Bozza (27 marzo)
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Bozza (27 marzo)
24. Poldo: l’ultimo caduto in Mortirolo «Non riesci a vedere chiaro. Perciò resti solo un ragazzo, figliolo, e ti costerà caro essere stato ragazzo in una guerra come questa». Giose Rimanelli, Tiro al Piccione Lunedì 30 aprile. «Mentre a Berlino, dopo una settimana di combattimenti nelle strade le truppe sovietiche circondano le rovine della Cancelleria del Reich; mentre nel resto d’Italia quasi ovunque le armi tacciono e i tedeschi si arrendono – per le truppe naziste in Italia già il giorno precedente il generale von Vietinghoff ha firmato al Quartier generale alleato di Caserta la resa a discrezione – e nei paesi i patrioti rastrellano gli ultimi fascisti – il loro duce, Mussolini, è stato catturato due giorni prima sul lago di Como mentre fuggiva verso la Svizzera travestito da soldato tedesco e nascosto in un camion tedesco e, per ordine del CLNAI, è già stato giustiziato –; mentre gli americani della 5ª Armata entrano a Torino, Genova e Milano, già liberate dall’insurrezione popolare, e salutan la gente che gli va incontro con lanci di sigarette e di chewing gum; mentre avvengono tutte queste grandi e piccole cose, i nostri sono ancora arroccati nelle posizioni sotto Monno, attenti solo a non farsi colpire dai tiri delle batterie tedesche piazzate a proteggere il transito delle truppe del magg. Nübling: una colonna che, ormai, occupa la S.S. 42 da Malonno ad Edolo».1 «Osserviamo sulla statale un andirivieni di macchine tedesche e di autoblinde che vanno e vengono tra Edolo ed Incudine. Un autocarro carico di truppa fascista sale la valle verso il Tonale. Vogliamo sparargli, ma l’ordine è tassativo: sparare soltanto se siamo attaccati».2 1 Dario Morelli, La montagna non dorme, Morcelliana, pag. 396. 2 Nando Sala, in Dario Morelli, cit., pag. 397. 3 Dario Morelli, cit, pag. 396. Tramite il parroco di Edolo, don Giovanni Maria Spiranti, il maggiore americano Dick spedisce una lettera (che rimarrà senza risposta) a Nübling: «Al sig. maggiore Nübling, Comandante la Piazza – Edolo. Il generale Leonhard, capo dell’Armata Liguria, si è arreso. Vi preghiamo di comunicarci se questi reparti sono alle dipendenze del suddetto generale. F.to la Commissione ufficiale americana. - 30.4.45».3 395 D’accordo con gli Alleati, il Comando delle Fiamme Verdi tenta di parlamentare con quello tedesco, che chiede libertà di transito verso il Tonale per le sue truppe (impegnandosi a non compiere rappresaglie sui civili), mentre il maggiore Dick ne chiede la resa senza condizioni. «E così, tra una tirata e l’altra, mentre i due interpreti si danno da fare e la calma degli americani, pian piano, fa diventare sempre più nervoso il maggiore tedesco, il tempo passa. I nostri ascoltano ed hanno capito subito che non c’è niente da fare. A un certo punto, infatti, dopo un’ennesima richiesta di resa senza condizioni fatta dagli americani, il magg. Nübling scatta in piedi; con la faccia rossa di rabbia urla che non si può dire ad un ufficiale tedesco di arrendersi a discrezione. E chiede ancora una volta che gli sia consentito il transito verso il Passo del Tonale. «Oh, no!» risponde con la solita flemma il maggiore Dick, quando Joe gli traduce la richiesta del tedesco. Trascorre un minuto di silenziosa tensione. Poi Dick si alza ed abbandona la stanza. S’alzano anche Sandro e Reno, Buttafuoco, Joe e Bettinelli e lo seguono. Sulla strada c’è ancora l’anfibio con i due soldati della Flak e con il podestà di Edolo, Rota. La stessa macchina riporta tutti a Monno: Bettinelli, temendo le rappresaglie tedesche, viene a stare coi nostri. Sono quasi le quattro del pomeriggio di lunedì 30 aprile. Pressappoco l’ora in cui, a Berlino nel bunker della Cancelleria del Reich, Adolfo Hitler si uccide sparandosi in bocca un colpo di rivoltella».4 Intanto, si parlamenta ancora con i legionari fascisti: «Veniva anche un capitano della brigata nera alpina “Quagliata” a riferire a Tino e Gabrielli circa un colloquio tra il suo comandante ed il nostro Comandante di Divisione Ragnoli, avvenuto in giornata a Cedegolo. Diceva d’esser mandato per fissare le modalità d’un secondo colloquio per le trattative di resa del suo reparto che avrebbe dovuto