attivazione di ministeri laicali, di cui sentiamo parlare con entusiasmo le giovani chiese.
I ministeri liturgici non sorgono
per abbellire, affastellando di ministranti, la coreografia dell’altare,
quasi fosse una sacra rappresentazione, come spesso ci capita di vedere nelle nostre chiese. Né si tratta di
ministri straordinari dell’Eucaristia,
che si presentano all’altare per riempire la loro teca di ostie da portare
ogni primo venerdì agli ammalati.
Essi nascono dalla necessità di rendere possibile la celebrazione della
Parola e la partecipazione ai sacramenti delle comunità cristiane, che
altrimenti ne resterebbero prive.
Sorgono così i Prayer Leaders.
Essi fungono di fatto come capi
delle comunità cristiane, di cui non
rare volte sono stati i primi evangelizzatori, per tutto ciò che è compete loro come ministri laici. Sono incaricati del culto, della vita di preghiera, della catechesi, della preparazione ai sacramenti, e della convocazione e celebrazione della litur33
dossier
morte e risurrezione di Cristo.
Ma le loro celebrazioni sono intrise e pervase dalla presenza e dal
ricordo della sofferenza, povertà, e
persecuzione, dai drammi della loro
società. La gioia delle loro celebrazioni è accompagnata dai sospiri
della creazione che geme nelle doglie del parto. Si sentono come degli esuli in terra straniera e come il
salmista, si chiedono “Come possiamo cantare i canti del Signore in
terra straniera?”.
Le celebrazioni liturgiche delle
comunità africane, e di quelle asiatiche, con i loro ritmi e canti, inneggianti alla vita nuova di tutti gli esseri e del mondo intero in Cristo,
hanno sempre questa nostalgia,
questo rimpianto di una vera redenzione, che deve ancora avvenire.
Ecco perché esse in Asia si identificano con il Servo Sofferente e in
Africa con il Cireneo, costretto a
mettersi sulle spalle la croce di Cristo. Il Regno di giustizia, di amore e
di pace è già venuto in Cristo, ma
deve essere realizzato per tutta l’umanità, ma nel segno e sotto la croce di Cristo, per continuare la sua
missione messianica.
Per questo la celebrazione del
mistero cristiano li spinge immediatamente sulle vie della missione.
La liturgia li forma e li mette immediatamente sulle strade della
missione.
dossier
gia domenicale e festiva. Sono inoltre il punto di riferimento autorevole per i problemi quotidiani della
comunità.
Essi assumono varie denominazioni, dipendenti dal cammino e
dalle particolarità delle Chiese locali: nelle Chiese dell’America Latina
svolgono le funzioni di quasi parroci; in Asia di Prayer Leaders, in
Africa di capi di comunità. Però vi
sono delle note comuni a tutti: essi
agiscono in comunione con la Chiesa, in un contesto di pastorale di insieme, sono scelti e designati dalla
comunità, con nomina da parte del
vescovo, cui tocca far il discernimento degli i carismi e dare il mandato di esercitarli.
Ma tutto questo resterebbe una
mera possibilità se non si provvedesse alla loro formazione umana,
spirituale e teologica, di quella teologia che è penetrazione e assimilazione della Parola di Dio. Quasi
ogni diocesi si è dotata di un centro
catechetico in cui risiedono questi
ministri, che, con le loro famiglie
vanno attraverso un vero itinerario
formativo che dura mesi, qualche
volta un anno, fatto di vita comunitaria, di preghiera, di studio della
Parola di Dio, e di acquisizione di
tutte quelle conoscenze necessarie
al loro impegno pastorale. Ad esso
ritornano per degli stages periodici,
e per pianificare con i responsabili
diocesani la pastorale d’insieme.
3. Comunità che testimonia
Alla chiesa, da Cristo agli apostoli fino ad oggi, è stata data la
34
missione di testimoniare. Per questo missione acquista l’esatta valenza di testimonianza.
Il Cristianesimo è storia, che si
concretizza in persone, gesti ed
eventi e il suo contenuto salvifico è
fatto presente attraverso la vita personale e comunitaria dei credenti,
che sono il motivo di credibilità, e
l’unica maniera in cui i non cristiani
e i non credenti possano incontrare
oggi il Cristo.
Questo non è un aspetto marginale, scontato, e moralistico della
vocazione e missione laicale. Costituisce piuttosto il punto nevralgico
della missione della Chiesa, oggi.
Toglie il cristianesimo dalla sfera
puramente cultuale, e ne fa emergere la forza del messaggio capace di
innestarsi e trasformare la società
nella sua visione e stili di vita, nei
punti di interesse, nel lavoro, tempo libero, tecnologia, educazione,
famiglia. È qui che esso assume come modalità della missione le categorie usate nel Vangelo: lievito, sale, luce, che fa fermentare, dà sapore e preserva, illumina di una nuova
realtà la cultura e le culture della
società, in una parola la loro vita
con le loro istituzioni. Spetta specialmente ai laici la missione di immettere la cultura di Dio alle radici
di tutte e ogni realtà umana. in un
momento in cui le ideologie si sono
rivelate caduche, e i messaggi e le
parole hanno perso il loro valore semantico. Prima di “fare” la missione, i laici si devono mettere sulle
orme di Cristo, vivendo gli imperativi del Regno. Solo attraverso la testimonianza dei laici, figure non
le della società, di modo che non sia
o appaia come un corpo estraneo.
Se manca questa dimensione, il cristianesimo, e la religione in genere,
sono confinati nell’area sacra, cultuale.
4. Comunità che evangelizza
Le comunità cristiane danno forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Non sono autoreferenziali né si riducono esclusivamente a Centri di servizi, come certa letteratura missionaria ama presentare. Lo stato di missione e la
necessità dell’evangelizzazione impediscono a quelle comunità di ripiegarsi su se stesse. L’evangelizzazione fa alzare loro lo sguardo verso
il largo, sul mare vasto del mondo,
gettare le reti affinché ogni uomo
incontri la persona di Gesù, che
tutti rinnova.
La missione lancia i laici nel cuore dell’esistenza umana per svolgere
quell’umile servizio necessario all’umanità, con il portare la salvezza di
Cristo per una sua liberazione integrale. I laici diventano corresponsabili della missione, impegnati nell’areopago complesso e multiforme da
evangelizzare, che è il mondo. Le
giovani chiese hanno sviluppato
una fantasia ministeriale, per rispondere ai bisogni della società.
4.1. Ministri dell’annuncio
Uno ministero di cui poco si parla e che andrebbe incrementato è
quello dell’evangelizzazione, presente specialmente nel Sud Est
35
dossier
istituzionali, il cristianesimo acquista valenza di religione omnicomprensiva della vita. Questo è urgente nel momento presente, in cui il
cristianesimo, per dirla in termini
pugilistici, è ridotto all’angolo del
ring dalle strutture e potenze di
questo mondo, come dice S. Paolo.
Aspetto fondamentale che non
va ignorato, perché esso rende vive
le chiese di missione, e ne costituisce la molla propulsiva per il fiorire
di ministeri, che senza questa testimonianza fino allo spargimento di
sangue, si ridurrebbero a mere funzioni. Sappiamo bene quanto sia
diffusa questa ministerialità. L’America Latina non si deve conoscere solo per la teologia o teologie
della liberazione, ma per tutti quegli innumerevoli uomini e donne
che per Cristo e per la dignità dell’uomo hanno versato e continuano
a versare il sangue. Nell’Asia, le comunità, benché irrilevanti come numero e influenza sociale, sono note
veramente come il lievito e sale della terra: sono conosciute come
quelle che devono praticare la giustizia, l’amore, il perdono. In tempi
di rivoluzioni violente e di conflitti,
i credenti di altre religiosi sanno
che presso di loro possono trovare
rifugio e protezione. Sono affidabili. Sono per la cultura della vita
contro le forze della morte. Sono
come l’anima del mondo.
Realizza quel processo di inculturazione così necessario oggi. Soggetto dell’inculturazione è la comunità cristiana, che, seminata dal
Vangelo, ne vive e matura i valori
secondo l’ambiente sociale, cultura-
dossier
Asiatico (Bangladesh, India, Myanmar). Laici di ogni età ed estrazione
sociale ricevono il mandato specifico di portare il primo annuncio. In
Myanmar (ex-Birmania) questo ministero è esploso a livello di Chiesa
Nazionale. Ogni diocesi chiede ai
fedeli, specialmente ai giovani, di
dedicare almeno da 3-6 anni della
loro vita all’annuncio del Vangelo, a
disposizione del rispettivo vescovo,
con la disponibilità di andare dovunque Egli comanda. Sono centinaia e centinaia di giovani che si
presentano e vengono scelti. Sono
inviati nelle zone più remote e difficili della diocesi, in ambienti totalmente non cristiani, dove vivono
con la gente, in atteggiamento di
umile servizio. Non pochi tra loro
hanno perso la giovane vita in quei
luoghi, come è il caso di due ragazze che preferirono privarsi della loro dose di chinino, per darlo ad altri malati affetti da malaria.
Perché possano rendere ragione
della loro fede a chi lo chiede, vi sono centri di formazione, sia diocesani sia nazionali, quali quello di
Bangalore, Dehli, Dacca, Rangoon,
Manila,ecc. Uno di essi, che ha riaperto i battenti dopo qualche anno
di chiusura forzata per minacce ricevute da fondamentalisti islamici,
è L’Euntes Asian Center, a Zamboanga, in Mindanao (Filippine),
dove vengono inviati dalle diocesi
asiatiche laici per formarsi a svolgere il ministero di evangelizzazione.
Ministri dell’annuncio sono i catechisti, termine che tradisce la vera
realtà del loro impegno, che è rivolto prevalentemente ai non cristiani.
36
Essi infatti non sono impegnati nella catechesi, bensì nel prendere
contatto, dialogare e illuminare i
non cristiani sulla realtà del cristianesimo. Senza di loro, la proclamazione del Vangelo sarebbe enormemente ridotta. Essi in realtà sono i
veri annunciatori.
4.2. Ministri del regno
Questa è l’area in cui più numerosi sono fioriti i multiformi ministeri laicali, perché le chiese missionarie, testimoniando il Vangelo del Regno, rendono nuova l’intera società.
Lo sviluppo e la promozione umana
costituiscono, specialmente nei paesi
emergenti, un immenso areopago
dell’evangelizzazione che apre infinite forme ministeriali per i laici. Alcune sono di supplenza là dove le
strutture dello stato e della società
sono assenti o corrotte; altre di costruzione alternativa ai modelli economici e culturali imperanti; altre di
pura e mera condivisione di vita con
le fasce più emarginate e disprezzate; altre ancora nel segno della coscientizzazione e della gestione della
cosa pubblica, la politica.
Il ministero della salute è divenuto uno dei più necessari, in certe
situazioni tragiche. Prendi alcune
diocesi del Malawi, dove la gente
affetta dal virus dell’AIDS raggiunge anche il 50% della popolazione.
Qui è sorto il ministero istituito
della sanità, che ha come sua missione specifica non solo di interessarsi perché gli ammalati vengano
curati, ma anche di creare una mentalità giusta riguardo alla stessa ma-
Non mi riferisco con questo alla rete
delle scuole cattoliche, di ogni ordine e grado, esistenti nei paesi del
Terzo Mondo, che suppliscono alle
gravi carenze dello Stato, ma all’azione educatrice ed evangelizzante
di fasce di popolazioni. È il caso della condizione della donna, i cui diritti fondamentali sono ignorati e conculcati in gran parte del mondo.
Nelle chiese africane è presente il
ministero dell’educazione femminile, affidato prevalentemente alle
donne. Esso mira a trasformarne il
modello culturale discriminatorio e
punitivo presente in molte società.
Suo compito è rendere coscienti le
donne della loro dignità e della posizione che spetta loro nella società, e
creare allo stesso tempo le condizioni socio-economiche perché questo
principio teorico divenga effettivo.
Anche se non si può parlare
sempre di ministeri istituiti, possiamo in ogni caso affermare che la
Chiesa alle frontiere dell’umanità
coinvolge il laicato nella corresponsabilità della missione. Certamente
le condizioni socio-economiche
hanno la loro parte in questo processo. Contemporaneamente i presbiteri vanno prendendo sempre
più coscienza che devono ritrovare
e autenticare la identità del loro ministero ordinato, e che non è possibile assommare in se stessi tutti i
ministeri della comunità. Essi si
vanno riscoprendo sempre di più
come formatori e coordinatori dei
servizi ministeriali della comunità.
Solo così la chiesa può divenire
la serva umile dell’umanità, e, come
sentinella vigile, esercita la sua mis37
dossier
lattia, che non è una maledizione di
Dio, nè costituisce il segno automatico di una condotta immorale, che
come marchio si stampa sulla fronte
degli infetti. Attraverso una sistematica efficace azione pastorale
questi ministri laici stanno rinnovando la comunità cristiana e la
stessa mentalità della gente. La comunità cristiana è stata resa cosciente che quegli ammalati sono
persone non condannate da Dio e
che hanno bisogno non di essere discriminate e isolate, ma dell’affetto
e dell’aiuto di tutta la comunità, per
venire incontro ai gravi problemi
che genera quest’epidemia, quali la
riduzione delle famiglie a povertà
totale, l’abbandono dei bambini orfani che non possono essere presi in
cura, secondo la cultura africana,
dalle altre famiglie, perché anch’esse nella stessa condizione e non ultimo il peggioramento della condizione della donna, che oltre a subire violenza, è ritenuta la colpevole
di tutto. La comunità cristiana riscopre di essere famiglia, legata da
vincoli di comunione e di solidarietà, approfondisce e assimila il
messaggio cristiano, che parla principalmente dell’Amore di Dio, che
si è manifestato nella croce di Cristo, lavora perché vengano superati
i pregiudizi ed i tabù, e acquista poco alla volta la libertà dei Figli amati da Dio. Quest’azione pastorale
sta rinnovando la fede e la carità
delle comunità cristiane, coinvolge
le altre dimensioni pastorali delle
diocesi e trasforma la società.
L’educazione è l’altra area in cui
sono impegnati fortemente i laici.
dossier
sione profetica, e orienta la storia
verso il cammino della realizzazione
del Regno di Dio.
La chiesa non è chiamata a giudicare, ma ad amare l’umanità. L’essere ministri di Cristo è una vocazione di amore a Dio per il servizio
dei fratelli e sorelle, che sono suoi
figli. Solo chi ama, assume il ministero dell’evangelizzazione, specialmente agli ultimi della terra, che
Dio non ha mai abbandonato, ma li
ha illuminati attraverso i loro cammini storici con la luce del Verbo.
La Chiesa deve sviluppare la capacità di vedere quanto lo Spirito ha
già operato ed opera nell’umanità.
Si richiede perciò l’attività e la spiritualità del dialogo, di cui deve essere intrisa la personalità cristiana
dei fedeli di Cristo, chiamati ad essere segno e strumento di comunione tra gli uomini, a scoprire o a far
emergere le forze vitali, trainanti
della piena realizzazione umana secondo il piano amorevole di Dio. Il
ministero del dialogo interreligioso
e interculturale non è precluso ai
laici. Quelli che tra di loro hanno
ricevuto questo dono dallo Spirito
devono impegnarsi, specialmente in
questo tempo di contrapposizioni e
di conflitti culturali e religiosi, a far
emergere il vero volto di Dio, che
in Cristo si è rivelato un nome di
pace, di giustizia e di misericordia.
Benché la spiritualità del dialogo e
il dialogo di vita appartengano a
tutti i fedeli di Cristo, pure alcuni
tra la comunità cristiana sono incaricati in maniera tutta particolare.
In Asia vi sono centri, che preparano i laici per questo ministero, quali
38
il Silsillah, che ha sede in Zamboanga, nelle Filippine, che ha come sua
finalità il dialogo islamico-cristiano.
È un organismo di cui fanno parte
cattolici e mussulmani, che nella riflessione, nella preghiera e nello
studio dei rispettivi Libri Sacri si
confrontano e si incontrano sui valori autenticamente religiosi, e insieme organizzano stage di dialogo
per i fedeli delle due religioni. Inoltre sono ancora essi che si mettono
insieme per progetti di sviluppo e
della promozione della dignità della
persona umana in quel luogo delle
Filippine, piagato dalla violenza politica e religiosa. Un altro centro simile è in India, a New Dehli per il
dialogo Indù-cristiano, un altro a
Tokio per il dialogo buddista-cristiano.
5. Pastorale d’insieme
Riconoscimento e responsabilità
ministeriale non significano autonomia e indipendenza. I laici fanno
parte del Corpo che è la Chiesa, e
devono interagire con tutte le forze
ecclesiali in una progettualità pastorale missionaria comune, secondo i
doni specifici che lo Spirito conferisce loro. Secondo la Redemptoris
Missio, infatti, cura pastorale, missio ad Gentes e nuova evangelizzazione hanno stretti legami di interdipendenza, essendo intimamente
connesse. Essi sorgono, attingono
forze e vigore dalla comunità cristiana, che ne determina gli ambiti,
le priorità, e la progettualità del loro impegno. Essi fioriscono di più
dove è in vigore un modello di
dossier
Chiesa –comunione, che si esprime
e si concretizza nelle comunità ecclesiali di base, qualunque denominazioni esse assumano, nelle chiese
dell’ America Latina, dell’Asia o
dell’Africa. Spesso ministeri laicali
e ministeri ordinati insieme formano veri team pastorali, che vivono
anche in comunità, ognuno però
operando secondo la specificità del
suo carisma ministeriale.
Essi attingono forze e vigore dalla comunità cristiana, ma anche gli
ambiti, le priorità, i progetti del loro
impegno. Sono un continuo stimolo
alla comunità parrocchiale, perché
non perda di vista la missione, allo
stesso tempo orientano e vivificano
in senso missionario tutte le altre attività ecclesiali, liturgia, catechesi. E
si avvera il caso che la missione è generatrice di comunione.
Vito Del Prete
Facoltà di Missiologia
39
Il contributo dei movimenti ecclesiali
alla missione nel XX secolo
di Fidel González Fernández mccj
dossier
1. Il fenomeno dei movimenti ecclesiali nel ventesimo secolo
Il periodo della vita della Chiesa
che si apre dopo la prima guerra
mondiale registra la nascita di numerosi movimenti di rinnovamento
cristiano e una pluralità di forme di
vita consacrata e di presenza cristiana nel mondo, un mondo oramai
sempre più pagano. Volendo studiare tale periodo storico e i fenomeni
ad esso connessi, potrebbe essere
utile una sua suddivisione, basata su
criteri di storia canonica: questa
suddivisione distinguerebbe una
prima parte, che va dalla codificazione del 1917 al 1948, da una seconda che va dal 1948 al 1983. Tale
criterio si collega, in qualche modo,
anche ad eventi che caratterizzano
più da vicino la storia civile: secondo questa prospettiva, andrebbero
distinte una prima fase, compresa
fra le due guerre, e una seconda fase, che si avvia con la seconda guerra mondiale e che, nelle sue diverse
realtà e problematiche, arriva fino a
noi. Quest’epoca si presenta estremamente complessa sia dal punto di
vista della storia civile che di quella
ecclesiale. Nella storia canonica si
assiste alla nascita dei cosiddetti
“istituti secolari” e di altre realtà ecclesiali, che si fanno strada faticosamente nell’assetto giuridico della
Chiesa. È questa l’epoca in cui muo40
vono i primi passi gli attuali “movimenti ecclesiali” nel senso dato oggi
a questo termine.
Per capire il fenomeno, bisognerebbe studiare la situazione del nostro mondo: “la fine dell’epoca moderna, di cui parlava Romano
Guardini nel 1925, e la nascita della
cosiddetta “postmodernità”1. Non è
nostro compito esaminare realtà, fisionomia e teologia dei movimenti
ecclesiali. Vogliamo ricordare semplicemente quanto il fondatore di
Comunione e Liberazione ha scritto
in proposito, accennando ai fattori
determinanti e costitutivi di un movimento ecclesiale:
“Il primo fattore costitutivo di
un movimento è l’imbattersi della
persona in una diversità umana, in
una realtà umana diversa.
Il movimento è il dilatarsi di un
avvenimento, dell’avvenimento di
Cristo. Ma come si dilata tale avvenimento? qual è cioè il fenomeno
iniziale, originale, per cui della gente
rimane colpita e attratta e si coagula? È una catechesi...? No, ogni catechesi viene dopo, strumento di sviluppo di qualcosa che viene prima.
La modalità con cui il movimento – l’avvenimento cristiano – diventa presente – l’imbattersi in una
1
Cfr. F. GONZALEZ FERNANDEZ, Annunciare
Cristo all’Europa. Europa tra dimenticanza e memoria, ISTRA, Milano 1991, 11-66.
RM XXII (2006) 2, pp. 40-54
diversità umana, in una realtà umana diversa, che ci colpisce e ci attrae
perché – sotterraneamente, confusamente, oppure chiaramente – corrisponde a un’attesa costitutiva del
nostro essere, alle esigenze originali
del cuore umano”2.
L. GIUSSANI, È se opera, in “30 Giorni”, 2
febbraio 1994, 43-44.
2
3
L. MOREIRA NEVES, “I movimenti nella
Chiesa oggi, in ‘I movimenti nella Chiesa negli
anni’80”, Jaca Book, Milano 1982, 166.
4
E. SASTRE SANTOS, La vita religiosa nella
vita della Chiesa e della Società, Ancora, Milano
1997, 893-993.
41
dossier
Il fenomeno della fioritura di movimenti nella Chiesa è quindi una
realtà che accompagna la comunità
ecclesiale fin dal suo nascere. Pur in
contesti ecclesiali profondamente
diversi, il fenomeno di cui abbiamo
parlato impone la sua presenza. Si
può discutere anche sulla terminologia da adottare per descrivere il
fenomeno: esso infatti non si manifesta sempre nello stesso modo, ma
varia a seconda delle epoche. Da un
punto di vista canonico, ad esempio, prende forme e strutture assai
diverse. Ma esso certamente investe
di volta in volta tutto il popolo di
Dio con la massima tempestività.
Quindi, pur nella sua apparente disomogeneità e discontinuità, ha
qualcosa di comune lungo tutte le
epoche.
Attorno a figure cristiane fortemente segnate da carismi specifici, spesso non membri della gerarchia ecclesiastica ma sempre in comunione
con essa, numerosi Christifideles si
trovano “congregati intorno ad un
ideale evangelico, a beneficio, non
solo della propria vita cristiana, ma
dell’intera comunità ecclesiale.
Molti periodi della storia della
Chiesa hanno visto nascere tali mo-
vimenti”3. Ogni epoca della storia
della Chiesa conosce veri movimenti ecclesiali, che si manifestano come risposta tempestiva ai bisogni
dei tempi e che fioriscono in svariate forme. Spesso danno anche origine a ordini religiosi, ad aggregazioni o a fraternità e compagnie di preti e laici e di donne consacrate o
meno nella verginità. Bisogna notare che le forme di queste realtà comunionali non sono sempre identiche e, proprio per questo, hanno
spesso difficoltà a trovare una collocazione specifica nel diritto canonico del tempo. Ciò nonostante,
tutti questi movimenti si rivelano
estremamente incisivi nella vita e
nell’attività della Chiesa.
Lo storico del diritto della vita religiosa E. Sastre descrive in una delle
sue opere le origini e le diverse modalità di nascita degli Istituti di perfezione all’interno della Chiesa;4 ciò
che maggiormente colpisce è la pluralità di forme di vita consacrata
nate negli ultimi due secoli, in un
periodo storico di progressivo neopaganesimo. Uno studio più approfondito porta a scoprire le radici
di queste fondazioni in movimenti
ecclesiali più ampi. Nonostante la
fatica a trovare un adeguato riconoscimento giuridico, tali movimenti
sono storicamente gli strumenti attraverso i quali la Provvidenza attua
dossier
nella vita della Chiesa, e quindi nella vita del mondo, il proprio impegno a rendere presente con più evidenza l’Avvenimento di Cristo.
Nella panoramica che abbiamo voluto fare, non abbiamo approfondito l’analisi storica del periodo attuale, periodo che va dalla Prima guerra mondiale fino ai nostri giorni.
Esso presenta delle caratteristiche
molto specifiche, ed – proprio al
suo interno che sorgono gli attuali
movimenti ecclesiali. In due Colloqui internazionali tenutisi a Roma
dal 23 al 27 settembre 1981 e dal 28
febbraio al 4 marzo 1987, si è studiata la tematica storica, teologica e
giuridica dei movimenti nella Chiesa ai nostri giorni. Rimandiamo a
questi studi, all’interno dei quali
viene offerta anche una panoramica
di alcuni di questi movimenti ecclesiali più noti5.
In una delle relazioni del Primo
Colloquio sopra citato, Moreira
Neves, parlando dei movimenti nella Chiesa, sottolinea “le notevoli
differenze che esistono tra quelli
sorti alla fine del secolo scorso,
quelli dei primi quattro decenni di
questo secolo, quelli del dopoguerra fino al Concilio e, finalmente,
quelli che fioriscono nel dopo Concilio sotto la spinta delle grandi linee ecclesiologiche e spirituali del
5
Cfr. I movimenti nella Chiesa negli anni
‘80, a cura di Massimo Carnisasca e Maurizio
Vitali, Jaca Book, Milano 1982; I movimenti
nella Chiesa. Atti del II Colloquio internazionale
su “Vocazione e missione dei laici nella Chiesa
oggi- Rocca di Papa, 28febbraio-4 marzo 1987,
Nuovo Mondo ed., Milano 1987.
42
Concilio stesso”6. L’autore segnala
alcune caratteristiche peculiari dei
movimenti contemporanei:
• la loro internazionalità o cattolicità geografica e ambientale;
• la svariata conformazione e il diverso stile che rivestono le differenti aggregazioni: i “gruppi con una certa spontaneità e
libertà nella loro formazione e sviluppo,
nell’adesione e permanenza dei membri,
nel ritmo e contenuto delle riunioni, negli obiettivi concreti ed immediati, nella
disciplina; le associazioni...molto più
strutturate…; i movimenti… non mancano di strutture istituzionali, ma più
importante e definitorio è per questi il
fatto di costituirsi attorno ad una ideaforza che continuamente impelle all’azione. Questa idea-forza è la mistica che
abita tutti i membri e li congrega attorno
a una figura carismatica che per primo
la ha incarnata e continuamente la ripropone… Ciò che definirebbe un movimento sarebbe appunto il fatto di essere
qualcosa non di statico, rigido, ma qualcosa che cammina...”7.
Una terza caratteristica è data
dalla natura degli obiettivi che i
movimenti si propongono, e che
corrisponderebbe al n. 19 del Decreto del Vaticano II Apostolicam
Actuositatem, ossia:
• “il fine apostolico generale della Chiesa”:
tali movimenti sono attenti alle esigenze
concrete dell’ambiente in cui si inseriscono e in esso annunciano il Mistero di
Dio, di Cristo salvatore e quindi del senso cristiano, della vita. La loro catechesi
vuole approfondire e consolidare la fede
c stimolare ogni cristiano alla santità.
6
L. M OREIRA N EVES , I movimenti nella
Chiesa negli anni ‘80, 166.
7
L. MOREIRA NEVES, ibidem, 167.
Il cardinale brasiliano Lucas Moreira Neves descriveva allora le caratteristiche dei movimenti alla luce
8
L. MOREIRA NEVES, ibidem, 168.
di questa ecclesiologia e ne tira le
conseguenze: se la Chiesa è sacramento della comunione tra gli uomini e dell’umanità con Dio, i movimenti devono essere segni di tale comunione e strumenti della stessa in
mezzo al mondo. Un’altra esigenza
della comunione ecclesiale è quella
del rapporto tra laici e pastori nella
Chiesa, per cui i movimenti sono
chiamati a superare il clericalismo
come l’anticlericalisrno, ovvero la
laicizzazione di chierici e la clericalizzazione dei laici. Un’altra esigenza
fondamentale è quella di mantenere
un legame profondo con il Mistero
della Chiesa attraverso cui tutto ciò
che concerne la vita di ogni giorno
(apostolato, santificazione, carità, lavoro) viene illuminato da questa coscienza di appartenenza. L’autore
sottolinea poi altre conseguenze o
esigenze di questa ontologia ecclesiologica, che toccano l’ambito della
persona e della compagnia ecclesiale
concreta alla quale appartiene, e
conclude con le seguenti parole che
facciamo anche nostre:
“se i movimenti, che vediamo fiorire nella Chiesa... rispondono ai bisogni del mondo e della Chiesa di
questo tempo c sono abbastanza ricchi per adempiere alle esigenze che
ho voluto elencare, non bisogna né
temerli né incensarli; sarà superfluo
voler tutelarli come inutile e ridicolo
ostacolarli poiché saranno certamente ciò che Paolo chiamava con magnifica espressione nella Prima Lettera ai Corinzi (2, 6) “epifania dello
Spirito e della potenza di Dio”9.
9
L. MOREIRA NEVES, ibidem, 174.
43
dossier
• Evangelizzazione e santificazione sono
parte integrante di questi movimenti e
vanno intese secondo il punto precedente.
• Essi diventano una presenza cristiana
nelle realtà e nelle circostanze concrete
della vita: pertanto questi movimenti
sono profondamente laicali. In questo
senso vengono ricordati alcuni principi
della Lumen gentium (n. 31), della Apostolicam actuositatem (n. 7), e della
Evangelii nuntiandi (n. 70), che definiscono il laico “cristiano nel mondo”.
AI cristiano spetta il compito di “trasformare con la forza del vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i
punti di interesse, le linee di pensiero,
le fonti ispiratrici e i modelli di vita dell’umanità” (EN, 70).
