titolo: AI LIMITI DELLE POSSIBILITA` DI SCELTA

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titolo: AI LIMITI DELLE POSSIBILITA` DI SCELTA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
Dipartimento di Diritto Comparato
Corso di Perfezionamento in Bioetica
A.A. 2009/2010
AI LIMITI DELLE
POSSIBILITA’ DI SCELTA
ANALISI ETICA DI UN CASO CLINICO
NEL CONTESTO DELLA VITA
NASCENTE
Maria Cristina Bazan
Padova, 24 Settembre 2010
Alla mia Amica Anna
Indice
Premessa
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1. Presentazione del caso clinico
7
2. Dati clinici
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2.1. Aspetti medici
2.2. Aspetti personali e relazionali
2.3. Aspetti culturali
3. Responsabilità
3.1. Responsabilità degli operatori socio-sanitari
3.2. Comprensione e consapevolezza e del paziente
3.3. Responsabilità dei servizi sociali
4. Problemi etici
4.1. Problemi etici sollevati dal caso
4.2. Problema etico più importante
5. Scelte possibili
5.1. Scelte possibili per il problema etico più importante
6. Giudizio etico
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13
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16
20
22
23
23
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27
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6.1. Scelta in linea di principio
6.2. Scelta effettiva
28
30
Considerazioni personali a conclusione del lavoro svolto
31
Bibliografia
32
Ringraziamenti
34
Premessa
Il presente lavoro di tesi consiste nell’analisi etica di un caso clinico tratto
dall’esperienza della pratica clinica del reparto di Patologia Neonatale dell’Ospedale
Ca’ Foncello di Treviso vissuta negli ultimi anni.
Sempre più spesso i medici operanti sul fronte del nascere devono sapersi confrontare
con situazioni critiche e assumere decisioni delicate in contesti clinici e umani molto
complessi. La molteplicità e la criticità degli aspetti presenti nei problemi etici, rende
evidente la necessità di uno schema strutturato per l’analisi dei casi clinici al fine di
organizzare logicamente l’analisi etica e di raggiungere il più possibile un consenso
condiviso nelle decisioni, all’incontro tra problemi particolari e principi generali.
Lo schema che viene utilizzato per questo lavoro presuppone innanzitutto un’attenta
raccolta dei dati clinici, che comprendono gli aspetti medici, con riferimento alla
diagnosi, prognosi e trattamenti possibili, gli aspetti personali e relazionali della vita
del paziente e gli aspetti culturali relativamente al contesto sociale. Tutti questi fattori,
da quelli strettamente medici a quelli più umani, contribuiscono, in maniera
complementare, alla comprensione globale del caso clinico in analisi.
Il passo successivo consiste nello stabilire le responsabilità dei soggetti coinvolti in
merito: al ruolo degli operatori socio-sanitari, la consapevolezza del paziente della sua
situazione, al coinvolgimento della famiglia, alle responsabilità dei servizi sociali.
Terzo passo consiste nell’individuare i problemi etici che il caso presenta. Spesso le
questioni etiche sono molto complesse per la molteplicità dei valori in gioco; è tuttavia
importante identificare qual è il problema etico più importante attorno a cui ruota la
situazione clinica del paziente.
A questo punto si tratta di proporre le soluzioni possibili e in seguito formulare e
giustificare il giudizio etico in linea di principio e in riferimento all’esperienza.
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1.
Presentazione del Caso Clinico
La signora Giovanna* e il signor Carlo Rossi* e sono una giovane coppia attorno ai 3035 anni, italiani, ben integrati nel contesto socio-culturale del territorio. Hanno una
figlia in età scolare e sono in attesa della secondogenita, voluta e concepita
naturalmente.
La gravidanza, seguita presso un ospedale periferico, decorre in maniera fisiologica e
regolare, fino alla 22^+4, data in cui avviene una PPROM (Preterm Premature
Rupture of the Membranes).
Al reparto di Patologia Neonatale dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso viene fatta
richiesta di trasferimento in utero, approssimando l’età gestazionale (E.G.) a 23^
settimane per poterne garantire l’accettazione.
All’arrivo nel reparto di Ostetricia dell’ospedale Ca’ Foncello si raccolgono i seguenti
dati:
•
conferma dell’età gestazionale (E.G. clinica confermata dall’E.G. ecografica) a
22^+4;
•
conferma di avvenuta PPROM;
•
assenza completa di liquido amniotico (oligoidramnios);
•
eco fetale con flussimetria normale;
•
assenza di segni di infezioni da parte della madre.
Il quadro clinico della paziente risulta critico, complicato dal fatto che temporalmente
si situa in un’epoca gestazionale di “soglia”, in cui le possibilità di vita del feto
dipendono fortemente dall’età gestazionale e dalle condizioni cliniche dello stesso.
Essendovi estrema incertezza prognostica in questa fase della gravidanza, le
indicazioni di intervento rimandano all’analisi del caso specifico lasciando libero uno
spazio decisionale.
Clinicamente la situazione della paziente comporta:
*
In questo testo vengono utilizzati dei nomi di fantasia, nel rispetto della privacy dei soggetti coinvolti.
7
•
elevato rischio di morte fetale (per l’assenza di liquido amniotico) e avvio di
travaglio;
•
elevato rischio di infezione materna e di distacco di placenta;
•
in caso di sopravvivenza del feto, elevato rischio di mortalità neonatale e/o di
disabilità gravi (dovute all’estrema prematurità).
I genitori vengono informati esaurientemente della situazione tramite un colloquio
approfondito con il personale medico: in questa sede emerge con chiarezza la loro
paura, difficoltà e indisponibilità
nell’accettare un eventuale figlio portatore di
disabilità e, con apparente lucidità, chiedono l’interruzione di gravidanza.
In seguito a un prolungato confronto con un’equipe multidisciplinare, in cui si spiega
l’impossibilità di effettuare l’aborto per motivi giuridici, si decide insieme di cercare di
prolungare la gestazione il più possibile.
La madre viene sottoposta a terapia antibiotica per diminuire il rischio di infezioni e
monitorata tramite esami emato-chimici a giorni alterni.
Preoccupata dell’altra figlia a casa, la madre chiede e ottiene, con assunzione di
responsabilità nonostante il parere contrario dei sanitari, la dimissione dall’ospedale e
torna a casa con programma di rientro settimanale, aspettando un avvio naturale del
travaglio.
