Ciao cagnolina
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Ciao cagnolina
_ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 50 di Vittorio Ressico Dopo la maturità scientifica e 4 anni al corso di fisica è diventato analista programmatore e responsabile del Ced e, come dirigente, ha lavorato in diverse aziende del Milanese. Libero professionista come consulente informatico fino al 2008 e poi gestore di bar caffetteria a conduzione familiare. Vive a Sarnico (Bg). Partecipa al Concorso 50&Più per la prima volta. __CONCORSO PROSA__ CIAO CAGNOLINA M MI È SPESSO ACCADUTO DI LEGGERE BRANI in cui si narra di come un padrone vive la morte del proprio cane. Tutti racconti toccanti, commoventi fino a far inumidire gli occhi, anche se credo che possa davvero comprendere cosa si provi solo chi abbia vissuto l’evento. Avevo da poco preso la patente, quasi cinquant’anni fa, quando ho portato dal veterinario, perché finisse di soffrire, il cane della mia fidanzata di allora. E ora sono qui. Di nuovo. La sala d’aspetto, per fortuna, è vuota. Dall’ambulatorio provengono voci attutite, parti di dialogo indecifrabili ma sufficienti a farmi capire che Paolo, il medico veterinario, non si libererà certo in pochi minuti. Mi fa piacere. Possiamo starcene insieme ancora un po’. Ti sistemo bene sulle ginocchia, distesa sulla tua coperta di casa, e ti accarezzo dietro e dentro le orecchie, come so che ti piace. Infatti, nonostante il dolore che devi pro- 50 I 50epiu.it I SETTEMBRE 2015 _ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 51 vare, muovi leggermente la coda e mi lanci uno sguardo dolce, dolce come te, mentre ti accoccoli per bene. Certo ti farebbe piacere che ci fosse qui anche Adriana, nessuno ti sa coccolare come lei. Ma è meglio così, almeno per me: non credo che sarei capace di vederla soffrire e sopportare il suo dolore. Sono personalmente favorevole all’eutanasia: ritengo sia sempre giusto evitare un’inutile sofferenza e credo mi sarebbe facile chiederla per me, ma come si fa a decidere per un altro essere vivente? Come faccio a chiederti: «Vuoi morire?». In questo momento, Minnie, vorrei poterti immaginare nel paradiso dei cani: tanti grandi prati verdi o, meglio ancora, coperti di neve, dove potresti giocare, rotolare, scavare con le zampe e col naso. Ma gli animali, dicono, non hanno un’anima e, dunque, non c’è paradiso per i cani. Già! L’anima è una specificità di noi uomini. Noi che siamo capaci di rancore e odio, noi che abbiamo inventato la schiavitù, la tortura, la guerra, il terrorismo, noi che alla fine riusciremo a distruggere la terra, noi che ammazziamo gli animali, noi soli abbiamo l’anima! Che bei ragionamenti! Me ne sto qui, con la mia rabbiosa impotenza, la voglia di imprecare contro tutto e tutti, con l’ansioso desiderio di qualcosa che non so, preda di una frustrazione violenta: ecco mi sento proprio di m... Cerco di trovare una sorta di quiete mentale, una maniera di fuggire la realtà, riandando col pensiero ai ricordi di situazioni abituali e felici. Come quando andiamo a passeggio per i boschi, in montagna. Ti ricordi, Minnie? Tu mi precedi per il sentiero, poi torni indietro, mi segui per qualche metro e poi ancora mi sorpassi, con le narici che fremono all’inseguimento di nuovi odori, inusuali. Se ti allontani un po’ di più, ti fermi, drizzi la testa e mi cerchi tra gli alberi. Appena mi vedi, rassicurata, torni nel tuo mondo, ai tuoi odori. Intanto lascio vagare lo sguardo tra i rami dei pini, seguo il lento passaggio delle nubi, mentre la mente si interroga sugli argomenti più diversi, seguo i miei pensieri, spesso senza capo né coda, senza mai perderti d’occhio. E così due mondi si incontrano e si intendono, sebbene tanto differenti tra loro. Ad interrompere le nostre riflessioni, entra una signora con una gabbia bella grande; all’interno s’intravede un gattone, nero lucido e con gli occhi giallo fiammeggiante. Mi sorprende che la tua reazione sia solo quella di alzare appena il muso: pochi secondi con le orecchie dritte, poi torni ad abbandonarti, stancamente, sulle mie ginocchia. In altri momenti ti saresti messa ad abbaiare come una forsennata, ma ad una giusta distanza, perché non si sa mai, a volte certi gatti non sanno che devono scappare. E se non scappano come si fa a rincorrerli? D’altronde anche il solo fatto di essere seduti in sala d’attesa avrebbe dovuto stupirmi. Ancora l’ultima volta, quando Paolo mi ha insegnato a farti le iniezioni di antidolorifico, non c’è stato verso di attendere tranquillamente il nostro turno. Ti ricordi? Abbaiavi tanto che siamo dovuti uscire a passeggiare sul prato antistante, tenendo d’occhio la porta per non perdere il turno. Abbaiavi allo stesso modo, con quella nota di rabbia mista ad incredulità, quando ti portavo da Barbara, per la toelettatura. La tua protesta suonava molto chiara alle mie orecchie: «Bau, bau! … Perché mi fai questo? Bau, buu, buuu!!! … Perché proprio tu?». Così ti lasciavo e me ne andavo pensando alle feste che mi avresti fatto, quando fossi tornato a prenderti. Questa volta, però, il mio senso