• Dall’ontologia stessa dell’essere cristiano si sprigionano un modello di vita e
uno stile di presenza. La carità del cristiano diventa sempre opera. I movimenti aiutano la Chiesa a compiere la
sua missione essenziale di testimonianza continua dell’Avvenimento di Cristo.
Infine “i movimenti contemporanei, se
sono veramente ecclesiali, non possono
non iscriversi nell’ecclesiologia del Vaticano II...”8. Questa ecclesiologia parla
della Chiesa come di un segno o sacramento di salvezza, ossia dell’irruzione
di Dio nell’esistenza e nella storia dell’uomo, di Gesù Cristo insomma…
Nella Chiesa segno-sacramento, nella
quale tutto diventa segno, anche i movimenti devono essere segni veri di
quelle stesse realtà di cui la Chiesa è segno, e cioè della presenza amorosa di
Dio fra gli uomini, dell’azione di Cristo
nel mondo, della salvezza che in Gesù e
per Gesù Dio offre all’uomo.
dossier
2. “Laico, vale a dire cristiano”
Questo è il titolo di un libro di
don Luigi Giussani, fondatore del
movimento ecclesiale “Comunione
e Liberazione”, e proprio questo è
stato il contenuto del suo intervento al Sinodo ordinario dei Vescovi
celebrato a Roma dall’1 al 30 ottobre 1987, avente per tema “La vocazione e la missione dei laici nella
Chiesa e nel mondo, 20 anni dopo
il Vaticano II”. Nella sua relazione
finale, il Sinodo affermava: “Lo spirito di disponibilità con cui molti
laici si sono messi al servizio della
Chiesa è da annoverare tra i migliori frutti del Concilio. In questo si ha
l’esperienza del fatto che noi tutti
siamo Chiesa”10. Lo stesso Giovanni
Paolo II lo ricordava nella sua esortazione apostolica Christifideles laici pubblicata dopo quel Sinodo11.
La coscienza del significato della
missione cristiana tra i laici e della
sua dimensione missionaria – stato
sempre presente nella storia della
Chiesa fin dagli inizi. Questa coscienza si è espressa sotto forme
differenti nel corso dei secoli, ed è
andata gradualmente maturando in
seguito al crollo della società dell’Ancien Régime ad opera della Rivoluzione francese. Questa coscienza si sviluppò soprattutto a partire
dal pontificato di Leone XIII, relegando la Chiesa ai margini della vita sociale e spingendola a rendersi
conto dell’inutilità delle sue riven-
10
SINODO DEI VESCOVI (1987), Relatio finalis
II. C 6.
11
Christifideles laici, n. 2.
44
dicazioni di protagonismo politico
e sociale di un tempo. Leone XIII
invita continuamente i fedeli laici a
giocarsi nella vita sociale e nella vita
ecclesiale in maniera organizzata.
Encicliche papali come la Rerum
novarum di Leone XIII e, quarant’anni dopo, la Quadragesimo
anno di Pio XI insistono su questa
dimensione. I Papi del secolo XX
incoraggiano 1’iniziativa di molti
cattolici che si riuniscono in congressi nazionali e internazionali, appoggiano e formano movimenti di
vita cristiana, di apostolato e di rinnovamento catechetico e liturgico.
Nel corso del XX secolo nascono, a volte timidamente, numerosi
movimenti ecclesiali aventi matrici
diverse. Il fenomeno cresce dopo la
Seconda Guerra Mondiale e sensibilizza i Padri Conciliari del Vaticano II allo studio della “teologia del
laicato” durante lo stesso Concilio,
il più innovativo nella storia degli
ultimi Concili. Il Vaticano II assume questa tematica come uno degli
argomenti fondamentali a partire
dalla Costituzione dogmatica Lumen gentium, grazie alla quale i fedeli cristiani – i laici – trovano un
adeguato inquadramento teologico.
Ad essa viene conferito il dovuto
spazio tanto in questa Costituzione
quanto nella Costituzione pastorale
Gaudium et spes e negli ultimi documenti. Ma il Concilio pubblica,
per la prima volta nella storia della
Chiesa, un decreto totalmente dedicato ai laici: Apostolicam actuositatem, documento che lo stesso Papa
Paolo VI affida in maniera solenne
a tre uditori e a tre uditrici, tutti lai-
terno della famiglia e dell’ambiente
di vita quotidiano. Questa esperienza aveva aperto la strada alla nascita, all’interno della vita della Chiesa, dei movimenti ecclesiali, nonché
alla volontà di puntare su di essi.
Su questa stessa linea, il Papa
Wojtyla convocò nell’ottobre del
1987 l’Assemblea straordinaria del
Sinodo dei Vescovi, al quale parteciparono attivamente anche 60 laici
rappresentanti di diverse realtà ecclesiali di vari paesi. Molti di essi
provenivano già da nuovi movimenti o realtà ecclesiali: parteciparono
ai gruppi di studio, poterono intervenire nelle sessioni al pari di tutti i
Padri e incontrare personalmente il
Papa per esporre il proprio punto
di vista. Quella esperienza mostrava
finalmente una nuova tappa della
riconosciuta responsabilità dei laici
nella vita ecclesiale e, indirettamente, era la prova del fatto che i nuovi
movimenti ecclesiali e le nuove comunità si stavano arrischiando ad
entrare nella vita della Chiesa. L’esortazione apostolica Christifideles
laici, sottoscritta il giorno della festa
della Santa Famiglia il 30 dicembre
del 1988, confermava quel cammino come una sorta di “vademecum”
della Chiesa in rapporto alla vocazione missionaria dei laici, nonché
un riconoscimento pubblico della
Suprema Autorità ecclesiale dei
movimenti ecclesiali in quanto doni
di grazia fatti dallo Spirito alla
Chiesa.
A partire dal Vaticano II prendeva così ad affermarsi con forza l’esperienza della professata dignità e
responsabilità del cristiano in virtù
45
dossier
ci, presenti al Concilio. Sono questi
i segni di una nuova realtà nella vita
della Chiesa.
Altra novità significativa nella
stessa prospettiva è la creazione del
Pontificio Consiglio per i Laici ad
opera di Paolo VI il 6 gennaio del
1967. Uno dei suoi Consultori fu
per dieci anni proprio il cardinale
Karol Wojtyla. Il futuro Papa già allora insisteva sul fatto che, nell’ambito di tale Consiglio, dovevano
trovare un proprio spazio tutti i fedeli cristiani con tutte le forme di
apostolato organizzate e con quelle
ancora prive di una precisa organizzazione. Questa posizione di Karol
Wojtyla era una conseguenza del
suo totale abbraccio della dottrina
conciliare, alla cui elaborazione egli
stesso aveva notevolmente contribuito. Laico significherebbe quindi
cristiano, e pertanto il cristiano sarebbe chiamato nella sua interezza
a vivere in maniera missionaria il
proprio battesimo. Sulla posizione
di Karol Wojtyla relativa alla responsabilità di ogni cristiano e sul
protagonismo nella vita ecclesiale e
sociale di ogni giorno esercitò senza
dubbio una qualche influenza la
Chiesa dell’Est, e specialmente
quella della Polonia, una nazione
che era passata attraverso continue
esperienze di dominazione totalitaria: dal nazismo al comunismo, la
vita della Chiesa era stata sempre
posta nel dubbio e privata della
possibilità di costituire organizzazioni di qualunque genere. In tale
situazione non poteva passare sotto
silenzio il problema della vocazione
missionaria del cristiano laico all’in-
del proprio battesimo, caratteristiche, tanto per teologia quanto per
esperienza, della Chiesa dei primi secoli, sintetizzate in quella sentenza di
San Leone Magno, il quale scriveva:
dossier
“Riconosci, cristiano, la tua dignità e, posto che sei stato reso partecipe della naturalità divina, non
pensare di ritornare, con un comportamento indegno, alle antiche
viltà. Pensa di quale capo e di quale
corpo sei membra... Grazie al sacramento del battesimo ti sei convertito in tempio dello Spirito Santo”12.
L’elemento che ha contraddistinto tutti i movimenti ecclesiali e le
nuove comunità nel corso della storia della Chiesa è stato sempre il
suo aspetto ecclesiale, che si potrebbe riassumere con le parole di
S. Agostino: “Amate questa Chiesa,
permanete in questa Chiesa, siate
questa Chiesa”13. La stessa laicità,
che in linea generale caratterizza
tutti i movimenti, esprime con forza
il carattere essenziale del battesimo,
che rende il cristiano efficace nella
sua vocazione inalienabile di testimone di Cristo nel mondo 14 in
quanto tutta la Chiesa è, per natura,
missionaria in tutti i suoi membri15.
Questa ecclesialità missionaria, in
quanto caratteristica principale dei
movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità, si esprime in una passio-
12
LEO MAGNUS, Sermo de Nativitate Domini
1-3: PL 54, 190-193, (nostra traduzione).
13
AUGUSTINUS, Sermo 138, 10 ( nostra traduzione).
14
Christifideles laici, n. 15
15
Cfr. VATICANO II, Ad gentes, n. 35.
46
ne totale alla gloria di Cristo e,
quindi, alla missione concepita come comunicazione di un’esperienza
nella realtà e nelle circostanze, nelle
quali la vita pone ciascuna persona,
come già nel II secolo ricordava la
Lettera a Diogneto.
3. Radici dell’impegno dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità per la nuova evangelizzazione
Nella sua conferenza tenuta il 27
maggio 1998 al Congresso Internazionale dei Movimenti ecclesiali e
Nuove comunità, l’allora Cardinale
Ratzinger esordiva ricordando il
pessimismo predominante in alcune
persone dopo i primi anni di euforia successivi al Vaticano II. Alcuni,
come Karl Rahner, ricordava il cardinale, parlavano allora di “inverno” nella Chiesa. Sembrava quasi
che, dopo la grande fioritura del
Concilio, fosse caduta una gelata al
posto della primavera, stanchezza al
posto di un nuovo dinamismo.
Sembrava che il mondo non avesse
più bisogno di Dio e che volesse
quindi trovare in un altro luogo l’energia per rinnovare la storia e
creare un mondo migliore. “Dove si
trovava Dio”, si chiedeva Ratzinger,
“E la Chiesa, dopo tante discussioni, sforzi, e speranze nella ricerca di
nuove strutture, non si riscopriva
forse stanca, esausta, e grigia?”. Era
palese l’attualità dell’espressione di
Rahner, il cui senso tutto il mondo
ecclesiale stava sperimentando.
Si verificò allora l’intervento inaspettato da parte dello Spirito Santo. Nessuno l’aveva progettato o
Citiamo liberamente il pensiero dell’allora
cardinale J. Ratzinger; cfr. le sue parole in Tracce. Litterae Communionis XXV - n. 1 6, giugno
(1998), 29-32.
significativi dell’esistenza, quali sono i momenti del nascere, del soffrire e del morire”. Inoltre esistono
regioni e paesi, nei quali o si conservano tuttora molto vive tradizioni di pietà e di religiosità popolare
cristiana; ma questo patrimonio
morale e spirituale rischia oggi di
essere disperso sotto l’impatto di
molteplici processi, tra i quali emergono la secolarizzazione e la diffusione delle sette”17.
Di fronte a questo panorama
sempre più drammatico si avverte
chiaramente il bisogno di una nuova evangelizzazione, nella quale le
vecchie realtà e organizzazioni religiose della Chiesa si scoprono sempre più spesso superate e prive di
dinamismi per l’evangelizzazione.
Non è la prima volta che questo accade nella storia della Chiesa, come
abbiamo già segnalato; lo Spirito incoraggia sempre la nascita di nuove
realtà per rendere efficace la presenza di Cristo nella storia secondo
forme in cui tutti la possano incontrare. In questa prospettiva si pongono i movimenti ecclesiali e le
nuove comunità di oggi, molte delle
quali risultano già prima del Concilio Vaticano II. Il Concilio riconosceva nella Chiesa un segno e uno
strumento efficace dell’amore di
Dio verso il mondo e verso l’uomo.
Il Concilio sottolineava anche che
la Chiesa, in quanto popolo di Dio,
doveva cogliere i doni dello Spirito
c i doni della salvezza c, allo stesso
tempo, proclamarli e comunicarli
16
17
Christifideles laici, 34.
47
dossier
immaginato in quel modo. Molti
cristiani, mossi da quello Spirito,
senza sotterfugi e senza clausole o
condizioni, prendevano totalmente
sul serio il proprio battesimo e si lasciavano guidare da quello Spirito
come un dono immenso che li faceva vivere, iniziando immediatamente a comunicarlo ognuno nell’ambiente in cui viveva. La loro obbedienza e la loro passione ecclesiale
non traevano origine dagli schemi
teorici della Chiesa o dei progetti
pastorali o sociali, che molti propugnavano, astrattamente; li infastidiva persino la stessa esistenza di quei
movimenti. Per questo, o li ignoravano o li combattevano. Ma lo Spirito Santo, che “è abituato” a questa modalità d’azione, prosegui inesorabilmente la sua opera facendo
crollare molti progetti e conferendo
una vitalità travolgente a quelle
nuove realtà ecclesiali”16.
La Chiesa fa il suo ingresso nel
Terzo Millennio con la coscienza
chiara della sua missione evangelizzatrice, rivolta tanto alle popolazioni del Vecchio Continente, quanto
alle complesse realtà presenti negli
altri continenti, oppresse da carichi
di miserie, di dolore e di conflitti
sociali. La fede cristiana nei Paesi
di vecchia cristianità, “se pure sopravvive in alcune sue manifestazioni tradizionali e ritualistiche, tende
ad essere sradicata dai momenti più
dossier
agli uomini di ogni tempo. Per questo motivo tutta la Chiesa, in tutte
le sue componenti, era al contempo
missionaria e responsabile della
missione. Questa professione rischiava tuttavia di rimanere ad un
livello teorico o di buoni propositi.
Ma, anche in questo frangente,
non si fa attendere l’intervento dello Spirito Santo, che dà vita al grande mosaico dei movimenti e delle
nuove comunità ecclesiali. I cristiani che partecipano alla vita ecclesiale attraverso questi movimenti sono
coscienti del fatto che il loro battesimo li mette in grado di fare missione: una missione che non passa
attraverso deleghe, ma che scaturisce dalla stessa natura ontologica
del loro battesimo. Tale vocazione
cristiana si realizza e si concretizza
in due dimensioni separabili: la costruzione della comunità ecclesiale
e la disponibilità a vivere la presenza di Cristo e del suo Avvenimento
presente nella realtà quotidiana della vita. Questa posizione aiuta, in
tal modo, a superare una tentazione
continuamente insinuatesi nella storia della Chiesa, tanto più oggi:
quella della clericalizzazione della
Chiesa ad opera dei chierici, o quella dell’autoclericalizzazione dei laici
ad opera loro o di alcuni chierici.
La missione dei laici all’interno
della comunità ecclesiale è determinata anche dalla realtà concreta e
dalle circostanze nelle quali ognuno
si trova a vivere. La vita ecclesiale
non è frutto di un organigramma
ecclesiastico o clericale: essa è la
manifestazione di un Mistero di comunione sacramentale, il cui centro
48
è sempre Cristo. Questa vita si
esprime in ogni circostanza e attività
quotidiana, nel “vasto e complesso
mondo della politica, della realtà sociale, dell’economia, nel mondo e
della cultura, delle scienze, delle arti, della vita internazionale, dei mezzi di comunicazione sociale…”18. La
presenza dei cristiani nella vita di
ogni giorno non consiste in un semplice contributo tecnico alla diffusione di valori etici o di una ordinaria convivenza sociale, o nel proporre una piattaforma “di strenua tolleranza”, aperta a tutte le possibilità
purché non disturbi nessuno. La vocazione di ogni battezzato è quella
di essere segno del Dio vivente, presente in Cristo, nell’ingranaggio
concreto della vita, senza censurare
nessun problema né alcuna possibilità. Cosi il battezzato diventa testimone di Cristo, aperto a tutte le
possibilità della vita e della realtà:
questo è il vero ecumenismo. È questo il senso del lavoro per la gloria
umana di Cristo.
La vita del cristiano costruisce
cosi, nel frazionamento della vita
quotidiana, degli spazi e dei tempi,
il senso della storia e dell’esperienza umana, con un’apertura totale
del cuore alla realtà e alla coscienza
del proprio peccato.
“In questo senso Cristo, luce e
forza per ogni suo seguace, è riflesso
adeguato di quella parola in cui il
Mistero appare nel suo rapporto ul-
18
PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 70; cfr.
la stessa insistenza in GIOVANNI PAOLO II, Cristifideles laici, n. 42.
timo con la creatura, come misericordia: Dives in misericordia. Il mistero della misericordia sfonda ogni
immagine umana di tranquillità o di
disperazione; anche il sentimento di
perdono è dentro questo mistero di
Cristo [...]. Il mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su
tutte le brutte possibilità della storia.
Per cui l’esistenza si esprime, come
ultimo ideale, nella “mendicanza”.
II vero protagonista della storia è il
mendicante: Cristo mendicante del
cuore dell’uomo, c il cuore dell’uomo mendicante di Cristo”19.
4. “La bellezza di essere cristiani e
la gioia di comunicarlo”
Il Pontificio Consiglio dei Laici
ha pubblicato un “Repertorio” dei
nuovi movimenti e comunità ecclesiali. Il volume, edito dalla Libreria
Editrice Vaticana, presenta l’identità, la storia, la diffusione e altri
dati di 122 “Associazioni Internazionali di Fedeli”. La preparazione
di questo “Repertorio” iniziò nel
2000, dopo che Giovanni Paolo Ii
presentò i movimenti come “uno
dei frutti più significativi della primavera della Chiesa a partire dal
Vaticano II”. Lo stesso Pontefice
vedeva i queste realtà un “motivo di
L. GIUSSANI, Testimonianza durante l’incontro con il Papa in Piazza S. Pietro, 30 maggio 1998, in Tracce. Litterae Communionis,
X-XV 6 (1998), 20.
19
4.1. Il Mistero della Pentecoste accompagna dal primo giorno la vita
della Chiesa
Papa Ratzinger si chiedeva allora: “Chi o che cosa è lo Spirito Santo? Come possiamo riconoscerlo?
In che modo noi andiamo a Lui ed
Egli viene a noi? Che cosa opera?”
Papa Ratzinger snodava la tematica della sua omelia precisamente a
partire da questa domanda. “Una
prima risposta ce la dà il grande inno pentecostale della Chiesa, col
quale abbiamo iniziato i Vespri: “Veni, Creator Spiritus… – Vieni, Spirito
Creatore…”. L’inno accenna qui ai
primi versetti della Bibbia che esprimono con il ricorso ad immagini la
creazione dell’universo. Là si dice
innanzitutto che sopra il caos, sulle
acque dell’abisso, aleggiava lo Spirito di Dio. Il mondo in cui viviamo è
49
dossier
Queste le radici del dinamismo e
della capacità missionaria dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità cristiane attuali.
speranza per la Chiesa e per gli uomini del nostro tempo”, “un’opera
dello Spirito che costituisce la Chiesa in un flusso di vita nuova, che
scorre dentro la storia degli uomini”. In un mondo sempre più secolarizzato, dove la fede è sempre più
messa alla prova e frequentemente
è anche soffocata e spenta, i movimenti e le nuove comunità, essendo
portatrici di una novità non aspettata e che irrompe, sono la risposta,
suscitata dallo Spirito Santo, a questa drammatica sfida. Questa è stata
la motivazione per cui Papa Benedetto XVI convocò il secondo grande incontro dei Movimenti per la
vigilia della Pentecoste del 2006 (3
giugno) a San Pietro in Vaticano.
dossier
opera dello Spirito Creatore. La
Pentecoste non è solo l’origine della
Chiesa e perciò, in modo speciale, la
sua festa; la Pentecoste è anche una
festa della creazione. Il mondo non
esiste da sé; proviene dallo Spirito
creativo di Dio, dalla Parola creativa
di Dio. E per questo rispecchia anche la sapienza di Dio. Essa, nella
sua ampiezza e nella logica onnicomprensiva delle sue leggi lascia intravedere qualcosa dello Spirito
Creatore di Dio. Essa ci chiama al timore riverenziale. Proprio chi, come
cristiano, crede nello Spirito Creatore, prende coscienza del fatto che
non possiamo usare ed abusare del
mondo e della materia come di semplice materiale del nostro fare e volere; che dobbiamo considerare la
creazione come un dono affidatoci
non per la distruzione, ma perché
diventi il giardino di Dio e così un
giardino dell’uomo. Di fronte alle
molteplici forme di abuso della terra
che oggi vediamo, udiamo quasi il
gemito della creazione di cui parla
san Paolo (Rm 8, 22); cominciamo a
comprendere le parole dell’Apostolo, che cioè la creazione attende con
impazienza la rivelazione dei figli di
Dio, per essere resa libera e raggiungere il suo splendore. Cari amici, noi
vogliamo essere tali figli di Dio che
la creazione attende, e possiamo esserlo, perché nel battesimo il Signore ci ha resi tali. Sì, la creazione e la
storia – esse ci attendono, aspettano
uomini e donne che realmente siano
figli di Dio e si comportino di conseguenza. Se guardiamo la storia, vediamo come intorno ai monasteri la
creazione ha potuto prosperare, co50
me con il ridestarsi dello Spirito di
Dio nei cuori degli uomini è tornato
il fulgore dello Spirito Creatore anche sulla terra – uno splendore che
dalla barbarie dell’umana smania di
potere era stato oscurato e a volte
addirittura quasi spento. E di nuovo,
[…] avviene dovunque lo Spirito di
Dio arriva nelle anime, questo Spirito che il nostro inno qualifica come
luce, amore e vigore. Abbiamo così
trovato una prima risposta alla domanda che cosa sia lo Spirito Santo,
che cosa operi e come possiamo riconoscerlo. Egli ci viene incontro attraverso la creazione e la sua bellezza. Tuttavia, la creazione buona di
Dio, nel corso della storia degli uomini, è stata ricoperta con uno strato
massiccio di sporcizia che rende, se
non impossibile, comunque difficile
riconoscere in essa il riflesso del
Creatore – anche se di fronte a un
tramonto al mare, durante un’escursione in montagna o davanti ad un
fiore sbocciato si risveglia in noi
sempre di nuovo, quasi spontaneamente, la consapevolezza dell’esistenza del Creatore”.
4.2. Lo Spirito Santo attua nella
storia
Come entra lo Spirito Santo nella
storia?,si domanda il Papa. “In Gesù
Cristo Dio stesso si è fatto uomo e ci
ha concesso, per così dire, di gettare
uno sguardo nell’intimità di Dio
stesso. E lì vediamo una cosa del tutto inaspettata: in Dio esiste un Io e
un Tu. Il Dio misterioso non è un’infinita solitudine, Egli è un evento di
amore. Se dallo sguardo sulla crea-
con Gesù stesso e con il Padre – con
il Dio Uno e Trino”.
4.3. I movimenti ecclesiali scuole
di libertà
E applicando quanto detto ai
Movimenti ecclesiali, il Papa ricordava: “È questa la libertà vera, alla
quale lo Spirito Santo vuole condurci. I Movimenti ecclesiali vogliono e devono essere scuole di libertà, di questa libertà vera. Lì vogliamo imparare questa vera libertà,
non quella da schiavi che mira a tagliare per se stessa una fetta della
torta di tutti, anche se poi questa
manca all’altro. Noi desideriamo la
libertà vera e grande, quella degli
eredi, la libertà dei figli di Dio. In
questo mondo, così pieno di libertà
fittizie che distruggono l’ambiente e
l’uomo, vogliamo, con la forza dello
Spirito Santo, imparare insieme la
libertà vera; costruire scuole di libertà; dimostrare agli altri con la vita che siamo liberi e quanto è bello
essere veramente liberi nella vera libertà dei figli di Dio”.
4.4. I movimenti ecclesiali esperienze
di unità e comunione
Il Santo Padre metteva così in
relazione Spirito Santo, vita,libertà
e unità. “Sono tre doni, questi, –
disse -, inseparabili tra di loro. E riferendosi all’unità proseguiva: “A
Nicodemo che, nella sua ricerca
della verità, viene di notte con le
sue domande da Gesù, Egli dice:
“Lo Spirito soffia dove vuole” (Gv
3, 8). Ma la volontà dello Spirito
51
dossier
zione pensiamo di poter intravedere
lo Spirito Creatore, Dio stesso, quasi
come matematica creativa, come potere che plasma le leggi del mondo e
il loro ordine e poi, però, anche come bellezza – adesso veniamo a sapere: lo Spirito Creatore ha un cuore. Egli è Amore. Esiste il Figlio che
parla col Padre. Ed ambedue sono
una cosa sola nello Spirito che è, per
così dire, l’atmosfera del donare e
dell’amare che fa di loro un unico
Dio. Questa unità di amore, che è
Dio, è un’unità molto più sublime di
quanto potrebbe essere l’unità di
un’ultima particella indivisibile. Proprio il Dio trino è il solo unico Dio”.
È attraverso Gesù che l’uomo
può penetrare nel Mistero di Dio.
“Giovanni, nel suo Vangelo, lo ha
espresso così: “Dio nessuno l’ha mai
visto: proprio il Figlio unigenito, che
è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18). Ma Gesù non ci ha
soltanto lasciato guardare nell’intimità di Dio; con Lui Dio è anche come uscito dalla sua intimità e ci è venuto incontro. Questo avviene innanzitutto nella sua vita, passione,
morte e risurrezione; nella sua parola. Ma Gesù non si accontenta di venirci incontro. Egli vuole di più.
Vuole unificazione. È questo il significato delle immagini del banchetto
e delle nozze. Noi non dobbiamo
soltanto sapere qualcosa di Lui, ma
mediante Lui stesso dobbiamo essere attratti in Dio. Per questo Egli deve morire e risuscitare. Perché ora
non si trova più in un determinato
luogo, ma ormai il suo Spirito, lo
Spirito Santo, emana da Lui ed entra
nei nostri cuori congiungendoci così
dossier
non è arbitrio. È la volontà della verità e del bene. Perciò non soffia da
qualunque parte, girando una volta
di qua e una volta di là; il suo soffio
non ci disperde ma ci raduna, perché la verità unisce e l’amore unisce. Lo Spirito Santo è lo Spirito di
Gesù Cristo, lo Spirito che unisce il
Padre col Figlio nell’Amore che
nell’unico Dio dona ed accoglie.
Egli ci unisce talmente che san Paolo poteva dire una volta: “Voi siete
uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). Lo
Spirito Santo, col suo soffio, ci
spinge verso Cristo. Lo Spirito Santo opera corporalmente; non opera
soltanto soggettivamente, “spiritualmente”. Ai discepoli che lo ritenevano solo uno “spirito”, il Cristo
risorto disse: “Sono proprio io!
Toccatemi e guardate; un semplice
spirito – un fantasma – non ha carne e ossa come vedete che io ho”
(cfr Lc 24, 39). Questo vale per il
Cristo risorto in ogni epoca della
storia. Il Cristo risorto non è un
fantasma, non è semplicemente uno
spirito, un pensiero, un’idea soltanto. Egli è rimasto l’Incarnato – è risorto Colui che ha assunto la nostra
carne – e continua sempre ad edificare il suo Corpo, fa di noi il suo
Corpo. Lo Spirito soffia dove vuole, e la sua volontà è l’unità fatta
corpo, l’unità che incontra il mondo e lo trasforma”.
4.5. La molteplicità dei carismi al
servizio della Chiesa e del Mondo
Papa Benedetto nella sua omelia
passava a parlare sulla molteplicità
dei carismi nella vita della Chiesa,
52
ma al servizio dell’unità della stessa
e come sua espressione. “Nella Lettera agli Efesini san Paolo ci dice
che questo Corpo di Cristo, che è la
Chiesa, ha delle giunture (cfr 4,16),
e le nomina anche: sono apostoli,
profeti, evangelisti, pastori e maestri (cfr 4, 12). Lo Spirito nei suoi
doni è multiforme – lo vediamo
qui. Se guardiamo la storia, se guardiamo questa assemblea qui in
Piazza san Pietro – allora ci accorgiamo come Egli susciti sempre
nuovi doni; vediamo quanto diversi
siano gli organi che Egli crea, e come, sempre di nuovo, Egli operi
corporalmente. Ma in Lui molteplicità e unità vanno insieme. Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in
forme prima non immaginate. E
con quale multiformità e corporeità
lo fa! Ed è anche proprio qui che la
multiformità e l’unità sono inseparabili tra di loro. Egli vuole la vostra multiformità, e vi vuole per l’unico corpo, nell’unione con gli ordini durevoli – le giunture – della
Chiesa, con i successori degli apostoli e con il successore di san Pietro. Non ci toglie la fatica di imparare il modo di rapportarci vicendevolmente; ma ci dimostra anche che
Egli opera in vista dell’unico corpo
e nell’unità dell’unico corpo. È proprio solo così che l’unità ottiene la
sua forza e la sua bellezza. Prendete
parte all’edificazione dell’unico corpo! I pastori staranno attenti a non
spegnere lo Spirito (cfr 1 Ts 5, 19) e
voi non cesserete di portare i vostri
doni alla comunità intera. Ancora
una volta: lo Spirito Santo soffia
dove vuole. Ma la sua volontà è l’unità. Egli ci conduce verso Cristo;
nel suo Corpo. “Dal Cristo – ci dice
san Paolo – tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la
collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni
membro, riceve forza per crescere
in modo da edificare se stesso nella
carità“ (Ef 4, 16)”.