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2. Dati Clinici
2.1 . Aspetti medici
Il parto pretermine (PPT) è l’espulsione o l’estrazione del feto e dei suoi annessi
dall’organismo materno a partire dalla 22^ settimana di età gestazionale (161gg) fino a
36 settimane complete di età gestazionale (258gg). Il PPT è la causa più importante di
mortalità e morbilità neonatale (da solo ricopre il 75% dei casi)[1]. In particolare la
mortalità e la morbilità perinatale associate al parto pretermine diminuiscono con
l’aumentare dell’epoca gestazionale; nella valutazione del nascituro infatti, l’età
gestazionale è considerata il parametro più indicativo di maturazione. Al di sotto delle
22 settimane di EG non esiste possibilità di sopravvivenza al di fuori dell’utero; il
periodo tra le 22 e le 25 settimane può essere definito di incerta vitalità; al di sopra delle
25 settimane può esservi probabilità di sopravvivenza anche se dipendente da cure
intensive.
In 1/3 dei casi [2,3,4] il parto pretermine è associato alla rottura prematura delle membrane.
Dal punto di vista istologico le membrane fetali sono costituite, procedendo dall’interno
verso l’esterno, dalla membrana amniotica (amnios) rivolta verso la cavità amniotica, e
dalla membrana coriale (corion) a diretto contatto con la decidua.
Le membrane amniocoriali non sono una lamina inerte che contiene il feto e il liquido
amniotico, ma contribuiscono allo scambio di acqua e di soluti fra il compartimento
materno e la cavità amniotica; esse infatti sono prive di vasi sanguigni, ma veicolano lo
scambio di sostanze dal sangue dei vasi materni deciduali al liquido amniotico e
viceversa, in maniera complementare agli scambi che avvengono attraverso la placenta.
Inoltre, poiché la deglutizione di liquido amniotico da parte del feto non è solo un
meccanismo equilibratore del volume liquido amniotico medesimo, ma serve anche alla
nutrizione del feto, il passaggio di sostanze attraverso le membrane contribuisce anche
a quest’ultima funzione. Analogamente è presumibile che alcune sostanze emesse con
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l’urina fetale passino nel compartimento materno per diffusione attraverso le membrane
amnio coriali.
Si definisce rottura pretermine delle membrane quella che avviene prima che la
dilatazione della bocca uterina durante il travaglio di parto sia completa; se la rottura
intempestiva avviene prima dell’inizio del travaglio si parla di rottura pretermine
prematura o PPROM (Preterm Premature Rupture of the Membranes).
La PPROM è un’entità complessa, in cui si riconoscono meccanismi eziopatogenetici
multipli [5,6]; alle sollecitazioni di tipo meccanico su zone delle membrane con
diminuita resistenza meccanica si sommano altri fattori , in predominanza infiammatori
o infettivi, che ne potenziano gli effetti o ne rappresentano il momento scatenante.
La PPROM comporta il rischio di numerose complicazioni, la cui frequenza e gravità
crescono quanto più bassa è l’età gestazionale. Fra le complicazioni di maggior rilievo
si elencano:
-
la prematurità e le sue conseguenze sul bambino del parto pretermine;
-
le infezioni materne, fetali e neonatali;
-
oligoidramnios o anidramnios;
-
l’ipoplasia polmonare fetale;
-
il prolasso del funicolo o gli esiti della compressione sul funicolo provocata
dall’oligoidramnios;
-
la comparsa di deformazioni fetali;
-
rischio di distacco di placenta.
L’intervallo fra la rottura delle membrane e l’inizio del travaglio (periodo di latenza) è
molto variabile: da poche ore a pochi giorni. Tale durata è inversamente proporzionale
all’età gestazionale: se la rottura delle membrane interviene in un epoca gestazionale
avanzata (oltre le 34 settimane), quando il feto raggiunge un sufficiente grado di
maturità polmonare, è spesso indicato accelerare l’espletamento del parto. Se invece la
rottura avviene prematuramente è indicato ritardare l’insorgenza delle contrazioni
uterine mediante riposo assoluto a letto e terapia tocolitica.
Attualmente è infatti affermata l’opinione secondo cui, anche a basse EG come quella
del caso in esame, sia opportuno un trattamento di tipo conservativo sotto i profili
assistenziali,
diagnostici
e
farmacologici:
oltre
a
ridurre
i
rischi
fetali
dell’oligoidramnios e proteggere madre e feto dalle infezioni, lo scopo principale è
cercare di prolungare il più possibile la permanenza del feto in utero fino a quando il
parto pretermine, iniziato spontaneamente, diventi inarrestabile o fino a quando
10
compaia un’indicazione indiscutibile a interrompere la gravidanza. Soprattutto la tra le
22 e le 27 settimane, anche un breve prolungamento della gestazione migliora sia la
probabilità globale di sopravvivenza sia quella di sopravvivenza senza minorazioni.
Quando, soprattutto per le EG basse, il periodo di latenza si prolunga oltre le 24-48 ore,
il rischio maggiore per il feto è l’infezione endoamniotica: salvo constatazione di
specifiche controindicazioni, viene sempre eseguita una profilassi antibiotica, anche in
assenza si segni di infezione [7]. A questa si affianca una importante terapia sussidiaria
che consiste nella somministrazione di farmaci cortisonici alla madre per accelerare la
maturazione polmonare del feto. A questo proposito si devono menzionare le
conseguenze
dell’assenza
di
liquido
amniotico:
le
ripercussioni
fetali
dell’oligoidramnios comprendono varie deformazioni dovute a compressione meccanica
e riduzione della possibilità di movimenti attivi; inoltre la cute appare secca e inspessita.
Tuttavia la complicanza più grave è l’ipoplasia polmonare, soprattutto nel periodo tra le
15 e le 25 settimane, corrispondente alla fase canalicolare dello sviluppo polmonare e
cioè alla fase in cui si sviluppa la rete vascolare capillare destinata agli scambi
respiratori. L’influenza patogena è correlata con la compressione sul torace dovuta a un
maggior grado di flessione della colonna vertebrale del feto e con l’inibizione dei
movimenti respiratori fetali per l’addossarsi della parere uterina, determinando così un
alterazione della pressione endoamniotica.
Concludendo, quando l’oligoidramnios è conseguenza di un PPROM la prognosi è
legata al’età gestazionale, al rischio di complicanze infettive e alla possibilità di far
proseguire la gravidanza senza che intervenga ipoplasia polmonare (ad es. con ripetute
amnioinfusioni per guadagnare qualche settimana di maturazione polmonare).