avvenire in Alta Valle il giorno seguente. I nostri concordavano per le ore 17 del giorno 30 aprile in Monno, il proseguimento delle trattative. E la mattina del lunedì 30 aprile, dalla Centrale di Temù presidiata dalla SAP telefonavano a Ragnoli e poi al Comando della “Quagliata” in Vezza d’Oglio, comunicando a questo l’intimazione di resa senza condizioni della brigata fascista. Sicché, verso le cinque pomeridiane dello stesso 30 aprile, giungono a Monno altri parlamentari. Sono tre ufficiali della “Quagliata” e vengono da Vezza. Offrono una resa a patti, ma il cap. Sandro ribatte che può accettare solo una resa a discrezione. Allora, due ufficiali restano a Monno come ostaggi mentre il terzo rientra al suo Comando a prendere istruzioni. Nel frattempo giungono da Villa, Tino e Gabrielli (c’è con loro anche la nostra staffetta 396 4 Dario Morelli, La montagna non dorme, Morcelliana, pagg. 398-99. 5 Dario Morelli, La montagna non dorme, Morcelliana, pagg. 400-402. Candido), i quali riferiscono a Sandro del colloquio che hanno avuto al mattino con il Comando della “Quagliata”. A sera, finalmente, torna a Monno l’ufficiale fascista con l’annuncio dell’accettazione della resa incondizionata. Vengono allora stabilite le seguenti modalità: il comandante, tutti gli ufficiali, tutti i sottufficiali e soldati addetti al Comando, si devono recare a Monno entro la mezzanotte del 30 aprile; gli uomini rimanenti, agli ordini di un capitano e di tre subalterni, si devono recare entro le ore sette di domani, 1 maggio, in località Cappella Acque Calde di Val Grande per esservi disarmati da un reparto di Fiamme Verdi. La cosa, però, non ha il previsto svolgimento perché la maggior parte dei militi fascisti preferiscono recarsi la sera stessa a Monno. Ma, mentre essi sono ancora concentrati in Vezza d’Oglio, arrivano da Pontedilegno alcuni camion con i legionari della “Tagliamento” che prelevano i viveri e quanti più brigatisti possono per portarli al Tonale. Comunque, nella notte giungono a Monno più di quattrocento fascisti della “Quagliata” e tocca a Gildo, con una pattuglia dei nostri, di partire subito per trasferirli al Mortirolo. Non prima però che Buttafuoco, passati in rassegna i prigionieri, sia riuscito a scoprire, nascosto in un gruppo, un mortaista della “Tagliamento”. Racconta il cap. Sandro che al vederlo gli occhi di Buttafuoco veramente lanciavano fiamme: non si era mai potuto scordare i tanti fastidi che in Mortirolo gli avevano dato i mortai della “Tagliamento”. “Ah, tu eri ai mortai – gli dice rabbioso – Tu eri ai mortai?... E allora, dietro front!”. L’uomo obbedisce, sorpreso e spaurito e Buttafuoco – il tenente d’artiglieria in s.p.e., e col robbio, il quale aveva sempre dato del “lei” ai suoi soldati; che, anche quando doveva richiamarli, non li aveva mai nemmeno presi per un braccio – ora non riesce più a controllarsi e colpisce con un calcio formidabile il fondo dei pantaloni del milite fascista. Nel ricordo delle bombe a grande capacità e a ghisa acciaiosa che hanno fatto fare i salti a lui – e a tutti gli altri – durante la battaglia di Mortirolo. “Oltre il calcio non vive ira nemica”, sentenzia subito dopo e, tranquillo e soddisfatto, se ne va. È già risalito al Mortirolo anche il magg. Dick, rabbioso perché i tedeschi della colonna Nübling non vogliono arrendersi. Va a trasmettere alla sua base una richiesta urgente di intervento dell’aviazione alleata contro le truppe naziste concentrate in Edolo e nelle adiacenze. Intanto, è ormai scesa la sera. “Il cielo s’è fatto di piombo – ricorda Nando – piove e fa freddo. Nelle immediate vicinanze, silenzio assoluto; in lontananza si sentono, di tanto in tanto, colpi di fucile e raffiche di mitraglia. Arriva da Monno il rancio. Mangiamo e poi sistemiamo le armi a tiro incrociato, pronte per la notte. A turno riposiamo sulle foglie secche nelle baite vicine. Io no, non ho sonno ma solo paura”...».5 397 Ed eccoci all’inevitabile “battaglia di Monno”. «La notte è fredda e nebbiosa; pioviggina sempre. Pochi sono i partigiani che riescono a riposare qualche ora nelle baite e nelle stalle. La maggior parte passano le ore in corvée di rifornimento munizioni alle varie postazioni o in pattuglie in attività di sorveglianza. I