4.6. Il senso dei carismi è la Missione
53
dossier
La conseguenza ultima e il senso
dei carismi è per la diffusione della
salvezza dell’uomo, per la costruzione della Chiesa e quindi al servizio del piano missionario di Dio
sull’intera umanità. Così concludeva la sua omelia Papa Benedetto
XVI: “Lo Spirito Santo vuole l’unità, vuole la totalità. Perciò la sua
presenza si dimostra finalmente anche nello slancio missionario. Chi
ha incontrato qualcosa di vero, di
bello e di buono nella propria vita –
l’unico vero tesoro, la perla preziosa! -, corre a condividerlo ovunque,
in famiglia e nel lavoro, in tutti gli
ambiti della propria esistenza. Lo fa
senza alcun timore, perché sa di
aver ricevuto l’adozione a figlio;
senza nessuna presunzione, perché
tutto è dono; senza scoraggiamento,
perché lo Spirito di Dio precede la
sua azione nel “cuore” degli uomini
e come seme nelle più diverse culture e religioni. Lo fa senza confini,
perché è portatore di una buona
notizia che è per tutti gli uomini,
per tutti i popoli. Cari amici, vi
chiedo di essere, ancora di più,
molto di più, collaboratori nel ministero apostolico universale del
Papa, aprendo le porte a Cristo.
Questo è il miglior servizio della
Chiesa agli uomini e in modo tutto
particolare ai poveri, affinché la vita
della persona, un ordine più giusto
nella società e la convivenza pacifica tra le nazioni trovino in Cristo la
“pietra angolare” su cui costruire
l’autentica civiltà, la civiltà dell’amore. Lo Spirito Santo dà ai credenti una visione superiore del
mondo, della vita, della storia e li fa
custodi della speranza che non delude.
Durante l’incontro con il Papa
Benedetto XVI in Piazza San Pietro
alcuni esponenti o responsabili di
Movimenti e nuove comunità cristiane avevano dato alcune testimonianze significative sulla loro esperienza di vita cristiane e le esigenze
da essa nate. Fra di essi parlarono
Salvatore Martínez, coordinatore
del Rinnovamento nello Spirito
Santo in Italia, Maria Lugia Corona, cofondatrice della Comunità
Missionaria di Villaregia, un matrimonio del “Regnum Christi, Chirara Lubich dei Focolari, Andrea
Rriccardi della comunità di Sant’Egidio, Don Julián Carrón di Comunione e Liberazione, Kiko Arguello
del Cammino Necatecumenale,
Luis Fernando Figari del Movimento di Vita Cristiana, Patti Gallagher
Mansfiel del Rinnovamento Carismatico Cattolico. Sono stati interventi che hanno sottolineato aspetti
molto variegati dei loro rispettivi
carismi e attività ecclesiali dentro
della grande comunione e unità ec-
dossier
clesiale della quale tutti vivono e
per la quale lavorano.
In realtà i Movimenti ecclesiali e
le nuove comunità sono doni di
grazia dello Spirito alla Chiesa e attraverso la Chiesa al mondo per
aiutare l’umanità a ritrovare la sua
strada. Sono realtà tempestive nel
momento attuale della Chiesa, “come fuoco ardente e vento impetuoso per la vita cristiana e per la missione di tutta la Chiesa”, concludeva il Papa. Segni della presenza attiva dello Spirito Santo in maniera
multiforme. Ma questo chiede anche una responsabilità ed una apertura missionaria effettiva a tutti coloro ai quali il Signore ha elargito
tali doni nella vita della Chiesa. Tale
è l’appello lanciato anche dal Papa
durante quell’incontro memorabile
del 3 e 4 settembre a Roma. Si può
dire che sia stato una specie di rilancio e di continuazione di quanto
era successo già con Giovanni Paolo II nel 1998, confermato ancora
con nuovo vigore.
Fidel González Fernández
Facoltà di Teologia
54
Speciale
Sette e
nuovi fenomeni
religiosi.
Tra speranze e
nuove utopie
L
a nascita e lo sviluppo di Sette e dei Nuovi Fenomeni Religiosi pone
non pochi problemi alla comunità ecclesiale. Mentre per alcuni è in questa
direzione che si pone il futuro del cristianesimo, per altri si sottolinea il pericolo che esso venga snaturato dei suoi elementi principali.
T
roppo spesso gli operatori pastorali reagiscono in modo protezionista
e rivendicando quasi il diritto ad un monopolio nella presentazione del cristianesimo. Una lettura più attenta pone l’interrogativo sulle caratteristiche
di questa esperienza religiosa, le motivazioni che si porta dentro, le cause
intraecclesiali che possono averla favorita e le sfide a cui la pastorale è
chiamata.
speciale
A
vvertiamo la difficoltà a definire adeguatamente il fenomeno a cui
facciamo riferimento sia per la grande differenza che esiste nei diversi
continenti, sia per la diversità di spessore delle esperienze medesime. Se il
termine setta indica una matrice religiosa condivisa ma da cui si viene separati, il termine movimento o fenomeno religioso indica una novità non
necessariamente legata ad una tradizione religiosa precedente. Inoltre si
dovrebbe poter delimitare se ci riferiamo all’ambito cristiano o religioso in
generale. Ma a volte questa distinzione non è vissuta in modo così chiaro e
definito.
Al tempo stesso siamo convinti che alcuni elementi siano comuni a tut-
ti. Tra questi individuiamo sia l’analisi di alcune caratteristiche sociologiche, sia delle motivazioni che portano le persone ad aderire a tali nuovi fenomeni religiosi; sia – inoltre – in alcuni atteggiamenti degli operatori pastorali. Crediamo sia utile, quindi, fare della complessità una risorsa per la
ricerca stessa lasciando al futuro un approfondimento più puntuale.
P
er tutto questo abbiano preferito mantenere una certa ambiguità con
lo scopo principale di studiare il fenomeno in quanto tale: le motivazioni,
le configurazioni essenziali, gli atteggiamenti pastorali necessari. Per cui si
potrebbe dire che:
– ci riferiamo in modo particolare ma non solo alla area di matrice culturale cristiana
– ci riferiamo al vasto fenomeno che non è riconosciuto o non si vuole
identificare con la chiesa cattolica o le chiese cristiane ma che interagiscono con esse.
56
Sette e nuovi fenomeni religiosi.
Cosa caratterizza sociologicamente
una setta o movimento religioso
di Luca Pandolfi
1. Verso una definizione per approssimazione: un questionario ricognitivo
1
La trovate all’interno dell’articolo con i numeri delle risposte pervenute.
RM XXII (2006) 2, pp. 57-64
57
speciale
Le sette religiose costituiscono da sempre un campo d’indagine delicato della sociologia della religione. La disciplina è abituata a confrontarsi con le forme, le appartenenze e le dinamiche organizzative delle
grandi religioni istituzionali. Sette e movimenti si pongono come fenomeno alternativo. Vengono a porre in questione i grandi sistemi religiosi
istituzionali: agiscono, dall’interno e dall’esterno, per proporre alternative, modificare e alterare le forme, sostituire le appartenenze e le dinamiche organizzative.
Nella loro molteplicità, complessità e frammentarietà sfuggono a definizioni facili e semplificanti. La giornata di studi dell’ISCSM e della facoltà di Missiologia ha voluto offrire pertanto una riflessione circa la misura di questa complessità oltre i facili percorsi dello stereotipo e della
contrapposizione. Il primo passo è stato somministrare un’intervista semistrutturata agli studenti1 dell’Istituto e della Facoltà.
Scopo dell’intervista era soprattutto attivare la riflessione, porre delle
domande che avrebbero trovato risposta nello svolgersi della mattinata
di studio.
In termini sociologici, l’intervista, o meglio il questionario diffuso, ha
il valore di un pre-test, una ricognizione circa la comprensione, le conoscenze e gli atteggiamenti generali in ordine agli items e agli indicatori
principali del nostro approfondimento sociologico.
Potrebbe essere opportuno, a partire dai risultati, elaborare un questionario più mirato, capace di dedicare maggiore attenzione ad alcune
tematiche urgenti del dialogo interreligioso. Ciò che è venuto fuori è comunque interessante.
Ha risposto poco più del 50% degli studenti ai quali era giunto il questionario e troviamo rappresentati i numeri e le proporzioni geografiche
ed ecclesiali presenti nell’Università Urbaniana. Emerge che quasi tutti
hanno avuto un contatto
Questionario di preparazione
Date 200 schede arrivate 102
1.1. A quale area geografico-culturale appartieni?
A) America del Nord (escluso Messico) 0 B) Centro America (+ Messico) 10 C) Caribe
2 D) America del Sud 15 E) Europa Occidentale 7
F) Est Europa 7 G) Nord Africa 0 H) Africa Centrale e Meridionale 24
I) Medio Oriente 0 L) India 9 M) Sud Est Asiatico 26 N) Cina 1 O) Giappone
0 P) Oceania e Australia 0 – nuovo – Q) Caucaso 1
1.2. Nella chiesa sei…
a) Laico/a
10 b) Seminarista o sacerdote diocesano
23 c) Religioso/a 69
1.3. Conosci la vita e l’esperienza delle sette religiose?
speciale
a) Per niente 8
b) Poco 65
c) Abbastanza 29
d) Molto 0
1.4. Nel luogo dove sei nato/a e cresciuto/a sono presenti fenomeni di piccole sette
o movimenti religiosi non riconosciuti oltre alle grandi religioni tradizionali?
(non si prendono in considerazione i movimenti cattolici)
a) No 21
b) Sì, ma poche realtà 62
c) Sì, molte realtà 19
1.5. Puoi indicare alcuni nomi
1) Chiese pentecostali, Chiesa di Cristo, Assemblea di Dio, ecc. 2) Testimoni di Gehova
3) Mormoni e sette protestanti 4) Culti locali 5) New Age e gruppi di teo-filosofie orientali 6)
Sette sataniche (soprattutto in Europa) 7) Massoni e Rosacroce, spiritisti.
Se hai risposto positivamente alle domande 1.3., 1.4. e 1.5.
1.6. Quale è l’origine e la radice culturale e/o religiosa delle sette e dei fenomeni
religiosi che conosci?
a) Cristiana (cattolica) 29 b) Cristiana (protestante) 58 c) Religioni tradizionali 10
d) Fusione di esperienze cristiane e culti locali 12 e) altro (specificare) 13
Poche risposte…: Islam Wahabbita – Scientology e nuovi culti – Sette sataniche
con esperienze di sette e movimenti religiosi extra cattolici ma che la
conoscenza è per lo più iniziale e superficiale. Molte di queste esperienze
hanno radice cristiana, altre si rifanno ad altre grandi religioni (Induismo,
Islam, ecc.) o a culti locali. Le ragioni per cui nascono e si formano (o sono
nate e si sono formate) queste esperienze, e il ruolo della chiesa cattolica
nel confronto con esse è stato approfondito meglio nel dibattito avvenuto
durante la giornata di studio.
58
2.1. Esiste una differenza tra setta e movimento religioso?
No 1
Non lo so 25
Sì 76
2.2. Secondo te, per quale ragione si formano queste nuove sette e perché le
persone vi aderiscono? Puoi indicare massimo due opzioni
a) Per l’assenza o la lontananza delle grandi religioni (cattolica, islam, ecc.) dalla vita
quotidiana della gente 43
b) Per il desiderio di vivere la piccola comunità 21
c) Per poter vivere maggiormente la propria spiritualità 22
d) Per il sostegno economico e sociale che promettono 69
e) altro (specificare) 25
Poca formazione religiosa – mancanza di una pastorale adeguata e di testimonianza ragioni
psicologiche personali – ricerca di emozioni o identità
speciale
2.3. Il compito della chiesa cattolica e dei missionari deve essere…
Puoi indicare massimo due opzioni
a) Combattere apertamente queste esperienze evidenziando i loro aspetti negativi e
invitando la gente a starne lontani o, qualora ne facessero parte, a uscirne. 12
b) Dialogare con tutte queste esperienze in modo critico. 52
c) Lavorare insieme con tutte per la costruzione di un mondo più giusto e solidale.
56
d) Lavorare e dialogare solo con quelle di origine cristiana. 3
e) Recepire alcuni aspetti dell’esperienza delle sette e dei nuovi movimenti religiosi e
introdurli nella pratica organizzativa, pastorale e liturgica della chiesa cattolica. 27
Quali? Indicane almeno uno : molti non rispondono o indicano semplicemente una maggiore coerenza e testimonianza
Altri invece dicono: a) scegliere un metodo pastorale più centrato sulla persona, i suoi bisogni e la dimensione emotiva e affettiva - recuperare un’identità forte – avere il gusto di lavorare insieme in modo libero per un mondo migliore.
2. Esiste una differenza tra setta e movimento religioso?
In ordine al nostro approccio sociologico, una domanda del questionario è stata importante e ci è servita per iniziare la nostra riflessione: sette e
movimenti sono la stessa cosa? Gli studenti dell’ISCSM e di Missiologia
alla domanda della scheda 2.1. per lo più dicono di sì. Spesso tuttavia
confondono movimento religioso per “movimento presente nella chiesa cattolica” (che avevamo escluso. Cfr. punto 1.4. della scheda). Per molti comunque la setta è qualcosa di chiuso, piccolo, mentre il movimento è qualcosa di più aperto, dinamico. Uno studente o una studentessa africana co59
glie una verità quando dice “ogni setta è un movimento, ma non tutti i movimenti sono delle sette…”. Procedendo proprio dal significato letterale
ed etimologico vediamo che:
speciale
SETTA
➝
MOVIMENTO ➝
separazione
processo dinamico, in cambiamento o per il cambiamento, l’alternativa.
In qualche modo quindi è vero: ogni setta identifica un movimento, di
separazione, distacco, distinzione. Quindi, allo stesso tempo, indica un legame: se ci si è separati (si è partiti) da qualcosa (una religione, un sistema
di pensiero), questa origine fa parte della storia della setta, del suo
“DNA”.
Un movimento invece indica un processo in quanto tale, una modalità
innovativa, alternativa, che può avvenire dentro le chiese e le religioni,
portare fuori dalle stesse o nascere indipendentemente dalle religioni, casomai prendendo elementi qua e là. In ogni caso entrambi si relazionano
con le grandi religioni per la loro storia o anche solo per gli orizzonti simbolici che utilizzano.
3. Setta e religione: una questione di numeri, di storie, di approcci
Definire quindi “sociologicamente” una setta e/o un movimento significa leggere la struttura e l’organizzazione di questa dinamiche di separazione e di alternativa e leggere le relazioni che generano. Diversi approcci
possono fornire informazioni interessanti e complementari.
Secondo un approccio sociologico quantitativo possiamo vedere come
una setta e un movimento siano di solito di piccole dimensioni, Quando si
ingrandiscono e si diffonde il rapporto e l’appartenenza istituzionale, tendono a chiamarsi “chiese” e ad avere una maggiore coscienza di essere
“realtà religiosa” tra le altre piuttosto che contro o a partire da le altre.
Forse alcune grandi religioni sono nate come sette (o erano considerate tali). Alcune sette invece, sono nate di piccole dimensioni, sono rimaste tali
o si sono estinte. Procedendo secondo un approccio sociologico qualitativo possiamo aggiungere che una setta o un movimento, quando sono di
piccole dimensione, e proprio per questo, privilegiano generalmente il rapporto personale. La questione cambia quando le dimensione aumentano:
l’appartenenza si gioca allora anche oltre il piccolo gruppo di riferimento.
Vediamo inoltre che una setta o un movimento hanno un mondo di significati, simboli e riti piuttosto semplice e facilmente comunicabile, Questo, in
genere, li rende meno capaci di adattarsi e meno disponibili a cambiamenti
o localizzazioni, cosa che avviene, in genere, per le grandi religioni e per
quei movimenti con una portata più universalistica.
60
4. Le buone, “vecchie” categorie di Glock, più una
Avendo chiarito che una definizione sociologica di setta o, con le dovute distinzioni, di movimento religioso non può essere presentata senza aver
indicato una pluralità di approcci e di connessioni, cerchiamo ora di rendere ragione di questa complessità ma anche di provare a dispiegarla. Il sociologo Enzo Pace ci ricorda che “nelle scienze sociali vale una massima di
senso comune: prima di filosofare sui massimi sistemi, proviamo a osservare come le persone concretamente agiscono, anche se dobbiamo essere
consapevoli che, mentre osserviamo abbiamo in testa un modello di reli-
Cfr. AIME O. – OPERTI M., Religione e religioni, p. 299 ss. Il paragrafo su “Il cristianesimo nell’epoca del pluralismo e del postmoderno”.
2
61
speciale
L’approccio storico sociale ci permette di rintracciare l’origine, le dinamiche e le conseguenze sociali dei processi di aggregazione e separazione.
Una setta, per definizione, e un movimento, per necessità antropologicoculturali, nascono da esperienze precedenti dalle quali prendono esplicitamente o implicitamente le distanze. La setta con una frattura, il movimento anche senza fratture, separazioni. Nella forma identitaria della sette, essersi separata è fondamentale. Meno nel movimento. Nella definizione di
un’esperienza religiosa l’assunzione della categoria di complessità è necessaria: complessità storica e complessità antropologica. Un approccio critico culturale ci può aiutare nella ricerca dei significati e delle conseguenze
culturali nei processi di aggregazione e separazione. In tal senso notiamo
quanto sia importante richiamare il problema del rapporto tra religioni
universali ed esperienze di alternativa, originalità, sincretismo e fuga. Sappiamo di essere al confine tra gli studi sociologici, quelli antropologici e
quelli più squisitamente fenomenologici: tuttavia l’interdisciplinarità, in
certi casi, diviene necessità metodologica ed epistemologica.
Molte volte inoltre ci troviamo di fronte a movimenti religiosi sincretici,
frutto di numerose contaminazioni, che non sentono la necessità di separarsi ma credono di poter vivere tranquillamente accanto, parallelamente o
anche dentro le religioni tradizionali (Il Candoblé cattolico del Brasile, il
Marabuttismo nell’Islam, ecc.). Altre maturano la necessità di separarsi e
costituire un nuovo cammino. Ricordiamo però che molti movimenti religiosi contemporanei2 nascono e vivono all’interno di movimenti culturali
più ampi e complessi, già globalizzati, iper-comunicati e iper-comunicativi
(ipertesti mediatici e visuali), soggetti di contaminazioni e rielaborazioni
inedite che liberano una creatività che si percepisce emancipata e reazione
ai percorsi di massificazione omologante. Ma qui il discorso si allarga e si
sbilancia chiaramente nel campo dell’antropologia culturale.
speciale
gione o di sacro…”3 In tal senso ci vengono in aiuto quelle che abbiamo
chiamato “le buone, vecchie categorie di C. Glock”: pratica, appartenenza,
esperienza, credenza, conoscenza4 alle quali aggiungiamo una sesta, organizzazione. Chiaramente tali categorie, parziali nella descrizione della complessa esperienza religiosa, ci servono per una prima approssimazione
schematica e raccolgono contenuti e informazioni presenti in numerose ricerche sul campo5.
1. Appartenenza
Indica la dimensione di legame sociale che si esprime e si sperimenta all’interno di un’esperienza religiosa. Nella setta (S) e nel
movimento (M) è molto legata al “fondatore” ma anche ad una relazione ravvicinata e forte tra i membri. Difficile trovare un aderente “non praticante”. Adesione più affettiva e meno sociologica.
2. Pratica
Esprime la religiosità nei riti e nei simboli, vale a dire nelle modalità sociali di celebrare la propria esperienza e appartenenza
religiosa. Nelle SS e nei MM è caratterizzata da semplicità e immediatezza.
3. Esperienza
Indica la dimensione personale e coinvolgente dell’esperienza religiosa, esperienza di sacro sperimentata nella vita e nel mondo.
Nelle SS e nei MM è forte (coinvolgente) e caratterizzata (specifica,
riconoscibile, tipicizzata da gesti, atteggiamenti, espressioni).
4. Credenza
Indica l’orizzonte meta-razionale (non irrazionale) verso il quale
si orientano le varie esperienze religiose. I contenuti circa l’Oltre (e l’Altro) che non possiamo conoscere mai fino in fondo,
(l’oltre della trascendenza). Una S o un M non hanno credenze tipologicamente indicabili.
5. Conoscenza
Ogni religione esprime un’idea di Dio, del mondo e della vita. La
religione è qualcosa vissuta qui, anche se orientato all’oltre. Questo vuol dire che ogni religione possiede una serie di conoscenze,
che costituiscono (dovrebbero costituire) il bagaglio conoscitivo/sapienziale di tutti i credenti. Nelle SS e nei MM la dimensione
conoscitiva è caratterizzata da semplicità e immediatezza. A volte
tuttavia può essere comunicata solo all’interno di un percorso iniziatici non disponibile all’esterno, non comunicato, segreto.
6. Organizzazione
Ogni religione o esperienza religiosa nella sua dimensione pubblica e sociale esprime un’organizzazione e si costruisce in una
struttura di relazioni, di ruoli e di rapporti. Si dà regole e decide
chi e come provvede alle regole. Organizza la gestione del pote-
AQUAVIVA S. – PACE E., Sociologia delle religioni, p. 73.
GLOCK C. Y., Dall’esperienza all’attitudine religiosa, Edizioni Paoline, Roma 1966.
5
Cfr. Bibliografia.
3
4
62
re e le modalità dell’affidamento del potere decisionale. Sette e
movimenti sono estremamente vari nell’organizzazione (che, se di
piccola entità, è ovviamente semplice). Troviamo organizzazioni
carismatiche e partecipative, fortemente gerarchizzate e pluricefale, semplici e complesse.
Alla fine di questo excursus ne sappiamo qualcosa di più o meglio ci
orientiamo. Percepiamo tuttavia che mancano altri indicatori importanti.
Ad esempio il rapporto tra l’esperienza religiosa delle sette e dei movimenti religiosi e la realtà sociale nella quale sono inserite, Uno studio più approfondito andrebbe fatto anche sulla disponibilità e l’uso dei beni economici presente nel fenomeno religioso che stiamo approfondendo. Per ora
ci basti l’avere delineato il quadro di riferimento con maggiore approssimazione.
5. Conclusione: rimangono alcuni problemi aperti.
63
speciale
Rimangono aperti alcuni problemi nella definizione di una setta o di un
movimento religioso.
Problemi fondamentali di approccio e di metodo:
A) Da quale analisi partiamo? Diamo una definizione a partire dall’identificazione di strutture organizzative e rituali (più sociologica)? Oppure
diamo una definizione a partire dalla lettura, dall’esegesi e dall’interpretazione dei simboli, delle narrazioni, delle autocomprensioni e della fenomenologia in genere dell’esperienza religiosa (tipica nell’indagine dell’antropologo e dello storico delle religioni)? Forse possiamo unire i due approcci
ma occorre essere consapevoli quando usiamo metodologie e strumenti di
una disciplina o dell’altra.
B) Occorre prendere consapevolezza della questione circa la posizione
di esterno o interno all’esperienza religiosa che vogliamo descrivere. L’atteggiamento di rispetto e di correttezza/consapevolezza del posizionamento dello studioso è più congeniale di fronte alle grandi religioni storiche e
alle religioni tradizionali dei territori già, e non più, colonie europee. L’incontro con le sette e con i movimenti rende più facile il giudizio approssimativo e il riduzionismo funzionalista. Porto alcuni esempi: a volte è facile
pensare che se una missione cattolica costruisce una scuola o un ospedale
stia contribuendo allo sviluppo sociale e culturale di un paese, se lo faccia
una setta stia comprando la fede dei suoi proseliti e cercando di minare la
cultura tradizionale. Oppure valutare l’esperienza estatica di una antica
tradizione islamica come ricca di significati e di dimensioni simboliche, allo stesso tempo svilire nell’emotività sincretica o nella ricerca di una socializzazione facile l’esperienza di un nuovo movimento.
Nella definizione sociologica di una setta ci troviamo di fronte anche a
problemi contingenti:
speciale
A) sicuramente forte è la frammentazione, la molteplicità delle forme, le
radici varie e complesse di ogni esperienza, i volti diversi che assume nella
differenza geografica e storica del fenomeno e nelle varie forme di sincretismo e contaminazione. Una setta pentecostale cristiana ha le stesse dinamiche e dimensioni in America Latina o in Africa? A volte sì ma in parte è diversa grazie ai diversi tessuti sociali e culturali. Anche i contesti storici e
sociali possono generare più che forme diverse, percorsi diversi, evoluzioni, mutamenti di tipo diverso.
B) Altro problema contingente è la novità e la provvisorietà delle esperienze in atto. La dimensione del mutamento e la pluriformità delle aggregazioni rende lo studio delle sette e dei nuovi movimenti estremamente instabile. New Age e sette “filo-orientali” sembravano invadere fino a pochi
anni fa’ l’Europa cristiana, oggi hanno numeri estremamente esigui. Allo
stesso tempo i contenuti veicolati da queste esperienze, insoliti e esotici ieri, oggi attraversano culture e religioni tradizionali. La fine del sacro si
scontra con la ripresa di forme diverse di religiosità. Una diffusa domanda
di esperienze religiose crolla di fronte alla richiesta di un maggior impegno
e continuità, per un progetto di vita credente oltre il consumo dei grandi
eventi, giornate e pellegrinaggi. Ma questo ha sempre fatto parte dell’esperienza religiosa? Anche la frammentazione in sette e percorsi alternativi
non ha attraversato la storia di ogni religione e di ogni rito? Il problema rimane aperto ed anche la ricerca.
6. Bibliografia
AA.VV., Il rito tra natura e cultura, Derive e Approdi, Roma 2006
AIME O. – OPERTI M., Religione e religioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 1999
AQUAVIVA S. – PACE E., Sociologia delle religioni, NIS, Roma 1996
BECKFORD J.A., Religione e società industriale avanzata, Borla, Roma 1991
CIPRIANI R., Manuale di sociologia della religione, Borla, Roma 1997
GLOCK C. Y., Dall’esperienza all’attitudine religiosa, Edizioni Paoline, Roma 1966
MASSENZIO M., Sacro e identità etnica, Franco Angeli, Milano
Luca Pandolfi
Direttore Centro di Comunicazioni Sociali
64
Nuovi Movimenti Religiosi
Presentazione fenomenologica del
Pentecostalismo e della Nuova Era
di Jesus Angel Barreda
1. Tentativo di classificazione
Anche la gamma di classificazioni dei NMR è vastissima; ognuno adotta
un proprio criterio discriminante. In questo lavoro adottiamo una classificazione pragmatica e non esaustiva, individuando gruppi:
1. di matrice cristiana: evangelici indipendenti, pentecostali trinitari e unitari, e neopentecostali: Assemblee di Dio, Chiesa Quadrangolare, Chiese di Dio, Chiesa di
Cristo, Preghiera Forte allo Spirito Santo e una quantità di gruppi indipendenti
che hanno propri nomi e che sono legati, soprattutto, a qualche forma “fondamentalista” d’interpretare la Scrittura.
2. para-cristiani che si fondano sulla Bibbia, ma che possiedono anche qualche libro
o qualche fonte di nuove rivelazioni: Mormoni, Avventisti, Testimoni di Geova,
Chiesa dell’Unificazione, I Bambini di Dio, Scienza Cristiana. Inoltre i Culti indigeni in diversi paesi, dal Messico alla Bolivia, e Culti Negri in tutto il Brasile.
Mennoniti, Amish, ecc.
3. d’origine orientale: Hare Krishna, Fede Baha’i, Seiko No’he, Missione della Luce Divina, Ananda Marga, Brahma Kumaris e Meditazione Trascendentale, fra i
quali si può collocare la Chiesa dell’Unificazione del Rev. Moon d’origine coreana.
RM XXII (2006) 2, pp. 65-87
65
speciale
Il campo fenomenologico dei Nuovi Movimenti Religiosi (=NMR) è difficilmente delimitabile: cronologicamente, comprende manifestazioni che
vanno dalla più remota storia ai nostri giorni; geograficamente, non risparmia nessun area abitata da comunità umana. Con i NMR ci troviamo davanti
ad un mercato di dimensioni mondiali e ci inoltriamo in un mondo pieno di
ambiguità, di contraddizioni, di verità e di menzogne, un mondo di sfruttamento della credulità ma, a volte, di offerta di sollievo fisico e spirituale. Si
può parlare ad libitum dei contesti nei quali ogni movimento mette le sue radici, dei soggetti protagonisti e dell’impatto sull’insieme delle chiese e, in
particolare modo, sulla Chiesa cattolica. Per questo motivo è difficile delimitare lo scenario nel quale i NMR hanno assunto il ruolo di protagonisti.
“Fine del mondo, apocalittismo, salvezza, ricchezza, successo, prosperità, felicità, benessere, pace, divinizzazione, sesso…”, sono soltanto alcune delle proposte di questo mercato sacro-religioso-spirituale o, semplicemente, diverso; proposte e offerte che invitano a classificarlo in gruppi per
tentare di averne una comprensione più pratica che reale.
speciale
4. di origine esoterica che possono avere una origine, sia orientale, sia occidentale:
Gnosticismo, Dianetica, Scientologia, Teosofia, Rosacroci, Massoni, Fraternità
Bianca Universale, Nuova Acropoli di origine argentina, Missione Rama di origine peruviana e Nuova Era, che ha il maggiore proselitismo1.
Classificazioni come questa, o molto simili, sono oggi comunemente accettate, almeno per inquadrare il problema; senza mai dimenticare, anche
se qui non ne facciamo riferimento2, l’esistenza di gruppi che con la religione non hanno niente a che fare, in quanto i loro obiettivi sono di altro
tipo, ma che, per la loro lontananza dalla dimensione religiosa, rappresentano motivo di maggiore preoccupazione per i pastori della Chiesa Cattolica. La classificazione adottata, non carente di oggettività, è limitata, perché
le suddivisioni possono moltiplicarsi secondo l’interesse della ricerca. Per
noi cristiani -contestualizzati in anticipo, e non può essere diversamente,- è
possibile orientare la finalità delle nostre ricerche: pastorali, missionarie,
apologetiche, ecc.. In America Latina, per esempio, si parla dei non cattolici come di “evangelici”, definizione che noi consideriamo imprecisa. Nella pratica si riscontra un certo timore ad utilizzare termini, quali evangelicali e pentecostali per Movimenti Religiosi eterodossi e questo sia nell’ambito del protestantesimo che del cattolicesimo3.