2.2 . Aspetti personali e relazionali
Ogni gravidanza costituisce per i genitori uno dei banchi di prova più impegnativi della
vita: importanti modificazioni biologiche per la donna e profonde elaborazioni
psichiche dell’evento rendono i genitori coinvolti a più livelli nell’esperienza della
gravidanza. Attraverso la riorganizzazione della triade genitori-figlio, tra ostacoli e
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difficoltà emozionali, la famiglia deve riacquistare un nuovo equilibrio interiore ed
esteriore.
A livello biologico e fisiologico, psicologico e psicodinamico, relazionale e spirituale vi
è una ridefinizione globale del progetto di vita della coppia. Tutti questi aspetti sono tra
loro interdipendenti e rendono questa fase della vita dei genitori come una ripresa della
loro crescita individuale, fase ricca di potenzialità evolutive e allo stesso tempo di
difficoltà da non sottovalutare. Soprattutto nel primo trimestre, si apre un periodo di
maturazione verso la consapevolezza del nuovo ruolo di genitori: non di rado coesistono
sentimenti ambivalenti, di accoglimento dell’esistenza del figlio ma anche di timori nei
confronti di una vita nuova che impone i suoi ritmi, i suoi bisogni, le sue provocazioni.
E’ importante a questo punto sottolineare una nuova dimensione che caratterizza la
genitorialità nel contesto socio-culturale attuale: la scelta. A differenza di quanto
accadeva per le passate generazioni, oggi la nascita di una bambino viene scelta,
programmata. Si decide se avere figli, quando averne, rimandando o rifiutando una
gravidanza già in atto in dipendenza da fattori quali la situazione economica, la carriera
lavorativa, il contesto familiare. Questo fatto implica delle importanti ripercussioni
sull’idea del figlio “scelto” che viene caricato di notevoli aspettative, rappresentato
idealizzato, con le caratteristiche fisiche e caratteriali positive che emergono
dall’immaginazione dei futuri genitori. Questa sorta di investimento nell’ impegno
procreativo può quindi portare (non solo a livello della coppia, ma anche con
ripercussioni a livello sociale) a una procreazione “controllata”, da un lato grazie alle
alternative garantite dall’aborto e dall’altra dalle possibilità offerte dalle tecniche di
fecondazione assistita. Si rivela quindi fondamentale il supporto, l’accoglienza e la
solidarietà che viene offerta dal contesto sociale, in termini di tutela della gravidanza
dal punto di vista psicologico, sociale, economico e giuridico.
Nel caso in esame, i coniugi Rossi rappresentano bene il prototipo di famiglia “media”
ben inserita nel contesto socio-culturale locale. Giovani, istruiti, entrambi lavoratori,
conducono un’esistenza serena, priva di particolari difficoltà di tipo relazionale,
economico, familiare.
La gravidanza, desiderata per dare un fratello/sorella alla loro primogenita, procede
quindi in un clima di tranquillità e pacifica attesa del lieto evento.
12
Da un punto di vista fisiologico, la gravidanza ha un decorso regolare fin dall’inizio,
dando alimento all’idea, in questo contesto di normalità e serenità, di un bambino sano,
“perfetto”.
All’insorgere dell’evento critico, la situazione si capovolge e improvvisamente si
trasforma in drammatica, grave e di emergenza.
Il bambino “bello”, pensato fino a quel momento si scontra con la concretezza della
realtà drammatica. A questo si aggiunge il cambiamento della struttura ospedaliera di
riferimento: all’improvviso i coniugi si trovano a doversi fidare e affidare a specialisti
sconosciuti, che ignorano la loro storia, i loro problemi, ansie, certezze, dubbi. Devono
comunicare in una situazione di emergenza che non può lasciare spazio e tempo per la
confidenza necessaria che fa da presupposto a un dialogo empatico tra medico e
paziente. Questo fatto, unito all’ansia per un evento imprevisto, condiziona
inevitabilmente una comprensione chiara e nitida della situazione e conseguentemente
la consapevolezza delle scelte da prendere. Difficile risulta l’instaurarsi dell’auspicata
“alleanza terapeutica” tesa a bilanciare informazione, verifica della comprensione,
condivisione
della
decisione,
approfondimento
delle
spiegazioni,
e
poi
accompagnamento del paziente nel follow-up.
2.3.
Aspetti culturali
La nascita di un bambino in una famiglia, è indicata dall’OMS1 come “la fase di
estensione del ciclo vitale della famiglia stessa”, fase critica che può essere vissuta con
gli atteggiamenti più disparati in relazione al contesto in cui accade. Si tratta di un
fenomeno naturale ma allo stesso tempo complesso, che coinvolge la responsabilità dei
genitori, è influenzato dal contesto culturale, sociale ed economico, e che richiede
protezione sociale, medica e giuridica efficace.
Accostandosi all’analisi di un caso clinico nell’ambito di gravidanze a rischio, sono
pertanto da prendere in considerazione tutti questi fattori; si pone il problema di ordine
medico-tecnologico tramite la definizione di linee guida che possano aiutare i medici
nella decisione delle procedure da attuare nella pratica clinica, dell’utilizzo delle
1
Tratto da [8], pag 7.
13
tecnologie appropriate e dei protocolli da eseguire nelle diverse situazioni; altri limiti
sono invece imposti dal rispetto dalle normative che tutelano la maternità e diritti della
madre e del nascituro.
Il caso preso in esame racchiude in sé la maggior parte delle problematiche che i medici
di un reparto di Patologia Neonatale si trovano a dover affrontare nei casi di improvvise
complicazioni di gravidanze fisiologicamente regolari, in cui i genitori non sono pronti
ad affrontare una situazione di emergenza, e, impreparati, richiedono l’interruzione di
gravidanza spesso ai limiti delle condizioni previste dalla legge. Nell’attuale contesto
italiano, a regolamentare queste situazioni vi sono diverse linee guida e documenti che
lasciano uno spazio di libertà di decisione, che si rende necessario data la specificità e la
variabilità di ogni singolo caso, ma che d’altro canto può essere motivo di dubbio,
contrasto e indecisione su quale trattamento mette in atto.