comandanti, invece, discutono tra loro, danno ordini, preparano le disposizioni per il giorno successivo. Ma c’è in tutti una sensazione d’incertezza, l’aspettazione quasi d’una tragedia. Quando, verso le sei di mattina dell’1 maggio, tutti riprendono il loro posto nelle posizioni assegnate, 1’aria è umida di nebbia gelata. Lo schieramento dei nostri è il seguente: a sinistra, sul versante di Incudine, sotto il bosco ci sono gli uomini del C 10 con i loro mitragliatori, più sotto quelli del C 14 con una mitragliatrice da 12,7 e con altri mitragliatori; al centro, sotto Monno e fino alla strada campestre, stanno gli uomini del C 19 con una mitragliatrice Breda e qualche mitragliatore. Ad essi si sono aggiunti anche Oliviero, Tuta (che è rientrato da Villa due giorni fa) ed alcuni altri uomini del Comando. A destra, sopra S. Brizio, Nando con gli uomini del CA 1, Giovanni con quelli del C 15, tengono due posizioni avanzate che sono coperte alle spalle rispettivamente da Geremia e da Beppe appostati più sopra assieme agli uomini del C 11 ed ai residui dei C 12 e C 16. L’armamento, in questo settore, consiste in una mitragliatrice Breda (Giovanni) e in otto mitragliatori Bren ai quali si devono aggiungere le armi individuali. Gli uomini sono, in tutto, una quarantina. L’ordine è per tutti di impedire il passaggio delle colonne motorizzate tedesche sulla S. S. 42, sulla carrozzabile per Monno e di bloccare tutti gli accessi al paese da parte di eventuali pattuglie nemiche. Intanto, è stata mandata verso Edolo, perché si informi della situazione, una staffetta, Pietro Caldinelli di Monno. “Verso le nove – ricorda Nando – con nostra sorpresa, vediamo avanzare dei tedeschi sulla statale, sulla riva dell’Oglio e sulla carreggiabile Mù-Incudine. Il loro modo di avvicinarsi, staccati gli uni dagli altri, ci chiarisce la loro intenzione: quella di attaccarci. Diamo l’allarme. Ogni uomo è pronto alla sua arma. I tedeschi che avanzano sulla vecchia strada Mù-Incudine si appostano nelle zone di Lazzaone, Plazzo, Ronco e Malgua sul versante opposto della valle. Quelli, invece, che si sono avvicinati percorrendo il fondo valle sono ora già a S. Brizio e puntano su Monno. Apriamo il fuoco... Il nostro intervento li disorienta; c’è un fuggi fuggi generale, ma la loro reazione è immediata. Dalle zone di Plazzo, Ronco e Malgua il fuoco delle loro armi pesanti è violento ma impreciso. Sparano su di noi a casaccio, non ci hanno ancora individuati. L’avanzata del nemico su Monno riprende, protetta dalle sue armi pesanti. Si spara da tutte le parti. 398 I primi a segnalare le pattuglie tedesche sono gli uomini del settore di destra, che saranno anche i primi ad aprire il fuoco, quando gli altri settori del nostro schieramento non hanno ancora potuto avvistare il nemico perché è fuori dalla loro visuale. “Verso le nove – dice Peter – vado di pattuglia con tre uomini sulla strada statale ed osservo dei militari tedeschi isolati che avanzano verso nord. Ritiratomi sulla postazione della nostra mitragliatrice in attesa del grosso nemico, comincio a sentir sparare in direzione della postazione più avanzata del C 14, tenuta da Cirillo, senza poter vedere con precisione cosa succeda a causa della fitta nebbia che nel frattempo si è levata. Tento di scendere verso la postazione impegnata ma mi è impossibile raggiungerla sia per la nebbia che per la manovra avvolgente che i tedeschi stanno tentando sui due lati dello schieramento”. Gabrielli: “Viene notato il passaggio di pattuglie tedesche appiedate: alcune sembrano dirigersi verso Incudine, altre, passando sotto S. Brizio o provenendo dalla carrozzabile, si avvicinano al Cimitero. Quest’ultime vengono prese sotto il fuoco delle armi del nostro settore centrale: una pattuglia, giunta oltre il Cimitero, fin quasi al Consorzio, si ritira. Violenta la reazione avversaria, diretta specialmente contro il nostro settore di destra”. Gli uomini del C 11 e del C 15 replicano, però, senza interruzione. In loro rinforzo, verso le tredici, giunge, dal settore di sinistra, una pattuglia di altri otto uomini con due Bren, al comando di Ermes, che ha compiuto un veloce spostamento passando in alto, nel bosco. Intanto, gli attacchi delle pattuglie tedesche si sono estesi a tutti i settori