compatibilità della normativa italiana in materia di giochi e

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compatibilità della normativa italiana in materia di giochi e
COMPATIBILITÀ DELLA NORMATIVA ITALIANA IN MATERIA DI GIOCHI E
SCOMMESSE CON I PRINCIPI COMUNITARI
Sommario: 1. Introduzione – 2. Il quadro normativo italiano che regola l’attività di raccolta delle scommesse - 3.
Le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi - 4. La sentenza Gambelli.
1. INTRODUZIONE
Con la sentenza in commento, il supremo organo monofilattico si è pronunciato su un argomento che
ha catalizzato l’attenzione del mercato delle scommesse su eventi sportivi effettuate in Italia dai Centri
Trasmissione Dati (cd. CTD) collegati agli allibratori britannici.
Tale pronuncia, costituisce la risposta – attesissima dagli addetti ai lavori - della giurisdizione italiana, resa
in ultima istanza, alla recente decisione emessa dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee il 6 novembre
2003, nota come caso Gambelli, che si innesta in quel filone giurisprudenziale comunitario che ha trattato la
problematica relativa alla compatibilità delle normative nazionali in materia di gioco con le disposizioni del
Trattato relative alla libertà di stabilimento ed alla libera prestazione di servizi.
Ai fini di una migliore comprensione delle problematiche affrontate nella decisione che si annota, appare
opportuno prendere le mosse proprio dall’assetto ordinamentale che connota nel nostro Paese la modalità di
svolgimento dell’attività di raccolta di scommesse, per poi analizzarla in rapporto alle libertà fondamentali
consacrate nel Trattato CE e disciplinate rispettivamente dagli artt. 43- 48 (ex artt. 52-58: la libertà di
stabilimento) e dagli artt. 49-55 (già 59-66: la libera prestazione di servizi).
Com’è noto, in tutti gli Stati membri della Comunità europea, l’apparato normativo che regola la materia
del gioco, pur atteggiandosi diversamente da paese a paese, si caratterizza per il suo rigore, considerata la
particolare meritevolezza dei beni giuridici da tutelare nel comparto,quali la tutela dei consumatori, la
prevenzione della criminalità, la tutela della moralità pubblica, la limitazione della domanda dei giochi, il
finanziamento con i proventi delle attività di interesse generale.
2. IL QUADRO NORMATIVO ITALIANO CHE REGOLA L’ATTIVITÀ DI RACCOLTA DELLE
SCOMMESSE
Nel nostro Paese, l’attività è riservata allo Stato o ai suoi concessionari ed è disciplinata dagli artt. 88
Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), approvato con R.D. 18 giugno 1931 n. 773, e 37 L. 23
dicembre 2000 n. 388; siffatto regime è altresì presidiato da sanzioni penali. Le fattispecie penalmente rilevanti
relative all’esercizio abusivo dell’attività di gioco o scommessa sono recate dagli artt. 4, 4-bis e 4-ter L. 13
dicembre 1989 n. 401.
L’art. 88 del T.U.L.P.S. stabilisce che per l’esercizio di attività di scommessa è necessaria la concessione
della relativa licenza, che può essere concessa “esclusivamente a soggetti concessionari o autorizzati da parte di
Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione e gestione delle scommesse, nonché a
soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di organizzazione in forza della stessa concessione o
autorizzazione”; da quanto sopra esposto, si deduce che qualunque attività sprovvista di licenza risulti essere
abusiva per la normativa italiana.
La L. n. 401 del 1989, rubricata “ Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestine e tutela
della correttezza nello svolgimento di manifestazioni sportive” punisce, con la reclusione da tre mesi ad un anno
e l’ammenda non inferiore a lire un milione, chiunque esercita abusivamente l'organizzazione del giuoco del lotto o di
scommesse o di concorsi pronostici che la legge riserva allo Stato o ad altro ente concessionario. Alla stessa pena soggiace,
prosegue il dettato della norma, chi comunque organizza scommesse o concorsi pronostici su attività sportive gestite dal Comitato
olimpico nazionale italiano (CONI), dalle organizzazioni da esso dipendenti o dall'Unione italiana per l'incremento delle razze
equine (UNIRE) ed anche a chiunque venda sul territorio nazionale, senza autorizzazione dell'Amministrazione autonoma dei
monopoli di Stato, biglietti di lotterie o di analoghe manifestazioni di sorte di Stati esteri, nonché a chiunque partecipi a tali
operazioni mediante la raccolta di prenotazione di giocate e l'accreditamento delle relative vincite e la promozione e la pubblicità
effettuate con qualunque mezzo di diffusione.