I gruppi sopra elencati sono diffusi in tutto il mondo, riscontrandosi in
tutti i continenti con la stesse caratteristiche e modalità; ciò vuol dire che,
per esempio, i Testimoni di Geova partecipano ad una struttura di governo, di vita e di metodi comuni in qualsiasi angolo della terra. Alcuni gruppi, più affezionati al loro posto d’origine, vivono in quello la propria esperienza, come accade in molte cosiddette “chiese indipendenti africane” anche se alcune sviluppano anche un progetto missionario ad gentes; altri
gruppi hanno trovato il posto giusto per lo sviluppo, senza grandi pretese
universalistiche; altri ancora hanno adottato un sistema molto preciso di
dinamismo missionario; altri, infine, si orientano meno a regioni geografiche concrete, preferendo strati sociali determinati quali: il mondo della ricchezza o della povertà; dei giovani o dei matrimoni. Non esiste un areopago socio-culturale, oltre che geografico, immune dalla loro presenza. Risulta, dunque, difficile classificare i NMR in base ad un criterio geografico
universale. È evidente, però, che alcuni continenti presentano peculiarità
1
Cf. AMPARO BELTRÁN, En América Latina, ¿por qué ganan terreno las sectas?, «Pastoral Ecuménica» 19, 2003, n. 59: www.centroecuménico.org.
2
Altre classificazioni girano attorno a formule quali: “Cristo sì, Chiesa no”; Dio sì, Cristo no”;
“Religione sì, Dio no”; Sacro sì, Religione no”.
3
Cf. Per esempio, F. SAMPEDRO NIETO, I nuovi movimenti religiosi, i gruppi indigeni e afro-americani in America Latina, Corsi di formazione missionaria per corrispondenza 1999, Lezione Terza,
Pontificia Unione Missionaria, Roma 1999, 4-5.
66
più spiccate per sviluppare gruppi più idonei al loro habitat. L’Europa non
mostra una predilezione speciale per qualche gruppo, ma accoglie tutto
ciò che è proposto sotto forma di novità esotica, quale, per esempio, la
Nuova Era.
Obbligato, perciò, a fare una scelta, ho optato per analizzare due fenomeni di grandi dimensioni che si confrontano in modo diverso, sia con la
Chiesa Cattolica e, ovviamente con la nostra missione, sia con le Chiese
cristiane in genere. Questi sono: il Pentecostalismo, di origine e di contenuti in parte cristiani, e la Nuova Era (New Age); quest’ultima per vari versi
lontanissima dagli orizzonti dottrinali cristiani. Altri Nuovi Movimenti
molto conosciuti quali, Testimoni di Geova, Chiesa dell’Unificazione,
Scientologia, Mormoni, Avventisti, ecc. oggi appaiono in regressione perché, con il succedersi delle generazioni, stanno perdendo forza nel loro dinamismo proselitistico.
2. Le fondamenta del movimento pentecostale
La glossolalia si suole intendere non come una lingua veritiera, ma piuttosto come un’esperienza religiosa verbalizzata. Il parlare in lingue crea una specie di “santuario acustico” che esprime la
presenza dello Spirito Santo in suoni umani. Si tratta dell’esperienza religiosa nata nel battesimo
dello Spirito Santo, quella che si converte in uno “stile di vita”5 (Cf. JEAN-PAUL WILLAIME, Le pentecôtisme: contours et paradoxes d’un protestantisme émotionnel, «Archives de Sciences Sociales des
Religions» 105, 1999, 10; WALTER J. HOLLENWEGER, Dalla «Azusa Street» al «fenomeno Toronto».
Radici storiche del movimento pentecostale, «Concilium» 32, 1996, 441-442).
5
Cf. CHRISTIAN LALIVE D’EPINAY, Haven of the masses. A study of the Pentecostal Movement in
Chile, Lutterworth Press, Londra 1969, 15.
6
Cf. JUAN VELARDE, Las sectas en Costa Rica. Pentecostalismo y conflicto social, Ed. Dei, San
José 1990, 75.
4
67
speciale
Il pentecostalismo affonda le sue radici nell’insieme di denominazioni
protestanti del secolo XIX in America del Nord; un protestantesimo che
diventa missionario verso l’America Latina, dando origine all’evangelicalismo di tipo indipendente, specialmente fondamentalista, nel quale si innesta il pentecostalismo. Con il termine “pentecostale” ci collochiamo, non in
opposizione al Protestantesimo “storico”, ma nell’orbita delle nuove esperienze religiose, nelle quali la santità e il dono delle lingue (glossolalia) acquistano un ruolo determinante4.
Secondo Christian Lalive D’Epinay5, il Pentecostalismo rappresenterebbe “la religione dei poveri”; una risposta all’alienazione sociale. C’è coincidenza tra la nascita del pentecostalismo e la crisi economica del sistema capitalista a livello mondiale; il deterioramento delle condizioni di vita della
popolazione e l’effervescenza della lotta di classe6 sembrano essere il suo
fattore di crescita predominante. Se questo è il contesto sociale, non molto
diverso è quello religioso. Così che, per Massimo Introvigne, il pentecosta-
speciale
lismo nasce come protesta verso le denominazioni e le strutture religiose
alle quali pensa di sostituire un network di piccole comunità, più o meno
indipendenti, che non impedirebbero allo Spirito di soffiare dovunque
vuole7. Il Pentecostalismo si presenta come un movimento religioso che
crede “che l’esperienza del Battesimo nello Spirito e la pratica dei doni ricevuti il giorno di Pentecoste sono normativi nella vita della Chiesa e di
ogni credente”8. Si tratta di un “movimento di risveglio” che ha la finalità
di “restaurare il ministero dello Spirito Santo”9 nella vita personale e nella
missione della Chiesa.
Non esiste, né chiarezza, né accordo, sulle origini del movimento. Alcuni studiosi trovano le radici nel Puritanesimo e negli insegnamenti sullo
Spirito 10 . Altri, le trovano nel Pietismo, con la sua dottrina della
guarigione11. Osserviamo che, dal punto di vista religioso, il pentecostalismo nasce nel movimento di santificazione del protestantesimo di America
del Nord12. Ci troviamo nella tradizione metodista, nel periodo di John Wesley (1703-1791), quando si insiste sulla conversione e sulla santificazione
che richiedono al cristiano di vivere con coerenza la vita cristiana.
Alcuni studiosi collocano l’origine del pentecostalismo in tempi più vicini
ai nostri giorni e, precisamente, nel movimento americano di santità, identificando nel razzista americano Charles Fox Parham (1873-1929)13 l’anello di
congiunzione. Parham aveva esposto ai suoi allievi della Bethel Bible School
di Topeka, Kansas, alcune questioni sul capitolo 2, 4 degli Atti in relazione al
battesimo dello Spirito Santo. Alla vigilia del nuovo anno (1901), durante la
veglia di preghiera, una certa signorina Agnes Ozman chiedeva l’imposizione
delle mani per poter ricevere lo Spirito Santo. Dopo ripetute insistenze,
Parham acconsentiva: le imponeva le mani sul capo e pregava. Dopo di ciò,
7
Cf. MASSIMO INTROVIGNE, “Fuego del Cielo”. Harvey G. Cox, el pentecostalismo y el “final” de
la secularización, in «ARBIL» n. 72, 11/08/2003; www.arbil.org.
8
ROBERT MAPES ANDERSON, Pentecostal and Chsrismatic Christianity, in M. ELIADE (ed.), The
Encyclopedia of Religion, vol. 11, Macmillan Publishing Company, New York 1987, 231.
9
A. A. POMERVILLE, The Third Force in Missions: a Pentecostal Contribution to Contemporary
Mission Theology, Hendrickson Publishers, Peabody 1985, 80.
10
Cf. D. G. DUNN, Spirit-Baptism and Pentecostalism, «Scottish Journal of Theology» 23, 1970,
397-407; GARTH WILSON, The Puritan Doctrine of the Holy Spirit: A Critical Chapter in the History
of Doctrine, Toronto School of Theology, Toronto 1978.
11
Cf. EDITH WALDVOGEL, The “Overcoming Life”: a Study in the Reformed Evangelical Origins
of Pentecostalism, Harvard Divinity School, Harvard 1977; J ÜRGEN M OLTMANN , Hope and
Planning, Harper and Row, New York 1968.
12
Il “Movimento di santità” rappresentava una reazione contro il liberalismo ed il formalismo
delle chiese Protestanti e contro lo studio del liberalismo biblico; cercava un’esperienza personale e
individuale di conversione e una perfezione morale (santità) del cristiano.
13
Cf. KLAUDE KENDRICK, The Promise Fulfilled: a History of the Modern Pentecostal Movement,
Gospel Publishing House, Springfields 1961, 37; A. ANDERSON, An Introduction, 33-34.
68
14
Cf. GIUSEPPE PICCOLO, Accade 100 anni fa: Il risveglio di Azusa Street, “ICN-News 16/04/06;
www.icn-news.com; A. ANDERSON, An Introduction, 34; V. SYNAN, The Century of the Holy Spirit: 100
years of Pentecostal and Charismatic Renewal, Thomas Nelson Publishers, Nashville, TN 2001, 44.
15
Cf. A. ANDERSON, An Introduction, 39-45.
16
Cf. J. R. GOFF, Fields White unto Harvest: Charles F. Parham and the Missionary Origins of
Pentecostalism, University of Arkansas Press, Arkansas 1988, 164.
17
WALTER J. HOLLENWEGER, Dalla “Azusa Street” al “fenomeno Toronto”. Radici storiche del
movimento pentecostale, “Concilium” 32, 1996, 442.
18
Cf. JOHN FLETCHER, Portrait of St. Paul, in The Works of the Reverend John Fletcher, Schmuls
Publishers, Salem, Ohio 1974.
69
speciale
“la gloria cadde su di lei, in un alone che sembrava circondasse la sua testa e
la sua faccia e cominciò a parlare in lingua cinese e non fu in grado di parlare
in inglese per tre giorni”. Dopo questa esperienza, le lezioni furono sospese e
durante il mese di gennaio 1901 tutti gli studenti si impegnarono in preghiera e la maggioranza di loro, compreso il pastore, furono battezzati nello Spirito Santo14. Questo potrebbe essere il momento di inizio del movimento.
Nel 1905 Parham si trasferisce a Houston nel Texas e fonda una Scuola
sullo stile di quella di Topeka. Unico libro di testo: la Bibbia. Tra gli studenti si trovava un predicatore battista di colore, William J. Seymour15. Seymour
fu invitato a Los Angeles da un sorella che aveva ricevuto lo Spirito Santo a
Houston. Le riunioni furono tenute a casa sua al numero 214 di Bonnie
Brae Street. Fu qui che il 9 aprile 1906 sette persone ricevettero il battesimo
nello Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue e per tre giorni e
per tre notti continuarono a pregare e a lodare Dio. Circa una settimana dopo, le riunioni furono trasferite al numero 312 di Azusa Street, un vecchio
edificio preso in affitto. Le riunioni si tenevano a partire dalle 10 del mattino e, spesso, duravano fino alle 3 del mattino successivo. Questo risveglio
religioso è considerato da quasi tutti come l’origine del pentecostalismo. Se
il movimento pentecostale è caratterizzato, innanzitutto, dall’esperienza del
battesimo dello Spirito (con discorsi in lingue), allora il suo fondatore è
Charles Fox Parham16. Ma se l’agire dello Spirito Santo è inteso non solo
nell’ambito di una esperienza religiosa di crisi, ma anche nella forza dello
Spirito Santo che opera riconciliazione e si pone criticamente di fronte allo
spirito del tempo, allora il suo fondatore è William J. Seymour”17.
Assieme a queste interpretazioni sull’origine del Pentecostalismo, troviamo la dottrina del dispensazionalismo, legata alle tre persone della Trinità e caratterizzata da ogni dispensazione come una grande promessa di
Dio: la “dispensazione del Padre” che fa riferimento alla “manifestazione
esterna del Figlio”; la “dispensazione del Figlio”, inaugurata col battesimo
di Giovanni che guarda alla “promessa del Padre” o effusione dello Spirito
nella Pentecoste; la terza dispensazione, o dello Spirito, che si contempla o
si relaziona al ritorno del Cristo18.
speciale
Per la sua complessità, Il Pentecostalismo è stato descritto come “un
movimento”, “un’esplosione”, “un’invasione”, “una terza forza”, ecc. Si
tratta di descrizioni parziali che corrispondono a gruppi e contesti diversi
non ben definiti19. Le espressioni del Pentecostalismo sono così variegate
che è preferibile parlare di “Pentecostalismi”, essendo plurale la loro dinamica interna di crescita e di sviluppo.
I Pentecostali non accettano i termini classici quali confessione, denominazione o chiesa; preferiscono usare il termine “fraternità” per designare i
loro aggruppamenti. Il pentecostalismo appare come una nebulosa complessa perché non fa riferimento ad un sistema dottrinale comune, ma ad
una molteplicità d’esperienze vissute in gruppi ed in luoghi diversi. L’assenza di un magistero centrale non facilita la sua comprensione, mentre già
nelle sue origini si presenta come un “fenomeno policentrico e plurale”
con differenti fonti d’origine e di diffusione20.
Dal punto di vista fenomenologico, il pentecostalismo è caratterizzato da
una parte da: “forte ‘emozionalità’ dei culti, attenzione personalizzata ai
fedeli, calorosa attenzione e solidarietà regnante nelle congregazioni, glossolalia (“«dono delle lingue» che permette la comunicazione diretta con
Dio”), “caduta” nelle braccia dello Spirito Santo («il Signore mi butta per
terra». «Egli mi butta e cado»); dall’altra da: semplicità dottrinale ed inamovibile riferimento biblico che contiene tutte le risposte, al quale tutti
possono accedere e che tutti possono interpretare sotto l’ispirazione e la
guida dello Spirito Santo.
Il pentecostalismo, sotto il profilo operativo, offre risposte semplici e
concrete alle condizioni dell’esistenza presenti nelle ideologie di salvezza,
mettendo a disposizione la funzionalità del «pietismo», ovvero, la certezza
di essere salvati per la propria fede in Gesù, Signore e Salvatore. Questo ultimo è un concetto fomentato soprattutto dalle «chiese libere», le più numerose in America Latina per la maggior parte provenienti dagli Stati Uniti.
L’assenza di una autorità indiscutibile che metta in questione o impedisca per legge la scissione e la sottodivisione fra le chiese (tra i protestanti il
liderato è aperto a chiunque abbia il carisma sufficiente per esercitarlo), la
strategia del «gruppo familiare» come formula effettiva per una crescita
veloce delle chiese e per la consumazione del «risveglio», sono altre caratteristiche che permettono di inquadrare la crescita del pentacostalismo nel
loro instancabile proselitismo, che non risparmia sforzi, e nell’indiscutibile
successo del millenarismo pentecostale”21.
Cf. DANIEL CHIQUETE, Latin American Pentecostalism and Western Postmodernism, “International Review of Mission”, 92, 2003, 30.
20
JEAN-PAUL WILLAIME, Le Pentecôtisme: contours et paradoxes d’un protestantismo émotionnel,
“Archives de Sciences Sociales des Religions” 105, 1999, 9.
21
MANUELA CANTÓN DELGADO, Lo sagrado y lo político entre los pentecostales guatemaltecos. Vi19
70
“I pentecostali confessano Gesù Cristo come salvatore, santificatore e guaritore, come colui che battezza nello Spirito e come il re che deve venire. […]
Per principio, e conforme alla sua espressione maggioritaria, il pentecostalismo
afferma le dottrine cardine del cattolicesimo: la Trinità, l’incarnazione ed espiazione di Gesù Cristo, la necessità della fede in Gesù Cristo per salvarsi, la presenza e il potere dello Spirito Santo divino in ogni vero credente e la beata speranza che Cristo ritornerà per consumare il regno di Dio”22.
vencia y significación (Ver Internet). Cantón si riferisce al Guatemala, ma la descrizione proposta
serve per la manifestazione del pentecostalismo in generale.
22
STEVEN J. LAND, Orar en el Espíritu: La perspectiva pentecostal, “Concilium” n. 265, 1996,
530. I contenuti teologici dell’esperienza pentecostale: 1. L’incontro con Cristo risorto come esperienza fondante (la conversione). 2. Lo Spirito Santo: il potere del Cristo risorto nelle vita del credente. 3. Il cambio di vita come esperienza di guarigione. 4. Una Chiesa viva: la comunità di coloro che sono stati trasformati da Cristo. 5. Il culto e la preghiera, centro del pentecostalismo: - La
parte più importante del culto è la preghiera; - Battesimo nello Spirito; - La Santa Cena; - Il sentimentalismo; - Il tempio. 6. Ricerca di altro linguaggio teologico (cf. JUAN SEPÚLVEDA, Una aproximación a la experiencia pentecostal latinoamericana, www.geocities.com).
23
Cf. BERNARDO CAMPOS, Hacia una teología de la Pentecostalidad de la Iglesia, Conferencia pronunciada en la Fraternidad Teológica Latinoamericana, Buenos Aires 1988.
71
speciale
Il popolo santo considera l’esperienza Pentecostale (la ricezione del battesimo dello Spirito Santo e il parlare in lingue), come la terza esperienza,
che segue la giustificazione e la santificazione. Le tre esperienze includono:
– la giustificazione («nuova nascita», che riconosce Gesù come unico salvatore personale); – la santificazione («seconda benedizione», dopo la quale
uno è permanentemente santo, centro del movimento di santità); – il battesimo nello Spirito Santo (manifestato nel parlare in lingue). Ci sono movimenti che praticano due esperienze: sono coloro che, né cercano, né predicano, la «seconda benedizione», ma soltanto la giustificazione e il battesimo nello Spirito; costoro discendono dalla tradizione Battista. Il movimento di guarigione si trova alla base di tutte le derivazioni del pentecotalismo;
molte chiese e associazioni procedono da questo movimento.
Teologicamente, si tratta di una esperienza religiosa del divino, prolungamento della prima Pentecoste23. Ciò che costituisce la vita o l’essere cristiano, dal punto di vista pentecostale, è una esperienza che si fonda nell’incontro personale con Gesù Cristo, descritta, sia come conversione, sia
come nuova nascita (Gv 3), nuovo inizio, cambiamento di vita, ecc. Non è
sufficiente nascere biologicamente in una famiglia cristiana e nel seno della
Chiesa. Nemmeno basta un assenso formale o intellettuale alla dottrina
predicata dalla Chiesa. Si tratta di «vivere» la fede, di avere un’esperienza
di Dio. Usando un’immagine biblica, si può dire che per i pentecostali,
ogni cristiano deve vivere la propria esperienza del cammino di Damasco.
Non fu l’ascolto della parola a convertire Paolo; ciò che cambiò la rotta
della sua vita e lo convertì in membro della comunità che prima persegui-
tava, fu il suo incontro personale con Cristo risorto in quel cammino di
Damasco (At 9,1-16; 26,12).
3. Principali correnti
speciale
Dal punto di vista puramente storico, ai nostri giorni si distinguono
tre correnti, ancora vive, legate ai tipi di esperienza concreta:
3.1. Pentecostalismo classico o denominazioni pentecostali, cioè, chiese
nate come rinnovamento del Metodismo alla fine del secolo XIX negli USA
con alcuni ingredienti cattolici: le Assemblee di Dio, la Chiesa di Dio di
Cleveland, la Chiesa Quadrangolare del Vangelo Completo, la Chiesa Pentecostale Unita Internazionale, la Igreja Pentecostal Brasileira, la Church of
God, Pentecostal Holiness Church, la Full Gospel Fellowship ecc. Alcune
di queste denominazioni mantengono un dialogo con la Santa Sede e hanno
attitudine ecumenica, altre hanno un’attitudine settaria e sotto la stessa denominazione si trovano pastori ecumenici e pastori settari. Tra i personaggi:
David du Plessis, David Wilkerson, ecc”24. Samuel Escobar dice che esiste
una frattura tra il Protestantesimo storico e questi gruppi settari25 che si caratterizza nel dare meno importanza alla carità che alla presenza ed all’azione dello Spirito Santo, alle esperienze religiose sentite, emotive, con la caduta in trance, guarigione di infermi, visioni di colonne di fuoco, ecc.. In
principio si distinguevano, perché insegnavano che il dono delle lingue era
il segno iniziale di avere ricevuto il «Battesimo nello Spirito».
3.2. Il neo-pentecostalismo, apparso negli Stati Uniti negli anni ’60, con
due rami che non considerano la glossolalia come criterio di discernimento
della presenza dello Spirito Santo. Troviamo qui: a) il movimento neo-pentecostale, organizzato in chiese indipendenti libere, che lasciano in disparte
l’annuncio dell’imminenza della fine del mondo e della seconda venuta del
Signore, dottrina chiave nel pentecostalismo classico; b) il movimento carismatico o i carismatici, nato nel seno del protestantesimo tradizionale storico ed anche nella chiesa cattolica, che ha attinto a dottrine pentecostali,
ma con adepti che si sono tenuti fedeli alle loro rispettive chiese (cattolica,
luterana, anglicana, ecc.). Non ci sono, pertanto, novità dottrinali rispetto
alle chiese originarie. Il Movimento “sorge alla fine degli anni cinquanta.
Cf. CARLOS ALBERTO JARDÓN - DANIEL GAGNON, Los Pentecostales, www.redimir.org.
Mission in Latin America: an Evangelical Perspectiva, “Missiology” 20, 1992, 241-253; cf.
RENÉ PADILLA, Towars the globalization and integrity of Mission, in Mission in the Nineteen 90’s, G.
H. Anderson/J. B. Phillips/R. T. Coote, edd. Eerdmans, Grand Rapids 1991, 30-32; SAMUEL ESCOBAR, Los Evangélicos, ¿nueva leyenda negra en América Latina?, Casa Unida de Publicaciones,
México 1991.
24
25
72
Si tratta degli evangelici storici (battisti, metodisti, anglicani, presbiteriani,
ecc.), che incominciano ad accettare l’esperienza pentecostale all’interno
delle proprie tradizioni. Rifiutano il dono delle lingue come unico segno
iniziale del Battesimo nello Spirito Santo. Formano gruppi di preghiera
dentro le loro chiese. Alcuni personaggi di spicco sono: Don Basham,
Dennis e Rita Bennett, Kathyrin Kuhlman, ecc”26.
4. Sviluppo del pentecostalismo in America Latina29
Secondo David B. Barrett30, i pentecostali contavano 10.000 unità nel
1900, mentre nel 2000 arrivavano a 141.432,880 unità. Degli 48.132.000
Ib.
Cf. M. GUERRA, Diccionario enciclopédico, 682-683.
28
Ib.
29
Cf. FLORENCIO GALINDO, El protestantismo fundamentalista. Una experiencia ambigüa para
América Latina, Ed. Verbo Divino, Estella 1992, 314-315.
30
Cf. DAVID B. BARRETT, TODD M. JOHNSON, PETER F. CROSSING, World Christian Encyclopedia.
A comparative study of Churches and Religions in the Modern World, Oxford University Press, Nairobi/Oxford/New York 2001, 12. Gli evangelici nel mondo erano 72 milioni nel 1900 e 210,5 milioni nel 2000; mentre i pentecostali erano 981.400 nel 1900 e 524 milioni nel 2000, stimando che arrivino nel 2050 a 1.067 milioni, secondo la stessa fonte.
26
27
73
speciale
3.3. Chiese indigene non bianche, chiese indipendenti, movimenti para-ecclesiastici, para-chiese o ministeri. Il loro sviluppo incomincia negli
anni ’80. Si tratta di gruppi indipendenti dalle denominazioni evangeliche
classiche e dai pentecostali classici che si presentano indipendenti tra di loro che hanno attinto ad elementi pentecostali, di gruppi non riconosciuti
dalle due correnti precedenti che, però, riconoscono come eterodosse alcune delle loro dottrine e alcune delle loro prassi. Queste chiese danno il
primato allo spontaneo, all’orale, alle relazioni personali, alle terapie di
gruppo, al contatto fisico, alla preghiera, alle visioni, ecc. e lasciano in secondo piano, l’intellettuale, i concetti astratti, l’anonimato burocratico,
ecc.27. Non attribuiscono grande importanza al dono delle lingue, e parlano di più del «potere dello Spirito», di «unione», di «sanità», di «prodigi e
di miracoli», di «evangelismo di potere», ecc. Alcuni gruppi danno molta
importanza agli esorcismi e si auto denominano soltanto cristiani. Affermano di non appartenere a nessuna denominazione o gruppo religioso in
particolare (affermazione dubbia, poiché il loro corpo dottrinale è pentecostale ed evangelico). Esempi: Evangelismo a Fondo, Cristo per le Nazioni, Promise Keepers, Amicizia Cristiana, Vino Nuovo, Le Chiese della Vigna, Visione del Futuro, Chiesa Re dei Re in Argentina, ecc. Personaggi:
Oral Roberts, Jim Baker, Pat Robertson, Benny Hinn, Luis Palau, Victor e
Chris Richards, Carlos Annacondia, Omar Cabrera, ecc”28.
speciale
protestanti che si calcolano essere in America Latina, si stima che un 7580% siano già pentecostali. In alcune località del Cile superano il 50%
della popolazione totale ed in Bolivia 25%. Aymara appartiene a comunità
pentecostali. Le Assemblee di Dio, il ramo pentecostale più diffuso nel
continente, registrava nel 1986 in Brasile, secondo le loro fonti, 13 milioni
di addetti, assistiti da 10.500 pastori in 52.000 case di preghiera. La loro
grande casa editrice a Rio di Janeiro dà lavoro a 300 persone e distribuisce
mensilmente circa 350mila esemplari di diverse pubblicazioni. Sebbene le
cifre sul numero degli addetti possano essere esagerate, una dimensione di
12-14 milioni di pentecostali nel 1987 e di 40 milioni nel 2000 in tutto il
Brasile è realistica. A San Paolo esiste il tempio pentecostale più grande
del mondo, con capacità per 25-30 mila fedeli. Questi dati evidenziano la
dilatazione del fenomeno pentecostalismo.
All’interno del Pentecostalismo si osserva, però, una tendenza alla frammentazione delle istituzioni. Le stesse lotte tra leaders procurano rotture originando nuove chiese. Si tratta di chiese indipendenti che, di solito, non
danno l’affiliazione a nessuna denominazione o gruppo congregazionale.
Sono chiese “usa e getta”. Molte hanno una vita breve; mancano di stabilità
e di sicurezza. I membri, appena trovato un lavoro stabile, a volte lontano
dal luogo dove si trova la chiesa, non frequentano più il culto. In ogni caso,
una cosa sembra certa: la strenua opposizione del pentecostalismo alle chiese ufficiali, principalmente alla Chiesa Cattolica di Roma, ma anche alle
strutture sociali. Oggi, più che il pentecostalismo ecumenico, si osserva
quello individualistico, eterodosso a livello dottrinale. Molti rami pentecostalistici sono sfociati in “sette”, a guida personalistica, messianica e autoritaria. Il pullulare di questi gruppi è favorito dalla capacità di auto-pastori a
(autopastoreo) senza controllo. Sono gruppi autonomi e auto-cefali; succede
che un membro del gruppo, dispiaciuto con i suoi pastori o convinto di avere ricevuto una chiamata divina, si auto-proclama pastore e dà inizio a un
nuovo gruppo. Non possiamo, però, vedere il pentecostalismo come semplice fenomeno socio-religioso od nuovo prodotto dell’espansionismo politicoreligioso-finanziario nordamericano. Per i pentecostali, il Pentecostalismo è
la conseguenza religiosa e di fede dell’azione di Dio attraverso il Suo Spirito
Santo, come accadde nel giorno di Pentecoste (At 2,4; Lc 24,49).
5. Il pentecostalismo, “un protestantesimo emozionale”
Il pentecostalismo aggiorna la vena protestatoria del protestantesimo e
fa ritornare la Bibbia al popolo, attraverso un’appropriazione emozionale
che elimina le mediazioni dottrinali dell’apparato ecclesiastico. Alla base si
trova il movimento di appropriazione della Bibbia, non attraverso l’intelletto, ma attraverso l’esperienza del potere divino e dell’emozione della comunità credente. L’esperienza emozionale non impedisce l’avvicinamento
74
31
Cf. J.-P. VILLAIME, Le Pentecôtisme, 13-14.
75
speciale
alla Scrittura. In questo modo il pentecostalismo si iscrive dentro la logica
protestante della “sola Scrittura”. Tuttavia, la priorità concessa all’esperienza emozionale e all’efficacia divina hic et nunc, l’insistenza sull’oralità ed
immediatezza, possono condurre a una svalutazione del testo biblico: ad
un uso puramente materiale della Bibbia come di un libro che non si legge
o ad una nuova manipolazione clericale della Scrittura che poggia su una
specie di divisione del lavoro religioso: l’effervescenza emozionale per le
folle, la scienza della Scrittura per i pastori31.
