pdf Corte d`Appello di Milano, sentenza 5 marzo 2015 n. 1035

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pdf Corte d`Appello di Milano, sentenza 5 marzo 2015 n. 1035
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI MILANO
SEZIONE II CIVILE
Il Collegio composto da:
Nicoletta Ongania - Presidente
Vinicia Calendino - Consigliere
Maria Caterina Chiulli - Consigliere relatore
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 77/2013 r.g. Promossa da:
An.Di., rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, dagli avvocati Ma. ed E.,
elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Piazza (...);
Attrice/Appellante
Contro:
Fondazione (...) in persona del legale rappresentante prof. Um. rappresentata e difesa ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. prof. Lo. in Pavia, Via (...)
Convenuta/Appellata
e contro:
Dott. Vi.Za., rappresentato difeso ed elettivamente domiciliato presso e nello studio dell'avv.
Ma.Gi., Corso (...)
Convenuta/Appellante incidentale
FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI NELL'INTERESSE DELL'ATTRICE
AN.DI. DA FAR PARTE INTEGRANTE DEL VERBALE DI UDIENZA DEL 15.10.2014.
L'avv. Ma. e l'avv. Em., procuratori in giudizio della signora An. previa declaratoria di non
accettare il contraddittorio su eventuali nuove domande o eccezioni ex adverso proposte precisano
le seguenti
CONCLUSIONI
Piaccia all'Ecc.ma Corte di Appello adita, rigettate le domande di appello incidentali, rigettate ogni
contraria domanda deduzione e/o eccezione, in riforma parziale dell'impugnata sentenza non
notificata n. 352/2012 del Tribunale di Pavia emessa in data 4 maggio 2012, depositata in
cancelleria in data 29 maggio 2012, e resa nella causa civile iscritta al n. r.g. 2105/2006 affari
contenziosi civili del predetto Tribunale di Pavia:
In via principale nel merito: riformare la sentenza nella parte in cui riconosce la corresponsabilità
della signora …. nella misura di un terzo in accoglimento delle deduzioni e delle argomentazioni
esposte nel presente atto ed in particolare con riguardo a quanto dedotto nel primo motivo di appello
(sul comportamento rilevante ai fini dell'art. 1227 c.c.; sulla contestazione della presunta mancata
presentazione al controllo del 16 giugno 2004: sullo spostamento a Pavia e sulle presunte lesioni da
grattamento, sulla incidenza causale di un terzo per inesistenza della corresponsabilità della signora
Di.) e per l'effetto condannare la Fondazione (...) in persona del legale rappresentante pro tempore
ed il dott. Vi., in solido tra loro, al risarcimento in favore della Signora An. del maggior quantum a
lei spettante e dell'ulteriore risarcimento di tutti i danni a lei dovuti, (già richiesti in primo grado)
anche in via equitativa in accoglimento dei motivi esposti nel presente atto in particolare nel quarto
motivo di appello (valutazione e determinazione del quantum liquidato) avendo anche provveduto a
dichiarare la irrilevanza/invalidità/inutilizzabilità della testimonianza resa dalla dott.ssa El. per la
sua incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. nel giudizio di primo grado e provveduto a disporre
di ufficio l'audizione ex art. 257 co. 1 c.p.c. del teste dott. Ro. per tutto e come quanto esposto nel
secondo motivo di appello in riforma delle parti della sentenza evidenziate.
Sempre in via principale nel merito: riformare parzialmente la sentenza nella parte in cui il Giudice
di primo grado ha ritenuto assolto da parte dei convenuti al dovere/obbligo del consenso informato
e pertanto condannare la Fondazione (...) in persona del legale rappresentante pro tempore ed il dott.
Vi., in solido tra loro, al risarcimento in favore della Signora An. al risarcimento anche per tale voce
di danno per i motivi tutti indicati nel terzo motivo di appello.
Sempre in via principale nel merito ancora in ordine al quarto motivo di appello: riformare
parzialmente la sentenza in ordine al quantum liquidato nella parte in cui non è stata disposta in
primo grado la CTU Psichica e per l'effetto condannare la Fondazione (...) in persona del legale
rappresentante pro tempore ed il dott. Vi.Za., in solido tra loro al risarcimento in favore della
Signora An. al risarcimento anche per tale voce di danno per i motivi tutti indicati nel quarto motivo
di appello.