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La L. n. 388 del 2000 (la legge finanziaria per l’anno 2001) ha poi aggiunto all’art.4 L. n. 401 del 1989 i
commi 4-bis e 4-ter, che rispettivamente dispongono:
Art. 4-bis - le sanzioni di cui al presente articolo sono applicate a chiunque, privo di concessione, autorizzazione o licenza
ai sensi dell'articolo 88 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e
successive modificazioni, svolga in Italia qualsiasi attività organizzata al fine di accettare o raccogliere o comunque favorire
l'accettazione o in qualsiasi modo la raccolta, anche per via telefonica o telematica, di scommesse di qualsiasi genere da chiunque
accettate in Italia o all'estero.
Art 4-ter – (…) le sanzioni di cui al presente articolo si applicano a chiunque effettui la raccolta o la prenotazione di
giocate del lotto, di concorsi pronostici o di scommesse per via telefonica o telematica, ove sprovvisto di apposita autorizzazione all'uso
di tali mezzi per la predetta raccolta o prenotazione.
3. LE LIBERTÀ DI STABILIMENTO E DI PRESTAZIONE DI SERVIZI
Occorre ora analizzare il quadro delle libertà fondamentali garantite dall’ordinamento comunitario su cui
si innesta il tessuto normativo nazionale dianzi tratteggiato.
Alla luce dell’art. 43 del Trattato (ex art. 52), la libertà di stabilimento importa l'accesso alle attività non
salariate e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese (…) alle condizioni definite dalla legislazione del paese di
stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali. Le restrizioni alla libertà di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro sono vietate. Tale divieto si estende altresì alle
restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un
altro Stato membro.
L’art. 49 (ex art. 59), a proposito del diritto di stabilimento, a sua volta, vieta le restrizioni alla libera
prestazione dei servizi all’interno della Comunità nei confronti dei cittadini degli stati membri stabiliti in un Paese della Comunità
che non sia quello destinatario della prestazione. Senza pregiudizio delle disposizioni del capo relativo al diritto di
stabilimento, il prestatore può, per l'esecuzione della sua prestazione, esercitare, a titolo temporaneo, la sua
attività nel paese ove la prestazione è fornita, alle stesse condizioni imposte dal paese stesso ai propri cittadini.
L’art. 50 del Trattato (ex art. 60) chiarisce che il concetto di servizio va inteso come prestazione fornita
normalmente dietro retribuzione,in quanto non sia regolata dalle disposizioni relative dalle disposizioni relative alla libera
circolazione di merci, capitali e persone.
Quanto finora esposto rappresenta il quadro normativo di riferimento, all’interno del quale è possibile
trovare la soluzione al problema del coordinamento tra la disciplina nazionale e quella comunitaria. Non si può
peraltro ignorare come rientrino nell’ordinamento comunitario anche le statuizioni interpretative della Corte di
Giustizia, tra le quali figura anche quella che qualifica la gestione dei giochi di sorte o d’azzardo come attività
economica, che dà luogo ad una remunerazione specifica rientrante nell’ambito delle libertà economiche
consacrate dal Trattato.
Al riguardo, si rileva che sono numerose le pronunce precedenti alla causa Gambelli sopra richiamata,
che la Corte di Giustizia ha reso nella materia dei giochi e scommesse e che nella motivazione della sentenza in
esame vengono puntualmente richiamate.
Così si fa riferimento a cinque decisioni che – in via progressivamente più incisiva - hanno ammesso che
le normative nazionali, pur costituendo ostacolo alla libera prestazione dei servizi nell’organizzazione delle
lotterie (Schindler, sentenza 24 marzo 1994), nella messa in circolazione di apparecchi automatici per giochi
d’azzardo (Laara, sentenza 21 settembre 1999), nell’esercizio di scommesse su eventi sportivi (Zenatti, sentenza
21 ottobre 1999), nell’esercizio commerciale e nella pratica di giochi di sorte o d’azzardo (Anomar, sentenza 11
settembre 2003) potevano considerarsi giustificate da esigenze imperative di interesse generale.
Si è infatti costantemente riconosciuto come le finalità costituenti il fondamento delle politiche
perseguite a livello nazionale, potessero essere ritenute compatibili con l’ordinamento comunitario, se le
limitazioni che impongono intendono perseguire effettivamente obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli effetti nocivi di
tali attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate rispetto a tali obiettivi.
Si è data applicazione all’importante principio che il bene giuridico tutelato dalla normativa europea può
essere sacrificato, a norma dell’art. 46, n.1, del Trattato soltanto qualora disposizioni legislative, regolamentari ed
amministrative siano giustificate da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica.