Il pentecostalismo rappresenta un tipo di protestantesimo speciale;
cioè, un protestantesimo emozionale che privilegia l’esperienza religiosa immediata, invece degli enunciati dottrinali e liturgici della tradizione; un
protestantesimo che privilegia l’egemonia pastorale fondata, non su un diploma in teologia o sul riconoscimento da parte di un’istituzione, ma sul
carisma della persona, sulla sua capacità di comunicare con la divinità e di
manifestare il potere divino in modo efficace (guarigioni). È evidente che
tra le perplessità suscitate dal Pentecostalismo, una delle più rilevanti riguarda la relazione tra emozioni e sistema dottrinale. Si può consolidare
una condotta fondata sull’emotività? Come controllare, nel senso di dirigere, le esperienze emozionali? Poiché le emozioni dipendono da molti fattori, soggettivi ed oggettivi, come giudicare l’instabilità emozionale? Dove
collocare la fonte e la radice della norma e dell’universale? E di più, perchè lo stesso pentecostalismo non esiste al singolare, ma si sviluppa in una
pluralità di esperienze e dottrine vissute in una pluralità ancora più grande
di contesti, culture e popoli. Nella pratica, lo sviluppo delle emozioni si intreccia (ha molto a che fare) con la cultura degli individui; la relazione
stessa fra l’istituzione e l’esperienza emozionale è molto diversa e può condizionare in un modo o in un altro la vita religiosa. Il culto, poi, è il luogo
privilegiato di ogni effervescenza emozionale pentecostale ed è dove maggiormente si osserva il contrasto tra i riti pieni di parole, canti, grida, pianti, guarigioni, ecc, ed il culto organizzato presente nelle chiese protestanti
storiche. In ambienti dove, per secoli, è stato presente questo tipo di culto,
è normale che si veda come trasgressione il culto delle assemblee pentecostali. Sempre esiste una lotta all’interno delle tradizioni religiose tra l’emozione e la ragione, che si esaspera nell’ambito pentecostale.
L’istituzione tenta sempre di “addomesticare” le esperienze che si scontrano con la ritualità strutturale vigente; tende ad istituzionalizzare l’emozione. Si pretende che le emozioni siano concepite come irrazionali, carenti di giudizio e di conoscenza, come provenienti dalla parte animale del nostro essere. Ma oggi, questa posizione assoluta non è più sostenibile; ci sono emozioni che giocano un ruolo più sostenibile; ci sono emozioni che
giocano un ruolo determinante nella vita delle persone (il dolore, l’amore,
la pietà, la paura). Si può dire che tutti i giudizi che provengono dalle
emozioni sono falsi? Facili per essere manipolati?
speciale
6. I motivi del successo delle Assemblee di Dio e del pentecostalismo in
genere in America Latina
Le Assemblee di Dio sono considerate «il gigante» delle denominazioni
pentecostali latinoamericane. La loro nascita si colloca nel 1914, in Hot
Springs (Arkansas), quando si uniscono al «movimento di Santità» e agli
evangelici dell’ala Wesley. Verso il 1927 subiscono all’interno una frattura
scismatica con il gruppo di evangelici del «Nome di Gesù» o «Unicitari» o
Assemblee pentecostali del Mondo che negano la Trinità, sono interrazziali
e si definiscono «Apostolici». A loro volta, le Assemblee di Dio accettano la
dottrina evangelica della Trinità, con alcuni elementi Pentecostali, come la
santificazione personale, il battesimo nello Spirito Santo, con accanto il
dono delle lingue come «evidenza iniziale fisica» di averlo ricevuto32.
Le Assemblee, come gran parte delle chiese evangeliche, sono congregazioniste, la chiesa locale è sovrana; non c’è autorità sopra di lei. Esistono
Unioni di Chiese e di Federazioni che esigono una fede comune e organizzano le Assemblee, congressi e convivenze, ma il potere decisionale appartiene
ad ogni congregazione. Sono fatte a misura umana; i loro membri si conoscono, si sostengono a vicenda, sono assidui nel culto. Vedono le Chiesa cattoliche e luterano-riformate come gerarchiche; l’autorità dei vescovi e dei sinodi
che comporta un potere di decisione; non si conoscono e non praticano33.
Nel 1984, i 9,9 milioni dei loro 12,9 milioni di «membri aderenti» fuori
dagli Stati Uniti, si trovavano in America Latina. Contavano 67.375 ministeri che servivano 81.836 chiese e 27.715 studenti, che si formavano in
145 scuole bibliche. Nel Brasile dicevano di avere più della metà dei protestanti del paese. La loro espansione, all’interno del revival pentecostale nel
s. XX, è considerata una realtà senza precedenti nella storia della cristianità. Si ha l’impressione che in esse tutto è nuovo, specialmente per la forza e l’intensità della novità con cui convivono: nuove adesioni, nuove chiese, nuovi territori, nuovi predicatori, nuovi miracoli, insomma, vita nuova.
Motivi della crescita:
– Si indirizzarono agli ambienti della emigrazione rurale-urbana, seguendo il corso dei fiumi, dall’interno verso la costa.
32
Cf. GARY B. MCGEE, “This Gospel shall be preached”. A History and Theology of Assemblies of
God Foreign Missions Since 1959, vol. 2, Gospel Publishing House, Springfield, Missouri 1989.
33
Cf. PHILIPPE LARERE, O.P., L’Essor des Églises évangéliques, Centurion, Paris 1991.
76
7. La Nuova Era (New Age)
7.1. Presentazione del fenomeno
La storia del mondo è legata e dipende dall’andamento degli astri. L’ingresso del sole nell’orbita dei segni zodiacali ogni 2160 anni determina un
Cf. WILLIAM W. MENZIES, Anointed to Serve: The Store of the Assemblies of God, Gospel Publishing House, Springfield, Missouri 1971, 252-253; D. STOLL,136; cf. WILLIAM R. READ, New
Patterns of Church Growth in Brazil, Eerdman’s, Grand Rapids, Michigan 1965,130-142.
35
PATRICK WILLIAMS, Le Miracle et la nécessité: a propos du développement du pentecôtisme chez
les Tsiganes, “Archives de Sciences Sociales des Religions” n.73, 1991, 95; cf. J.-P. VILLAUME, 16.
36
FLORENCIO GALINDO, El protestantismo fundamentalista. Una experiencia ambigüa para América Latina, Ed. Verbo Divino, Estella 1992, 318.
37
Cf. DAN WOODING, I Saw El Salvador in Crisis, “Moody Monthly”, May 1982, 97-99.
38
F. GALINDO, Ib., 222.
34
77
speciale
– Sperano che ogni membro diventi evangelizzatore, protagonista.
Questa idea procede dalla relazione della teologia evangelica con la
Bibbia; la visione che hanno della Bibbia contribuisce al dinamismo
missionario che si trova, sia nelle Chiese, sia nei gruppi evangelici.
– Trasferimento del comando ai latinoamericani34. Ma nelle Assemblee è
l’organizzazione autoritaria che governa, non la democrazia. Studiosi
del pentecostalismo considerano che il successo del movimento si
fonda sulla democrazia dell’espressione e sulla leadership dei pastori.
Di fatto, “la parola appartiene a tutti (tutti sono invitati a rendere testimonianza, anche a convertirsi in esegeti e maestri), tutti hanno acceso agli avvenimenti ed alle esperienze più profonde della vita religiosa: parlare in lingue, dono di guarigione”35. Se Dio attua all’istante, se salva e guarisce tutti, è comprensibile che il culto pentecostale
rappresenti un culto-avvenimento, un culto-spettacolo dove sempre
accade qualcosa e dove ognuno è autore e spettatore della fede. Senso missionario del culto.
– Il pastore presidente di una “chiesa madre” è una figura imponente,
perfino diventa oggetto di venerazione a motivo della sua autorità carismatica36. Fanno tutto per lui e nulla si fa senza il suo consenso37.
La cultura religiosa e politica dei protestantesimi latinoamericani è
autoritaria e verticale. Il pastore ha un ruolo di autentico protagonista.
“Soltanto gli enunciati del pastore hanno un contenuto esplicativo.
Mai nessuno interviene durante l’assemblea nel suo discorso, solo lui
ha funzione esplicativa. La parola del pastore è, quindi, parola di potere, che esercita mediante il sapere”38. Il potere del pastore non si limita al culto. Egli è la vera guida della comunità.
speciale
cambiamento totale nella comprensione del cosmo, la creazione di un nuovo paradigma interpretativo della realtà globale. Siamo dunque passati dall’età del Toro (antiche religioni mediorientali) all’età dell’Ariete (il mondo
giudaico, da Abramo in poi) e da questo all’età dei Pesci (cioè alla quasi finita era cristiana) che sarà fra poco sostituita dall’età dell’Acquario. Come
accadrà questo passaggio nel tempo (spontaneamente o progressivamente?)
è motivo di discussione. La credenza in questa successione di mutamenti
proviene dalla teosofia, dall’antroposofia, dall’esoterismo, dal pensiero/spiritualità planetaria, da pratiche e tradizioni occultiste, ecc. L’importante è
che questo cambiamento di paradigma porterà ad una trasformazione rivoluzionaria, totale non riconciliabile con il paradigma precedente. Il che vuol
dire che ogni tentativo di riconciliazione fra due paradigmi non ha senso.
La NE non è una setta o un movimento organizzato, facile da definirsi e
da confrontarsi; in questo fenomeno si danno appuntamento correnti di
pensiero, realtà sociologiche, politiche, problemi psicologici, attese religiose… È come se fosse una cultura “naturale” dove, in realtà, non si sa quale
è il segmento principale che dà coesione a tutta la nebulosa. Non ha dottrine, né principi, né un libro; si tratta di un “ambiente, di uno stile di vita, di
uno stato d’animo, di un fenomeno che ha dato origine a un sentimento
comune secondo il quale qualcosa sta cambiando a livello globale nel mondo; lo chiamano “cambiamento di paradigma”. Cambiamento animato dal
movimento del sole e dal suo periplo orbitale. Il sole sta entrando nel segno astrologico dell’Acquario che porterà una nuova interpretazione del
mondo. Insomma, siamo davanti ad un mondo complesso. In esso si trova
un autentico mercato della “felicità” più desiderata.
7.2. Dottrina
In realtà la parola “dottrina” è lontana dalla prospettiva della NE. Nonostante voglia presentarsi in veste a-dogmatica, la NE è legata ad alcuni
principi che compongono uno scheletro dottrinale molto preciso.
Il “Dio” della Nuova Era
La NA preferisce parlare del “divino”, invece che di “Dio”. Perché il
dio della NE è un dio senza volto, diffuso, impersonale, indefinito. È una
specie di forza, di energia, di presenza spirituale che penetra tutto. Il dio
della NE non è “qualcuno”, non ha carattere personale e non potrà mai essere l’interlocutore dell’uomo. Dio è una dimensione segreta della realtà
stessa. Dio è la luce che illumina tutto; un fuoco che brucia e purifica. È
l’energia immanente nel cosmo e nell’essere umano. Tutte le cose sono dio
(panteismo); il più profondo dell’essere umano è divino. Dio è la “memoria planetaria” di cui l’uomo è una cellula attiva e cosciente. L’essere uma78
no arriva alla fusione con dio attraverso vie gnostiche. Essendo divino,
l’uomo non ha bisogno di uscire da se stesso per trovarsi con dio. Non vi è
poi un dio creatore, redentore, liberatore, fuori dall’uomo. Trovandosi con
se stesso, l’uomo trova dio. Allora non ha bisogno di inginocchiarsi davanti a dio, né di adorarlo. Dio è a disposizione dell’uomo39.
“Il Dio vero è il Dio che nasce dall’esperienza e dall’intuizione”40.
Nessuno può conoscere Dio se prima non conosce se stesso. L’esperienza
è l’unica via pratica per “vedere” Dio e parlare di Lui in modo significativo. La Nuova Era si mette “contro la concezione teologica del Dio biblico, in quanto è un Dio di un popolo, un Dio particolare, rivelato agli
ebrei, ai cristiani, troppo confinato nella storia e nel passato di un popolo. La vera rivelazione è di carattere esperienziale e perciò Dio non si è
consegnato soltanto alla storia passata, ma si consegna alla storia presente, non si misura con un solo testo sacro, ma con tutti i testi sacri di tutte
le religioni.
Secondo la NE, Cristo non sarebbe una figura storica. È un’idea. Il
Cristo-idea è uno spirito o anima che penetra tutto e che si è manifestata,
ogni volta in modo diverso, in grandi personaggi come Budda, Zarathustra e altri. Una di queste manifestazioni (avatára, incarnazioni), è stata
Gesù di Nazaret. Ecco la principale differenza fra la fede cristiana e la
NE. La fede cristiana si può esprimere in un’unica frase: Dio è entrato
nella storia umana nella persona di Gesù Cristo, suo proprio Figlio che è
allo stesso tempo Dio e uomo. Gesù Cristo è un particolare essere umano
storico, che nacque da Maria a Betlemme... Vi è qui certamente un punto
di disaccordo insormontabile fra la fede cristiana e tutta la corrente NE.
Eccolo: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv
1, 14). Per tutto il corso della storia, da allora questa fu sempre una pietra
d’inciampo per certi “spirituali”: che Dio operi in un uomo che fá dal
fango con la sua saliva per porlo sugli occhi d’un cieco per guarirlo! Così
Dio ci viene in aiuto in modo terreno e materiale. Tutte le forme di gnosi
e tutti i movimenti spirituali ai margini del cristianesimo hanno sempre
tentato di rendere Dio più credibile preservandolo dalla polvere della terra. Il corpo di Cristo non sarebbe che apparenza (docetismo), la sua sofferenza illusione ottica. Perché Dio non può soffrire. Oppure Cristo non sarebbe che un semplice essere umano e il chiamarlo Figlio di Dio sarebbe
solo un modo di dire. In tal modo, la fede cristiana diventa accettabile,
39
40
Cf. F. MARTÍNEZ, La Nueva Era y la fe cristiana, S. Pablo, Caracas 1995, 103-106.
A. N. TERRIN, New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992, 98.
79
speciale
Gesù Cristo, figlio degli uomini, Figlio di Dio
plausibile: la sua parte dogmatica è smussata. Ma così facendo non si tratta più di fede cristiana41.
Se l’era dei Pesci, cioè l’Era cristiana è precedente, perché l’importanza
di Cristo nell’Era del Acquario? Di che Cristo si tratta? Ha qualche cosa a
che fare con Gesù di Nazaret? C’è qualche somiglianza con il Cristo della
fede cristiana? Tre modi di vedere Cristo:
speciale
Cristo. Anzitutto, la NE parla volentieri di un principio interiore che
chiama «il Cristo» e che si trova in ogni uomo. Ultimamente «il Cristo»
coincide con la scintilla interiore divina che si tratta di riscoprire e di coltivare. Questa scintilla è della stessa natura divina e costituisce «il Cristo Cosmico, l’“Io sono” in ogni creatura». La scintilla cosmica che la Nuova Era
chiama «il Cristo» e che anima ogni uomo, anima anche ogni parte dell’universo: non va così perduta la solidarietà ecologica con gli altri viventi e
con la terra, e la teologia si fa «ecoteologia».
Gesù Cristo. “Gesù Cristo non è soltanto uno fra i tanti uomini che hanno
realizzato «il Cristo», ma lo ha realizzato in modo incomparabile ed eminente”42. Per spiegare questa relazione parlano della “leggenda di Gesù Cristo
«grande iniziato», che percorre tutta la storia dell’esoterismo. Gesù, negli «anni perduti» fra l’infanzia e l’inizio della sua vita pubblica, di cui i Vangeli non
parlano, si è formato, prima nella comunità degli esseni di Qumram, non lontana da Gerusalemme; poi in India, in Tibet, in Giappone e più tardi ha trasmesso i suoi insegnamenti segreti – che avrebbero, per esempio, incluso la
reincarnazione – ad una cerchia di discepoli scelti, lontani dal cristianesimo
pubblico che la Chiesa predicava a tutti e che, peraltro, a poco a poco avrebbe anche corrotto. Uno dei testi più influenti sulla Nuova Era è, da questo
punto di vista, Lost Christianity, ‘Cristianità perduta’, di Jacob Needleman43.
Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, in “Il Regno-doc.”, 13/1991, 423 [415-426]; Le
Christ ou le Verseau, Lettre Pastorale de Noël, in “La Documentation Catholique” n. 2021, 3.2.1991, 121 ss.
42
M. INTROVIGNE, Storia del New Age (1962-1992), Cristianità, Piacenza 1994, 111. Cristo non è
Messia, né Signore, né Salvatore, né Dio. Non esiste un Dio personale. È uno “straordinario uomo
comune”; un “maestro spirituale”, un “guru”, un “grande iniziato”; cioè una persona che, attraverso un insieme di riti e di cerimonie fu introdotto alla conoscenza dei segreti più profondi e della
parte occulta delle cose. Mediante questi riti di iniziazione ha ricevuto l’illuminazione propria degli
iniziati. Essa è la fonte e l’origine della sapienza, dell’insegnamento, del messaggio di Gesù. Ed è
anche la fonte dei suoi poteri occulti con i quali faceva i miracoli.
43
Cf. M. INTROVIGNE, Storia, 111-112; Jacob Needleman, Los Christianity. A Journey of Rediscovery to the Center of Christian Experience, Doubleday, Garden City, New York 1980; trad. it. L’anima smarrita. Un viaggio alla riscoperta del cuore dell’esperienza cristiana, CENS, Cernusco sul Naviglio, Milano 1988; RICHARD BERGERON, La Legende du Grand Initié. Jésus dans l’èsotérisme, Fides,
Montréal 1991; J. V ERNETTE , Jésus dans la nuovelle religiosité. Ésotérismes, gnoses et sectes
d’aujourd’hui, Desclée, Parigi 1987.
41
80
Come constata Introvigne, in tutti questi riferimenti un dato è comunque evidente: Gesù Cristo non è Dio, non è neppure «il Cristo», ma semplicemente
«porta» o «dimostra» il Cristo in modo speciale. Rimane, comunque, un uomo, sia pure un uomo particolare ed un «grande iniziato». Questa riduzione
del ruolo di Gesù Cristo presuppone che molto di quanto viene insegnato dai
Vangeli non é accolto come semplicemente e letteralmente vero; trattasi, piuttosto di mitologie, allegorie e simboli.
Il Cristo futuro, Maestro Universale che deve venire. Una parte importante della NE attende un “Maestro Mondiale” che darà l’impulso decisivo per la realizzazione dell’Età Nuova. Questa figura è insieme il Maitreya
del buddhismo e la “seconda venuta del Cristo” del cristianesimo. Non si
tratta, letteralmente, di Gesù di Nazareth, ma di un maestro della stessa
statura di Gesù e di Buddha che tornerà per fare da levatrice al parto dell’era nuova44.
Potete appartenere in tutta tranquillità a più religioni: non vi è in ciò
nulla di discordante. La NE è accogliente per tutte le religioni: è una specie di super religione che si libra lontano al di sopra di ogni dogma, autorità, clero e libri sacri. Preferisce parlare di “spiritualità”. Il sentimento
vince la ragione e la mistica vince la morale. La NE è un fatto d’esperienza.
Essa rivela una logica del cuore, una morale della felicità facile. Niente è
veramente giusto o sbagliato e si può rimediare ad ogni eventuale passo
falso nel corso d’una nuova esistenza. O, piuttosto, è automaticamente rimediato nella prossima reincarnazione. Non si è fatto altro che ragionare
per troppo tempo; è venuto il momento dei sentimenti, dell’amore e dell’azione: “Ama e fa quello che il cuore ti ispira”. Tutta l’intolleranza etica della religione cristiana ha avuto come risultato il peso e i tranelli d’un esasperato senso di colpa, con il suo sapore di avvilimento e di impotenza. L’epoca della legge deve perciò finire, la parola spetta all’amore e alla gioia.
Comincia il regno della coscienza, il momento in cui tutte le nostre potenzialità si potranno esprimere. Noi possiamo tutto, grazie all’intensa
collaborazione di tutte le coscienze: esse sono la leva che fa ribaltare il
mondo. La NE si serve d’un vocabolario del tutto idoneo ad essa: armonia e pace (unità, amore, luce, pace, tranquillità), energia (onde, vibrazioni, irradiazioni), riconoscimento (realizzazione di sé, presa di coscienza,
creatività, qui ed ora), sorpresa (rinascita, mutazione, salto, emergenza,
apocalisse). Un vocabolario soft, soave, leggero, ma energico e pieno di
44
M. INTROVIGNE, Ib., 114.
81
speciale
Sincretismo religioso
speranza allo stesso tempo, molto adatto all’uomo d’oggi, afferma il Card.
G. Danneels45.
speciale
Cosa è la verità?
“L’atteggiamento della NE nei confronti della verità è il relativismo –
«ognuno ha la sua propria verità» – ”46. Nel soggettivismo relativista, la domanda sulla verità ha poco senso. Perché la verità è un concetto assoluto,
filosofico; la verità solo interessa quando si corrisponde alla mia propria verità, l’unica che mi interessa. Qui non esiste la verità assoluta. La verità filosofica o la verità identificata con la realtà, che confermerebbe il mondo
oggettivo, non preoccupano l’uomo della NE; in fin di conti, il mondo è
della mia stessa natura e non ho bisogno di oggettivarlo come una verità
fuori da me47. Possiamo ammettere la verità esistenziale in quando si trova
in riferimento alle mie possibilità di comprensione esperienziale, ai miei
sentimenti e alle mie intenzioni. Soltanto in questa ottica la verità mi può
interessare; altrimenti non esiste. La verità, oggetto dell’intelligenza, dà il
passo alla verità accessibile ai sensi. Da qui il relativismo della verità, condizionata da tutti gli elementi particolari del soggetto48. “Che importa la
verità teorica, se ci sono buoni risultati in pratica! Del resto, cos’è la verità? Si riconosce l’albero dai frutti; osservate i frutti: se sono buoni, anche
l’albero lo è”. Niente di più falso. Da nessuna parte è scritto che una fede
deviante non possa mai portare qualche buon frutto. Origene poteva essere un santo uomo, ma su certi punti della dottrina non fu ortodosso. Lo
stravolgimento della verità è certamente la colpa più grave. Essa può essere all’origine di grandi aberrazioni morali (Rom 1, 25s).
Un uomo libero
Una delle tesi fondamentali della NE è che tutto è in tutto, che Dio
coincide con l’uomo e che il mondo intero è divino, o che Dio si identifica
con il cosmo. Si ritrova questo stesso principio, sotto l’una o l’altra forma,
nella maggior parte delle religioni orientali. Esso è inconciliabile con la fede cristiana. Dio non coincide con il mondo: egli non è la sua anima immanente (panteismo). Il mondo non è nemmeno uscito da Dio per emanazione, senza libera volontà da parte sua; no, Dio ha creato il mondo e l’uomo
Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, in “Il Regno-doc.”, 13/1991, 422.
M. INTROVIGNE, Storia, 86.
47
“I valori si convertono, ogni volta di più, in sensazioni che proiettiamo sul mondo, mentre lo
stesso concetto di realtà e di verità si è fatto fragile come un cristallo che si fa in mille pezzi” (A. N.
TERRIN, New Age. La religiosità del postmoderno, EDB, Bologna 1992, 241).
48
Cf. J. RATZINGER, Relativismo problema della fede, in Il Regno/Documenti, 1997/1, 54.
45
46
82
liberamente, per amore. Perciò è del tutto sbagliato dire che Dio coincide
con l’uomo. Certamente abita in lui, ma ciò non toglie che egli rimanga anche colui che sta di fronte all’uomo come suo Creatore, Signore e salvatore. Fra Dio e l’uomo, c’è un rapporto di alterità. Dio è altro; Dio sta di
fronte all’uomo come un io e un tu, liberi, partners nell’amore, senza fusione né confusione. Del resto l’amore non produce mai fusione: dà unità
proprio all’alterità.
La preghiera
La grazia gratuita e indispensabile
Secondo la NE l’uomo è buono: egli è in se stesso portato verso il bene.
A dire il vero, egli non è libero e non c’è da parlare propriamente di bene
e di male. L’uomo basta a se stesso; è indipendente; non ha bisogno di rivelazione, né di redenzione, né di alcun aiuto esterno. Il cristianesimo parla altro linguaggio. Certo, l’uomo è fondamentalmente buono, ma corrotto. Da solo non è in grado di volere, né di fare il bene. Ha bisogno di redenzione. Senza la grazia non può nulla (Filp 2,13). L’uomo non è, né senza peccato, né incapace di peccare. È libero, ma non può nulla senza la
grazia. Perciò esiste una morale e occorrono i comandamenti per illuminare l’uomo, affinché possa trovare la strada verso la vita. L’uomo non è al di
sopra della legge. Per questo gli mancano la luce a la forza. Nessuna ricetta
esoterica di salvezza, nessun flusso di concentrazione psichica, nessuno
sforzo comunitario di milioni di coscienze può salvare l’uomo. La nostra
49
Cf. CARD. GODFRIED DANNEELS, Cristo o l’Acquario, “Il Regno-doc.”, 13/1991, 422-423.
83
speciale
La preghiera non è affatto un coincidere con l’io più profondo. La preghiera presuppone dualità: è un collocarsi liberamente nell’alterità, in adorazione, azione di grazia, supplica, fede e obbedienza. La preghiera cristiana non è introspezione, ma è entrare umilmente nella volontà dell’altro (Lc
22, 42). Ecco perché un’espressione del tipo: ‘Dio è il mio io più profondo’, è del tutto imprecisa. Dio abita in me, è vero, ma rimane l’Altro: sono
io ad essere abitato da Lui. La preghiera cristiana è sempre cristologica.
“Essa sposa la struttura stessa della fede cristiana. La Scrittura ci mostra il
cammino. La preghiera cristiana non è una parola, è, caso mai, una risposta: la parola di Dio precede, altrimenti non sapremmo neppure quello che
si deve dire o domandare… La struttura della preghiera cristiana è anche
trinitaria: rivolta al Padre, attraverso il Figlio, nello Spirito Santo. Infine
essa è anche ecclesiale: noi preghiamo nella chiesa e con la chiesa sia che si
tratti di liturgia ufficiale o di preghiera “nel segreto della nostra camera”49.
unica via di salvezza è la nostra fede in Cristo che è venuto ed è entrato
nella nostra storia “per noi (uomini) e per la nostra salvezza”.
speciale
Non c’è posto per la sofferenza e la morte
Nella NE è ovvio che non c’è posto per la sofferenza: soffrire è assurdo
e sterile. Dice il seguace della NE: “Di fronte alla sofferenza e alla morte
mi aggrappo a una spiritualità del sensibile e della vita”. È ancora più inverosimile che Cristo abbia salvato il mondo proprio attraverso la sofferenza
della croce. La redenzione viene da tecniche salvifiche di ampliamento della coscienza, di rinascita, di viaggi alle porte della morte, attraverso ogni
genere di artifici che aiutino a rilassarsi o a rendere attivo o ad accrescere il
proprio potenziale energetico. Certo, anche il cristiano lotta contro la sofferenza; ma quando c’è, non la sottace, o non la giudica insensata. La sofferenza sopportata nell’unione con la croce di Cristo è salvifica. La sofferenza e la croce sono scelti dalla sapienza di Dio come mezzi per rivelare
agli uomini il suo amore (1Cor 2, 8s). Per il cristiano, la morte non è l’ingresso in una nuova reincarnazione, seguita da altre finché l’uomo arriva al
beato nirvana. La morte è un avvenimento unico: il passaggio verso la vita
definitiva. Essa viene preparata dalla vita terrena in cui ogni libero atto
dell’uomo ha valore di eternità.
7.3. Valutazione del fenomeno
Elementi positivi
– Il ricupero della dimensione spirituale e mistica dell’uomo. Oggi siamo convinti che la religione non è più “l’oppio del popolo”; che il mondo
disincantato, senza mistero, non interessa più l’uomo moderno. Bisogna ritornare allo spirito, ri-incantare il mondo, per non perdersi nell’aridità della ragione. Non si può garantire la felicità, lasciando in disparte la dimensione spirituale.
– Vi è anche un ritorno all’esperienza, alla partecipazione, al protagonismo personale. Questo è stato dimenticato dalla religione istituzionale.
Questa dovrebbe ricuperare la dinamica esperienziale dei primi secoli: l’incontro personale, la vita comunitaria. Abbiamo perso questa dinamica e così la legge trionfa sulla grazia e la massa schiaccia la persona.
– La NE ci spinge ad un ricupero del positivo, che per noi è la grazia,
che non deve essere molto diversa dalla vera felicità, parola questa poco
abituale in un cristianesimo di Venerdì Santo. Abbiamo l’obbligo di essere
felici; tutto coopera a nostro favore. È un valore il tentativo di riconciliare
religione e felicità. Molti credenti pensano che fede cristiana e felicità siano incompatibili. La religione, nemica della felicità. L’ideale cristiano sarebbe la rinuncia, il dolore, la penitenza? La morale cristiana sarebbe con84
Perplessità più eclatanti:
– Il relativismo, che si trova alla base di tutti i sincretismi irenici, è la
morte di ogni religione; non a caso il NE non vuole parlare di religioni,
ma di spiritualità. Giovanni Paolo II, che in diversi circostanze ha fatto
riferimento alla NE, afferma in riferimento ai NMR: “essi tendono a relativizzare la dottrina religiosa a favore di una vaga visione del mondo
espressa da un sistema di miti e di simboli esternato con un linguaggio
religioso”52.
– Il soggettivismo: una spiritualità nella quale solo esiste il soggetto, misura di tutte le cose, che non accetta la verità oggettiva, se non nella misura
nella quale conviene al soggetto stesso. L’individualismo, nel quale la NE
Cf. F. MARTÍNEZ, 90.
Cf. F. MARTÍNEZ 45.
52
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ad alcuni Vescovi degli Stati Uniti in visita ad limina, “L’Osservatore Romano” 29.05.1993, 5.
50
51
85
speciale
traria alla felicità? Può darsi che questi siano soltanto sentimenti, ma sono
reali. Se la religione non da la felicità, non serve a niente. Una religione nemica della felicità, lo è anche dell’uomo. La NE promuove questa felicità e
tenta di riconciliare religione e felicità. Ciò significa anche che la religione
è un’esperienza integrale. Tocca tutte le aree dell’essere. Tutto è soggetto
di esperienza religiosa e mistica. Questo è positivo ed è una sfida per il cristianesimo50.