Sempre in via principale nel merito ed in orni caso: riformare parzialmente la sentenza nella parte in
cui non ha tenuto conto di tutte le voci di danno (già richiesti in primo grado) e pertanto condannare
la Fondazione (...) in persona del legale rappresentante pro tempore ed il dott. Vi., in solido tra loro,
al risarcimento in favore della Signora An. all'ulteriore risarcimento di tali voci per tutti i motivi
tutti indicati nel quarto motivo di appello.
In via subordinata: nella denegata e non creduta ipotesi di conferma della sentenza di primo grado
in ordine alla corresponsabilità della signora Di., dichiarare tale corresponsabilità limitata al decorso
post operatorio del terzo intervento fai periodo di degenza che va dal 21/06/2004 al 5/7/2004) sulla
percentuale di danno biologico dimezzata atteso che l'eventuale concorso ha comunque riguardato il
solo seno sinistro mentre la percentuale di danno biologico riguarda entrambi. Comunque liquidare
l'intera percentuale di danno biologico accertata in primo grado in aggiunta alla spesa futura per
l'intervento di rimodellamento, oltre alla liquidazione di tutti i danni già richiesti in primo grado e
per l'effetto condannare la Fondazione (...) in persona del legale rappresentante pro tempore ed il
dott. Vi., in solido tra loro, al maggior quantun in favore della Signora An.Di. per tutti i motivi tutti
indicati nel quarto motivo di appello.
In via istruttoria come richiesto nelle conclusioni rassegnate e qui meglio precisate: dichiarare la
irrilevanza/invalidità/inutilizzabilità della testimonianza resa dalla dott.ssa Elisabetta Scoccia per la
sua incapacità a testimoniare ex art. 246 c.px. nel giudizio di primo grado e disporre di ufficio
l'audizione ex art. 257 co. 1 c.p.c. del teste dott. Ro. per tutto e come quanto esposto nel secondo
motivo di appello. Disporre altresì CTU Psichica per tutto e come quanto esposto nel quarto motivo
di appello.
Con vittoria di spese, spese forfettarie 15% ed onorari di entrambi i gradi di giudizio oltre C.P.A. ed
IVA come per legge.
Roma, 15 ottobre 2014
FOGLIO DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI
nell'interesse di (...),
appellata
contro
Sig.ra An.Di. con gli Avv.ti Ma. ed Em.,
appellante
nonché contro
Dott. Vi.Za. con l'avv. Ma.;
- appellato
Piaccia all'Ecc.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza, eccezione e difesa reietta, previa
ogni declaratoria del caso,
- in via principale, nel merito
1. respingere le domande formulate dall'appellante in parte de qua e, per l'effetto, sempre in parte de
qua, confermare la sentenza di primo grado;
- sempre in via principale, nel merito
2. accogliere l'appello incidentale proposto dalla Fondazione per i motivi di cui alla comparsa di
costituzione in appello e, per l'effetto, riformare in parte de qua la sentenza di primo grado,
mandando assolta la Fondazione da ogni responsabilità e condanna.
- in ogni caso
3. con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio, oltre CPA e IVA, come
per legge.
Salvis juribus.
Milano, 15 ottobre 2014
MOTIVI DELLA DECISIONE
La signora An.Di. conveniva in giudizio la Fondazione (...) e il dottor Vi. perché, accertata e
dichiarata la responsabilità dei convenuti, gli stessi venissero condannati, in via esclusiva o
concorrente, al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per la complessiva somma di
Euro 260.000. Rappresentava l'attrice di aver subito quattro interventi chirurgici di mastoplastica
riduttiva bilaterale, eseguiti dal dottor Za. della Fondazione (...), i quali non avevano portato ad altro
che al deturpamento ed alla menomazione della parte operata.