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4. LA SENTENZA GAMBELLI
Il procedimento oggetto della pronuncia Gambelli ha avuto origine dalla questione interpretativa
sottoposta in via pregiudiziale, ex art. 234 del Trattato, ai giudici di Lussemburgo, da parte del Tribunale di Ascoli
Piceno ed è relativo alla compatibilità con gli artt. 43 e 49 del Trattato CE del sistema sanzionatorio penale
previsto dalla L. n. 401 del 1989, per le ipotesi di cui all’art.4, nn. 1-4, 4-bis e 4-ter, L. n. 401 del 1989, come
modificata dall’art. 37, n. 5, L. n. 388 del 2000.
In particolare, veniva contestato agli indagati di aver posto in essere una condotta illecita, consistente
nella gestione di agenzie denominate centri trasmissione dati che effettuavano attività di raccolta di scommesse
articolata nella seguente dinamica: il giocatore comunicava al responsabile dell’Agenzia italiana l’evento e la
somma oggetto della scommessa; l’operatore inviava a mezzo Internet gli estremi della richiesta di accettazione
della giocata al bookmaker straniero; quest’ultimo inviava conferma dell’accettazione in tempo reale; il giocatore,
al quale veniva comunicata l’accettazione della scommessa, effettuava il pagamento del corrispettivo dovuto;
l’agenzia inoltrava quest’ultimo al bookmaker straniero su apposito conto estero.
Non va sottaciuto che in tanto era stato possibile estendere all’allibratore straniero che esercitava
regolarmente nel proprio Paese queste attività, in conformità alle norme vigenti nello stato di residenza, in
quanto aveva stipulato accordi commerciali.
Nella propria decisione, la Corte ha statuito il principio secondo il quale una normativa nazionale
contenente divieti penalmente sanzionati di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione
di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione
rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione di servizi previste, rispettivamente, agli artt. 43 TCE e 49 TCE.
Coerentemente con il consolidato orientamento alla stregua del quale la Corte europea – mentre detiene
il monopolio interpretativo del diritto comunitario - non ha alcuna competenza sulla qualificazione della
fattispecie concreta e delle relative norme di diritto interno, la Corte ha concluso altresì che “spetta al giudice
nazionale verificare se la normativa italiana risponda realmente ad obiettivi di tutela del consumatore e dell’ordine
sociale e se le restrizioni imposte non risultino sproporzionate rispetto a tali obiettivi”.
In questo modo, il giudice comunitario ha chiaramente indicato i termini di contrasto tra la normativa
nazionale e quella comunitaria, fornendo altresì ai giudici nazionali di merito i criteri alla stregua dei quali valutare
sia la sussistenza di un interesse generale preponderante che giustifichi la restrizione dei beni giuridici tutelati
dall’ordinamento comunitario, che la proporzionalità degli strumenti apprestati al soddisfacimento dello scopo.
Alla luce delle argomentazioni della sentenza Gambelli, numerosi giudici di merito italiani – nei
procedimenti di loro cognizione - hanno disapplicato la normativa nazionale perché ritenuta in contrasto con le
statuizioni ivi contenute.
I profili di innovatività di questa decisione erano tali da giustificare, anche in considerazione della
rilevanza degli interessi coinvolti, la remissione della problematica alle Sezioni Unite da parte dalla III Sezione
della Cassazione penale, che già in una precedente occasione era stata investita di una fattispecie analoga.
Si tratta della sentenza n. 42187 del 5 novembre 20031,con cui la Suprema Corte si era pronunciata
accogliendo il ricorso proposto dal PM di Bergamo avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame,che aveva
ritenuto sostenibili le tesi difensive volte a ritenere insussistenti le fattispecie penali sanzionate dall’art. 4 della
predetta L. n. 401 del 1989.
In quell’occasione, a sostegno della compatibilità della normativa italiana con il Trattato CE, nel
denegare l’esistenza di un contrasto tra la normativa italiana e la normativa comunitaria in materia di giochi, la
Corte aveva richiamato una decisione della Corte di Giustizia del 21 ottobre 1999 (causa Zenatti), secondo cui le
disposizioni comunitarie non ostano ad una normativa, come quella italiana, che riserva a determinati enti il diritto di esercitare
scommesse su eventi sportivi ove tale normativa sia effettivamente giustificata da obiettivi di politica sociale tendenti a limitare gli
effetti nocivi di tale attività e ove le restrizioni da essa imposte non siano sproporzionate a tali obiettivi.
