Il calcolatore astronomico di Antikythera Un simulatore per gli astri

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Il calcolatore astronomico di Antikythera Un simulatore per gli astri
Il calcolatore astronomico di Antikythera
Di Francesco Garufi
Un complesso meccanismo astronomico realizzato in Grecia duemila anni fa, è da cinquanta anni oggetto di
studio. I Greci possedevano conoscenze e capacità tecniche per costruire con perizia un tale strumento. Parla,
in esclusiva per HERA, Michael Wright, l'autore delle ultime scoperte.
La volontà e la curiosità, qualità innate nell'essere umano,
portano a risvegliare interessi ormai sopiti riguardo a scoperte
archeologiche effettuate molti anni addietro. É il caso del
famoso "Meccanismo di Antikythera" (cfr. HERA n°13 pag. 24),
oggi oggetto di innovativi studi che hanno apportato
fondamentali novità circa il suo sistema di funzionamento. Era
dal 1959 che non si avevano progressi in questa ricerca.
Facciamo prima un piccolo salto indietro.
La storia di questo reperto inizia con il suo ritrovamento nelle
acque della Grecia del Sud, di fronte all'isola da cui prende il
nome: Antikythera. La sua scoperta è, come per molte altre, da
addebitarsi al caso. Nell'aprile del 1900, una squadra di
pescatori si rifugiò in quell'isola a causa di una violenta
tempesta. Dopo alcuni giorni, decisero di immergersi in mare
in cerca di spugne. Trovarono, invece, alla profondità di circa
42 metri, una nave commerciale antica di duemila anni, carica
di statue, monili e vino. L'opera di recupero del relitto,
purtroppo, avvenne solo a due anni di distanza, permettendo, nel frattempo, ai trafficanti di antichità di
depauperarla di parte del suo prezioso carico. Le operazioni furono effettuate con metodologie assai differenti
da quelle impiegate ai nostri giorni, causando purtroppo la scomparsa di molti pezzi e tra questi anche
importanti frammenti di quel reperto che, nel 1902, l'archeologo Valerios Stais del Museo Nazionale di Atene, si
ritrovò a maneggiare. Si trattava di una strana scatola che esternamente presentava scale graduate e iscrizioni
in greco antico e, all'interno, un complesso sistema d'ingranaggi fra cui almeno venti ruote dentate. Nessun
marchingegno del genere, risalente a quell'epoca remota, era mai stato trovato in precedenza e pertanto era la
prima volta che un archeologo si trovava a studiare qualcosa del genere. La datazione del reperto, realizzata in
base agli altri materiali ritrovati a bordo della corbita (la nave) quali vasellame, anfore ed altri oggetti, venne fatta
risalire all'incirca al 65 a.C. Tale data fu successivamente confermata dall'analisi paleografica dell'iscrizione, che
risultò appartenere al I secolo a.C. Solo dopo essersi accertato dell'esatta datazione del cargo, Stais diede al
mondo accademico l'annuncio del ritrovamento di questo straordinario oggetto, ma come troppe volte accade,
la scoperta non fu presa nella
giusta considerazione. Negli anni a
seguire furono avanzate molte
teorie sul suo funzionamento. Molti
lo considerarono un astrolabio,
altri un planetario e, addirittura,
c'era chi affermava che non poteva
essere
né
l'uno
né
l'altro,
adducendo che la civiltà greca non
era in grado di poter produrre tali
tecnologie. Per molti, infine,
l'oggetto era stato semplicemente
buttato in mare da una nave nel
periodo moderno e che per puro
caso finì nel relitto in mezzo ad altri
reperti.
Un simulatore per gli astri
Nel frattempo passarono quasi 5 decenni prima che qualcuno desse la giusta importanza al Meccanismo di
Antikythera. Negli anni '50 il professor Derek J. De Solla Price, dell'Università di Yale, si occupò del restauro e
della traduzione delle poche iscrizioni leggibili incise sul misterioso marchingegno.