La signora Di. era stata ricoverata il 9 dicembre 2003 presso la struttura sanitaria per essere
sottoposta, due giorni più tardi, ad un intervento chirurgico di mastoplastica riduttiva bilaterale in
gigantomastia, con fini terapeutici rispetto alla rachialgia diffusa con dorso curvo e scoliotico. Si
erano resi necessari ulteriori tre interventi chirurgici (il 9 febbraio 2004; il 4 giugno 2004; il 5 luglio
2004) che avevano comportato dei gravi danni deformanti, in particolare al seno sinistro, per la
donna, all'epoca di soli 28 anni.
Si costituivano le controparti le quali chiedevano il rigetto delle domande avversarie, in quanto
l'intervento adottato era stato adeguato rispetto alle indicazioni terapeutiche e gli eventi infettivi
successivi non erano attribuibili ad una malpractice sanitaria.
Dopo l'espletamento di una C.t.u. medico-legale e l'esaurimento della fase istruttoria, il giudice di
prime cure condannava le parti convenute in solido al risarcimento in favore dell'attrice della
somma di Euro 32.314, oltre interessi compensativi, dopo aver riconosciuto un concorso di colpa in
capo all'attrice pari ad un terzo.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale la Di. per la parte relativa al riconoscimento del
concorso di colpa della appellante; in riferimento alla mancata condanna per la responsabilità degli
appellati conseguente alla mancanza del consenso informato; in relazione alla non ravvisata
personalizzazione del danno, come pure alla assenza di riconoscimento di un pregiudizio di
carattere psicologico, attese le condizioni della paziente, già affetta da crisi depressive.
Si costituivano anche gli appellati, i quali spiegavano appello incidentale ritenendo che il giudice di
prime cure avesse pronunciato ultra petita in relazione alla domanda svolta dalla parte danneggiata,
in quanto la predetta in primo grado aveva configurato la richiesta di danni come circoscritta e
discendente da una responsabilità sanitaria per una imperita adozione ed esecuzione dell'intervento
chirurgico, ritenuto invece dal C.t.u. correttamente effettuato.
Inoltre venivano contestate le risultanze della C.t.u., non consequenziali rispetto alle emergenze
probatorie.
La causa veniva trattenuta in decisione alla udienza del 15/10/2014 con contestuale assegnazione di
termini per comparse conclusionali e memorie di replica.
Con il primo motivo di impugnazione la signora Di. ha censurato il capo della sentenza che accerta
e dichiara il concorso colposo della stessa attrice nella determinazione dell'evento dannoso.
Lamenta l'appellante che il giudice di primo grado non avrebbe precisato se il comportamento
dell'attrice abbia assunto rilevanza in virtù del primo o invece del secondo comma dell'articolo 1227
codice civile.
L'attività svolta dal secondo C.t.u., dottor Mo., avrebbe costituito secondo la appellante un'indagine
incentrata sull'accertamento dell'ordinaria diligenza da parte della Di., quale contemplata nel
secondo comma della norma invocata, e per tale ragione la questione non poteva essere posta
d'ufficio dal giudice, essendo necessaria un'eccezione di parte in senso proprio, nella fattispecie mai
sollevata.
Ne doveva quindi discendere che il giudice non avrebbe potuto riconoscere, in seguito agli
accertamenti peritali, il concorso di colpa della appellante. In realtà il Tribunale ha disposto la
verifica tecnica con la finalità di attestare una eventuale negligenza della Di., nel comportamento
post operatorio tenuto, con incidenza o concorso causale nella produzione dell'evento dannoso.
L'ipotesi può quindi rientrare nell'ambito del primo comma dell'articolo 1227 cc, vale a dire il fatto
colposo del creditore che ha concorso a cagionare il danno; tanto emerge anche dal quesito quale
formulato dal giudice di prime cure al secondo perito nominato, dottor Mo., quesito nel quale si fa
specifico riferimento all'ipotesi normativa sopra indicata, correttamente ritenuta dal Tribunale
valutabile anche d'ufficio.
La parte appellante sostiene inoltre che, quanto al controllo del 16 giugno 2004, in ordine al quale è
stato accertato il concorso colposo in parola, atteso che la paziente non si sarebbe presentata alla
visita, che lo stesso non sarebbe mai stato fissato.