del nostro schieramento. Agli uomini del C 10, all’estrema sinistra, viene mandata in rinforzo la squadra volante di Elio con tre mitragliatori. La squadra si dispone in una baita immediatamente sotto il bosco e difende il nostro fianco verso Incudine; ostacola anche i movimenti di pattuglie nemiche che cercano di avanzare dall’alto. Ai tentativi d’assalto – che si ripeteranno per tutta la giornata – i tedeschi accompagnano un tiro intenso e quasi continuo di mortai, mitragliere e cannoncini (che, già dal giorno prima, hanno piazzato sull’altro versante della valle) contro tutte le nostre postazioni ed anche contro il paese. La Chiesa ed alcune case vengono colpite da vari tiri di mortaio. I proiettili delle armi tedesche penetrano, attraverso le finestre, anche nell’Asilo, ove sono ricoverati alcuni feriti. Perciò, verso le dieci, questi vengono spostati nei locali sul retro del fabbricato, dove vengono rinchiusi anche i prigionieri e lasciati in custodia a Ghio. Quasi tutti i paesani hanno lasciato le case e si sono portati nelle baite in montagna. Qualcuno, però, è rimasto ancora. Una vecchietta, in una casupola un po’ dietro 399 l’asilo, ogni tanto s’affaccia alla porta a veder cosa succede. Reno e tre dei suoi sono lì vicino e, poiché le chiedono perché non è scappata, quella gli risponde che non sapeva dove andare. E li invita ad entrare, a scaldarsi al fuoco; li incoraggia e gli dà a bere caffè di surrogato. La scena si ripete varie volte nella giornata. Ogni tanto una chicchera di liquido caldo esce fuori dalla pentola dove continuano a bollire sempre gli stessi fondi neri ed amari. Le ore passano, fredde e nebbiose. Varie volte i nostri sentono a lungo il rombare degli aerei da caccia alleati chiamati dal magg. Dick. Ma la nebbia che copre ostinatamente tutta la zona non permette mai il loro intervento contro la colonna tedesca. Verso le due del pomeriggio gli uomini del C 14 e del C 19 stanno per essere presi alle spalle dai tedeschi che vengono, per l’alto, da Incudine. Avvertita in tempo la manovra nemica, i nostri riescono però a sganciarsi; abbandonano il crinale verso la statale e ripiegano verso il centro, sotto il paese. In questa azione Canti, del C 14 viene ferito ad un polso. Anche Poldo (Bortolo Fioletti da Corteno) pure del C 14, viene ferito ad una gamba. Il giovane Poldo riesce tuttavia a seguire i compagni nel ripiegamento ma, poco sotto la Santella di S. Rocco, mentre continua a sparare contro i tedeschi che arrivano da tutte le parti, viene nuovamente colpito, stavolta ad una mano e l’arma che impugna va in pezzi. I suoi compagni, tutti allo scoperto e battuti dal fuoco nemico, non possono avvicinarsi a soccorrerlo. Subito gli sono addosso i tedeschi che lo finiscono, mentre, con la pistola, egli cerca ancora di difendersi. “Cara mamma, non piangere per me. Perdonami e pensa se io fossi tra coloro che martirizzano la nostra gente... Io sono qui per nessun altro scopo che la fede, la giustizia e la libertà e combatterò sempre per raggiungere il mio ideale... Presto verremo giù, e vedrai che uomini giusti saremo. Allora si vivrà con la soddisfazione di vivere e non con l’egoismo di oggi...”.6 Nando: “I nostri che si sono appostati vicino al Cimitero si ritirano; uno invece rimane e continua a sparare. Sono circa le 14 e i tedeschi sono vicini al Cimitero. Temiamo per la sorte del nostro. Ad un tratto lo vediamo uscire da quella assurda posizione e ritirarsi su Monno. Saprò poi che era Mario Ercoli del C 10, che aveva difeso la sua postazione sino all’impossibile. Dall’alto, sul versante opposto, verso le Baite Melotti, un altro nostro gruppo protegge la ritirata dei compagni sparando con una Breda”. Subito dopo, questa pattuglia tedesca, che è riuscita ad avanzare sino al centro del nostro schieramento, prende a sparare contro le postazioni 400 6 Dalla lettera scritta pochi giorni prima di morire da Poldo a sua madre. partigiane che stanno a lato del Cimitero. Ma i nostri reagiscono decisamente e i tedeschi devono ancora ritirarsi. Ogni tanto il bombardamento nemico ha qualche sosta. I nostri, allora, tirano un po’ il fiato e, mentre alcuni vanno al Comando o portano i feriti all’infermeria, nelle scuole, altri danno fondo agli ultimi avanzi delle