Intervenuta la sentenza Gambelli del 6 novembre 2003, il supremo giudice di legittimità, nell’esaminare
ancora una volta le questioni di diritto connesse alla fattispecie di un sequestro preventivo di un centro di
raccolta e trasmissione di scommesse sportive, non ha potuto non recepire le indicazioni interpretative
provenienti dalla Corte lussemburghese e, nella pronuncia a Sezioni Unite in discorso, si è soffermato sugli
elementi di novità enunciati dalla Corte di giustizia delle Comunità europee.
D’altra parte, giova ribadirlo, lungi dall’operare un revirement che si discostasse dal filone comunitario
pregresso, il giudice comunitario non ha mai messo in discussione il monopolio statale ed il sistema concessorio,
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In Ced Cassazione.
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come assetto regolatore del comparto del gioco, il thema decidendum ha avuto ad oggetto soltanto le motivazioni
che possono giustificare le restrizioni.
Venendo quindi ad esaminare gli elementi di novità,la Corte europea ha valutato la compatibilità
comunitaria dell’assetto normativo nazionale alla stregua del principio enunciato nell’art. 43 del Trattato. La
libertà di stabilimento, che si distingue sia dalla libera prestazione di servizi (per il carattere non episodico e non
occasionale dell’attività esercitata), sia dalla libera circolazione dei lavoratori (per il carattere non salariato
dell’attività) è venuta a costituire un nuovo parametro di riferimento.
In secondo luogo, ha sottoposto al vaglio alcune delle restrizioni imposte dal legislatore nazionale, per
valutarne la portata giustificativa. Al riguardo, non è possibile addurre le finalità fiscali e neppure l’esigenza di
finanziare attività sociali attraverso un prelievo degli introiti derivanti dalla gestione delle scommesse, giacchè
questa costituisce una conseguenza accessoria, e non una idonea giustificazione della politica restrittiva (punto 67 della sentenza
Gambelli).
L’argomentazione che – ad avviso della Corte - appare la più suggestiva per rivisitare la giurisprudenza di
legittimità è la considerazione che “lo Stato italiano persegue una politica di forte espansione del gioco e delle scommesse allo
scopo di raccogliere fondi” (punto 68 della sentenza Gambelli) e questo intento manifestamente contraddice lo scopo
sociale di limitare la propensione al gioco. Tuttavia si è correttamente osservato, da parte della Suprema Corte,
che tale politica espansiva non è incompatibile con i motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza che, a
norma degli artt. 46 e 55 TCE, sono idonei a giustificare restrizioni ai principi di libero stabilimento e di libera
prestazione di servizi.
Ne deriva la piena compatibilità della legislazione italiana con i principi comunitari, atteso che essa è
volta a sottoporre a controllo preventivo e successivo la gestione delle lotterie, delle scommesse e dei giochi
d’azzardo non al fine di contenere la domanda e l’offerta del gioco, ma di convogliarla in circuiti controllabili al fine
di prevenirne la possibile degenerazione criminale.
È pertanto ammissibile sottoporre a vigilanza soggetti e luoghi in cui si esercita la gestione delle
scommesse e dei concorsi pronostici, né si può ritenere fondata l’obiezione secondo cui la normativa nazionale
che richiede un’autorizzazione di polizia all’allibratore straniero regolarmente abilitato nel proprio Stato di
appartenenza contrasterebbe con il diritto comunitario.
A questo proposito, il giudice delle leggi ha correttamente rilevato che l’autorizzazione di polizia ha una
connotazione di tipo territoriale,ossia tende a garantire un controllo di ordine pubblico sui soggetti e suoi luoghi
dell’ambito nazionale di stabilimento, pertanto comporta l’esigenza di rinnovare il controllo nel caso in cui la
gestione delle scommesse si espanda nell’ambito territoriale di un altro Stato membro.
Diversamente opinando, si giungerebbe alla paradossale conclusione che le scommesse gestite
direttamente o indirettamente da un operatore estero e perfezionate nel territorio italiano sarebbero esenti da
qualsiasi controllo, mentre quelle che si perfezionano nel territorio dello Stato straniero sarebbero sottoposte al
controllo vigente in quest’ultimo stato.
Il controllo di congruità che il giudice nazionale è chiamato ad effettuare dalla Corte di Lussemburgo
riguarda la idoneità e la proporzionalità delle misure restrittive in rapporto allo scopo di tutela dell’ordine
pubblico; occorre infine stabilire se tali misure abbiano o meno carattere discriminatorio.