Nel giugno del 1959 lo Scientific American pubblicava la ricerca di Price in sette pagine fitte di informazioni, in
cui lo studioso, dopo anni di studi, giungeva alla conclusione che il meccanismo era stato realizzato attorno
all'87 a.C. e fu utilizzato per calcolare i movimenti del Sole, della Luna e degli altri pianeti. Secondo Price "la
caratteristica tecnica più spettacolare del meccanismo di Antikythera è che rappresenta una piattaforma
girevole differenziale, un congegno che si sarebbe rivisto
soltanto nell'Europa del '500". Anche l'importante testata
scientifica americana concordava con Price nell'affermare
che il ritrovamento apportava nuove straordinarie
conoscenze alle teorie ufficiali circa lo stadio raggiunto
dalla "tecnologia" nel periodo ellenico. Non mancò neanche
chi si sentì autorizzato a chiamare in causa gli extraterrestri
per la costruzione di quello che venne definito il precursore
dei computer. Effettivamente la complessità del
meccanismo, con tutte le sue sofisticate ruote dentate, i
quadranti, le piastre incise sembra essere a dir poco fuori
luogo nel contesto dell'antica Grecia. Questo è stato il
pensiero degli studiosi dopo la pubblicazione di Price e tale
è rimasto dal 1959 a oggi.
Grazie a personaggi come Michael Wright, curatore della sezione di Ingegneria Meccanica del Museo delle
Scienze di Londra, nuovi risvolti si aggiungono a quasi mezzo secolo di distanza dalla pubblicazione di De Solla
Price, apportando alcune novità alla nostra conoscenza su quest'antico ed enigmatico reperto. Wright è partito
proprio studiando le pubblicazioni di Price. Durante la sua ricerca ha fatto realizzare alcune lastre ai Raggi X del
meccanismo mediante una tecnica chiamata "tomografia lineare", inesistente ai tempi di Price. Tali immagini,
molto dettagliate, hanno evidenziato l'esatta posizione dei componenti interni del marchingegno. Sono state
così rilevate, secondo Wright, alcune gravi lacune nello studio di De Solla Price. In particolare lo studioso
afferma che il professor Price ha, per così dire, "limato" o "adattato" alcuni denti su certuni ingranaggi (che
Wright ammette essere incompleti) per arrivare a dimostrare rapporti astronomici significativi. Price, inoltre,
avrebbe postulato un sistema meccanico molto elaborato di inversione delle ruote dentate all'interno
dell'oggetto per permettere agli ingranaggi di girare nel senso voluto dalla sua teoria. Studiando a fondo
l'oggetto, Wright ha poi notato un particolare, che si è rivelato importante, in quanto gli ha permesso di
cambiare la teoria sulla "destinazione d'uso" del Meccanismo di Antikythera.
Al centro della ruota principale del dispositivo ha rilevato un perno, non
scoperto da Price, cui era certamente fissato un ingranaggio che
permetteva alle altre ruote dentate di girarvi attorno. Questa scoperta,
secondo Wright, elimina l'idea di Price relativa al meccanismo di
inversione, per cui in realtà il "computer" di Antikythera dovrebbe
essere un oggetto utilizzato per riprodurre fedelmente un movimento
epiciclico (1). Lo studioso inglese, in buona sostanza avrebbe trovato la
prova che il Meccanismo di Antikythera era in condizione di riprodurre
fedelmente il movimento del Sole e della Luna, usando un modello
epiciclico derivato dall'idea di Ipparco (II secolo a.C.), e dei pianeti
Mercurio e Venere utilizzando il modello epiciclico scaturito dagli studi
di Apollonio di Perga (matematico greco, fondatore della "teoria delle
coniche", III sec. a.C.). "Chiaramente - afferma Wright - un meccanismo
costruito per mostrare solo il movimento del Sole, Luna, Mercurio e
Venere, non ha molto senso". Pertanto, la sua idea prende pieno sviluppo se consideriamo che al di sopra del
congegno avrebbe potuto esserci un altro dispositivo, successivamente andato perduto, che comandava altri
ingranaggi in grado di muoversi seguendo il moto degli altri tre pianeti conosciuti: Marte, Giove e Saturno. Tale
sistema avrebbe permesso agli operatori di stabilire la posizione esatta di tutti i corpi celesti noti in una precisa
data, attraverso l'uso di indicatori di bronzo posti su una manopola circolare indicante le costellazioni dello
zodiaco. Wright ha anche replicato un modello del meccanismo che egli indica come fedele all'originale. La
completa ricostruzione e i dettagli della sua ricerca sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Horological
Journal. Il dottor Wright ha scelto HERA per far conoscere in assoluta esclusiva per l'Italia, il risultato delle sue
importanti ricerche.
L'intervista:
Francesco Garufi: Dottor Wright, può dirci perché si è interessato allo studio del Meccanismo di Antikythera?