razioni a secco. Altro da mangiare non c’è. Di rancio, neanche parlarne. Il cap. Sandro, che nella mattinata ha fatto una corsa fino al Mortirolo dove aveva appuntamento radio con la base della sua missione, ora manda fuori alcune pattuglie ad osservare le posizioni nemiche. Ma i nostri uomini devono muoversi con grande cautela perché, con la visibilità così ridotta, essi corrono il rischio di spararsi tra di loro. Quando meno gli altri se l’aspettano, c’è sempre un punto dove riprende la sparatoria. Nando: “Sotto di noi, in mezzo al bosco, i tedeschi avanzano cauti, ma avanzano. La postazione di Giovanni è stata individuata. Raffiche sparate dalle armi automatiche della zona di Ronco ed una salva dei cannoncini di due semoventi dalla statale, colpiscono la postazione. Giovanni è ferito gravemente al braccio destro ed alla gamba sinistra ed il Sarto, pure del C 15, al ventre. Il fuoco nemico aumenta d’intensità; alle armi automatiche si aggiungono i mortai ed altri cannoncini. Geremia, che ha visto cadere Giovanni e il Sarto, scende sulla loro postazione, soccorre i feriti, li porta su posizioni arretrate e fa recuperare le loro armi. Anche la mia postazione viene individuata dai tedeschi, ma non riescono a colpirci. Dobbiamo, però, ritirarci poco più sopra, sulla mulattiera. Giovanni ha urgente bisogno di cure se non vuol morire dissanguato. Il medico è a Monno. Carico il ferito sulle spalle e, tutto solo, percorrendo la mulattiera, raggiungo Monno. Sul sagrato della chiesa trovo il cap. Sandro e Reno e, dopo una stretta di mano, ritorno al mio posto. I tedeschi già sono sotto di noi, ma Geremia e Beppe, coi loro uomini distribuiti in cinque postazioni, tengono duro e non permettono al nemico di avanzare oltre”. E Beppe aggiunge: “La reazione di fuoco nemica, così violenta, ha impedito di seguire gli spostamenti dei tedeschi. A un tratto ci viene segnalato che, dalla parte di Edolo, per l’alto, un reparto di fascisti e di tedeschi cerca di aggirare la posizione tenuta dal C 15. Allora, con le sole armi leggere, il C 15 si sposta ancora più a destra e investe d’infilata, col suo fuoco, i soldati nemici; poi si ritira più in alto per dominare meglio la situazione e battere un avvallamento di terreno dal quale si profila un altro attacco nemico. Dopo questo assalto, i nazifascisti non avanzano più, limitandosi ad accompagnare i nostri spostamenti con il fuoco d’un complesso 401 quadruplo di mitragliere a pallottole traccianti. Dalle nostre posizioni, invece, notiamo l’avanzare dei tedeschi sotto il Cimitero di Monno”. Verso le cinque pomeridiane, Geremia e Caldinelli (la staffetta che è ormai tornata da Edolo) intravvedono, tra la nebbia e la pioggia, una pattuglia nemica appostata presso la Santella sotto il Cimitero. Ne sentono anche le voci e, fra quelle tedesche, alcuna italiana. Compreso che si tratta di tedeschi e di fascisti, li prendono a raffiche di mitragliatrice. Nando: “Dalla parte opposta alla nostra, sotto Monno, i tedeschi, sfruttando il terreno palmo a palmo, sono ormai vicini all’abitato. Geremia, con la sua Breda, tenta di allontanarli, ma un cecchino lo ferisce gravemente alla gamba destra”. Intervengono in suo appoggio Nando ed altri. “Sotto di noi – ricorda ancora Nando – i tedeschi tentano nuovamente di avvicinarsi. Noi continuiamo a sparare disperatamente. Ci mancano le munizioni e dobbiamo ricorrere alle bombe a mano. Il morale è molto basso». Intanto, Cesco, del CA 1, dopo aver prestato i primi soccorsi a Geremia, lo sostituisce alla mitragliatrice e continua a sparare. Anche questo tentativo d’assalto nemico viene bloccato. Si ripetono sempre intensi tiri nemici seguiti da altri tentativi d’avvicinamento al paese, mentre le condizioni del tempo, sempre peggiori, ostacolano la visibilità ed i collegamenti. Soprattutto il settore centrale è oggetto degli attacchi tedeschi. Sono di poco passate le cinque quando una pattuglia tedesca – invisibile nella nebbia – riesce a portarsi sino all’edificio del Consorzio, al margine inferiore del paese, vicino alla campestre che scende sulla strada statale. I sei o sette uomini della pattuglia hanno evidentemente avuto chiare informazioni ed istruzioni precise. E, mentre i nostri non li hanno visti, entrano nel fabbricato, vi