Non era vero quanto sostenuto dal giudice di prime cure che la circostanza non sarebbe stata
contestata dall'attrice.
Al contrario già nel verbale dell'udienza del 27 novembre 2009 la difesa della Di. rilevava come
dalla scheda di dimissioni allegata alla Cartella clinica, datata 14 giugno 2004, si leggesse
testualmente che la paziente doveva essere controllata dopo un mese.
Analoghe contestazioni venivano sollevate dopo il deposito della integrazione della consulenza
tecnica, nella quale il dottor Mo. evidenziava come al momento delle dimissioni non fosse stata
prescritta alcuna terapia antibiotica, ma unicamente un visita a distanza di un mese.
Inoltre, dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado, l'appuntamento del 16 giugno
2004 non risultava se non riportato in sede di anamnesi patologica nella quarta cartella clinica, al
momento dell'ulteriore ricovero, successivo al preteso appuntamento di controllo. Nelle cartelle
cliniche quindi, depositate in copia integrale con la specifica del numero dei fogli, progressivamente
numerate e timbrate, per cui nessuna pagina risultava mancante, così come dalle cartelle cliniche
prodotte anche dal dottor Za., non vi è traccia di questo modulo, cui fanno riferimento le difese
degli attuali appellati, da cui emergerebbe la prescrizione di un controllo al 16 giugno 2004.
Anche la esibizione del modulo al consulente tecnico, come sostiene la difesa Za., non risulta
dall'elaborato peritale, dove viene annotato come allegato solo il retro del consenso informato
relativo al terzo intervento. D'altra parte anche la stessa difesa dell'appellato da ultimo indicato, che
sostiene che forse la cartella clinica è stata fotocopiata in maniera incompleta, senza tuttavia essere
in grado di attestare in maniera certa tale circostanza che vuole ritenere provata, deve finire per
confermare che l'appuntamento ed il relativo modulo non risultano agli atti e che quindi la visita di
controllo fissata a due giorni dalle dimissioni non risulta affatto verificata probatoriamente. Né tale
prova può essere ricavata dal fatto che l'esistenza del preteso appuntamento di controllo è stata
riportata nella ricostruzione storica della anamnesi clinica della cartella relativa al quarto successivo
intervento. Si deve quindi ritenere non provato che il profilo di concorso di colpa della parte attrice,
come ha sostenuto il Tribunale, possa essere ravvisato nella mancata presentazione della stessa alla
visita di controllo fissata con l'appuntamento del 16 giugno 2004, atteso che non è stata raggiunta la
prova che i sanitari tale appuntamento avessero fissato.
Tuttavia l'esclusione di tale profilo di responsabilità non consente di ritenere assente alcun
comportamento colposo concorrente della paziente. Si deve difatti rilevare come la stessa, dimessa
dalla struttura sanitaria in data 14 giugno 2004, faceva ritorno al suo luogo di residenza, distante
circa 1000 km, e che in data 18 giugno 2004 si manifestò la complicanza della "deiscenza di sutura
chirurgica del solco sotto mammario sinistro".
In quel frangente la Di. si recò dal dottor Ci., che redasse il certificato medico prodotto agli atti, nel
quale il sanitario riferiva che le condizioni generali e locali della paziente erano nella norma, fatta
eccezione per la piccola diastasi di 2/3 mm a livello del solco sotto mammario sinistro, nella parte
centrale.
Di fronte a tale situazione di allarme, che avrebbe reso necessaria un'immediata verifica presso gli
specialisti, la Di. lasciò passare altro tempo ed al momento della visita del 21 giugno l'attrice si
presentò presso la Fondazione (...) senza la protesi nella mammella sinistra. Inoltre la paziente non
risultava in grado di dare una versione coerente della singolare situazione, avendo riferito al primo
c.t.u. di aver probabilmente perso la protesi durante il viaggio in treno, mentre, attraverso la
deposizione testimoniale della madre della Di., tendeva la difesa a dimostrare, in modo peraltro
alquanto impreciso e confuso, che la protesi era stata asportata dallo stesso Dott. Za. nel corso della
medicazione.