Michael Wright: "Sono sempre stato interessato ad ogni genere di congegno, cerco di capire in che modo è
stato costruito e quali caratteristiche abbia la meccanica interna. Con la pratica sono giunto a un alto grado di
perizia e questi miei interessi mi hanno permesso di lavorare per il Museo della Scienza di Londra dal 1971. In
più, i miei studi classici mi hanno portato ad avere un amore e un rispetto infinito per l'antichità. Ho letto Gears
from Greeks di Derek De Solla Price quando uscì nel 1974 e da allora cominciai seriamente a pensare al
Meccanismo di Antikythera. Quando il mio Museo, nel 1983, acquistò un altro strumento greco con ingranaggi,
risalente al 500 a.C., fui costretto ad interessarmene maggiormente. È stato allora che ho iniziato a capire il
grande lavoro di Price per comprendere tale meccanismo".
F.G.: Su cosa si è principalmente focalizzato il suo studio?
M.W.: "Il mio scopo era di comprenderne pienamente il funzionamento e
credo che questo possa essere fatto meglio considerando ogni particolare.
Osservando attentamente come era stato progettato sono arrivato ad una
comprensione del perché era stato costruito con quella specifica forma. Su
questo soggetto sto facendo ancora progressi, ma penso che dovremo
essere pronti anche ad accettare l'idea di non sapere completamente tutta
la verità sul meccanismo. Quello che abbiamo a disposizione è, purtroppo,
un oggetto incompleto".
F.G.: É possibile definire esattamente l'età del congegno?
M.W.: "La data del naufragio dell'imbarcazione che portava a bordo il
meccanismo può essere indicata con un altissimo grado di attendibilità e
corrisponde ai primi anni del I sec. a.C., probabilmente l'86 a.C. Il professor
Price sosteneva una data molto simile per la fabbricazione del
meccanismo basata su una prova interna all'oggetto stesso, ma io rigetto
quest'evidenza come non valida. Possiamo comunque affermare che il
congegno è antecedente al naufragio ed è probabile che lo sia di soli pochi
anni in quanto, a mio giudizio, tale strumento non s arebbe stato in grado di
funzionare a lungo, salvo che non fosse maneggiato con estrema cura".
F.G.: Il calcolo dei movimenti astrali e planetari del meccanismo ci riconduce all'epoca dei Greci o a epoche più
antiche?
M.W.: "Il modello astronomico rappresentato con lo strumento sembra essere contemporaneo alla data del
reperto, sebbene non possiamo esserne certi al 100%. Il successo dell'Almagesto di Claudio Tolomeo (il trattato
più completo sul movimento dei pianeti pubblicato nei grandi giorni dell'astronomia greca, N.d.A.) era tale che il
resto degli studi d'astronomia fu tralasciato e perduto. Ciò che troviamo nei frammenti originali del meccanismo
è comunque coerente con la nostra comprensione dell'astronomia del I secolo d.C. Naturalmente la scienza
astronomica greca era basata su osservazioni molto più antiche, in particolar modo, mesopotamiche, ma la
struttura concettuale sembra essere completamente ellenica. Nella mia nuova ricostruzione ho adattato e
inserito le teorie solari e lunari di Ipparco (II secolo a.C.), la semplice teoria epiciclica del moto planetario
generalmente ascritta ad Apollonio (ca. 200 d.C.). Ho, inoltre, dimostrato che queste tesi aiutano a spiegare le
caratteristiche dei frammenti originali del meccanismo e offrono così una ricostruzione che corrisponde alle
descrizioni dei planetari di Cicerone e di altri scrittori del tempo".
F.G.: In base agli studi di Derek De Solla Price, il meccanismo funziona come un differenziale. E' vero?
M.W.: "Il congegno 'differenziale' è un'importante caratteristica della ricostruzione di Price. Appartiene alla metà
posteriore dello strumento che io non ho ancora ricostruito, ma su cui sto lavorando e posso dirvi che sono
giunto alla conclusione che questo ingranaggio non è un differenziale. Era certamente un marchingegno
epiciclico, e penso che fosse usato per ottenere un rapporto che il costruttore trovò difficile da ottenere usando
un sistema di comuni assi fissi. Vi darò a breve una spiegazione più esaustiva non appena terminerò la
pubblicazione del mio studio completo. Sarete sicuramente tra i primi a cui darò notizie".