appiccano il fuoco e si ritirano immediatamente scendendo sulla statale. Nel Consorzio c’è il deposito di tutte le armi e munizioni abbandonate dalla “Tagliamento” ed anche i nostri vi hanno messo l’esplosivo plastico portato dal Mortirolo. Il fuoco si sviluppa lentamente e quasi nessuno nota il fumo che esce dalle finestre. “Verso quest’ora – ricorda Gabrielli – mi trovavo all’ultimo piano d’una casa nella parte alta del paese. Non so più per quale ragione – forse ero stato informato da qualcuno – mi affaccio e vedo del fumo salire dal punto dove si trova il Consorzio. Capisco che non c’è più nulla da fare: dare l’allarme ai pochi abitanti rimasti in paese e tutti chiusi nelle loro case, vuol dire provocare la loro fuga col rischio di essere colpiti dal materiale lanciato in aria dall’esplosione. Non resta che aspettare col fiato sospeso. Viene infine l’esplosione, tremenda. L’edificio del Consorzio resta polverizzato. L’Asilo e le case circostanti subiscono gravi 402 danni. Scendo in strada per cercare di rassicurare la gente terrorizzata e poi corro all’Asilo per vedere come stanno i nostri feriti. Ci sono tutti i vetri rotti alle finestre ma, per fortuna, niente più che una grande paura. È stato provvidenziale lo sgombero che già dal mattino avevamo attuato». Dopo di che, non si verificano più altri tentativi, da parte nemica, di avvicinarsi all’abitato. Ma l’azione di fuoco delle armi tedesche prosegue e continuerà, con larghi intervalli, per tutta la sera e la notte. «All’improvviso – dice Nando – ci sorprende un fortissimo boato. A Monno è esploso il deposito di munizioni della “Tagliamento”. I tedeschi si ritirano ora da ogni parte e anche sotto di noi abbandonano le loro posizioni. Geremia sta male; lo abbiamo adagiato dentro una baita e coperto con foglie secche. Noi siamo stremati, lividi; non ne possiamo più. Comincia a nevicare e fa freddo. Parte degli uomini sono già stati ritirati. Con quelli rimasti mi porto su Baita Paghèra dopo aver fatto trasportare Geremia a Monno». Ermes ed altri hanno dovuto estrarre Geremia attraverso il tetto della baita inclinato a monte per non correre il rischio di essere colpiti dalle pallottole tedesche. L’hanno sdraiato su una scala a pioli, come su una barella e l’hanno finalmente portato via. «A Baita Paghèra – conclude Nando – trovo Beppe che ci aveva preceduti con parte degli uomini. È già notte e nevica forte». Ma le cose non sono andate così semplicemente, perché quasi Nando ci lascia la pelle. Arrivato da solo davanti alla baita dove Beppe, Mistrilli, Carnera e i polacchi Stefan, Drop, Eduard e Sandro, fradici d’acqua gelata, hanno acceso il fuoco e si stanno scaldando, Beppe, che sta di guardia, al primo momento non lo riconosce – Nando indossa una casacca tedesca a chiazze mimetiche – e sta per pigiare il dito sul grilletto del mitra. «Da Nando – ricorda Beppe – apprendiamo che i nostri tre feriti, Geremia, Giovanni e Sarto, sono stati portati nella casa delle Suore di Monno dove non c’è più nessuno perché anche le Suore sono fuggite e che il nostro Comando, in seguito all’attacco, ha dovuto ritirarsi verso l’alto». Mezz’ora dopo l’esplosione al Consorzio, veniva particolarmente battuta dalle T 42 e dai mortai tedeschi, la zona ove era arroccata la squadra di Elio. La quale doveva faticosamente spostarsi più in alto e mantenere la nuova posizione fino a sera. Poi, come le altre squadre, ripiegava verso il paese. «Beppe: “I tedeschi tentano saltuariamente di colpirci col tiro dei loro mortai ma, scesa la sera, io ed una parte dei miei uomini riusciamo a ritirarci ancora più in alto; mentre nevica abbondantemente ci rifugiamo nelle baite ove passiamo la notte”. 