– Altro aspetto positivo viene dalla sensibilità ecologica. La mistica e la
spiritualità devono anche comprendere il cosmo. La natura è più che il
materiale, è il focolare dell’uomo. È un “vestigia Dei”; è sacra e possiede il
suo incanto. La sensibilità ecologica della NE è una sfida per la spiritualità
cristiana. Aprirsi agli orizzonti del cosmo significa dare valore al dialogo,
alla condivisione, alla tolleranza di fronte a dogmatismi e imperialismi storici. L’apertura all’ecologia, la sensibilità verso il creato, teatro della vita
dell’uomo, aiuta il cristianesimo a non chiudersi in una spiritualità che
pensa solo alla salvezza individuale. La Chiesa deve rispettare e dialogare.
Solo chi non ha fede ha paura.
– La NE propone una spiritualità priva di dogmi, centrata sul mistico in
funzione del divino e sull’intensificazione del sentimento. Non sarà questa
una sfida salutare per la Chiesa? Questa ha posto la sua attenzione nella fedeltà a formule dogmatiche che si sono trasformate come mezzo di fede e
di esperienza religiosa. Questo non è esatto. I dogmi non sono mezzi della
fede, ma strumenti al servizio della fede. Quante volte la catechesi si è ridotta ad imparare a memoria formule dogmatiche senza tradurle in esperienza di fede!51.
speciale
chiude l’esperienza spirituale, non ha bisogno di Dio per intavolare un dialogo d’amore che possa fare uscire le persone dall’anonimato regnante nella società; al contrario, chiude l’uomo in un egoismo che non tiene conto
degli altri.
Sicuramente il pericolo più grande è il tipo di offerta spirituale che propone; una religione atea, senza trascendenza. A chi soddisfa dire che “tutto
è Dio” o che “Io sono Dio”? Diversa è la religione del Dio personale, trascendente, vicino, creatore e Amore. E poi, promettere di cambiare tutto
cambiando la coscienza, è promettere forse troppo. È una spiritualità senza impegno, e senza conversione, magica; infatti, basta fare bene i riti.
Il pericolo della strumentalizzazione politica ed economica del fenomeno. Alcuni suoi difensori hanno abbandonato per questo motivo. C’è il pericolo di abbandonarsi ad una felicità facile, senza dolore e senza sofferenze, che fugge la realtà della storia. Che il commercio, poi, giri intorno alla
vita spirituale non è una novità. Si vende la spiritualità come si vendono i
dischi.
Affermando di essere a-dogmatica, è intollerante con le religioni storiche; queste vengono strumentalizzate. È manifesto che la NE si presenta e
si offre come dogma.
Incompatibilità con la fede cristiana:
– Per la fede cristiana, Dio è creatore e Amore; Dio non è il mondo;
Dio non è l’uomo. Dio è un essere personale, non l’ Energia impersonale.
– Non c’è la possibilità di relazionarsi con un dio così; allora non c’è
peccato, soltanto malattie; con c’è bisogno di redenzione, solo di scoperta
di sé.
– Cristo è negato come Figlio di Dio; è un fatto storico manipolato, ridotto ad una scintilla divina energetica, senza volto, senza morte, senza risurrezione. Si deve cambiare nome, se vogliamo parlare di Lui; Cristo è altra cosa. Egli è il redentore; ma nel NE diventa il redento.
– Aprioristicamente si nega il dolore e la sofferenza; ma questa negazione non cancella la realtà.
– Dio è a portata di mano; è una bella magia voler utilizzare Dio per
noi.
– Ognuno è redentore di se stesso mediante lo sforzo personale. La redenzione non ha più il segno del sacrificio di Cristo
– Re-incarnazione: se la redenzione fosse opera dell’uomo avrebbe una
sua logica; ma è opera di Dio, definitiva e perfetta; Dio non ha bisogno di
correzione di rotta nei suoi disegni.
– Nella Chiesa tutto avviene attraverso le mediazioni; qui è tutto esperienza diretta.
– Solo la via gnostica, del sapere, ci avvicina a Dio? E la via dell’Amore
e dell’affetto? L’uomo che non si inginocchia davanti a Dio lo farà davanti
a se stesso.
86
8. Conclusione
“Un compito difficile: dobbiamo ri-annunciare il Vangelo a un mondo che non
ne conosce più i fondamenti, l’abc della fede. La gente rifiuta il cristianesimo perché lo considera troppo esigente dal punto di vista della morale. E, intendiamoci,
in un certo senso è vero, perché religioni come la New Age non ti chiedono nulla,
mentre il Vangelo ti esorta a cambiare il cuore. Il cristianesimo è inquietudine, tormento, certo. Ma è anche vero che chi incontra Gesù Cristo capisce, sperimenta
che la conversione del cuore che gli viene chiesta gli dà una grandissima gioia, soddisfa tutte le esigenze più profonde. Ecco, la Chiesa deve combattere quell’“alito
cattivo” che dicevo non cercando di omogeneizzare il suo messaggio ai “prodotti
da supermercato” tipo New Age, ma riproponendo lo “zoccolo duro”, l’essenza
più profonda del cristianesimo. Tutto questo, però, va fatto cercando un linguaggio aggiornato, adeguato all’uomo di oggi”.
Jesús-Angel Barreda op.
Facoltà di Missiologia
53
Corriere della Sera, 29.10.1997, 31.
87
speciale
Nel giudizio pastorale potremo vedere cosa c’insegna la NE. Susanna Tamaro, quando viene accusata di essere newager risponde: “Questa è una stupidaggine. Io credo che Dio si sia incarnato in Gesù, che sia morto e risorto;
sono una cattolica praticante, non una seguace della Nuova Era. La quale,
comunque, è una spia del bisogno di sacro che ha la gente, e dovrebbe, piuttosto, fare riflettere i preti: se tante persone finiscono in certe sette o in certi
movimenti, forse è anche perché la Chiesa non sempre riesce a rispondere
alla domanda di soprannaturale. A volte, mi pare, si insiste troppo sull’aspetto dell’etica, rischiando di far apparire il cristianesimo come una ‘gabbia’ di
precetti, e non piuttosto quel messaggio di profonda liberazione che è. Solo
chi vive la fede sperimenta quanta pace sgorga dal rispetto della legge di
Dio. Ma prima, appunto, bisogna annunciare la fede, e poi la morale”53.
A questa conclusione arriva anche Mons. Gianfranco Ravasi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera (13.10.1997, 27): “L’uomo contemporaneo ha alle sue spalle decenni di materialismo che gli hanno rovinato il
palato dello spirito, se mi si passa l’espressione. Oggi sente il bisogno dell’Altro, ma ha il palato deformato e continua a nutrirsi, appunto, di liofilizzati, di omogeneizzati”; questo spiega il successo del New Age. Comunque, continua, “io penso che i credenti siano ammirati nel constatare la
forza dello Spirito, che ancora una volta suscita nuovi stimoli, nuove ‘chiamate’. E vediamo anche, con soddisfazione, che nei confronti della religione, e anche della Chiesa cattolica, ora c’è un rispetto, da parte dei non credenti, impensabile fino a qualche anno fa. Ma, d’altra parte, non possiamo
non constatare che questa ondata, a volte, è un alito cattivo”. Quale è il
compito della Chiesa?
Quali atteggiamenti e comportamenti
nella pastorale?
di Paul Steffen
speciale
1. Una visione panoramica
Una lettura pastorale delle sette e dei vari movimenti, a livello di Chiesa
universale può essere fatta solamente rimanendo su un piano molto generico. Ha quindi dei limiti ma resta valida se è informata dalla prassi delle
chiese locali. Una lettura a livello continentale-regionale ci permette di evidenziare alcuni fattori comuni grazie ad una comune base culturale e ad
una comunanza nella religiosità popolare o primaria. Emerge tuttavia
un’impressione della realtà abbastanza generica, sia pure molto utile per
comprendere elementi fondamentali della cultura e della religiosità vissuta
in quella particolare regione. Nel nostro ministero pastorale dobbiamo essere coscienti e consapevoli della religiosità fondamentale o primaria. Questa, infatti, influisce molto sul modo di pensare, concepire, agire della gente della regione; sulle modalità del rispetto reciproco e sul come si ‘fa’ o
‘pratica’ il culto.
Il processo d’accettazione del ‘messaggio’ dal fuori si sviluppa in base alle
condizioni del ricevente, al suo modo di comprendere con un particolare significato il ‘messaggio’ che viene cosi recepito. La cultura del ricevente determina il processo ermeneutico ed il modo in cui il messaggio è integrato. Nella
tradizione Europea questa saggezza è conservata nel detto “quid quid recipitur per modum recipentis recipitur”. L’antropologia culturale e la fenomenologia della religione unitamente alle mie esperienze interculturali nel Pacifico
ed in Asia mi hanno insegnato a seguire questo cammino di comprensione.
La lettura pastorale delle sette e dei nuovi movimenti deve essere fatta
sulla base della cultura primaria o popolare di un popolo; senza escludere
che tante culture di gruppi etnici condividano elementi fondamentali con
quelle dei loro vicini. C’è sempre un legame fra culture vicine; una cultura
arricchisce l’altra, grazie ad un costante scambio reciproco. Questo permette anche di raggruppare alcune culture di una regione, e di scoprirne le
comunanze, senza negare le specificità che ogni cultura ha sviluppato ed
apprezza con orgogliosità particolare.
1.1. Africa
Così si può parlare della religiosità degli Africani senza negare che sia
vissuta ed espressa in mille forme diverse, secondo tradizioni e costumi
88
RM XXII (2006) 2, pp. 88-99
– le AIC sono l’espressione di un movimento religioso. Compromettono
un gran numero di comunità e sono la risposta africana al messaggio cristiano, una risposta che desidera adattare la vita della chiesa secondo forme africane e con guide africane.
– le AIC sono chiese di casa…
– le AIC sono severe in molte aree del comportamento etico… la loro
fonte è la Bibbia, che interpretano letteralmente e che è la base della loro
teologia…
– le AIC si dedicano ai bisogni che sono il risultato della rapida urbanizzazione e industrializzazione in Africa. Si interessano della disoccupazione e della separazione delle famiglie, prendono a cuore questioni sociali
e di liberazione politica…
– … AIC hanno una forte espansione missionaria oltre i confini tribali e
nazionali”3.
Non sarà possibile che le AIC possano insegnare qualcosa alla Chiesa
Cattolica e al suo ministero pastorale per il popolo di Dio in Africa?
Cfr. AQUILAR M., Dios en Africa. Elementos para una antropologia de la religion, Editorial Verbo Divino, Estella 1997.
2
Cfr. BECKEN H.J., African Independent Churches, in K. Müller et alii (eds.), Dictionary of Mission, Orbis Books, New York 1997, pp. 6-9.
3
Idem, p. 7-8.
1
89
speciale
sacri di ogni popolo. Anche in Africa non si costruisce una religione separatamente dalla dimensione sociale, economica e politica; perciò la vita
comunitaria vincola tutti questi aspetti in un’esperienza olistica e inseparabile. I riti d’iniziazione che tutte le società africane praticano ci rivelano
questa unità organica. Sono riti di grande importanza per assicurare la
pienezza della vita. Essi esprimono il fondamento religioso-spirituale, politico, sociale ed economico della società e nello stesso tempo danno da
parte loro non solamente una legittimazione ma soprattutto un impulso
creativo al mantenimento e alla crescita della società in tutti questi
aspetti.1
Il fenomeno delle Chiese Africane Indipendenti o delle Chiese degli
Iniziati, che sono la parte della cristianità che cresce più rapidamente in alcune parti dell’Africa, è molto indicativo delle difficoltà e delle ambiguità
del processo di cristianizzazione fatto dal Cristianesimo Europeo fra i popoli Africani. Perciò le chiese fondate dai missionari Europei devono studiare il fenomeno delle AIC (Chiese Africane Indipendenti) perché indicano le difficoltà e i problemi che gli Africani hanno con il cristianesimo
Non-Africano.2
Secondo Becken:
1.2. Asia
speciale
La religiosità dei popoli dell’Estremo Oriente e dell’Asia Orientale ha
comunanze che influiscono sull’atteggiamento ed il comportamento di
questi popoli verso la religione, i loro culti e le celebrazioni religiose. Un
culto non esclude l’altro. La religiosità popolare degli indi, musulmani e
cristiani d’India, permette spesso la partecipazione a celebrazioni religiose
e culturali di altre religioni. Al culmine della festa principale di un santuario della Madonna o del Bambino Gesù partecipano non solamente cattolici ma anche in gran numero indi, musulmani e cristiani protestanti. Come
si può spiegare questo fenomeno e quali responsabilità ha la comunità che
offre accoglienza ai membri di altre religioni? Cosi tutte le religioni principali possono accompagnare un Giapponese nelle sue varie fasi della vita.
La religiosità in Asia è inclusiva! Che cosa significa questo per la nostra attitudine e comportamento pastorale verso gli Asiatici?4.
1.3. America
La cultura dei Nord Americani è fortemente influenzata dal messianismo dei Protestanti che fuggivano dall’Europa alla ricerca di Canaan. “Il
fondamentalismo è uno sviluppo del ventesimo secolo dentro il Protestantismo evangelico Americano”5. Il biblicismo e l’individualismo sono le caratteristiche più notevoli del revivalism evangelico di questo fondamentalismo nordamericano.La cultura dominante non da’ tanto spazio alle altre
correnti del cristianesimo, in particolare alla tradizione Cattolica ed Ortodossa, che si devono adattare e sottomettere a questa cultura dominante.
La religiosità popolare in America Latina, invece, è nutrita dalla religiosità tradizionale dei popoli indigeni e dal cattolicesimo popolare di Spagna
e Portogallo tipico del tardo medioevo e dell’inizio dell’epoca moderna:
una società feudale che ha trovato la sua forma nel barocco iberico coloniale. Il concilio di Trento (1542-1563) rafforzava soprattutto l’aspetto sacramentale e giuridico nella misura che servivano la società coloniale. Il catechismo serviva come una formula da memorizzare che garantisce l’ortodossia dei fedeli.
“Si possono ridurre tutti gli atti religiosi del cattolicesimo a 4 categorie:
I sacramenti: si parla di “costellazione sacramentale”. Il contatto con la
Sacra Scrittura: lettura, preghiera ispirata, applicazione pratica dei suoi in-
Per l’approfondimento del nostro tema raccomando di leggere: John Locke, S.J. The Call to a
Renewed Church in Asia and the Challenger of religious Fundamentalism, in FABC paper 92m,
Hong Kong 2000.
5
HOPPE L., Fundamentalism, in K. Müller et alii (eds.), Dictionary of Mission, Orbis Books,
New York 1997, p. 167.
4
90
segnamenti (“costellazione evangelica”). Gli atti di pietà: preghiera, culto
verso i santi (“costellazione devozionale”). Le promesse: novena e altre devozioni per situazioni difficili (“costellazione protettiva”)”6. Perciò il lazzarista colombiano Florencio Galindo parla di una deficienza dell’essenziale
nel cattolicesimo Latinoamericano. “Questo cattolicesimo ha caratteristiche distintive e ben definite: scarsità d’evangelizzazione ed eccesso nella
costellazione protettiva”.7
Ci sono segni molto positivi del formarsi di una chiesa partecipativa in
America Latina e in America del nord. La lettura della Bibbia è praticata
non solo dai preti e non è più vista come un comportamento protestante.
Il cattolico sta riconquistando il suo potere evangelizzatore.
1.4. L’Oceania
GALINDO F., El ‘Fenomeno de las sectas’ fundmentalistas. La conquista evangelica de America
Latina, Editorial Verbo Divino, Estella 1994.
7
Idem, p. 112.
8
Secondo M. Ernst le cause dello sviluppo e della crescita numerica delle “sette” nella regione
del Pacifico sono molteplici e possono essere rintracciate nella generale espansione a carattere ideologico dei valori culturali provenienti dai paesi occidentali e industrializzati. Molto importante, in
ogni caso, è il processo di permanente cambio sociale e i collegati sintomi di crisi che sono responsabili del forte movimento di individui – spesso giovani che si sposstano dalle proprie regioni rurali
verso i centri Urbani – dentro uno o l’altro delle nuove comunità che promettono salvezza Cfr.
Manfred Ernst, The Role of Social Change in the Rise and Development of New Religious Groups in
the Pacific Islands, LIT Verlag, Hamburg 1996.
6
91
speciale
L’Oceania, il continente delle Isole, ha sperimentato una rapida cristianizzazione a partire dal 1797 a Tahiti, Polinesia. In due generazioni si
è completata questa prima evangelizzazione della Polinesia. Dal 1836 è
poi continuata in Melanesia e Micronesia. I primi missionari arrivarono
sulle coste di Nuova Guinea, l’isola più grande del continente, nel 1871,
e sugli altopiani o highlands nel 1932. L’anno dell’indipendenza, 1975, ha
quasi coinciso con il compimento della prima evangelizzazione in Papua
Nuova Guinea ed in tutta l’Oceania. Secondo le statistiche ufficiali sull’affiliazione religiosa dello stato indipendente di Papua Nuova Guinea i
Cristiani sono oggi (2000) il 96%. Tutta l’Oceania conta il 98% di Cristiani; ma le cosiddette “mainline” chiese dell’epoca della prima evangelizzazione dell’ottocento e del novecento hanno perso negli ultimi trenta
anni sempre più membri ai nuovi gruppi religiosi a sfondo cristiano fondamentalista e contano oggi circa il 18% della popolazione delle isole
Pacifiche.8
Ma non si devono tirare conclusioni errate. La religiosità primaria della
cultura melanesiana o polinesiana continua a nutrire la vita dei Cristiani
battezzati.9 Un missionario luterano che studiava sia i nuovi movimenti religiosi sia i tradizionali movimenti in Nuova Guinea10 si è convinto che “il
messaggio cristiano è stato capito da chi lo accoglie come un possibile sostituto per i miti tradizionali, o come un’alternativa; si crede che hanno la
stessa funzione, lo stesso potere e anche la stessa efficacia che avevano i
miti primitivi”. Perciò
speciale
“La Chiesa non avrà realmente affrontato il problema della misconoscenza e
della misinterpretazione del Vangelo, e come la Chiesa abbia fallito il segno nella
sua predicazione, finché non intraprenda una seria valutazione teologica dei miti
primitivi in Melanesia e scopra le domande fondamentali che i Melanesiani si chiedono attraverso questi miti”11.
All’inizio rifiutavano la nuova religione, mentre nella seconda fase hanno cominciato ad aprirsi parzialmente ad essa, ma dal punto di vista della
loro tipica comprensione della religiosità. Non comprendevano la religione
come una cosa separata ma integrata nel tessuto della vita della comunità
tribale.
La dimensione religiosa faceva parte integrale della visione olistica. Essa
era intrecciata inseparabilmente con la dimensione sociale, politica ed economica della vita della gente.12 Si può quindi capire la scelta fatta a favore
della “religione” cristiana: una scelta di aggiunta del culto cristiano, molto
potente, ma non contro i propri costumi e pratiche religiose.
Le delusioni provocate dalla mancata realizzazione delle attese che
erano state parte della scelta di essere battezzati, hanno portato ad una
crisi fra i missionari ed i popoli indigeni. Emersero numerosi nuovi
gruppi religiosi, che inizialmente trovarono poca comprensione da parte delle Chiese cristiane fondate da missionari stranieri. Diversi antropologi occidentali per primi studiarono il nuovo fenomeno, più tardi a
loro si unirono i teologi. John Strelan fu il primo teologo che poté studiare a fondo i nuovi movimenti religiosi. Il titolo del suo libro già rive-
9
Cfr. JOHN G. STRELAN, New Challenges. Traditional and New religious Movements, in Wagner
H. – H. Reiner (eds.), The Lutheran Church in Papua New Guinea. The First Hundred Years 18861986, Lutheran Publishing House, Adelaide revised 1987, 469-495.
10
Cfr. anche FLANNERY W. (ed.), Religious Movements in Melanesia Today (3), Melanesian Institute, Goroka 1984.
11
Strelan, New Challenges…. p. 488 – L’autore crede che “Il Vangelo non è mai predicato in un
vuoto religioso o culturale. Coloro che ascoltano il vangelo hanno già una cultura e una religione
propria; e quando ascoltano il vangelo, procedono ad interpretarlo alla luce delle loro credenze religiose e dei loro valori culturali, presupposizioni, e visione del mondo. Valutano il Vangelo in termini della sua utilità nel far fronte ai bisogni presenti e alle speranze e aspirazioni per il futuro – sia
per questa vita e, magari, per la vita futura”. Ibid. p. 470.
12
Cfr. H. JANSSEN, Creative Deities and the Role of Religion in New Britain, in Janssen H. et alii,
Carl Laufer Missionar und Ethnologe uaf Neu-Guinea, Herder, Freiburg 1975, pp. 19-39.
92
STRELAN J., Search for Salvation, Lutheran Publishing House, Adelaide 1977.
Especially the research and publications of the Melanesian Institute in ‘Point Series’ and in
the review ‘Catalyst’ express progress made in the field of developing an adequate understanding
and praxis towards the New Religious movements in Melanesia.
15
CABRIDO J.A., Sketches for a Dialogue with the Pomio Kivung: A Cargo Cult in the Merai SubParish, in Catalyst 36 (2006) 2, 109-144. – Fr. Cabrido himself comes from the Philippines.
16
Ibid., p. 110. – “4. sentimento etnocentrico o nazionalista…; 5. tendenza verso sincretismo
e/o revival del paganesimo; 6. la loro ricerca per una soluzione, spesso un rituale segreto, per mezzo
del quale si aspettano cambiamenti in forma di accadimenti automatici. Componenti secondari delle caratteristiche includono: 7. il ruolo prominente di un leader carismatico; 8. l’attenzione a ripristinare il controllo economico e politico natio” etc., idem., p. 110.
17
Cfr. Theo Aerts, “The Birth of a religious Movement: A Comparison of Melanesian Cargo
Cults and Early Christianity”, Verbum SVD 20 (1979) 4, 323-344. Ristampata recentemente nel Sedos Bulletin 38 (2006 ) No. 7/8, 239-241(Part II) e No. 9/10, 284-295. (Part I); vedi anche: Id., Traditional Religion in Melanesia, University of Papua New Guinea Press, Port Moresby 1998; id., Christianity in Melanesia, University of Papua New Guinea Press, Port Moresby 1998.
13
14
93
speciale
la qual è la nozione chiave per capire l’attesa dei Melanesiani: “Ricerca
per la salvezza”13.
Un importante passo avanti era fatto che permetteva ai ministri della
chiesa di sviluppare una nuova attitudine pastorale e, da allora, anche un
dialogo con gli aderenti ai nuovi gruppi religiosi.14
Un articolo di ricerca di John Aranda Cabrino, pubblicato recentemente, descrive come egli abbia incontrato il “cargo movement” nella sua parrocchia in New Britain e come si sia sentito sfidato a capire il fenomeno di
questo gruppo religioso Melanesiano tanto da convincersi a preparare delle schede per un dialogo con gli aderenti a questo movimento che sono
nella sua parrocchia.15 Oggi i “Culti Cargo” condividono elementi essenziali: 1. Dipendenza da un mito che ha le sue radici nella tradizione storica
che include il ritorno degli antenati 2. Credenza nel mito del “cargo”; 3.
Credenza nella venuta di un redentore o messia, ecc.”16.
Una dimensione fondamentale che si trova nella cultura/religiosità melanesiana, è il messianismo. L’esegeta Belga Theo Aerts MSC ha verificato
il parallelismo fra il messianismo nel cristianesimo primitivo e il messianismo melanesiano.17 Questa conoscenza ci aiuta nella lettura del fenomeno
dei nuovi movimenti religiosi nel mondo melanesiano, dove varie forme
dell’avventismo e messianismo predicato da missionari delle chiese protestanti – spesso del ramo anti-ecumenico – trova facile accesso. Soddisfano,
infatti, in buona parte le aspettative presenti nella cultura indigena.
Il caso della Chiesa degli Avventisti del Settimo Giorno o Seventh Day
Adventist, più conosciuto nel Pacifico sotto l’abbreviazione SDA, ci aiuta a
capire lo sviluppo di un nuovo gruppo religioso a sfondo cristiano in una
chiesa consolidata in Papua Nuova Guinea. I primi missionari arrivarono
dall’ Australia già nel 1908 in British New Guinea e nel 1915 in British Sa-
lomon Islands. Le loro rigide regole di comportamento, in particolare il loro atteggiamento anti-alcoolico, e il loro forte spirito e credenza avventistico non hanno fermato una grande onda di nuovi membri negli ultimi tre
decenni, tanto da causare una tremenda crescita dal 4.6% della popolazione al 10% nell’ultimo censimento del 2000.
Fino ad oggi le relazioni fra la Chiesa Cattolica e gli SDA sono molto
rare. Nel 1995 ho avuto la possibilità di fare la conoscenza di un docente
di storia della missione dell’ Università dei SDA per l’Oceania, che era vicina al nostro seminario Cattolico. Il nostro interesse comune nella storia
delle missioni cristiane ci permise di aprire nuovi cammini di contatto e
scambio. Il docente SDA veniva nel mio corso di Missiologia nell’Holy Spirit Seminary e io potevo presentare il sistema della missione Cattolica agli
studenti della Pacific Adventist University con il risultato di diminuire le
idee stereotipate sbagliate che si erano a lungo portate avanti.
speciale
1.5. Europa
L’Europa con le sue radici Ebraico-Cristiane, Ellenistiche e tribali –
Germaniche, Celtiche e Slave – ha fatto un suo cammino particolare. Il cristianesimo è stato condizionato da queste radici. A sua volta, poi, la Chiesa
Occidentale ha condizionato i popoli con la sua forma che ha trovato e sviluppato nella sua storia in Occidente. I due scismi – quello del 1054 e del
1520 – hanno dato vita a nuove forme di Cristianesimo, in particolare nell’Occidente, di tradizione della riforma.
All’inizio, in contrapposizione alla tradizione Romano Cattolica, le
guerre religiose crearono come conseguenza l’illuminismo e, infine, il laicismo, che, insieme, al secolarismo promuove la privatizzazione della religione nello stile di vita della gente. Fin dall’inizio il Protestantesimo promosse
il soggettivismo religioso e la frammentazione del cristianesimo Occidentale, l’interpretazione individuale e soggettiva ha sostituito quella ecclesiale
del magistero. Ma anche il Cattolicesimo promuove una spiritualità individualista sotto il tetto unificante della comunità ecclesiale vissuta soprattutto nella sua sacramentalità.
Ci sono indicatori che gli Europei contemporanei secolarizzati sono
sempre di meno introdotti nella religiosità tradizionale di sfondo cristiano
e di tradizione ecclesiale. Nello stesso tempo ci sono indicazioni di un certo revival e ritorno della religione, ma spesso in forma della spread o patchwork religioso. Le sette di sfondo cristiano ovviamente non attirano un
gran numero di persone. I nuovi movimenti di tipo esoterico del new age
invece sono molto in voga. I Culti trovano i loro seguaci in certi ambienti
al margine della società. I paesi d’Europa orientale erano poco preparati
all’invasione che sperimentarono dopo il crollo del muro di Berlino nel
1989. La chiesa di questi paesi non era abituata a fare una lettura pastorale
del fenomeno delle sette o nuovi gruppi religiosi.
94
1.6. Conclusione
Alcune sette d’origine cristiana corrispondono ad un’aspettativa attuale
delle culture primarie e si trova anche nel cristianesimo primitivo. La Chiesa cattolica ed altre chiese devono essere più attente a questa dimensione
antropologico-religiosa. La liturgia dell’Avvento per es. ci dà la possibilità
di rispondere a questo bisogno umano. Non si devono lasciare queste dimensioni ed elementi alle sette. D’altra parte non c’è bisogno di imitare le
sette nella loro unilateralità di insistere esclusivamente su questi elementi.
È necessario avere un atteggiamento equilibrato e calmo.
2. Quali atteggiamenti e comportamenti?
“Se la Chiesa vuole essere messianica dovrà fare come Gesù, completare il suo
messianismo impegnandosi nella solidarietà con gli uomini e nella loro liberazione.
Il principale compito messianico sarà di insegnare agli uomini a vivere la giustizia e
perseguirla con coraggio”.20
La cura pastorale di parenti ed amici cattolici di una persona entrata a
far parte di una setta richiede un atteggiamento e una consulenza sensibile
per non rompere il rapporto e per lasciare le porte aperte. In alcuni casi i
problemi della famiglia o una religiosità troppo rigida hanno causato la
‘conversione’. Tante famiglie che si sentono vittime delle sette aggressive,
fondano gruppi o associazioni di auto-aiuto.
La pastorale deve essere pronta ad assistere, quando è richiesta da questi
genitori. I giovani sono il gruppo più vulnerabile e più colpito.21 L’assenza
Segretariato per l’Unione dei Cristiani – Segretariato per in Non Cristiani – Segretariato per i
Non Credenti – Pontificio Consiglio per la Cultura, Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, 252-281, qui p. 253.
19
Cfr. BORSATO B., Le sfide alla pastorale d’oggi. Vivere la fede e la Chiesa in modo adulto, EDB,
Bologna 1994.
20
Ibid., p. 156.
21
Questo fatto è anche menzionato nel documento dei dicasteri della curia romana vedi: Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum
10, EDB, Bologna 1989, p. 255.
18
95
speciale
La pastorale deve saper rispondere ad ogni tipo di spirito settario, vale
a dire ad “un atteggiamento intollerante unito ad un proselitismo aggressivo”18, all’interno e all’esterno della Chiesa. Lo spirito di comunione e di
dialogo – due parole chiave del magistero del Concilio e dei Papi recenti –
ci servono come pietra d’angolo nella costruzione di una comunità ecclesiale che traduca queste nozioni in prassi vissuta.