In questa sede saranno presi in considerazione i documenti inerenti al caso analizzato, in
particolare si farà riferimento a:
-
Legge del 22 maggio 1978 n.194 - Norme per la tutela sociale della maternità e
sull’interruzione volontaria della gravidanza [9];
-
Raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente
basse (“Carta di Firenze”) [10];
-
Documento del CNB: I Grandi Prematuri [11];
-
Documento del Ministero della Salute [12];
-
Documento di orientamento per la gestione delle Situazioni critiche in sala parto
adottato dall’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso [13].
Gli articoli 6 e 7 della legge 194/1978 disciplinano le condizioni per l’interruzione di
gravidanza oltre il 90° giorno di gestazione che, come verrà discusso in seguito,
lasciano spazi di autonomia decisionale ai medici coinvolti.
Il documento denominato “Carta di Firenze”, elaborato dalle società scientifiche che si
occupano di perinatologia avrebbe voluto definire uno standard scientifico dando
indicazioni dettagliate di carattere ostetrico - neonatologico per i nati in età gestazionali
estremamente basse (dalla 22^ alla 25^ settimana di età gestazionale). Successivi e
contrastanti sono stati i pareri pronunciati dal Comitato Nazionale per la Bioetica sul
tema “I grandi prematuri” e del Consiglio Superiore della Sanità attraverso il
documento emanato dal ministero della Salute. Con questo atto lo sforzo etico di
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raggiungere un consenso condiviso è stato ostacolato dall’elusività e dalle
contraddizioni che caratterizzano il documento stesso.
Alla luce dei vari orientamenti prospettati nel panorama nazionale, il reparto di
Patologia Neonatale dell’Ospedale di Treviso ha quindi elaborato il “Documento di
orientamento per la gestione delle situazioni critiche in sala parto” per dare uniformità
di indicazioni al personale della struttura sanitaria, in riferimento agli aspetti clinicoassistenziali e relazionali nei casi di interruzione di gravidanza tardive.
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3. Responsabilità
3.1.
Responsabilità degli operatori socio-sanitari
Le specifiche responsabilità medico-legali connesse con le decisioni inerenti alle fasi
più delicate della gestazione sono rappresentate nei documenti cui si è fatto riferimento
al paragrafo precedente.
In particolare le questioni più importanti riguardano:
-
il rispetto della legge 194 (art. 6-7) relativamente alle condizioni che consentono
l’interruzione di gravidanza oltre il 90° giorno;
-
il peso da attribuire all’incertezza prognostica;
-
a chi deve spettare l’ultima parola in merito ai trattamenti da effettuare
nell’eventualità di contrasto di opinione tra personale medico e paziente.
Nel caso in esame ci troviamo di fronte a una richiesta di interruzione di gravidanza
oltre il 90° giorno, regolamentata dagli articoli 6 e 7 della legge 194. In particolare
l’epoca gestazionale della gravidanza della signora Giovanna si colloca nella zona
grigia di incertezza sulla vitalità fetale (22-23 settimane): oltre alle valutazioni
cronologico-statistiche sull’età gestazionale concorrono infatti molti fattori clinici a
individuare la presunta vitalità fetale, fattori specifici e determinanti per ogni caso in
questione. A tale proposito le norme legislative lasciano al giudizio clinico la
valutazione di ciascun caso e le conseguenti procedure operative, procedure nettamente
diverse a seconda che sussista o meno la "possibilità di vita autonoma del feto". Di fatto
quindi, sono i medici a stabilire l’attuabilità o meno dell’interruzione della gravidanza
in base a criteri non oggettivamente e non univocamente definibili. A questo proposito
va sottolineato il fatto che in caso di dubbio, andrebbe assunta l'ipotesi che propende per
la sussistenza di vita autonoma del feto, questo perché la legge ritiene sufficiente la
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"possibilità" di vita autonoma per rendere operante l'ultimo comma dell'articolo 7, che
consente l'interruzione solo in caso di grave pericolo di vita per la madre. A ciò si
aggiunge la seguente riflessione etica: in caso di erronea valutazione e nascita di un feto
vitale, subentra l'obbligo di assistenza al neonato (cfr. art.7 comma 4) neonato che
sarebbe condannato non solo alle sofferenze connesse alle sue eventuali patologie o
malformazioni, ma anche a quelle, non meno gravi, collegate alla prematurità,
deliberatamente procuratagli.
In relazione alle responsabilità del personale socio-sanitario va poi sottolineata
l’importanza dell’esigenza di sostegno psicologico alla donna, o più in generale ai
genitori. In altre parole, le disposizioni di legge, orientate al fine di “rimuovere le cause
che porterebbero all’interruzione di gravidanza” dovrebbero trovare riscontro pratico
nell’impegno dei sanitari attraverso il dialogo, la disponibilità e gli interventi da mettere
in atto per tutelare l’interesse della madre e del nascituro.
Si può affermare che risulta imprescindibile un modello di “medicina dialogica umanistica”, che prenda quindi le distanze dalla vecchia logica paternalistica o dalla
nuova medicina “difensivistica”.
Come già accennato precedentemente, nel contesto del caso in esame, non sussistono le
condizioni ottimali di dialogo e comprensione. E’ quindi auspicabile una maggiore
attenzione dei medici nell’approfondimento dei motivi che hanno indotto la coppia a far
richiesta di interrompere la gravidanza.
Si tratta quindi di un non semplice bilanciamento tra richieste dei genitori (talvolta
dettate dalla situazione di emergenza), insuperabile incertezza medica sulle possibilità
di vita del feto, e imprevedibili conseguenze delle decisioni, in ogni direzione.
Si cita qui di seguito il paragrafo 29 del documento del CNB “I Grandi Prematuri” [11],
in riferimento a al problema appena esposto.
“Il Comitato, infine, rileva come l’ormai accertata, anche se
statisticamente limitata, possibilità di sopravvivenza di neonati giunti
alla ventiduesima settimana di gestazione imponga un profondo
ripensamento in ordine alle modalità comunemente usate per le
pratiche di aborto tardivo, che a norma della L. 194/1978 devono
sempre essere poste nel rispetto delle condizioni espressamente
indicate dalla legge stessa, in modo cioè da salvaguardare in ogni caso
la possibilità di vita del feto al di fuori dell’utero materno.”
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Sia dal punto di vista dei clinici, sia dal punto di vista dei genitori, si pone inoltre il
problema etico di quale valore dare all’incertezza prognostica (che in questo caso va
riferita al fatto che la coppia fa richiesta di interrompere la gravidanza a seguito della
prospettata alta probabilità di avere un figlio disabile).