di colpa è ben più grande, e non c’è possibilità di attutire la pena. Tu non protesti, forse perché ricordi il sollievo che qui hai trovato, solo pochi giorni or sono. Ma a me sembra di tradirti e mi sento un infame. Quando è entrata, la signora mi ha salutato e le ho risposto solo con un cenno del capo. Io non ho detto una parola e forse per questo anche lei è rimasta zitta. Probabilmente, ha capito la situazione ed ha avuto il buon senso di non cercare un dialogo che mi sarebbe stato di troppo peso. Mi ha lasciato alle mie riflessioni e alla mia pena, e di ciò le sono molto grato. Si apre la porta dell’ambulatorio e mi prende la paura: non adesso, non sono ancora pronto. Con una voce che faccio fatica a riconoscere chiedo alla signora di passare per prima, per fa» SETTEMBRE 2015 I 51 _ProsaOK_Layout 1 05/08/15 16.55 Pagina 52 CONCORSO PROSA vore… Lei mi risponde con un cenno di assenso e si alza. Paolo mi guarda e capisce, fa passare la signora e richiude la porta. Ringrazio mentalmente entrambi: con un filo di gioia constato che abbiamo ancora qualche minuto. Riprendiamo il nostro dialogo muto. Il tuo pelo, sotto le mani, è ancora morbido, anche se non ti spazzolo più da qualche giorno, da quando ho avuto la sensazione che ti sottoponessi al pettine solo per farmi piacere. In fondo, ogni giorno avevamo quei dieci minuti solo per noi. Ti parlavo piano piano e tu ascoltavi, attenta anche se le parole erano quasi sempre le stesse. Immancabilmente cominciavo col chiamarti “miss coda bella”, la coda più bella della bergamasca o del sud-tirolo, a seconda che fossimo a casa o in montagna; e poi elencavo via via le parti spazzolate: il pancino delicato, le zampone robuste, la criniera foltissima… Dicono che, prima di morire, si riviva in pochi attimi tutta la nostra esistenza, e in questo momento ho come la sensazione che i miei pen- 52 I 50epiu.it I SETTEMBRE 2015 Ti parlavo piano piano e tu ascoltavi, attenta anche se le parole erano quasi sempre le stesse. Immancabilmente cominciavo col chiamarti “miss coda bella”, la coda più bella della bergamasca o del sud-tirolo sieri siano i tuoi. Ti rivedo cucciola, quando non pesavi che un quinto di oggi: quattro chili di tenero morbido pelo che caracollano e tutti mi fermano, chiedono la razza, il nome, l’età… Molti ti vogliono fotografare, neanche fossi una star. Se un chow chow adulto richiama l’attenzione di molte persone e di tutti i bambini, un cucciolo è una vera e propria attrazione universale. In poco tempo sei diventata così famosa che, ancora oggi, mia moglie ed io siamo conosciuti più come i padroni di Minnie che non con i nostri nomi. Mi ricordo dei mille modi con cui ti hanno fatto i complimenti: sembra un leoncino, il paragone più comune, e poi un orsacchiotto, un peluche, è una meraviglia, è un cane da vetrina, … Addirittura c’è stato un ragazzo che vedendoti comparire da dietro i cespugli ha esclamato: «Babbo Natale!». Chissà cosa aveva in mente. È vero che c’era la neve e che Natale era vicino, però… E ti ricordi di quella coppia di una certa età che si complimentava per il tuo bel pelo? Io dissi che ti spazzolavo ogni mattina e la signora subito ad affermare che anche a lei sarebbe piaciuto farsi spazzolare… Ebbi la sensazione che fosse ben conscia del doppio senso di quelle parole, ma non seppi decidere se fosse indirizzato a me o al marito, e lasciai perdere. Mi ricordo di quando, mentre sopraggiungeva Alberto, il nostro vicino di casa che rientrava coi suoi due cani, ci hanno fermato due belle signorine a chiedere informazioni sulla razza, il carattere, la lingua blu, le solite cose. Quando ci lasciarono andare Alberto trovò la corretta definizione: cane da “rimorchio”. E poi il soprannome più usato in famiglia: principessa. Altera, la testa alta, fiera della tua nobiltà, con la coda correttamente portata sul dorso, rispondevi come se ti avessero chiamato per nome e ti avvicinavi, con l’incedere di un’indossatrice sui tacchi alti, sculettando amorevolmente. Tocca a noi. Senza una parola, con la mente vuota, quasi assente, ti adagio sul lettino metallico e assisto, come un automa, ai preparativi di Paolo. Non ho nemmeno più la sensazione del trascorrere del tempo. Sembra che tutto si fermi, il respiro, il cuore sono sospesi: un’eternità che vola via. E poi, in un attimo, siamo alla fine. La siringa è vuota. Paolo estrae l’ago e scioglie il laccio. Ti appoggio la sinistra sulle zampe, come a tenerti per mano, e con le nocche della destra ti accarezzo la fronte, tra gli occhi. Mi guardi con gli occhi più dolci del mondo, con tutta la tenerezza di cui solo i cani sono capaci, e nel tuo sguardo c’è come un’ombra, un interrogativo preoccupato, perché non capisci cosa siano quei goccioloni che mi rigano le guance, cosa significhi il mio silenzio. Non temere, Minnie, anche se non mi hai mai visto piangere, anche se ho un groppo in gola che non ce la faccio proprio a parlare. Non temere per me! Chiudi gli occhi, esali un sospiro lungo, come a dire: ora dormo finalmente! E poi il tuo pancino bianco, caldo e morbido, non si muove più. Ciao cagnolina.