B. Borsato sottolinea il bisogno di “vivere la fede e la Chiesa in modo
adulto”.19
di una pastorale giovanile in tante parrocchie in Paesi secolarizzati crea situazioni difficili, perché mancano luoghi e spazi per i giovani nella chiesa. I
giovani hanno bisogno di sperimentare la chiesa come comunità che offre
prima di tutto la possibilità di fare un’esperienza religiosa autentica.
C’è un altro gruppo nella nostra società che non ha nessuna lobby: i
“«senza legami», disoccupati, inattivi nella vita parrocchiale o nel lavoro
parrocchiale volontario, provenienti da un ambiente familiare instabile o
appartenenti a minoranze etniche, dimoranti in luoghi piuttosto lontani
dall’influsso della chiesa, ecc”.22
Solamente una comunità parrocchiale che vive la sua vocazione diaconale è capace di raggiungere queste persone. È necessaria una pastorale
d’evangelizzazione vissuta secondo EN n. 4:
speciale
Questa fedeltà a un messaggio, del quale noi siamo i servitori, e alle persone a cui
noi dobbiamo trasmetterlo intatto e vivo, è l’asse centrale dell’evangelizzazione.23
Il professore salesiano E. Alberich ha sviluppato uno schema molto
chiaro e convincente che attualizza l’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Lui parla dei «segni» evangelizzatori che sono “ancorati alla natura
sacramentale della Chiesa in quanto segno e strumento del Regno di Dio…
L’ideale del Regno si fa presente nel mondo in quattro forme fondamentali
di visibilità ecclesiale:
– come Regno realizzato nell’amore e nel servizio fraterno (segno della diaconia);
– come Regno vissuto nella fraternità e nella comunione (segno della koinonia)
– come Regno proclamato nell’annuncio salvifico del Vangelo (segno della
martyria);
– come Regno celebrato nei riti festivi e liberanti delle celebrazioni cristiane
(segno della liturgia)”.24
La forza di questo schema è che permette di scoprire le ricchezze e potenzialità di tutte le chiese a livello diocesano e parrocchiale. Nello stesso
Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion
Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, 255-256.
23
“This fidelity both to a message whose servants we are and to the people to whom we must
transmit it living and intact is the central axis of evangelization”. – “Cette fidélité à un message dont
nous sommes les serviteurs, et aux personnes à qui nous devons le transmettre intact et vivant, est
l’axe central de l’évangélisation”.
24
E. ALBERICH, La Catechesi oggi, Elledici, Leumann (To) 2001, p. 44. L’edizione inglese è aggiornata e allargata: E. ALBERICH – J. VALABRAJ, Communicating a faith that transforms. A handbook
of fundamental Catechetics, Kristu Jyoti Publications, Bangalore 2004; l’edizione francese include la
aggiunta bibliografia inglese e francese e due nuovi capitoli di H. DERROITE sul catecumenato e il
legame fra catechesi e famiglia; vedi E. ALBERICH avec la collaboration de H. DERROITTE et J. VALLABARAJ, Les Fondamentaux de la Catéchèse, Novalis – Lumen vitae, Montréal – Bruxelles, 2006.
22
96
– La mancanza di aver ricevuto una formazione adeguata
– La mancanza di un approccio personale
– La mancanza di espressioni e forme inculturate nella chiesa che rende difficile comprendere il suo messaggio.
– La scarsità di preti e religiosi incaricati.
– Il clerocentrismo ed ecclesio-centrismo delle attività ecclesiali con uno stile
autoritario a scapito di una collaborazione di tutti i cristiani nella missione della
chiesa.
– La povera possibilità da parte dai laici di prendere corresponsabilità e leadership
– Dove le parrocchie sono troppo vaste e impersonali per sperimentare comunità fraterne
– La mancanza di Piccole Comunità Ecclesiali inserite nel quartiere dove si vive.
Vi sono alcuni punti deboli nel ministero pastorale e nella vita delle comunità cristiane che possono essere sfruttati, ma questi devono essere prima di tutto uno stimolo per avanzare il rinnovamento della pastorale della
chiesa come ho indicato sopra per esempio o in altri modi adeguati e rilevanti per la comunità dei fedeli.
“La «sfida» delle sette o dei nuovi movimenti religiosi deve essere uno
stimolo a rinnovarci in vista di una maggiore efficacia pastorale”.25 Ma
Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi: Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion
Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, p. 271.
25
97
speciale
tempo indica un programma di formazione con lo scopo di sensibilizzare
tutti i membri della comunità ecclesiale a vivere la loro vocazione battesimale e cresimale oppure sacerdotale e sperimentare di essere parte della
chiesa nel servizio ecclesiale ad intra e ad extra della Chiesa.
Tanti lasciano la chiesa per una mancanza di credibilità sperimentata nella
propria chiesa locale. La pastorale deve lasciarsi interrogare e avere il coraggio di superare approcci inadeguati alla vita della chiesa. Al centro di questi
problemi si trova la necessità di riformulare la propria identità, come Chiesa e
come esperienza di fede, all’interno di una società in trasformazione.
Le cause del successo delle sette tra i cattolici sono evidentemente molteplici e si possono individuare a vari livelli. Innanzi tutto vi sono i bisogni
e le aspirazioni che un individuo ritiene di non poter soddisfare nella propria chiesa; poi, le tecniche di reclutamento e di formazione delle sette; e,
infine, anche ragioni estranee all’appartenenza alla chiesa o ai nuovi gruppi: interessi economici, interessi o pressioni politiche, semplice curiosità,
ecc. La pastorale deve essere consapevole di questa complessità e sapere
che non sempre la chiesa ha causato il successo della setta.
Fra le carenze più evidenti si trova spesso la mancanza di aver sperimentato una comunità ecclesiale.
speciale
quale approccio ci serve in ambienti più o meno religiosi oppure secolarizzati in società tradizionali o in una società globalizzata? Mi pare sia necessaria una pastorale che abbia la persona al centro del suo interesse. In altre
parole una pastorale di relazione che sa accogliere la gente in ogni fase della vita.
La meta principale deve essere chiaramente al centro dell’attività pastorale: condurre gli uomini e le donne d’oggi al mistero di Dio nella loro vita, una pastorale mistagogica.26 Come popolo di Dio in cammino la Chiesa
deve essere, per tutti i suoi membri, un luogo di formazione nei valori
evangelici e del regno di Dio. Solamente cosi può vivere e attuare la sua
missione di essere “il segno e lo strumento della comunione con Dio e della comunione e della riconciliazione tra gli uomini… Essendo una comunione, la chiesa deve rendere tangibile la partecipazione e la corresponsabilità ad ogni livello”.27
Qui la pastorale della comunità parrocchiale ha tanto da imparare dalle
chiese protestanti e dalle nuove comunità religiose a sfondo cristiano. Osservando la passività dei cristiani nelle parrocchie cattoliche e il coinvolgimento dei cristiani nelle parrocchie dei Metodisti.
F. Lobinger, il direttore dell’Istituto pastorale della Conferenza Episcopale del Sudafrica, voleva cambiare questa situazione con una formazione dei laici e di tutta la comunità parrocchiale. Perciò Fritz Lobinger
e Oswald Hirmer, due preti “Fidei Donum” svilupparono il metodo
LUMKO28, che oggi è conosciuto in tutti continenti. In Asia è conosciuto sotto il nome AsIPA: Asian Integral Pastoral Approach (Approccio Pastorale Integrale Asiatico). Questo approccio integra nel senso che cerca
di raggiungere un equilibrio fra lo “spirituale” e il “sociale”, fra l’individuo e la comunità, fra il governo gerarchico e la corresponsabilità dei
laici; per questa ragione è integrale nel suo approccio e nel suo contenuto. Grazie a quest’approccio che favorisce neighborhood communities
Il termine è usato e elaborato da K. RAHNER e P. ZULEHNER, vedi ZULEHNER P., Ci provieni
con la grazia. A colloquio con Karl Rahner per una teologia della pastorale, Città Nuova, Roma 1987
(originale tedesco: ZULEHNER, “Denn du kommst unserem Tun mit deiner Gnade voraus”. Zur Theologie der Seelsorge heute. Paul Zulehner im Gespräch mit Karl Rahner, Patmos Verlag, Düsseldorf
1984, pp. 40-120.
27
422 Comprendere e assimilare il concilio, in Il Fenomeno delle sette o nuovi movimenti religiosi:
Sfida pastorale (7.05.86), in: Enchiridion Vaticanum 10, EDB, Bologna 1989, p. 272. – Il documento
fa qui un riassunto del Sinodo straordinario dei vescovi di 1985, p. 272.
28
Ambedue sono diventati vescovi nel Sudafrica. Vedi LOBINGER F., Towards Non-dominating
Leadership. Aims and Methods of the Lumko Series, Lumko Institute, Delmenville, South Africa;
PRIOR A. – F. LOBINGER, Developing Shared Ministry. Awareness programmes for Introducing Community Ministries,2nd revised edition, Lumko, Delmenville 1983; PRIOR A, Towards a Community
Church. The Way Ahead for Today’s Parish, Second edition, Lumko Institute, Delmenville, South
Africa 1997.
26
98
[comunità nel quartiere con i vicini] che condividono regolarmente la
parola di Dio fra di loro è aumentata la capacità dei cattolici non solamente di conoscere di più la Sacra Scrittura, ma soprattutto di testimoniarla e viverla nel mondo di oggi. Solamente la parrocchie che si lasciano nuovamente evangelizzare sono capaci di evangelizzare la gente che
incontrano.
Questo sviluppo degli ultimi decenni – che si può testimoniare anche
con tanti altri esempi – dimostra che la chiesa è in cammino per rispondere efficacemente sia nei suoi atteggiamenti sia nei comportamenti alle sfide
delle nuove comunità religiose.
Paul Steffen
Facoltà di Missiologia
speciale
99
Ecumenismo
Percorso bibliografico di base
p e rc o r s i b i b l i o g r a f i c i
di Adele Scarnera
Il decreto del Concilio Vaticano II Unitatis Redintegratio1 del 1964
che solennizza l’identità ecumenica del concilio stesso – anche se storicamente solo sette concili della storia della Chiesa (IV-VIII secolo) possono definirsi pienamente ecumenici2 – avvia l’era3 del dialogo per la ricomposizione dell’unità delle Chiese cristiane provenienti dagli scismi di
storica memoria.4
1. I dialoghi bilaterali
Nel 1960 venne istituito da papa Giovanni XXIII il Segretariato per
l’Unità dei Cristiani, che nel 1967 emanò il primo Direttorio sull’Ecumenismo. Il Segretariato, mutato nel 1989 in Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani5, aggiornò nel 1993 il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo.6
Enchiridion Vaticanum (EV) 1/494-572.
Normalmente convocati dall’imperatore nel contesto romano-bizantino, i concili riunivano i
vescovi dell’ecumene cristiana d’Oriente e d’Occidente (delle sedi di: Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme) per definire le dottrine teologiche, i canoni, le discipline interne
alle Chiese in conformità alla Scrittura e alla Tradizione apostolica. I primi quattro concili sono importanti per le definizione dei dogmi trinitario-cristologici: Nicea (325), Costantinopoli I (381), Efeso (431), Calcedonia (451). Gli altri tre concili ecumenici sono: Costantinopoli II (553), Costantinopoli III (681) e Nicea II (787).
3
Il can. 1325 del Codice del 1917 proibiva ai Cattolici di partecipare a dispute o incontri, specialmente pubblici, con i non-cattolici senza l’autorizzazione della Sede Apostolica o, in casi urgenti, dell’Ordinario del luogo.
4
Dal V secolo nascono le antiche chiese orientali, mentre nel 1054 lo scisma d’Oriente separerà
la Chiesa cattolica romana dalle chiese greco-ortodosse. Al XVI secolo risale, invece, lo scisma
d’Occidente.
5
L’attuale presidente è il cardinal Walter Kasper. Cf. Annuario Pontificio per l’anno 2006, Città
del Vaticano 2006, 1241.1879.
6
È una revisione del precedente Direttorio del 1967 e puntualizza in cinque parti le condizioni pratiche per l’avvio del dialogo e del confronto ecumenico con le Chiese e Comunitá cristiane
non-cattoliche: a) ricerca dell’unitá dei cristiani; b) organizzazione nella chiesa cattolica del servizio dell’unitá dei cristiani; c) formazione all’ecumenismo nella chiesa cattolica; d) comunione di
vita e di attivitá spirituali tra i battezzati; e) collaborazione ecumenica, dialogo e testimonianza
comune.
1
2
100
RM XXII (2006) 2, pp. 100-109
Paolo VI volle riallacciare un dialogo con il Patriarca Atenagora nel
1963, interrottosi nel 1584, quando Gregorio XIII scrisse a Geremia II riguardo alla festa di pasqua12 secondo il calendario gregoriano.
Dopo l’incontro del 1964 a Gerusalemme tra Paolo VI e il Patriarca
Ecumenico Atenagora I, con la prospettiva di riesaminare le divergenze
dottrinali, liturgiche e disciplinari, l’anno seguente furono abrogate le scomuniche del 1054.13 Nel 1967 a Costantinopoli (Istanbul) si svolse il secondo incontro tra Atenagora I e Paolo VI per professare la comune fede
del simbolo degli apostoli e successivamente nella basilica di s.Pietro – nel
terzo incontro tra Paolo VI e Atenagora I – si definirono le due chiese
EV 1/457-493.
EV 12.
9
Anglicani, Consiglio Ecumenico delle Chiese (CEC) che comprende 348 denominazioni, Discepoli di Cristo, Luterani, Riformati, Metodisti, Ortodossi Calcedonesi, Ortodossi Orientali (copti,
siro-ortodossi, siro-malankaresi), Pentecostali, Battisti, Evangelicali. Dal 1998 è iniziato il dialogo
con la Chiesa mennonita (discendente dagli Anabattisti del XVI s.).
10
Dialoghi internazionali 1931-1984, EO 1, Bologna 1986; Dialoghi locali 1965-1987, EO 2, Bologna 1988; Dialoghi Internazionali 1985-1994, EO 3, Bologna 1995; Dialoghi locali 1988-1994, EO
4, Bologna 1996; Dialoghi internazionali 1995-2005, EO 7, Bologna 2006.
11
La Chiesa viene sollecitata a dialogare col mondo in cui si trova a vivere. La chiesa si fa parola, messaggio, colloquio (ES 38). Il dialogo teologico esige: chiarezza (comprensione del linguaggio); mitezza (il dialogo assume autoritá per la veritá che espone, per la caritá che diffonde e per l’esempio che propone); fiducia (propone confidenza e amicizia nel bene); prudenza (considera le
condizioni degli interlocutori). Nel dialogo si realizza l’unione della veritá e della caritá, dell’intelligenza e dell’amore (ES 47). Il terzo livello del dialogo é chiamato ecumenico coi fratelli separati (ES
61) – oggi fratelli non in piena comunione – per evidenziare ció che unisce rispetto a ció che divide.
12
Il dibattito sulla definizione della data della pasqua inizia nel II secolo e a tutt’oggi resta tale.
13
Con la formula: “...deplora e cancella dalla memoria e dal seno delle chiese le sentenze di scomunica [...] il cui ricordo è stato fino ai nostri giorni un ostacolo al riavvicinamento nella carità e le condanna all’oblio”.
7
8
101
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Un altro decreto conciliare, Orientalium Ecclesiarum7 si occupa delle
Chiese Cattoliche di rito orientale, mentre la promulgazione del Codice
del Diritto Canonico Orientale (CCEO) risale al 18/10/1990.8
La Chiesa Cattolica svolge dialoghi bilaterali9 sul piano internazionale e
locale con Chiese e Comunità cristiane, i cui contenuti sono pubblicati nell’Enchiridion Œcumenicum.10
Il Pontificio Consiglio per la Promozione dei Cristiani pubblica trimestralmente in lingua francese e inglese tutto quanto riguarda il dialogo bilaterale tra la Chiesa Cattolica e le altre Chiese e Comunità Cristiane, attraverso il «Service d’information»/«Information Service».
Il termine dialogo è molto ricorrente in quest’ambito disciplinare e la
sua definizione gode di maggior splendore nella terza parte della prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam del 1964.11
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“sorelle”.14 Nel 1975 – decimo anniversario dell’abolizione delle scomuniche – Paolo VI baciando il piede di Melitone di Calcedonia, rappresentante del Patriarca Ecumenico Dimitrios I, compì un gesto senza precedenti
nella storia della chiesa. Seguì una stagione di visite nelle ricorrenze delle
feste degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma e Andrea per l’Oriente; la traslazione di reliquie e collaborazioni culturali e pastorali.15
Dal 1980 il dialogo della caritá tra la Chiesa Cattolica Romana e le Chiese Ortodosse Bizantine, divenne teologico con la costituzione della Commissione mista del Dialogo teologico tra la Chiesa Cattolica e le Chiese Ortodosse per ristabilire la piena comunione tra le due tradizioni ecclesiali, distinguendo tra vere divergenze e legittime differenti espressioni di fede.
I temi trattati dalla Commissione che, dopo un arresto nel 2000, ha ripreso il suo impegno quest’anno16, sono accuratamente disponibili nel testo di: D. SALACHAS, Il dialogo teologico ufficiale tra la chiesa cattolico-romana e la chiesa ortodossa: iter e documentazione, Bari 1994.
Al pontificato di Giovanni Paolo II appartengono due Encicliche17 e
una Lettera apostolica18 da cui si evince un’affinità storica, dottrinale, ecclesiologica e spirituale con la tradizione greco-ortodossa.
2. Il Movimento Ecumenico
Per un’introduzione storica al Movimento ecumenico, segnaliamo:
AA.VV., Storia del movimento ecumenico, vol.I: Dalla Riforma agli inizi
dell’800; vol. II: Dagli inizi dell’800 alla Conferenza di Edimburgo; vol.
III: Dalla Conferenza di Edimburgo (1910) all’assemblea di Amsterdam
(1948); vol. IV: L’avanzata ecumenica (1948-1968), Bologna 1973-1982.
Inoltre: R.FABBRI (a cura), Confessioni di fede delle Chiese cristiane, Bologna 1996. Si tratta della raccolta dei testi simbolici dal “credo degli apostoli” fino alla Riforma. In particolare: le Confessioni delle Chiese luterane e
Riformate del XVI secolo, delle Chiese Valdese, Anglicana, Vecchiocattolica (XVII-XVIII s.) e delle Chiese Libere (XIX s.).
L’Enchiridion Œcumenicum include altresì i testi delle Assemblee Ge-
Cf. nota del 30.06.2000 sull’espressione “chiese sorelle” della Congregazione per la dottrina
della fede ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, EV 19/1025-1038.
15
Una storica visita di Giovanni Paolo II si svolse in Romania nel 1999. Cf. L.ACCATTOLI, L’immagine ecumenica, il consenso popolare, in “Regno-attualità” 10/1999, 292-293; GIOVANNI PAOLO II
in Romania, Una fraternità che rinasce, in “Regno-documenti” 11/1999, 329-333.
16
La plenaria si è svolta dal 18 al 25 settembre 2006 a Belgrado (Serbia). Cf. D. Salachas, Autorità e conciliarità. Assemblea plenaria della Commissione mista Internazionale, in “Regno-attualità”
18/2006, 597-599.
17
Enc. Slavorum apostoli (1985), in: Enchiridion delle Encicliche (EE) 8/339-425; Enc. Ut
unum sint (1995), EE 8/2151-2374.
18
Lett.apost. Orientale Lumen (1995), EV 14/2553-2632.
14
102
19
Vol. V: Assemblee Generali 1948-1998, Bologna 2001. Gli atti dell’ultima Assemblea Generale in: CEC – IX Assemblea generale. Porto Alegre (Brasile) 14-23.2.2006. Dio, nella tua grazia trasforma il mondo, in “Regno-documenti”, 9/2006, 302-336.
20
“Fede e Costituzione”, Conferenze Mondiali 1927-1993, EO 6, Bologna 2005. Ispirata alla teologia dialettica, “Faith and Order” si costituì a Losanna nel 1927 per lo studio comparato delle Confessioni cristiane.
21
Citiamo solo alcuni articoli sull’A.: cf. K.H.NEUFELD, sj, Il contributo di Yves-Marie Congar al-
103
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nerali settennali del CEC19 e quelli delle Conferenze Mondiali di “Fede e
Costituzione”20.
Strumenti di consultazione sono il Dizionario del movimento ecumenico,
Bologna 1994 e una presentazione sintetica delle chiese cristiane: AA.VV.,
Le chiese cristiane nel Duemila, Brescia 1998.
Tra gli Autori che nella nostra epoca studiano sotto diverse angolature
le questioni ecumeniche più importanti, ne segnaliamo alcuni, partendo
dal testo di W.KASPER, Vie dell’Unità. Prospettive per l’ecumenismo, Brescia 2006. Dalle conferenze tenute dall’A., affiora innanzi tutto la metodologia del dialogo. Le questioni ecclesiologiche tra consensi e nuovi ambiti
di studio riguardano: l’autorità della Chiesa, la ricezione del dogma, il ministero petrino, l’uniatismo, senza tralasciare quei tratti di involuzione e di
crisi ecumenica.
Il volume di P. NEUER, Teologia ecumenica. La ricerca dell’unità delle
chiese cristiane, Brescia 2000, si occupa del processo di ricezione del complesso lavoro ecumenico in teologia, quindi è anche strumento di approccio alle questioni ecclesiali controverse: rapporto tra Scrittura, Tradizione
e tradizioni; i sacramenti; il ministero; i matrimoni misti ecc.
Alcuni articoli pubblicati in occasione del quarantennale del decreto
UR sono: W.KASPER, Una nuova lettura dopo 40 anni, in «Regno-documenti», 1/2005, 6-10; H.LEGRAND, Où en est l’oecumenisme? Quarante ans
après la promulgation d’Unitatis Redintegratio, in «Istina», 4/2005, 353384; AA.VV., Ecumenismo a quarant’anni dal Vaticano II, in «Archivio Teologico Torinese», 11/2005, n. 2.
Altri articoli sono: J-M. R. TILLARD, Una chiesa di chiese, in «Regnodocumenti», 7/2005, 49-51; W. KASPER, Current Problems in Ecumenical Theology, in «ETJ» 7 (2003), 107-128; J. FAMEREE , Ecclésiologie
catholique. Différences séparatrice et rapprochements avec les autres Eglises, in «Revue théologique de Louvain», 33/2002, 28-60; B. F. GIANNI,
Monachesimo ed ecumenismo.
Gli Atti del simposio internazionale (Abbazia di Monteoliveto Maggiore, 30 agosto-1 settembre 2000), in «Homo Vivens», nota al simposio edito da D.Giordano, Siena 2002, 401-414.
Annoveriamo il teologo domenicano Y-M. Congar (1904-1995)21 come
pioniere dell’ecumenismo e del dialogo tra le Chiese.
3. Le chiese greco-ortodosse calcedonesi
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Abbiamo scelto i testi che, cronologicamente, ci sembrano più rappresentativi anche in relazione alle aree geografiche di provenienza degli
Autori:
– P. EVDOKIMOV, L’ortodossia, Bologna 1981. L’A. russo vissuto nella
diaspora francese ha sintetizzato l’Ortodossia, arricchendo il pensiero patristico di due approfondimenti: quello del XIV secolo relativo alla dottrina delle energie divine e quello del XX secolo relativo alla lettura «pentecostale» della modernità e il senso di un’escatologia attiva. Dopo l’introduzione storica la prima parte presenta una cristologia dell’uomo, la sua «deificazione» in Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Le tre parti successive
si occupano della chiesa come mistero, fede e preghiera; l’ultima parte è
dedicata al «passaggio» del mondo in Cristo.
– J. ZIZIOULAS, L’etre ecclésiale, Genève 1981. La verità della Chiesa è la
premessa dell’insegnamento cristiano. La Chiesa è un «modo di esistenza»,
un modo di essere e il suo mistero è strettamente legato all’essere dell’uomo
e all’essere stesso di Dio, anzi essa è l’immagine del modo di esistere di Dio.
– J. MEYENDORFF, La teologia bizantina. Sviluppi storici e temi dottrinali,
Casale Monferrato 1984. È un testo fondamentale per l’approccio alla teologia della chiesa d’Oriente che si nutre delle fonti patristiche e di un vissuto pastorale aperto al dialogo ecumenico.
– D. STANILOAË, Il genio dell’ortodossia, Milano 1986. È una sintesi di
teologia dogmatica per scoprire il significato spirituale dell’insegnamento
della chiesa. L’A. romeno, aperto al confronto con l’Occidente e con la
modernità, cerca con rinnovato linguaggio, di raggiungere il cuore dell’uomo d’oggi.
– V. LOSSKY, Teologia mistica della chiesa d’oriente. La visione di Dio,
Bologna 1990. L’A. parte dalla «teologia negativa» per esporre il mistero
trinitario da cui fa dipendere tutto l’insegnamento cristiano. Al centro della problematica Oriente-Occidente pone la questione del Filioque come
pure il palamismo.
Per completare il quadro dell’ortodossia, aggiungiamo: N. A. MATSOUKAS, Teologia dogmatica e simbolica ortodossa, vol. II: Esposizione della
fede ortodossa in confronto alla cristianità occidentale, Roma 1996; e due ar-
l’ecumenismo, in “La Civiltà Cattolica”, 2005 II, 126-138. Il problema dell’unità dei cristiani coinvolge la fede stessa nella sua identità e nella sua efficacia concreta nel corso dei secoli, al servizio dell’uomo e del mondo. Cf. K.KASPER, La théologie œcuménique d’Yves-Marie Congar et la situation actuelle de l’œcumenisme, in “Bullettin de Litterature Ecclesiastique”, CVI/1, 2005, 5-20. Cf. A.BIRMELÉ, Yves Congar en dialogue avec la Réforme, in: “Ibidem”, 65-88. Cf. H.DESTIVELLE, Le Père
Congar et l’orthodoxie russe: un dialogue de vérité, in “Ibidem”, CVI/4, 2005, 377-400.
104
ticoli: K. WARE, La théologie orthodoxe au vingt-et-unième siècle, in «Irenikon», n. 2-3 (2004), 219-238; M.STAVROU, Linéaments d’une théologie
orthodoxe de la conciliarité, in «Irenikon», 4/2003 (t.LXXVI), 470-505.
4. L’Ortodossia da altri punti di vista
5. Le Antiche Chiese Orientali
Per conoscere le Antiche Chiese Orientali (non-calcedonesi),22 provenienti dallo scisma del V secolo è indispensabile partire da: SACRA CONGREGAZIONE PER LE CHIESE ORIENTALI, Oriente cattolico. Cenni storici e
statistiche, Città del Vaticano 1974. Una rassegna completa delle caratteristiche storico-liturgico-canoniche di ciascuna chiesa nel suo ambito territoriale. F. CARCIONE, Le chiese d’Oriente. Identità, patrimonio e quadro storico generale 1997, Cinisello Balsamo 1998; CONGREGAZIONE PER LE CHIESE
ORIENTALI, L’identità delle chiese orientali cattoliche. Atti dell’incontro di
studio dei Vescovi e dei Superiori Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche d’Europa (Nyìregyhàza-Ungheria: 30 giugno-6 luglio 1997), Città del
22
Chiesa Siro-Ortodossa (Giacobita); 2) Chiesa Ortodossa Armena; 3) Chiesa Assira (Nestoriana); 4) Chiesa Copta Egiziana; 5) Chiesa Ortodossa Etiopica. Queste chiese non aderirono alle decisioni conciliari di Efeso (431) e di Calcedonia (451).
105
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Y. SPITERIS, ha pubblicato diversi studi sulla tradizione ortodossa, tra
cui un contributo alla conoscenza della teologia greca odierna, erede di Bisanzio, e aperta al dialogo ecumenico tra Oriente e Occidente: La teologia
ortodossa neo-greca, Bologna 1992; Ecclesiologia ortodossa. Temi a confronto tra Oriente e Occidente, Bologna 2003. Un articolo dello stesso A., Attuali tendenze della teologia greca, in «OCP» 71 (2005), 299-314, spiega la
teologia greca oscillante tra due correnti: una caratterizzata dall’integralismo nazionalistico, l’altra più aperta al dialogo con l’Occidente basata sull’ecclesiologia eucaristica e pneumatologica.
Originale l’impostazione del testo di K.C. FELMY, La teologia ortodossa
contemporanea. Una introduzione, Brescia 1990. È un’introduzione alla
teologia ortodossa, tutt’altro che monolitica, in cui l’A. – docente all’Università di Erlangen-Norimberga – confronta le fonti antiche, scolastiche e
moderne con il Cattolicesimo e il Protestantesimo. Parte dalla teologia
apofatica per giungere al tema trinitario passando attraverso il binomio redenzione-divinizzazione, configurando l’ecclesiologia nel mistero sacramentale e verso la prospettiva escatologica. In ultimo segnaliamo: T.PAVLOU, Saggio di cristologia neo-ortodossa, Roma 1995; e R. MAROZZO DELLA
ROCCA, Le chiese ortodosse, una storia contemporanea, Roma 1997.
Vaticano 1999. Utile per brevità e completezza: R. ROBERSON, The Eastern
Christian Churches. A brief survey, Roma, 1999. Nella scheda riassuntiva finale di ciascuna chiesa, l’A. riporta anche il Web Site. P. SINISCALCO, Le antiche chiese orientali. Storia e letteratura, Roma, 2005.
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6. Lo scisma d’Occidente
Sulle Chiese e Comunità cristiane scaturite dallo scisma d’Occidente
del XVI secolo (per brevità: tradizione protestante)23, è indispensabile partire dalla “dichiarazione congiunta” sulla dottrina della Giustificazione del
199824 con la Federazione mondiale luterana che segna una tappa fondamentale nel dialogo teologico con le chiese dell’Occidente cristiano.