In altri termini la proiezione prognostica esistenziale può essere discriminante nella
decisione di voler proseguire o meno la gravidanza. Da ciò emerge l’importanza della
modalità di comunicazione della prognosi a distanza: è responsabilità dei sanitari fornire
un’informazione chiara e corretta e assicurare un’adeguata comprensione dei soggetti
coinvolti soprattutto nei casi in cui il processo decisionale matura in una condizione
psicologica difficile ed imprevista. (“la consulenza deve essere ‘esauriente’ e ‘non
direttiva’, e pertanto nell’effettivo rispetto del diritto di autodeterminazione della coppia
nella scelta in merito alla prosecuzione della gravidanza”2).
Non minore attenzione merita la riflessione sul contrasto tra parere dei medici e dei
pazienti, che nel caso analizzato affiora prima nella richiesta di interruzione di
gravidanza e poi nella proposta, rifiutata, di ricovero della signora Giovanna e che
risulta inevitabilmente collegata con l’efficacia della comunicazione tra le parti
coinvolte.
A tal proposito il documento del CNB “I Grandi Prematuri” [11], chiaramente analizza
il carattere problematico del coinvolgimento dei genitori. Qui di seguito viene riportato
il paragrafo 17.2 che descrive in modo chiaro questo delicato aspetto. Il documento si
riferisce in particolare alle decisioni relative alla sospensione o meno delle cure in
bambini estremamente prematuri, ma le difficoltà in merito alle decisioni sono comuni
ed estendibili al caso in analisi.
“Non vanno trascurate né minimizzate le particolari difficoltà in cui
matura il pro-cesso decisionale quando si deve assumere qualsiasi
decisione in merito al trattamento di neonati estremamente prematuri.
A fronte dell’immediatezza e urgenza dell’ intervento medico si
delinea una difficile condizione psicologica di tutti i soggetti coinvolti
nella decisione, siano essi i genitori, siano essi i medici e tutti gli altri
operatori sanitari. Si aggiunga che qualsiasi decisione genitoriale
dovrebbe fondarsi sull’ effettiva comprensione di una adeguata e
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corretta informazione: cosa ben difficile, sia perché le circostanze di
un parto prematuro richiedono di norma, come si è detto, decisioni
sollecite e lasciano ben poco spazio per una esauriente esplicitazione
della situazione, sia perché non sempre i medici possiedono idee
chiare sulla prognosi nelle circostanze che caratterizzano la nascita
dei prematuri e che non consentono analisi approfondite né utili
consulenze. Tutte queste considerazioni non possono però e non
devono esimere i medici dal comunicare ai genitori tutte le
informazioni necessarie perché essi possano partecipare con la
massima consapevolezza al processo decisionale. E’ chiaro che va
potenziata un’ adeguata informazione preventiva sui rischi della
terapia, sul trattamento del dolore, sulle incertezze della prognosi.
Restando salva l’esclusiva responsabilità decisionale del medico nel
caso di interventi urgenti e indifferibili volti a salvaguardare le
prospettive di vita e la salute del neonato, si deve tendere a
condividere con i genitori tutti i processi decisionali.”
Inoltre nell’Introduzione della Carta di Firenze [10], si legge:
“Va precisato che ogni decisione deve essere individualizzata e
condivisa con i genitori, sulla base delle condizioni cliniche del
neonato alla nascita e non può prescindere dalla valutazione dei dati di
mortalità e disabilità riportati in letteratura e riferiti alla propria area,
al fine di fornire ai genitori informazione corrette e esaustive sulle
condizioni del neonato e sulla sua aspettativa di vita.”
Rispettando comunque l’autonomia epistemologica e deontologia del medico bisogna
riconoscere un “forza vincolante” nella volontà dei genitori, spettando a questi la
continuazione della cura, non solo medica, della vita del neonato. Emerge l’importanza di
preparare, ove possibile, i genitori all’evento nascita per poter, attraverso una serena e
approfondita discussione, costruire progressivamente una solida alleanza terapeutica.
2
Tratto da [14], pag.45.
19
3.2 Comprensione e consapevolezza e del paziente
Si pone a questo punto la riflessione sulla consapevolezza e la percezione della
situazione da parte del paziente, in questo caso i genitori del nascituro.
Una prima considerazione riguarda il fatto che, grazie allo sviluppo delle conoscenze
medico- scientifiche, negli ultimi decenni la percentuale delle gravidanze che terminano
con successo è aumentata notevolmente. Questo, unito al divario esistente tra mezzi
diagnostici e terapeutici ha indotto nei potenziali genitori, seppur involontariamente, un
minore tolleranza dell’incertezza dell’esito della gravidanza stessa e di un crescente
atteggiamento di rifiuto verso la minima anomalia del feto. Vi è una forte percezione del
rischio, pensato nel presente e proiettato nel futuro, nella previsione di altri rischi che
potranno farne seguito.
Mal sopportata diventa anche l’incertezza decisionale in presenza di un rischio
potenziale. In altri termini vi è difficoltà ad accettare un’informazione di tipo
probabilistico data dal fatto che spesso il quadro clinico comprende previsioni basate in
parte su statistiche. Le persone, comprensibilmente, infatti si aspettano certezze o
comunque spiegazioni di tipo dualistico/deterministico, con risposta “sì o no” alle
proprie domande. Il concetto astratto di rischio si concretizza nel vissuto quotidiano,
nella storia di ogni persona, e per ognuno in maniera diversa si tinge di sopportazione o
sofferenza.
Diventa quindi di estrema importanza la comprensione dei vissuti dei pazienti:
comprendere nel senso etimologico del termine, cioè prendere-con, farsi carico delle
sensazioni, dell’insieme dei fattori di rischio e soprattutto del vissuto del rischio, “del
rischio di sentirsi a rischio”, sia esso di tipo fisico, sociale, economico o relazionale. Il
medico dovrebbe tendere a dare una valutazione il più ampia possibile, inclusiva di dati
oggettivabili e di dati soggettivi; la prognosi diventa così insieme medica ed umana,
caratterizzata da una sorta di “scientificità convincente e rassicurante”3.
A questo proposito si ricorda la distinzione4 fatta dall’Organizzazione Mondiale della
Sanità tra: danni, oggettivabili da medico, disabilità, cioè perdita delle capacità di
svolgere attività nella normale variabilità interindividuale, e handicap, svantaggi cui la
3
4
Tratto da [8], pag. 23.