Il dottor Ci. aveva quindi messo in luce la necessità di intervenire prontamente; ciò nonostante la
Di. lasciò trascorrere ulteriori tre giorni prima di presentarsi a Pavia, pur in presenza di un
conclamato processo infettivo e quindi di un quadro in cui l'attesa di alcuni giorni è stata
giustamente ritenuta dal giudice di prime cure comportamento del tutto inadeguato rispetto alla
situazione sanitaria in essere, definita urgente dal medico che la aveva visitata.
A tanto deve essere aggiunto che in sede di controllo sono state accertate, e non sono contestate,
lesioni da grattamento, che devono essere valorizzate nella valutazione del complessivo
comportamento dell'attrice a tutela della propria salute.
Ne consegue che in punto concorso colposo della paziente in riferimento alla nuova infezione dei
tessuti, dopo il terzo intervento, la sentenza di primo grado deve essere confermata laddove ha
sostenuto che la cooperazione sussista in quanto provocata dal comportamento della Di., sia nel non
sottoporsi prontamente ad accertamento specialistico dopo la segnalazione dell'urgenza da parte del
dottor Ci.; sia nel comportamento e nell'azione meccanica (grattamento) sulla zona chirurgicamente
trattata.
La parte appellante lamenta anche che il primo giudice non abbia ravvisato gli estremi per il
riconoscimento del risarcimento del danno conseguente alla mancanza del consenso informato in
relazione a tutti gli interventi, ad eccezione del terzo.
Dall'esame degli atti prodotti si deve rilevare la presenza unicamente di un modulo generico,
adattabile a tutti gli interventi chirurgici, sottoscritto dalla paziente ma non dal medico e non datato.
Inoltre in cartella è inserito altro modulo, datato ma non sottoscritto dalla paziente, che riguarda
l'intervento di inserzione di protesi mammaria, ma non di mastoriduzione.
Su tale base documentale deve essere pertanto ritenuto che l'intervento sia stato effettuato senza
adeguata informazione, di talché, ad eccezione del consenso tenuto in occasione del terzo
intervento, l'inadeguatezza dei moduli utilizzati non consente di ritenere che si sia formato un valido
consenso alle pratiche sanitarie operate nei confronti della Di. Difatti la correttezza
dell'informazione preliminare da rendere al paziente impone al medico di essere preciso ed
esauriente sulla natura della malattia, sulle reali indicazioni e controindicazioni della prestazione
sanitaria che egli va ad effettuare, sui rischi ad essa legati, sugli obiettivi perseguiti. L'assenza di un
valido consenso integra quindi un comportamento colposo da parte dei sanitari, di grave negligenza,
in quanto viola il diritto di autodeterminazione del paziente e la sua consapevole adesione al
trattamento proposto dal medico.
Il medico che sottoponga il paziente a un intervento chirurgico in assenza di consenso informato,
ovvero di uno diverso ed ulteriore rispetto a quello in relazione al quale sia stato prestato il
consenso informato, risulterà responsabile per omessa o inesatta informazione anche quando il
trattamento medico sia stato eseguito correttamente, in quanto l'obbligo di informazione è rivolto a
tutelare la libertà di autodeterminazione del paziente, che è diritto autonomo e distinto rispetto a
quello alla salute, comportando quindi una autonoma voce risarcitoria anche in assenza di danno
biologico. Tuttavia per addossare al medico le conseguenze della omessa informazione risulta
comunque necessario che il paziente dimostri, anche in via presuntiva, che non si sarebbe sottoposto
al trattamento medico qualora fosse stato adeguatamente informato, non potendosi altrimenti
affermare la sussistenza di un nesso di causalità tra la violazione (omessa informazione) ed il bene
giuridico che si assume leso (la salute).
Non soltanto andrà quindi verificata la sussistenza di un nesso eziologico in relazione al rapporto di
consequenzialità tra l'intervento terapeutico ed il pregiudizio alla salute, ma si dovrà anche
verificare un nesso causale tra l'attività omissiva del medico per non avere informato il paziente e
l'esecuzione dell'intervento.