403 Nando: “Con gli uomini rimanenti, una quindicina, scendo su Monno. Non vi incontriamo che qualche donna spaurita. Intorno è tornato il silenzio. Ci rifugiamo in una stalla. Io non dormo, veglio; veglio per la paura. Questa notte, una lunga notte, è l’ultima della nostra avventurosa vita partigiana. La neve continua a cadere, intorno tutto è bianco. Accovacciati dentro la stalla aspettiamo l’alba di domani, un’alba che non arriva mai. E domani compirò ventiquattro anni”. Di poco passate le sette della sera, si sono sentite, lontane, due altre forti esplosioni: i tedeschi hanno fatto saltare, in località Dazza presso Sonico, il ponte stradale e quello ferroviario. E i nostri ne hanno dedotto che le autocolonne nemiche, nella loro ritirata verso nord, hanno ormai lasciato alle spalle quella zona. Poco più tardi, ancora un’altra fortissima esplosione: questa volta i tedeschi hanno dato fuoco ad una catasta di tritolo nella polveriera di Sonico. Col favore del buio, i nostri hanno recuperato il materiale delle postazioni ed hanno trasportato tutti i feriti alle Scuole. Hanno appostato pattuglie di vedetta a tutti gli accessi al paese e il maresciallo Ghio ha condotto al Mortirolo tutti i prigionieri che si trovavano a Monno. Poco dopo arrivano altri venticinque militi della “Quagliata” che già s’erano arresi al mattino, in Val Grande, alla pattuglia di Larghi e che vengono utilizzati per trasportare i feriti. Il paese è tutto buio, anche nelle case manca la luce elettrica perché l’esplosione del Consorzio e i bombardamenti della giornata hanno fatto saltare le linee. Tino e Reno, ai quali don Ercoli, prima di scappare in montagna coi suoi parrocchiani, ha consegnato le chiavi di casa, vanno a cercar candele in canonica. E qui, sul focolare, trovano un pentolino di trippa. In cucina vedono anche un coniglio appeso ad una trave. Già pensano di scuoiarlo e di farlo cuocere, quando s’avvedono che è... impagliato. Meno male che c’è la trippa. È fredda e quasi cruda, ma la portano in una casa ove potranno cuocerla. Il guaio è che, qui giunti, vi trovano anche Gabrielli e qualcun altro: così devono dividere la poca trippa in molte razioni e, passata la voglia di cucinarla, la mangiano fredda e cruda com’è. Questa è stata la battaglia di Monno, forse la giornata più aspra ed incerta di tutta la guerra partigiana combattuta nel Bresciano. Un centinaio di Fiamme Verdi con una mitragliatrice da 12,7, tre mitragliatrici Breda, qualche Bren e due bazooka contro i mortai da 81, le mitragliere da 20, i cannoni da 37 e le T 42 di tutta la colonna corazzata tedesca. Da una parte i nostri uomini già provati dai venti giorni di bombardamento e di attacchi fascisti al Mortirolo, dall’altra le truppe tedesche in ritirata sostenute dal 404 coraggio disperato di chi vuole a tutti i costi aprirsi una via per tornare in patria. Eppure i nostri, che pure sapevano come già il resto d’Italia fosse stato restituito alla libertà e che, solo il giorno prima, già avevano ricevuto la resa di qualche centinaio di fascisti, hanno saputo resistere nel tentativo d’arrestare un nemico sproporzionatamente più numeroso e più forte, bloccando i suoi continuati tentativi d’entrare in Monno, quando assai più facile e comodo sarebbe stato, per i partigiani, sganciarsi compiendo un rapido spostamento di qualche centinaio di metri. A tutto ciò s’aggiunga, inoltre, il tormento procurato dalle condizioni del tempo, eccezionalmente inclemente, e la delusione dovuta al mancato intervento dell’aviazione da caccia alleata sulla colonna tedesca, del quale sia il nostro Comando che la Missione Offence si ritenevano certi. Se le condizioni del tempo avessero consentito la cooperazione tra le forze dell’aria e quelle partigiane, tutto lo svolgersi della battaglia sarebbe stato molto diverso. La fitta coltre di nubi e l’esteso banco di nebbia che gravitarono sulla zona per tutta la giornata, permisero, invece, che i nostri raccogliessero – doloroso e beffardo – soltanto il rombare degli aerei alleati inutilmente giunti alla ricerca degli obbiettivi nemici. Durante la notte del 1 maggio il nostro Comando prende le disposizioni per il giorno successivo ed organizza il movimento dei reparti partigiani per l’occupazione di Edolo. È questa una notte difficile, piena di confusione e di interrogativi. Che faranno ancora i tedeschi? Diverse autocolonne sono già passate durante il giorno, altre continuano a transitare sulla statale durante la notte. Le nostre staffette vanno e vengono dai diversi punti d’osservazione. Le nostre pattuglie sono in movimento continuo – nessuno dorme, questa notte – in tutte le direzioni, sempre al buio e sempre nel vento nevoso, movendosi faticosamente e col pericolo continuo di spararsi tra compagni. Giungono e ripartono anche le staffette di collegamento con i gruppi dell’Alta