Tratto da [8], pag. 29.
20
persona va incontro nelle relazioni con gli altri. Tale distinzione rende evidente
l’impronta soggettiva che assumono i vissuti dei pazienti.
Il documento“Venire al mondo”5 ben identifica in tre parole l’atteggiamento migliore
del personale medico per la comunicazione con i genitori: relazionalità, umiltà,
sofferenza.
“Solo nella dimensione profondamente vissuta della relazionalità si
può sostenere il confronto del ‘best interest’ e con questo il problema
della prognosi. Si dice che il concetto di ‘best interest’, del massimo
bene per le persone sia ambiguo. Ambiguità è possibilità di percepire
diversamente una realtà, perciò il confronto con situazioni ambigue
significa pensare più pensieri. …L’umiltà non è solo un sentimento, è
un pensiero sulle conoscenze che si utilizzano in situazione
problematiche, sulla loro adeguatezza, sul valore delle stime statistiche
e sull’inevitabilità delle incertezze del probabilismo. La sofferenza è un
prezzo che i genitori pagano alla verità, alla quale con pensieri aperti
il personale partecipa.”
L’importante è dunque mantenere un orizzonte di pensabilità ampio, e che ogni
elemento venga soppesato adeguatamente, cercando il più possibile di pervenire a
comportamenti condivisi, prendendo le decisioni “all’incrocio tra principi etici e realtà
delle situazioni”6, considerando la multifattorialità ambientale, sociale, sanitaria,
emotiva della famiglia in una fase delicata come quella della nascita di un bambino.
Per questo motivo il CNB ha più volte ribadito l’importanza del potenziamento nelle unità
funzionali di neonatologia il supporto ai genitori, sotto il profilo psicologico, etico e
spirituale, in particolare nelle circostanze, evidentemente drammatiche, in cui si prendono
decisioni nei confronti dei neonati estremamente prematuri. Tale supporto deve continuare
sul piano psicologico, su quello socio-assistenziale anche dopo il periodo di ricovero
ospedaliero.
Nel caso in esame il colloquio con i genitori è stato affrontato con un’equipe
multidisciplinare, allo scopo di indagare le difficoltà di accettazione ed adattamento dei
5
6
Tratto da [8], pag. 38.
Tratto da [8], pag. 9.
21
genitori alla prospettiva di crescere un bambino altamente prematuro mediando tra il
dovere di tutelare la vita del nascituro e la comprensione del contesto familiare e,
successivamente, con la sollecitazione di una rete solidaristica nell’organizzazione
sociale attorno alle famiglia per l’accoglienza del nascituro.
3.3 Responsabilità dei servizi sociali
Responsabilità dei servizi sociali è di garantire la continuità delle cure e dell’assistenza
tra ospedale e territorio. A tale scopo, di fronte al rifiuto di ricovero della signora, è
compito dei sanitari dell’Azienda Unità Locale Socio Sanitaria segnalare il caso al
distretto di competenza, il quale attiverà gli opportuni interventi di tipo psicologico,
assistenziale, medico.
22
4. Problemi Etici
4.1. Problemi etici sollevati dal caso
Nel caso in esame è possibile individuare quattro principali problemi etici che vengono
qui di seguito esplicitati, seguiti talvolta da un breve commento.
a) Ha agito correttamente il medico dell’ospedale periferico che ha inoltrato la
richiesta di trasferimento in utero approssimando l’età gestazionale a 23^
settimane compiute, per garantire il trasferimento stesso? Sarebbe stato possibile
cercare di proseguire la gravidanza nell' ospedale periferico stesso, garantendo le
stesse possibilità a madre e figlio, sino al compimento delle 23 settimane e
procedere poi con il trasferimento?
In linea di principio il medico non ha agito correttamente, in quanto ha fornito ai
colleghi dell’Ospedale Ca’ Foncello di Treviso un’ informazione clinica non
corretta, informazione che è discriminante per l’accettazione o meno del
trasferimento (come indicato nei regolamenti dei reparti di Patologia Neonatale).
Tuttavia la condotta del clinico non può considerarsi riprovevole alla luce della
motivazione che lo ha indotto ad agire così, e cioè il tentativo di dare una possibilità
al feto attraverso le cure offerte da un ospedale di III livello.
b) Era chiaro che non ci si trovava nelle condizione previste dalla legge per effettuare
una IVG? A chi spetta la decisione finale, quanto pesa il parere dei genitori? I
medici si sono lasciati condizionare dal fatto che la coppia non avrebbe voluto un
figlio disabile?
23
E’ già stata discussa la questione relativa alle condizioni per procedere con
l’interruzione di gravidanza (v. par. 3.1). E’ importante però sottolineare un aspetto
relativo alla consapevolezza dei genitori riguardo alla loro richiesta. Dal colloquio
con il personale medico devono infatti emergere ed essere chiari anche gli aspetti
concreti dell’intervento e delle conseguenze, sia sul piano psicologico che fisico,
derivanti alla donna di essere sottoposta all’interruzione tardiva di gravidanza; non
ultimo la considerazione del caso, seppure raro, della sopravvivenza del feto e
dell’obbligo da parte del personale medico di attivare tutte le cure a salvaguardia
della sua vita.
c) Su un piano morale, è la stessa cosa non accettare un figlio “disabile” al momento
della diagnosi preimpianto, (o comunque a seguito delle indagini diagnostiche
ecografiche del secondo trimestre) o in seguito ad un evento infausto ed improvviso
che trasforma le prospettive di vita del nascituro?
L’articolo 7 della legge 194 che regola l’interruzione volontaria di gravidanza oltre
il 90° giorno stabilisce che si può praticare l’interruzione di gravidanza quando
siano accertati i processi patologici, che determinano un grave pericolo per la
salute psichica della donna. Ora:
-
nel caso in esame i processo patologici che avrebbero indotto la disabilità nel
feto con conseguente grave pericolo per la salute psichica della madre (se così
si vuol chiamare il fatto di non voler un figlio disabile) erano altamente
probabili e non certi.
-
si può accertare in un tempo dell’ordine di ore, che tale processi patologici
causano effettivamente pericoli gravi nella salute della madre? Tanto più
considerando il fatto che tali difficoltà emergono da una situazione improvvisa e
non da un discernimento approfondito.
-
in quali casi “si può” non riconoscere un figlio? E' giustificabile il fatto di non
volerlo perchè disabile? Si può scegliere? Si può in questi casi delegare ad altri
il compito di diventare genitori/tutori al posto di quelli naturali?