F.G.: Gli studi compiuti a oggi sul meccanismo, lo identificano come un macchinario per il calcolo dei
movimenti solari, lunari e stellari. Quanto era precisa questa "macchina"?
M.W.: "Tutte le ricostruzioni dello strumento che conosco, antecedenti alla mia, si basano sulle osservazioni di
Price e sono copie o varianti della medesima. Secondo Price, il quadrante posto nella parte anteriore conteneva
due indicatori. Questi mostravano le posizioni principali del Sole e della Luna nello zodiaco, e il primo indicava
anche il giorno dell'anno in questione. Il "posteriore" dello strumento includeva due quadranti e, in accordo con
Price, quello inferiore aveva una lancetta che girava una volta in un mese sinodico, detto anche lunare (è il
tempo medio impiegato dalla Luna per tornare alla stessa fase, N.d.A.). L'uso della lancetta superiore sembra
meno certa, Price ammetteva la possibilità che la lancetta girasse sia in 4 anni che in 47 mesi sinodici. Le
'prestazioni' di questo strumento erano buone per alcuni aspetti, meno per altri. Il rapporto dei periodi di
rotazione dei due indicatori frontali è in relazione con il mese tropicale, facente parte dell'anno tropicale, cioè la
quantità di tempo che passa tra due equinozi di primavera successivi. Esso è preferibile al mese siderale
proposto da Price ed è il solo implicito riferimento a ciò che gli storici dell'astronomia chiamano 'rapporto
metonico', il ciclo lunare di 19 anni, conosciuto dagli antichi Greci e, prima di loro, dagli astronomi babilonesi. Il
suo grado di aderenza alla realtà è abbastanza affidabile e quella con i parametri dati da Ipparco è anche
migliore. Al contrario dei precedenti lavori sul meccanismo, la mia ricostruzione si basa su osservazioni e su
studi diretti realizzati sui frammenti originali conservati ad Atene. Finora il modello da me elaborato rappresenta
soltanto la parte anteriore dello strumento. Inserendo nella ricostruzione la teoria di Ipparco, il meccanismo
migliora di molto la sua precisione per le posizioni del Sole e della Luna. Per quanto riguarda la
rappresentazione dei moti dei pianeti, posso dire che l'esattezza dei periodi orbitali indicati dal meccanismo è
eccellente, mentre difetta in altri particolari".
F.G.: Per realizzare il differenziale del Meccanismo di Antikythera, immagino si sia reso necessario uno sviluppo
graduale della scienza tecnologica. Non si può pensare che esso sia stato realizzato dal niente. Cosa ne pensa
di questa singolare anomalia archeologica e scientifica?
M.W.: "Lo strumento in questione è finora unico. Ma non lo può essere stato nel suo tempo. Apparteneva a una
tradizione. Non è però necessario ipotizzare una lunga tradizione. É chiaro comunque che lo strumento non era
il primo per il suo costruttore. Il progetto denota sicuramente un background profondo, tale da poter affermare,
senza ombra di dubbio, che progettista e costruttore dovevano essere la stessa persona. Direi che non si può,
quindi, parlare di 'anomalia', quanto di unicità del reperto".
F.G.: Lei pensa che queste "tradizioni" abbiano a che fare con la Biblioteca di Alessandria?
M.W.: "Il meccanismo in questione è l'espressione 'meccanica' della cognizioni scientifiche e matematiche del
suo tempo. Sappiamo che la Biblioteca di Alessandria si è trasformata in una notevole fonte di conoscenza, ma
purtroppo il ruolo avuto nella costruzione di questo strumento non è evidente. Leggendo l'Almagesto di
Tolomeo e le altre fonti greche del tempo, è evidente che le misurazioni astronomiche derivano in buona parte
da quelle precedenti fatte all'epoca babilonese. Quello a cui voglio dare risalto è che i Greci hanno ereditato
queste informazioni utilizzandole senza però comprenderle".
F.G.: Secondo Lei, per quali scopi fu realizzato un tale strumento. Per la navigazione o altro?