Sotto il primo profilo, è stata operata una distinzione tra le disposizioni restrittive e le sanzioni penali da
cui sono assistite. Della legittimità e della compatibilità con la normativa comunitaria delle prime si è già detto,
atteso che è principio indefettibile che l’assetto regolatore dell’attività di gioco sia informato, in Italia, al principio
della riserva originaria, nel senso che lo svolgimento di tale attività è consentito allo Stato oppure a soggetti
privati soltanto in regime concessorio.
In relazione alle sanzioni penali, per la prima volta oggetto di riflessione da parte del giudice
comunitario, occorre rilevare che probabilmente la questione è stata mal posta. Il giudice a quo, nella stessa
ordinanza di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, avrebbe rappresentato al giudice
comunitario, del tutto erroneamente, che queste sarebbero state introdotte soltanto con le disposizioni della
novella del 2000, ai commi 4-bis e 4-ter L. n. 401 del 1989.
In realtà ciò non è, poiché l’attività dei soggetti che partecipino nel territorio italiano alla gestione di
scommesse per conto di un allibratore straniero era già penalmente sanzionata per effetto dei primi tre commi
dell’art.4, che non sono stati incisi dalla legge del 2000, oltre che in forza dell’art. 6 c.p..
Inoltre, per giurisprudenza e dottrina costanti, è pacifico ammettere che la formulazione del giudizio di
congruità della sanzione penale è rimessa alla discrezionalità legislativa e sottratta alla cognizione del giudice. Ben
può il legislatore, nell’operare il bilanciamento dei delicati interessi in gioco, assicurare con la sanzione penale una
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tutela maggiormente incisiva al valore della sicurezza, rispetto ad altri beni di rilievo costituzionale quali la libertà
di iniziativa economica e la libertà di prestazione di servizi 2.
Riguardo infine al carattere discriminatorio delle misure restrittive, la Corte conclude in senso negativo.
Vengono a tal proposito richiamate le considerazioni formulate ai punti 70 e 71 della sentenza Gambelli,
laddove si precisa che le restrizioni imposte dalla normativa italiana sui bandi di concorso per le concessioni
devono essere indistintamente applicate sia agli operatori nazionali che a quelli comunitari e non devono essere
tali da poter essere praticamente soddisfatti più facilmente dai primi piuttosto che dai secondi.
Queste considerazioni prendono le mosse, ad avviso della Suprema Corte, dalla procedura di infrazione
ex art. 226 del Trattato contro lo Stato italiano per un bando di gara dell’ 11 dicembre 1998 (poi modificato il 22
aprile 1999) concernente l’attribuzione di mille concessioni relative alla gestione di scommesse su competizioni
sportive. Nel parere motivato rilasciato nell’ambito di quella procedura,infatti, la Commissione UE aveva
ritenuto che i requisiti restrittivi imposti dai regolamenti recati dall’art. 2 D.M. 2 giugno 1998 n. 174 e dal D.P.R.
8 aprile 1998 n. 169 (che impongono ai concessionari di intestare a persone fisiche o a società di persone le
azioni aventi diritto di voto o le quote) avevano impedito ai più importanti operatori di partecipare al bando.
Tuttavia, detto sistema non riveste carattere discriminatorio , anche se la Commissione UE ha osservato
che avrebbe potuto essere sostituito con altro ugualmente idoneo allo scopo anche se più complicato (un sistema
amministrativo di richiesta di informazioni relative alla onorabilità degli amministratori aziendali,dei soci di
controllo , su cui cfr. il punto 23 del parere), perché non consente di operare distinzioni tra società italiane e
società estere interessate alla gara per le concessioni.
Che la normativa italiana non operi discriminazioni a favore di operatori nazionali lo si desume anche dal
dettato di norme più recenti: si fa riferimento alle disposizioni recate alla legge finanziaria del 2003 (L. 27
dicembre 2002 n. 289), che ha consentito la partecipazione alle procedure concorrenziali per l’affidamento delle
concessioni anche a società di capitali, nonché alle nuove norme che, dettate nell’ambito della riforma del diritto
societario, ha nno parificato il regime delle società italiane a quello delle altre società europee aperte, che fanno
appello al mercato del capitale di rischio (art. 2725-bis c.c.).
Anche sotto questo profilo, pertanto, si può affermare la piena compatibilità tra la normativa italiana e
quella comunitaria in tema di esercizio di giochi e scommesse.
Rosamaria Larice
Funzionario dei Monopoli di Stato
Cfr. Cass., sez. II, 18 giugno 2003 n. 26145, in Ced Cassazione, e Cons. Stato, sez. IV, 25 settembre 2002 n. 4905, in Cons.Stato 2002, I, p.
1969.
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