-
il tempo estremamente ridotto per prendere una decisione, nella condizione
particolare dei genitori, quanto condiziona l'esito della scelta? E' più utile o
dannosa una riflessione anticipata sull'eventualità di avere un figlio disabile?
24
d) In quali casi si può rifiutare il ricovero?
E' la stessa cosa un rifiuto di ricovero in un tempo di incertezza di vitalità fetale
(paragonabile a un'interruzione di gravidanza) e quando invece le possibilità di vita
del feto sono reali?
Si pone il problema del rifiuto del ricovero della donna. In questo caso bisogna fare
riferimento al secondo comma dell’articolo 32 della Costituzione: “Nessuno può
essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana.”
E’ evidente che non si può costringere la donna a essere sottoposta a ricovero ma
nasce spontanea la riflessione sulle conseguenze di questa scelta.
Nel caso in esame infatti il rifiuto del ricovero si riflette non solamente sulla donna
in questione, ma anche sul feto: in particolare tale scelta mette in serio pericolo la
salute del nascituro.
Alternative possibili non ce ne sono, dal momento che il ricovero forzato non è
concesso.
Tuttavia preme sottolineare la discrepanza che vi è con l’articolo 7 della legge
194/1978 che non consente l’interruzione di gravidanza quando sussiste la
possibilità di vita autonoma del feto. In altri termini, la vita del feto, qualora sia
possibile, va tutelata e difesa (cfr. comma 4). Appare quindi una contraddizione, o
volendo, una sorta di “aborto indiretto”, il permettere alla madre di ritornare al suo
domicilio con conseguente grave pericolo per la vita del figlio. Tanto più se si
considera che il ricovero sarebbe stato necessario solo a scopo di monitoraggio, e
non per subire interventi invasivi.
Si potrebbe sostenere l’idea che la scelta che in linea di principio promuove al
meglio la dignità umana di entrambi i pazienti coinvolti è ricoverare la donna, ma
di fronte al diniego non è possibile, per legge, costringerla a sostenere trattamenti
sanitari senza consenso.
25
4.2. Problema etico più importante sollevato dal caso
Dall’analisi del caso, emergono con forza due principali questioni etiche che
riguardano, come anticipato precedentemente:
-
l’improvvisa non accettazione del figlio da parte dei genitori, a seguito della
prognosi negativa per il nascituro (v. problema c);
-
il rifiuto del ricovero da parte della madre, a scapito della vita del nascituro (v.
problema d).
In questa sede si è scelto di trattare il primo problema, che consente di seguire più
fedelmente lo schema proposto.
26
5. Scelte Possibili
5.1. Scelte possibili per il problema etico più importante
In relazione alla richiesta di interruzione di gravidanza da parte dei genitori le scelte
possibili sono evidentemente due, dal momento che l’età gestazionale consente un
margine decisionale di autonomia da parte dei medici:
- assecondare la richiesta dei coniugi e procedere con l’aborto, scelta che si
giustifica considerando le difficoltà della coppia ad accogliere un figlio
disabile, e propendendo per una diagnosi di incertezza sulla vitalità fetale;
-
rifiutare la richiesta di interruzione di gravidanza, a seguito della conferma
di possibilità di vita autonome del feto, a prescindere delle motivazioni
addotte dai genitori per l’aborto.
27
6. Giudizio Etico
6.1. Scelta in linea di principio
Si pone ora la domanda: tra queste scelte possibili, qual è quella che in linea di
principio promuove meglio la dignità umana del paziente? Sulla base di quali
argomenti?
Per rispondere alla domanda sopra esposta è necessario fare prima una riflessione su
quale sia, o quale siano i pazienti in questione.
Emerge infatti un chiaro conflitto di interessi tra quello che è il diritto alla vita del feto e
il diritto della madre di garantire il proprio principio di autonomia.
Malgrado la mancanza di una precisa univoca definizione dello stato morale e giuridico
del concepito è ormai invalsa la visione del feto come paziente, e questo coinvolge in un
disegno complesso madre, famiglia, medico e società.
L’articolo 32, primo comma, della Costituzione Italiana recita infatti: “La Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti.” E’ chiaro quindi, che anche al feto, che può
esser considerato senza obiezioni un individuo, è riconosciuto il diritto di tutela della
salute e della vita. D’altra parte però non si può non tener presente il principio di
autonomia e libertà proprio di ogni individuo, e quindi anche della madre.
E’ indispensabile in questo caso peculiare prendere atto del fatto che “il feto, pur
incorporando un bene che lo Stato ha il dovere di proteggere, è contenuto nel corpo di
una donna, per cui ogni iniziativa volta a tutelare tale bene incide sulla donna, sul suo
corpo e sulla sua libertà di scelta. E poiché anche tale libertà e tale corpo sono
ovviamente dei beni da tutelare, occorre trovare dei punti di mediazione che tengano
conto di tutti i valori in gioco” [15].
Con queste considerazioni possiamo quindi affermare che per il caso in questione i
pazienti sono due. E’ importante cercare di tutelare la vita, la salute e i diritti sia per la
28
madre che per il figlio e qualora non sia possibile bisogna cercare di superare al meglio
il conflitto di valori.
Dal momento che dalle informazioni cliniche emerge che i valori in gioco sono la vita
del nascituro e il disagio, seppur forte, dei genitori ad accogliere un figlio disabile, in
linea di principio la scelta che promuove al meglio la dignità di entrambi i pazienti è
quella di cercare di proseguire la gravidanza il più possibile, per garantire al feto
maggiori possibilità di sopravvivenza.
Qui di seguito vengono riportati tre argomenti, con i rispettivi contro-argomenti e
risposte a questi ultimi, a sostegno della scelta etica esposta.
Argomento (1)
I valori in gioco sono la vita del nascituro da una parte, e il disagio psicologico dei
genitori dall’altra, evidentemente due valori di valenza diversa.
Contro-argomento (1)
Non si può trascurare il principio di autonoma gestione del proprio corpo da parte della
donna e svalutare la difficoltà dei genitori di sostenere una situazione difficile come
quella di crescere un figlio gravemente disabile.
Risposta al contro-argomento (1)
In riferimento ai genitori, è discutibile estendere il concetto di pericolo per la salute a
comprendere situazioni di disagio psichico o di condizioni psicologiche non
propriamente patologiche. Piuttosto si deve cercare di prospettare con forza l’aiuto e il
sostegno dei servizi sociali.