L’approccio storico e teologico a queste Chiese cristiane è molto articolato e pertanto consigliamo un percorso graduale: O. CHALINE, La Riforma
cattolica nell’Europa centrale (XVI-XVIII secolo), Milano 2005; P. P. BAINI,
La riforma protestante. Radicamento della Riforma e Riforma radicale in terra
tedesca, (Terzo quaderno), in «Sette e Religioni», 4/2004. Una rassegna critica del protestantesimo in Europa è l’opera di G.BOF, Storia della teologia
protestante. Da Lutero al secolo XIX, Brescia 1999. Il libro di A. E. MCGRATH, Il pensiero della Riforma. Lutero, Zwingli, Calvino, Bucero, Torino
1995, è un’introduzione ai fondamenti della Riforma europea corredata dalla spiegazione e contestualizzazione socio-politica delle espressioni teologiche più ricorrenti. B. GHERARDINI, Creatura Verbi. La chiesa nella teologia di
Martin Lutero, Roma 1994; M. DE ROSA, Teologia protestante, Salerno 1990.
Per l’approfondimento dei rapporti tra teologia e vita cristiana: J. MOLTMANN, La via di Gesù Cristo: cristologia in dimensioni messianiche, Brescia
1991; E. BEIN RICCO (a cura), Modernità politica e protestantesimo, Torino
1994; H. JAEGER, La mistica protestante e anglicana, in: AA.VV., La mistica e
le mistiche. Il “nucleo” delle grandi religioni e discipline spirituali, Cinisello
Balsamo 1996, 205-299. È doveroso anche aggiungere il teologo più rappresentativo della tradizione protestante: K. BARTH, Dogmatica ecclesiale, Bologna 1990. Per l’A. l’ecclesiologia deve essere cristologica, poiché l’unico criterio è la Parola di Dio rivelata nella Scrittura e predicata dalla chiesa.
Per quanto concerne alcuni temi specifici, il BEM (Battesimo Eucaristia
Ministero)25 è il documento26 di convergenza della Commissione “Fede e
23
Chiese Luterane (1517); Chiese Riformate (1536); Comunione Anglicana (1539); Chiesa Battista (1630); Chiese Congregazionaliste (1620-1646); Chiesa Metodista (1740) ecc.
24
EV 17/1051-1103.
25
EO I,3032-3181.
26
Frutto di una ricerca durata oltre 50 anni (dalla prima conferenza di Losanna del 1927, successivamente discusso e rettificato ad Accra nel 1974 e a Bangalore nel 1978 fino alla definitiva versione di Lima del 1982).
106
Costituzione”, sottoposto alla riflessione di tutte le chiese – compresa
quella Cattolica – per circa un decennio per evidenziare convergenze e diversitá, sul piano teologico, pastorale, spirituale e la sua recezione nelle
tradizioni ecclesiali.27
7. I temi più dibattuti: Primato, Filioque, Sacramenti
– G. CERETI, Le chiese cristiane di fronte al papato: il ministero petrino
del vescovo di Roma nei documenti del dialogo ecumenico, Bologna 2006.
– A. GARUTI, Ecclesiologia eucaristica e primato del vescovo di Roma,
in «Antonianum», LXXXI (2006), 63-81.
– J. FAMEREE, Le ministère du pape selon l’Orthodoxie, in «Revue théologique de Louvain», 37/2006, 26-43.
– H. ALFEYEN, La primauté et la conciliarité dans la tradition orthodoxe,
in «Irénikon», 1-2/2005, 24-35.
– G. MARCHESI, La dichiarazione comune di Giovanni Paolo II e Bartolomeo I, in «La Civiltà Cattolica», 2004 III (q. 3702), 514-523.
– S. XERES, Ecclesia semper reformanda. Un itinerario storico, in «Teologia», 2 (2004), 152-179.
– J-L. LEUBA, Changer la papauté? Lecture par un théologien protestant,
in «Nouvelle Revue Théologique», 125 (2003), 21-39.
Le risposte delle Chiese sono raccolte in: M.THURIAN (edited), Churches respond to BEM. Official responses to the “Baptism, Eucharist and Ministry” text, voll. I-VI, WCC, Geneva 1986-1988.
28
ISTINA, Patriarcat d’Occidente et unité des Eglises, 3-8; CONSEIL PONTIFICAL POUR LA PROMOTION DE L’UNITÉ DES CHRÉTIENS, Communiqué corcernant la suppression du titre de “Patriarche
d’Occident” dans l’Annuaire pontifical 2006, 9-10; PATRIARCAT OECUMENIQUE, Communiqué concernant la renonciation par le pape de Rome Benoit XVI au titre de “Patriarche d’Occident”, 11-13;
H.ALFEYEV, Que signifie pour les orthodoxes l’abandon par le pape du titre de “patriarche d’Occident”?, 14-15; ID., Les Eglises oorthodoxes ne feront pas leur deuil du titre de patriarche d’Occident,
16-18. L’A. ritiene che la differenza tra le Chiese cattolica e ortodossa non è più geografica, ma piuttosto ecclesiologica. L’unità della Chiesa cattolica è garantita dal primato del vescovo di Roma. L’unità della chiesa ortodossa è garantita non da un capo terrestre, ma dall’unità della fede, del battesimo e dell’Eucaristia che trasformano i cristiani in un solo corpo e, pertanto l’unico capo è Cristo
che non può avere vicario (ivi, 17); M.STAVROU, L’abandon par Rome du concept de “Patriarcat d’Occident” augure-t-il un meilleur exercice de la primauté universelle?, 19-23; M.DYMYD, Les enjeux de
l’abandon du titre de “patriarche d’Occident”, 24-32.
27
107
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Un tema molto studiato è il primato del Vescovo di Roma, quindi la bibliografia è notevole. Partiamo da alcune considerazioni sulla recente soppressione del titolo di Patriarca d’Occidente dall’Annuario Pontificio 2006,
alla vigilia della ripresa del dialogo cattolico-ortodosso in Serbia, pubblicate sul trimestrale «Istina», LI (2006), 3-32.28
La bibliografia che suggeriamo nell’intero paragrafo è a più voci.
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– K. DUCHATELEZ, Pour une valorisation de l’économie ecclésiale au
Grand Concile othodoxe, in «Nouvelle Revue Théologique», 124 (2002),
565-581.
L’interesse teologico verso il Filioque29 si manifesta a fasi alterne. Due
articoli: J.-Y. BRACHET ET E. DURAND, La réception de la Clarification de
1995 sur le Filioque, in «Irénikon», 1-2/2005, 47-109; e A. COZZI, Il “Filioque” alla luce del principio di reciprocità. L’esigenza di “riconcettualizzare” la
dottrina trinitaria, in «Teologia», 1 (2004), 43-72. Per rendersi conto dello
spessore storico e teologico della polemica tra Oriente e Occidente, è opportuno il testo di S. BULGAKOV, Il Paraclito, Bologna 1987.30
Sui sacramenti l’interesse di studio è costante, considerando anche i delicati risvolti pastorali. La bibliografia segue l’ordine cronologico:
– H. KRECH, La confession dans la Réforme des rituels des églises et des
communautés evangéliques-luthériennes, in «La Maison-Dieu», 245,
2006/1, 69-98.
– C. VASIL’, La comunione eucaristica dei bambini nelle chiese orientali,
in «La Civiltà Cattolica», 2003,IV, 444-456.
– A. ELBERTI, La Confermazione nella tradizione della Chiesa latina, Cinisello Balsamo 2003.31
– AA. VV., Baptême unique, églises divisées, in «La Maison-Dieu»
235/2003.32
– A. MAFFEIS, Fides sacramenti. Battesimo e fede nella teologia di Martin Lutero, in: AA.VV., Iniziazione cristiana, (Quaderni Teologici del Seminario di Brescia, vol. 12), Brescia 2002, 61-113.
– P. CASPANI, La confermazione nel BEM, in «La Scuola Cattolica»,
118/ 1990, 131-152.
La processione dello Spirito Santo dal Padre e “dal Figlio”, che apparve in Spagna in occasione del sinodo di Toledo del 589, nonostante il divieto conciliare, come argomento per
combattere l’eresia ariana e per sottolineare maggiormente la consustanzialità del Padre e del
Figlio. Carlo Magno promosse l’uso del Filioque per segnare la rottura con l’impero orientale,
scomunicando i Greci con il sinodo dell’807. L’uso del Filioque si generalizzò con l’imperatore
Enrico II.
30
In particolare il cap. II della Seconda parte: La processione dello Spirito Santo, 165-211; La polemica greco-latina. La teologia di Fozio, anti-latina e anti-filioquista, 213-304.
31
Il Capitolo XX: La confermazione nelle chiese riformate: dal XVI al XX secolo, 471-494.
32
Il numero è monografico. Tra gli articoli segnaliamo: L. SCHWEITZER, Baptême et Cène comme
critères d’ecclésialité dans la tradition baptiste, 47-64. J. MARQUES ELEUTÉRIO, Baptême et église. Approches de l’Orient grec et de l’Occident latin, hier et aujourd’hui, 65-87. M. STAVROU, L’ecclésialité
du baptême des autres chrétiens dans la conscience de l’église orthodoxe, 89-123. P. DE CLERCK, Vers
une reconnaissance de l’ecclésialité du baptême, 137-153.
29
108
– A. CAPRIOLI, Ancora a propostito della confermazione nel BEM. Problemi e prospettive dal punto di vista cattolico, in «La Scuola Cattolica»,
118/1990, 153-163.
Al termine di questa selezionata – e non certo esaustiva – rassegna bibliografica sull’ecumenismo, ci troviamo di fronte a una disciplina che necessita di costante aggiornamento e di approfondimento ecclesiologico per
mantenere vivo il dialogo e seguire anche attraverso diversi sentieri, l’unico
Signore Gesù Cristo.
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Adele Scarnera
ISCSM
Redemptoris Missio Sussidi Missionari
Sm/10
i i
Sussid miss onari
Dati statistici e sfide per la missione
Presentiamo il capitolo finale del volume Dati invisibili e futuro della missione. Eredità sociale, religiosa, ecclesiale del XX secolo, di G. Cavallotto – già
rettore dell’Università Urbaniana e ora vescovo di Cuneo-Fossano, edito presso la Urbaniana University Press, 2006, nella collana di Missiologia.
La Chiesa, per la sua profonda natura missionaria, è chiamata a mettersi sulle vie dell’uomo, “a rendersi presente in modo pieno e attivo a tutti gli uomini e
popoli... a inserirsi in tutti i raggruppamenti umani” per prolungare e sviluppare
“nel corso della storia la missione di Cristo”1. Fedele a sé stessa la Chiesa, per
continuare la missione di Cristo nella storia, deve conoscere e condividere difficoltà, interrogativi, aspirazioni e speranze degli uomini del nostro tempo. Le
condizioni sociali ereditate dal passato, le scelte religiose e, in particolare, la
configurazione delle comunità cattoliche, progressivamente sviluppatesi nel secolo XX, invitano la Chiesa ad interrogarsi sulla sua attività missionaria. Dal
quadro statistico, delineato in precedenza, emergono luci e ombre e si possono
raccogliere alcune sfide che aprono l’evangelizzazione a nuovi orizzonti. I dati
interpellano tutte le confessioni cristiane. La nostra attenzione fa riferimento alla responsabilità e impegno missionario della Chiesa cattolica.
1. II grido degli oppressi
I dati sono eloquenti. La maggioranza della popolazione mondiale vive nella
povertà. Esiste, poi, il dramma della miseria, che significa fame, malattia e
morte prematura. Essa colpisce un quinto degli abitanti della terra. La quasi
totalità dei più poveri si trova nel Sud del mondo. l’elenco degli emarginati ed oppressi è più esteso: 50 mila condannati a morte ogni anno, 29 milioni di emigrati all’anno, 35 milioni di schiavi, 1 miliardo di disoccupati e altrettanti di analfabeti, 1 miliardo e mezzo di individui non possono accedere alle
cure sanitarie, 4 miliardi di persone private di una piena libertà politica e civile
e ad oltre 2 miliardi è negata, in parte o in tutto, la libertà religiosa. Si devono
aggiungere le vittime di conflitti armati, della tortura, degli abusi sessuali, della
prostituzione e delle altre forme di violenza. I soggetti più indifesi sono i minori: alta mortalità infantile in Africa e Asia, molti impossibilitati ad accedere all’i-
CONCILIO VATICANO Il, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad gentes (7 dicembre 1965), 5 e 1011: EV 1. 1097 e 1110-1111.
1
110
RM XXII (2006) 2, pp. 110-116
2. l’apostasia silenziosa
La non-credenza ha assunto espressioni diverse: agnosticismo religioso,
ateismo, indifferenza religiosa. Il non credente, per differenti ragioni, prescinde
da un rapporto con Dio, considerato una presenza irrilevante, se non un’ipotesi
inutile o dannosa. Di fatto vive come se Dio non esistesse. II fenomeno della
non-credenza ha conosciuto progressivamente, nel secolo XX, una rapida accelerazione: da poco più di 3 milioni nel 1900, si è passati ad oltre 900 milioni
nel 2000. Ciò significa che a fine secolo 1 abitante della terra su 7 si considera
non credente. La maggiore presenza di non religiosi e atei si trova in Asia e in
Europa, anche se nell’ultimo decennio si registra una flessione. Il fenomeno ha
conosciuto un significativo sviluppo anche in America del Nord, mentre ha
proporzioni più contenute negli altri continenti. Molti dei non credenti provengono da un’esperienza religiosa e una parte dalla fede cristiana. L’ampiezza del
fenomeno e la sua gravità chiamano in causa la responsabilità missionaria della Chiesa. Occorre conoscerne le cause sociali e culturali, approfondire le ragioni personali della scelta, interrogarsi sull’influenza del comportamento dei
cristiani, prevedere incontri e proposte capaci di suscitare la domanda religiosa e aprire alla salvezza in Cristo.
3. I volti di Dio
All’inizio del XX secolo gli aderenti alle religioni non cristiane costituivano il
65% della popolazione mondiale. A fine secolo si attestano al 51%, pari a poco
più di 3 miliardi. Si può dire che nel 2000 una persona su due aderisce ad una
propria religione, esclusa quella cristiana. Il quadro religioso è multiforme: oltre 9 mila religioni. Quelle numericamente più estese sono una decina: l’in-
GIOVANNI PAOLO Il, Lett. enc. Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), 60: AAS 83
(1991), 308-309.
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Redemptoris Missio Sussidi Missionari
struzione, numerosi orfani, crescenti vittime della fame e delle malattie, della
pedofilia e delle violenze sessuali, dello sfruttamento nel lavoro. Soprattutto
nei paesi in via di sviluppo la situazione è aggravata dell’insostenibile debito
pubblico, dalle esorbitanti spese militari, dall’ingiusta distribuzione delle ricchezze, da una diffusa corruzione.
L’affermazione di Giovanni Paolo II, “la Chiesa nel mondo vuole essere la
Chiesa dei poveri”, impegna le comunità cristiane, in fedeltà allo spirito delle
Beatitudini, “alla condivisione con i poveri e gli oppressi”2. La scelta preferenziale dei poveri, espressa dal Magistero locale e universale, conferma la necessità di una gara di solidarietà di tutti i discepoli del Signore verso i più emarginati, nello stesso tempo esige un fattivo impegno per la trasformazione della
vita sociale, politica ed economica. In nome della dignità di ogni persona, della
carità cristiana e della salvezza di tutto l’uomo l’evangelizzazione non può
ignorare il grido degli oppressi e disinteressarsi della loro liberazione.
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sieme dei loro aderenti supera il 96% di tutti i credenti non cristiani. La più diffusa è l’Islam con un miliardo e 188 milioni di affiliati.
Molti uomini del XX secolo, influenzati da correnti agnostiche e da ideologie anti-teistiche, attratti da una mentalità secolaristica e da un crescente
materialismo, si sono progressivamente allontanati da Dio: in cento anni i
non credenti sono passati dallo 0,2% al 15% della popolazione mondiale. Se
da un lato “il dramma dell’umanesimo ateo”3 ha segnato una parte consistente della popolazione, dall’altro la credenza religiosa resta ancora, a fine secolo, la scelta maggioritaria. Le diverse religioni offrono una risposta alle domande più profonde dell’uomo ed esprimono la sua ricerca di Dio, anche se
la conoscenza del suo Volto rimane imperfetta e velata. Le religioni non cristiane, ricorda Paolo VI, “sono l’espressione viva dell’anima di vasti gruppi
umani... Esse portano in sé l’eco di millenni di ricerca di Dio... Sono cosparse
di innumerevoli “germi del Vangelo” e possono costituire un’autentica preparazione evangelica”4. All’origine della ricerca religiosa si trova la volontà di
Dio, che vuole rivelarsi a tutti i popoli, e l’azione del suo Spirito che opera nell’uomo.
È in questo orizzonte che si colloca e si giustifica il dialogo interreligioso,
considerato “parte integrante della missione evangelizzatrice della Chiesa”5.
Per i cristiani il dialogo con i credenti di altre religioni comporta rispetto della
ricerca personale e dell’azione dello Spirito, si fa ascolto e accoglienza delle
ricchezze dell’altro, diventa testimonianza e annuncio del volto di Dio e del su
piano di salvezza pienamente rivelati in Cristo.
4. Le ombre sulla città
L’esodo dalle zone rurali verso quelle urbane è stato ampio e progressivo.
Nel secolo XX sempre più numerosi sono stati coloro che hanno scelto la città:
nel 2000 la popolazione urbana delle due Americhe, dell’Europa e dell’Oceani
supera il 70% degli abitanti dei propri continenti, mentre a livello mondiale la
percentuale dei cristiani che vivono nelle città raggiunge il 62,7% di tutta la popolazione cristiana. Lo sradicamento dall’originale contesto sociale e religioso,
l’esperienza di anonimato della vita urbana, la precarietà di lavoro, l’impatto
con tradizioni e culture diverse hanno esercitato rilevanti influssi sulla popolazione che ha scelto la città, favorendo il sorgere di nuovi costumi e modelli di
vita, sovente l’abbandono della fede. Di fatto, nonostante lo spostamento dei
cristiani dalle zone rurali a quelle urbane, le città, soprattutto le grandi concentrazioni urbane, diventano sempre meno cristiane. Nei primi tempi della Chiesa l’azione missionaria privilegiò le città, poi la predicazione del Vangelo si diffuse nelle zone rurali. L’odierna situazione demografica e religiosa richiede un
primario impegno di evangelizzazione della popolazione urbana. In particolare,
H. DE LUBAC, Le drame de l’humanisme athée, Ed. Spes, Paris 1945.
PAOLO VI, Esort. apost. Evangegelii Nuntiandi (8 dicembre 1975), 53: AAS 68 (1976),
41-42.
5
GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Missio (7 dicembre 1990), 55: AAS 83 (1991), 302-304.
3
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5. I confini della missione
La Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo a tutti gli uomini, a quelli
che noi lo conoscono e a quanti, dopo una prima accoglienza, se ne sono allontanati. i fine secolo XX i non cristiani superano i 4 miliardi. La presenza
maggiore si incontra in Asia con oltre 3 miliardi e 369 milioni. Segue l’Africa
con 424 milioni di non cristiani. In 56 paesi, tutti asiatici e africani, la percentuale dei cristiani, appartenenti alle diverse confessioni, è inferiore al 15% della
popolazione locale. Se si prendono in considerazione soltanto i cattolici, in 60
paesi, diversamente sparsi in tutto il mondo ad eccezione dell’Oceania, la loro
percentuale è inferiore dei 3% e in altri 44 paesi, distribuiti nei vari continenti, i
cattolici non superano il 15% della popolazione locale.
I dati confermano la validità del criterio geografico della missione ad gentes
rivolta a territori e paesi dove la Chiesa cattolica ha una presenza limitata. Tale
missione interessa numerose e vaste zone dell’Asia e dell’Africa, ma anche territori presenti in tutti i continenti. Nello stesso tempo la scristianizzazione di
molti paesi, confermata soprattutto dall’indifferenza religiosa, dall’abbandono
della pratica religiosa e dalla progressiva diffusione della non credenza, ricordano che la missione non ha confini: essa abbraccia i sei continenti. Ogni Chiesa locale è chiamata a vivere la sua missionarietà che, secondo il contesto,
sarà caratterizzata da priorità e strategie proprie.
6. La tunica lacerata
A fine secolo XX i cristiani nel mondo raggiungono i 2 miliardi. Sono suddivisi in 30 confessioni, ripartiti ulteriormente in circa 40 mila denominazioni.
Nella nostra analisi sono stati riuniti in 6 grandi raggruppamenti. Un fatto evidente resta l’estesa frammentazione del pianeta cristiano. Viene, così, lacerata
l’unità invocata e voluta dal Signore, indebolita la credibilità del Vangelo, ostacolata l’efficacia dell’azione missionaria. È facile intuire l’incomprensione e lo
sconcerto di chi osserva le comunità cristiane, come anche il disagio di molti
cristiani: diatribe incomprensibili, scelte comportamentali non evangeliche,
conflitti di potere, forme aggressive di proselitismo.
Un’attenzione particolare merita la rapida crescita delle Chiese indipendenti,
più diffuse in Asia, Africa e America del Nord, significativamente presenti negli
altri continenti. Contavano 8 milioni di aderenti all’inizio del secolo, hanno raggiunto 385 milioni nel 2000. Differenziate e non omogenee nelle finalità, nei con-
6
Ivi, 37: AAS 83 (1991), 283-284.
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le grandi città diventano “luoghi privilegi ti” della missione della Chiesa6. Il
compito di evangelizzazione si presenta impegnativo e nuovo: suppone accoglienza e solidarietà, richiede contatti pei sonali e testimonianze credibili, rinnovate strategie pastorali e adeguate proposte di annuncio, coinvolgimento
delle comunità cristiane e del laicato.
Redemptoris Missio Sussidi Missionari
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tenuti religiosi e nella loro organizzazione interna, le Chiese indipendenti sono
sorte per ragioni diverse: insofferenza o opposizione verso ogni forma di istituzione centralizzata, accampata esigenza di una migliore inculturazione del Vangelo e valorizzazione delle tradizioni locali, pretesa di una maggiore fedeltà evangelica interpretata secondo propri canoni, non di rado interessi privati e personali dei fondatori, talvolta ragioni politiche. Gli affiliati di queste Chiese più frequentemente provengono da altre confessioni cristiane, perché insoddisfatti della loro esperienza religiosa, o attratti da una proposta più carismatica ed emotiva,
qualche volta allettati dalla speranza di una più concreta solidarietà materiale.
II dialogo con queste Chiese indipendenti incontra particolari difficoltà,
dovute a una loro chiusura difensiva, ad interpretazioni discutibili della tradizione cristiana, talvolta a forme di intolleranza o a un’opposizione aggressiva
verso le altre comunità cristiane. Maggiori sono le difficoltà, più grande dovrebbe essere la ricerca di dialogo, esteso a tutti i cristiani. II modo di essere
Chiesa, mistero di comunione, non può prescindere dal dialogo, in primo luogo con i fratelli della stessa fede. Per questo, sottolinea Giovanni Paolo li,
“evangelizzazione e unità, evangelizzazione e ecumenismo sono indissolubilmente legati”7. Si tratta di una scelta impegnativa e urgente: le comunità cristiane e tutti i discepoli dei Signore sono chiamati a camminare insieme verso
l’unità in Cristo nella preghiera, nella consultazione, nella collaborazione,
nell’apprezzamento reciproco e nella riconciliazione.
7. La pecora smarrita
Nel 1900 i cattolici costituivano il 16,5% della popolazione mondiale, hanno
raggiunto il 18% nel 1970, per poi scendere al 17,5% nel 2000. La flessione degli ultimi decenni non è controbilanciata dalle nuove adesioni registrate nelle
Chiese dell’Africa e dell’Asia. Dal 1990 al 2000 il maggiore abbandono annuale
della fede cattolica si incontra nell’America del Nord (401.765), in America Latina (172.120) e in Europa (60.025). A seconda dei continenti l’abbandono della
fede cattolica si è tradotto nell’adesione ad una Chiesa indipendente, alla Chiesa protestante, alla non credenza. Collegata a quest’ultima scelta è la crescita
dei cristiani “disaffiliati”, che a fine secolo superano i 22 milioni. Si deve, poi,
aggiungere sia il fenomeno della duplice affiliazione, diffusa in tutti i continenti
sebbene più contenuta in Asia, sia il crescente abbandono della pratica religiosa, più esteso in America dei Nord e in Europa. Entrambi i fatti sottolineano
un certo allontanamento dalla fede cattolica.
La responsabilità materna e missionaria della Chiesa non può dimenticare
quanti hanno abbandonato la fede o la pratica religiosa. Essi continuano ad essere suoi figli che con il battesimo ha generato a vita nuova. Con particolare
premura materna la Chiesa è chiamata a prendersi cura di loro attraverso adeguate forme di accoglienza e una nuova evangelizzazione.
GIOVANNI PAOLO Il, Discorso durante la celebrazione ecumenica della Parola nella cattedrale di Paterbon, 22 gennaio 1996, “Insegnamenti” 19 (1996), 1571.
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8. In nome della solidarietà
9. Posti vacanti
Negli ultimi decenni del secolo XX le vocazioni sacerdotali e religiose sono diminuite in modo significativo in America dei Nord e in Europa, in parte
in Oceania, mentre sono cresciute in Africa, in Asia e, più limitatamente, in
America Latina. Là dove si è verificato un incremento di conversioni alla fede
cattolica sono cresciute anche le vocazioni. In generale, però, il tasso di crescita della popolazione cattolica è stato superiore a quello delle vocazioni. Se
si opera un raffronto fra il 1970 e il 2000, si nota che in tutti i continenti il
numero dei cattolici per sacerdote e per religiosi è cresciuto sensibilmente. È
realistico ritenere che tale tendenza continuerà. La Chiesa avrà sempre più
bisogno di nuovi e diversificati operatori. Una progressiva minor presenza di
sacerdoti e di religiose in rapporto alla popolazione cattolica richiede una ridefinizione dei loro compiti nell’attività pastorale ed evangelizzatrice, nello
stesso tempo appare sempre più impellente la necessità di un maggiore
coinvolgimento del laicato cattolico attraverso la promozione di servizi e ministeri laicali: catechisti e primi annunciatori del Vangelo, animatori della liturgia e operatori missionari, educatori, guide spirituali e consulenti familiari, responsabili di piccole comunità cristiane e coordinatori dei servizi caritativi e altri operatori nelle comunità cristiane. La partecipazione dei laici alla
vita e all’evangelizzazione della Chiesa, resa più urgente dalla diminuzione
dei sacerdoti e delle persone di vita consacrata, è primariamente fondata sulla vocazione missionaria di ogni cristiano radicata sul battesimo e confermazione.
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La missione della Chiesa si estende al mondo intero. Ogni comunità cristiana è chiamata a vivere la missionarietà nel proprio contesto e, nello stesso tempo, a prendere parte alla missione universale della Chiesa. Nel quadro
mondiale dell’evangelizzazione due dati richiamano l’attenzione. Anzitutto
l’esistenza di estese aree geografiche con una rilevante presenza di cattolici
ma con una scarsità di personale e mezzi. Un dato rivelatore, a fine secolo, è
il rapporto fra numero di fedeli e presenza del sacerdote: in America del
Nord e in Europa si ha un sacerdote per circa 1.300 cattolici, che in Africa diventano oltre 4.400 e in America Latina superano i 7.350. La solidarietà missionaria richiede di ripensare alla distribuzione del clero, senza dimenticare
un’adeguata condivisione di risorse e beni. Un secondo dato si riferisce ai
paesi dove la percentuale dei cattolici è inferiore al 3%. Le nazioni sono 61, in
molte delle quali è insignificante anche la presenza dei cristiani di altre confessioni. Sovente questi paesi, carenti di evangelizzatori e mezzi, sono più
trascurati dalla solidarietà: missionari e aiuti materiali sono inviati di preferenza a paesi e a Chiese che, pur bisognose, dispongono già di una maggiore ricchezza dì personale. Tale scelta è dovuta a ragioni diverse: a ostacoli
politici, a difficoltà linguistiche e logistiche, talvolta a una inadeguata conoscenza della precaria situazione ecclesiale-missionaria dei paesi limitatamente evangelizzati.
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10. Direzioni sud ed est
In termini assoluti, durante il secolo XX, i cattolici sono cresciuti in tutti i
continenti con una diversa distribuzione. Nel 1900 i cattolici europei costituivano il 68% di tutta la popolazione cattolica. Nel 2000 oltre il 66% della popolazione cattolica si trova nel Sud del mondo e in Asia. Questo spostamento del
baricentro dei cattolici apre nuovi orizzonti e rinnovati compiti per la Chiesa e
la missione. Sono chiamate in causa la riflessione teologica, l’organizzazione
ecclesiale, la catechesi e la formazione cristiana, l’inculturazione del Vangelo,
della fede e della vita liturgica. In fedeltà alla Sacra Scrittura e alla Tradizione
ecclesiale occorre promuovere un Cristianesimo dal volto africano, asiatico,
latinoamericano. Sono coinvolti pastori, teologi, missiologi, operatori della
pastorale e gli stessi fedeli laici. In particolare, la crescita di sacerdoti, religiose
e catechisti pone il problema di un’adeguata formazione. Di qui la necessità di
sufficienti e qualificati maestri, rinnovati percorsi formativi, idonee strutture e
adeguati mezzi. Questo impegnativo compito formativo è proprio delle Chiese
locali che devono poter contare sulla solidarietà di altre Chiese.
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