In altre parole il paziente deve dimostrare che l'adempimento da parte del medico dei suoi doveri
informativi avrebbe prodotto l'effetto della non esecuzione dell'intervento chirurgico dal quale,
anche eventualmente senza colpa di alcuno, è derivato poi lo stato patologico, nel senso che
l'intervento chirurgico sarebbe stato dal paziente rifiutato (Cass. 2847/2010, Cass. 16394/2010).
Nel caso che occupa la difesa dell'appellante non ha dimostrato ma neppure allegato che, qualora
fosse stata correttamente informata delle eventuali complicanze che l'intervento chirurgico poteva
comportare, non si sarebbe sottoposta all'operazione.
Ne consegue che la voce di danno richiesta non può essere riconosciuta ed il relativo motivo di
appello va disatteso.
Dovrà inoltre essere respinto il quarto motivo di appello principale, relativo alla mancata
ammissione di una C.t.u. psicologica, che il Tribunale ha ritenuto rivestire fine esplorativo.
Difatti la documentazione clinica prodotta ha attestato un quadro psicologico segnato da una forma
depressiva che non è dimostrato avere alcuna forma di correlazione o dipendenza rispetto alla
vicenda eli causa.
Sono altresì da confermare anche le statuizioni del Tribunale relativamente alla quantificazione del
danno non patrimoniale, senza specifica personalizzazione dello stesso, avendo ritenuto il giudice di
prime cure che dall'applicazione delle tabelle milanesi lo stesso, nella sua ampia accezione di
pregiudizio psichico, estetico, esistenziale e morale, fosse già stato ricompreso nei valori
riconosciuti.
La personalizzazione è stata correttamente esclusa, non ricorrendo nel caso di specie i presupposti
di fatto che giustificassero una particolare maggiorazione dei termini monetari già riconosciuti.
Corretto anche il calcolo del risarcimento sulla base della valutazione medico legale della Invalidità
temporanea e della Invalidità permanente, quest'ultima valutata dal Tribunale tenuto conto
dell'invalidità che residuerà dopo l'intervento di rimodellamento del seno sinistro, suggerito dalla
C.t.u. ed al quale la Di. ha dichiarato di volersi sottoporre.
Difatti, liquidare il risarcimento sulla base dello stato attuale dell'appellante principale, laddove tale
situazione risulta parzialmente emendabile con un intervento che la paziente stessa intende
effettuare, comporterebbe una liquidazione superiore al pregiudizio finale effettivamente subito. Gli
appellati hanno anche spiegato appello incidentale, avendo ritenuto che il giudice di primo grado
sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione, in quanto la paziente avrebbe prospettato come
responsabilità dei sanitari e come loro inadempimento solo una malpratice tecnico chirurgica,
ovvero l'impiego di "una tecnica non idonea di mastoplastica riduttiva" che avrebbe comportato
complicanze tali da rendere necessarie ulteriori operazioni di revisione chirurgica, e dunque una
tecnica operatoria imperita.
Al contrario il Tribunale avrebbe basato la propria decisione sulla base della criticità della
prestazione sanitaria, ma in riferimento al trattamento delle complicanze infettive del primo e del
terzo intervento.
Dalla C.t.u. risultava che nessun profilo di colpa poteva essere mosso in relazione alla tecnica
chirurgica adottata e che le complicanze successive" steatonecrosi del grasso mammario ed
infezione della ferita chirurgica alla mammella sinistra" erano del tutto indipendenti dalla tecnica
operatoria utilizzata.
Di conseguenza il giudice di prime cure non avrebbe potuto accogliere la domanda attrice, dando
libero ingresso ad un tema differente rispetto a quello dalla Di. allegato.
In merito non si possono che condividere le argomentazioni spese dal giudice di prime cure, il quale
ha rilevato come, se è vero che il preteso danneggiato deve qualificare l'inadempimento che pone a
base della propria richiesta risarcitoria, con l'onere di allegare i profili concreti di colpa medica
posti a fondamento della domanda, tale onere non si spinge sino alla necessità di enucleazione e di
indicazione di specifici peculiari aspetti tecnici di responsabilità professionale, conosciute e
conoscibili soltanto dagli esperti di settore.