Argomento (2)
La richiesta dei genitori di interrompere la gravidanza è stata improvvisa, non soppesata
con riflessioni approfondite in un clima sereno con tutto il tempo necessario a
disposizione.
Contro-argomento (2)
Una riflessione anticipata non sarebbe stata concretamente contestualizzata e pertanto
poco veritiera, in un certo senso necessaria a monte, ma non sufficiente per compiere
una scelta ben ponderata.
Risposta al contro-argomento (2)
29
Dal momento che si tratta di scegliere o meno per la vita non si possono rimandare le
decisioni sull’onda dell’emotività in una situazione di emergenza.
Argomento (3)
Anche se le probabilità di sopravvivenza del feto sono estremamente basse, essendo in
questione la sopravvivenza, non possono essere considerate irrilevanti.
Contro-argomento (3)
In caso di sopravvivenza del feto, resta comunque elevato il rischio di mortalità
neonatale e/o di disabilità gravi.
Risposta al contro-argomento (3)
La prognosi prospetta alte possibilità di disabilità e non certezze. In ogni caso non
sarebbe comunque moralmente accettabile una interruzione di gravidanza motivata
solamente dalle anomalie più o meno gravi del nascituro.
6.2. Scelta effettiva
A questo punto bisogna però chiedersi: qual è la scelta che effettivamente promuove la
dignità umana di questo paziente in questo particolare contesto clinico? Sulla base di
quali fatti?
In riferimento all’esperienza, al contesto globale, si può affermare che la scelta che
promuove la dignità di entrambi i pazienti è far proseguire la gravidanza, sulla base dei
seguenti fatti:
(a) Fatti relativi a questo contesto clinico
Il non immediato pericolo per la vita della madre unito alle possibilità di vita del feto
non consentono di ricorrere all’interruzione di gravidanza.
(b) Fatti relativi a questo paziente
Il contesto di emergenza e l’imprevedibilità della criticità della situazione rende difficile
una decisione ben informata e coerente, decisione delicata da cui dipende la vita di una
persona.
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Considerazioni personali a conclusione del lavoro svolto
Senza nessuna forma di giudizio o colpevolizzazione, mi colpisce come l’atteggiamento
dei genitori in questione venga improvvisamente stravolto dalla prospettiva di avere un
figlio disabile.
Non si tratta solo del fallimento del progetto personale di figlio “perfetto”, quanto,
forse, di un contesto culturale che non aiuta né a considerare immediatamente “figli” le
persone con disabilità più o meno gravi, né a preparare i futuri genitori con una
educazione alla genitorialità.
Nella nostra società, dove è forte la mitizzazione della qualità della vita e dove si
promuove l’atteggiamento di integrazione delle diversità culturali e sociali, sembra
diventare più difficile accettare le differenze biologiche dei nostri figli.
Forse perché mancano il coraggio e la forza di sostenere situazioni troppo dolorose,
forse perché mancano la percezione di una solidarietà diffusa e la concretezza dell’aiuto
reciproco o perché manca la disponibilità all’accoglienza incondizionata. Dovremmo
cercare di aiutarci di più a sviluppare l’attitudine a conoscere, affrontare, accettare e
superare i limiti nostri ed altrui, a valorizzare ogni uomo in ogni sua peculiarità e in
tutte le sue dimensioni.
31
Bibliografia
[1] PUTELLI F. et al., Il ruolo dell’ostetrica/o nell’assistenza al parto altamente
pretermine, 81° Congresso nazionale SIGO - Bologna, ATTI della società Italiana di
Ginecologia e Ostetricia Vol. LXXXI, settembre 2005.
th
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[4] MERENDA A. et al., Isossisuprina cloridrato vs atosiban in pazienti affette da
pprom. Nostra esperienza. 82° Congresso Nazionale SIGO - Roma, ATTI della società
Italiana di Ginecologia e Ostetricia Vol. LXXXII, ottobre 2006.
[5] PESCETTO G. et al., Ginecologia e ostetricia, Vol 2, Società Editrice Universo,
1908-1922, 2006.
[6] POLZIN W. et al., The etiology of premature rupture of the membranes, Clin.
Obstet. Gynecol., 41,810, 1998.
[7] ERNEST J.M. Neonatal consequences of preterm PROM. Clin Obstet Gynecol; 41
(4): 827-831,1998.
[8] COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Venire al mondo, 1995.
32
[9] LEGGE DEL 22 MAGGIO 1978 N.194 - Norme per la tutela sociale della
maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.
[10] Raccomandazioni per le cure perinatali nelle età gestazionali estremamente basse
(“Carta di Firenze”), Riv Ital Med Legale XXVIII, 1227-1246, 2006.
[11] COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, I grandi prematuri, febbraio
2008.
[12] CONSIGLIO SUPERIORE DI SANITÀ, sessione XLVI 4 marzo 2008.
[13] COMITATO DI BIOETICA E DIPARTIMENTO MATERNO INFANTILE
DELL’OSPEDALE CA’ FONCELLO DI TREVISO, Documento di orientamento per
la gestione delle Situazioni critiche in sala parto, 2009.
[14] COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Diagnosi prenatali, 1992.
[15] REICHLIN M., La morale oltre il diritto, 179, Carocci ed., 2007.
[16] VIAFORA C. Introduzione alla bioetica, Scienze Umane e Sanità, FrancoAngeli
Ed., 2006.
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Ringraziamenti
Con questo lavoro si conclude il Corso di Perfezionamento in Bioetica.
Al termine di questa esperienza desidero ringraziare il Prof. Corrado Viafora per la
passione e la dedizione con cui ha seguito noi studenti, accompagnandoci passo dopo
passo nell’intricato e stimolante mondo della bioetica.
Fondamentale è stato anche l’aiuto e il sostegno del nostro tutor Davide, che con
prontezza e simpatia ha sempre saputo rispondere ai nostre dubbi e difficoltà.
Personalmente rivolgo poi un ringraziamento al Dott. Camillo Barbisan che con grande
disponibilità mi ha seguito durante la stesura di questa tesina attraverso i suoi preziosi
suggerimenti.
Infine, un grazie speciale alla Dott.ssa Nadia Battajon per l’accoglienza e la sensibilità
con cui mi ha aiutato ad accostarmi alle tematiche delicate e complesse trattate in questo
lavoro.
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