Valle: Tiù a Villa, Larghi e Mario a Vione, Gallo a Vezza d’Oglio, Pantofola a Incudine. Dal giorno precedente si trova a Incudine anche Frico che, rientrato dalla Valtellina, vi è stato inviato a prendere il comando della locale SAP. Così, al cap. Sandro giungono le informazioni sulla attività nostra e nemica in queste zone. Mario scrive: “Ore 21 del 1 maggio. Fatto trasferire a Vione esplosivo (q. 3,5), micce detonanti e capsule avuti dalla missione americana in Valtellina dopo che il comandante di questa, dato il precipitare della situazione, ebbe a giudicare che non era più opportuno procedere ad interruzioni della S. S. 42”. Dato che ormai molte autocolonne tedesche sono già prossime al Tonale “non reputo opportuno – prosegue 405 Mario – l’azione su Incudine né il salto del ponte (presso Incudine). Non vale assolutamente la pena di distruggere milioni per imbottigliare o disturbare un massimo di mille tedeschi. Anzi, ho dato ordine a Gallo e Pantofola di sorvegliare ed evitare a tutti i costi, con le loro squadre, che le ultime pattuglie tedesche (solitamente composte di guastatori) facciano saltare i ponti di Incudine e di Vezza”. Da Incudine si segnala che, già verso le sette del mattino, la SAP, piazzata sopra il Salto del Lupo, aveva aperto il fuoco contro una colonna tedesca di otto automezzi, scortati da due carri armati e da un’autoblinda, diretti verso il Tonale. I tedeschi, fermatisi, avevano reagito con molta energia e poi erano ripartiti. La nebbia e il nevischio avevano impedito, per lunghe ore, ad altre nostre squadre scaglionate lungo la strada, di avvistare in tempo utile gli autocarri tedeschi e di intervenire con efficacia contro di essi. Da Vezza d’Oglio si apprende che i nostri hanno occupato il paese, hanno catturato vari fascisti sbandati e molto materiale, hanno fermato diversi automezzi nemici isolati. Il sopraggiungere, però, d’una colonna corazzata durante la notte, li ha obbligati a ritirarsi. Da Vione, Larghi fa conoscere l’entità degli automezzi tedeschi transitati sulla S. S. 42 nelle diverse ore della giornata. Informa che, per suo ordine, la SAP locale e quella di Villa si sono trasferite alla Centrale di Temù con il compito di sorvegliarla. A Pontedilegno, infine, le case sono invase dai fascisti, le strade ingombre di cannoni e di macchine. Giorno e notte scoppi di bombe, cannonate, raffiche di mitraglia. Il coprifuoco comincia alle cinque del pomeriggio. I nostri, già dai giorni precedenti, hanno avuto lunghe e laboriose trattative per la resa d’una compagnia di SS italiani. Ma, all’ultimo momento, sono intervenuti i tedeschi che hanno tolto le armi agli SS. Don Giovanni ha fatto vari viaggi dalla canonica alla sede di Tiù in Villa per portare informazioni e proposte e per avvertire che i fascisti della “Tagliamento”, nonostante il primitivo progetto, la sera del 1 maggio non hanno ancora del tutto abbandonato il paese. Si è saputo, poi, che al Passo del Tonale i tedeschi hanno rinforzato la guardia trasferendovi circa 700 uomini della polizia trentina».7 Ma ormai è finita anche in Germania: «Martedi 1o maggio 1945. [...] Alle 19,30, mentre sto parlando con gli amici per decidere sul da farsi, piomba nella stube il piccolo soldato tedesco che è stato a Castenedolo due anni fa e mi grida, col fiato mozzo: “Mussolini è morto! Hitler è morto!” Nessuno gli vuol credere. Mi lascia il giornale. Leggo. è vero. Le sorti della guerra sono ormai segnate. Mai notizia di morte ha provocato un giubilo così grande».8 406 7 Dario Morelli, La montagna non dorme, Morcelliana, pagg. 402-11. 8 Lino Monchieri, Diario di prigionia, Edizioni ANEI Brescia, pag. 147. *** I lettori avranno certamente notato che diversamente dal resto del libro, costruito sulla base di una molteplice ed articolata messe di fonti, per i tre capitoli sul Mortirolo ci siamo avvalsi quasi esclusivamente del libro di Dario Morelli, La Montagna non dorme (stralciandone quelle che ci sono sembrate le parti più significative in rapporto al nostro obiettivo) ed il diario di Toni Secchi (pubblicato quasi integralmente). È stata una scelta quasi obbligata dato che sul Mortirolo non esistono molte pubblicazioni, fors’anche perché quelle a disposizione continuano ad essere piuttosto esaurienti.