Nello specifico, nell'atto di citazione la parte attrice lamentava "la povertà della tecnica usata dal
equipes medica del dottor Za." e l'utilizzo di "una tecnica non idonea di mastoplastica riduttiva";
tuttavia nella parte descrittiva dei fatti e nella illustrazione della sequenza degli interventi dei
ricoveri, la Di. evidenziava gli intervenuti esiti cicatriziali, con fuoriuscita di secrezione sierosa
giallastra, e poneva tale evidente episodio infettivo" in connessione causale cori gli interventi subiti,
con l'ulteriore decorso delle cure ed il verificarsi dei lamentati danni fisici e psicologici.
D'altro canto i convenuti hanno avuto dato modo di comprendere in maniera compiuta l'estensione
delle censure mosse al loro operato e di conseguenza la loro difesa è stata pertinente ed articolata.
Gli appellati contestano anche le risultanze della c.t.u.
In merito si deve rilevare come il giudice abbia ritenuto compiutamente motivati gli accertamenti
tecnici eseguiti dal primo perito nominato e, in conseguenza delle contestazioni che si erano
verificate nel corso delle operazioni peritali, ha deciso altresì di conferire un ulteriore supplemento
di consulenza ad altro specialista, il quale non giungeva a valutazioni difformi rispetto a quelle del
primo perito, in particolare in riferimento alla inadeguatezza della terapia adottata, dapprima non
prescritta e successivamente errata nella scelta dell'antibiotico, non mutato neppure dopo aver avuto
a disposizione l'antibiogramma su due germi isolati.
La presenza della sofferenza areolare, evidenziatasi sin dal 14 ottobre 2003, ed annotata ancora al
momento delle dimissioni, non era stata tenuta in doverosa attenzione dai sanitari al fine di
verificare l'origine di tale sofferenza ed offrire alla paziente precise indicazioni terapeutiche e di
comportamento.
Si deve quindi concordare con il Tribunale laddove ha ritenuto che anche in merito a tali profili ed
al trattamento dell'infezione le parti convenute non abbiano assolto all'onere probatorio di
dimostrare di aver adottato ogni possibile cautela per risolvere adeguatamente la situazione.
D'altro canto, se complicanze colpevoli nel decorso post operatorio non si fossero verificate, già il
primo intervento avrebbe dovuto far conseguire i risultati previsti e non sarebbero stati necessari i
successivi ricoveri, di talché non si può non mettere in connessione causale il comportamento non
corretto dei sanitari con le sofferenze patite dalla parte attrice.
Le parti appellati sostengono che nessun valore probatorio, al fine di riconoscere una colpa dei
sanitari nella cura della appellante, rivestirebbe la certificazione medica del dottor Ci., visto che lo
stesso non sarebbe stato sentito come teste.
Il profilo di doglianza appare inconferente.
Per un verso perché il certificato costituisce comunque prova documentale legittimamente versata
nel processo; per altro perché sono le stesse difese della Fondazione e del dottor Za. a sottolineare
l'attendibilità della teste Sc., presente il giorno in cui fu effettuata la medicazione del 21 giugno, la
quale ha anche confermato la telefonata intervenuta tra il chirurgo pavese ed il dottor Ci.
La teste infatti riferiva di aver assistito alla conversazione, sentendo quello che rispondeva il dottor
Za.
Quindi la visita della Di. da parte di quest'ultimo ed il contenuto degli accertamenti clinici dallo
stesso effettuati possono trovare ulteriore riscontro, oltre che nel contenuto del certificato, anche in
quello della deposizione della teste Sc.
L'appello principale e incidentale devono essere quindi respinti e la sentenza di primo grado deve
essere integralmente confermata.
La soccombenza reciproca giustifica l'integrale compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte, definitivamente pronunciando nel contraddittorio fra le parti, ogni contraria istanza,
domanda, eccezione disattesa, così decide:
Respinge l'appello principale e l'appello incidentale e per l'effetto conferma in ogni sua parte la
sentenza impugnata n. 352/2012 del Tribunale di Pavia.
Dichiara interamente compensate le spese di lite.
Così deciso in Milano, il 20 gennaio 2015.
Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2015.