M.W.: "Secondo la mia ricostruzione, questo strumento non si adatta con la nostra conoscenza della
navigazione. Non è un congegno idoneo alla navigazione. Il fatto che molti pensino a un meccanismo atto a
questo scopo, può derivare dal suo ritrovamento, avvenuto su di una nave affondata. Io penso che il congegno
si debba inquadrare come 'materiale' facente parte di un cargo che trasportava beni di utilizzo 'pratico' ma
anche di lusso. Questo meccanismo potrebbe essere uno strumento didattico oppure un simbolo di prestigio. In
effetti, abbiamo un certo numero di fonti antiche in cui si accenna a strumenti del genere e in cui si esprime
meraviglia per il loro funzionamento, ma non se ne indica la ragione per cui erano stati costruiti". (2)
F.G.: La raffinatezza del meccanismo, dotato di piccole viti o borchie che ne uniscono i componenti, lasciano
spazio alla seguente domanda: un metallurgo del I secolo a.C. possedeva la necessaria perizia per un lavoro di
tale precisione?
M.W.: "Non ci sono viti nello strumento. Le parti sono tenute insieme da leghe per saldatura, da ribattini o con
l'uso di piccoli perni incuneati nei fori. Quest'ultima tecnica è stata impiegata dove vi era l'esigenza di tenere le
parti distanziate tra loro. L'utilizzo di queste tecniche è visibile in molti manufatti metallici del I secolo d.C. e
anche in alcuni più antichi. Certo, lo strumento è costruito accuratamente, come lo sono, comunque, molti altri
appartenenti a quel tempo. L'alta precisione come noi ora la intendiamo, non era necessaria e non è presente".
F.G.: La sua ricerca ha prodotto nuove conoscenze sull'astronomia antica?
M.W.: "Io sono un ingegnere meccanico e uno storico dell'ingegneria. Non sono un astronomo, quindi sarei
tentato di non rispondere a questa domanda. Ma chiunque studi la mia ricostruzione deve tener presente che
nell'attuare questo progetto, ho tenuto conto di ciò che si conosceva di astronomia a quel tempo e l'ho
impiegato per sviluppare la replica dello strumento. Niente di più!"
F.G.: Di cosa si occupa al Museo della Scienza di Londra?
M.W.: "Sono il curatore della sezione di Ingegneria Meccanica. Questo, in poche parole, significa che mi occupo
della conoscenza dei congegni meccanici e degli attrezzi che servono a tale scopo. Normalmente il lavoro di
curatore è principalmente amministrativo e di insegnamento è, quindi, insolito che egli possieda un'esperienza
pratica come la mia. Sono un uomo cui piace lavorare sugli strumenti".
F.G.: Lei mi ha parlato di un ulteriore avanzamento nei suoi studi. Può anticipare qualcosa ai nostri lettori?
M.W.: "In questo periodo, oltre alle varie conferenze sui risultati del mio studio e di cui tengo a precisare di aver
scelto il suo giornale per comunicarne le conclusioni in esclusiva per l'Italia, sto lavorando alla ricostruzione
della parte posteriore dello strumento. In base a ciò sono sempre più convinto che il 'differenziale di Price' non è
una buona idea. Questo è un importante passo avanti nella
comprensione del congegno. In più, avendo controllato il numero dei
denti in tutte le ruote rimaste, ho ulteriori ragioni per modificare le
disposizioni degli ingranaggi suggeriti da Price che regolano le
manopole della parte posteriore. Questo significa che ci sono ancora
molte cose non chiare nello strumento, ma posso dirvi che sono
quasi vicino alla completa ricostruzione del Meccanismo di
Antikythera".
F.G.: Bene, dottor Wright, la ringrazio vivamente del tempo che ci ha
dedicato. È sempre un piacere dare spazio a persone che apportano
importanti tasselli alla conoscenza del mondo antico.
M.W.: "Grazie a voi per l'interessamento. Sono convinto che ci
saranno ulteriori novità in merito. Vi assicuro che sarete tra i primi a
saperlo, quando accadrà".
Note:
(1) Il "movimento epiciclico" (epì-kiklos, "che sta su un cerchio") secondo l'astronomia tolemaica è costituito da
un cerchio sul quale si muove un pianeta (la sua orbita). A sua volta, intorno al pianeta, orbiterà un altro corpo
celeste che costituirà un'orbita più piccola chiamata "epiciclica".
(2) In realtà Cicerone (106-43 a.C.) scrisse che il filosofo Posidonio aveva costruito "un globo che nelle sue
rivoluzioni mostra i moti del sole, delle stelle e dei pianeti, di giorno e di notte come appaiono nel cielo" e che
Archimede aveva progettato un modello precedente "che imitava i movimenti dei corpi celesti". Quindi la
ragione era agli antichi ben nota. Bisogna anche tener conto che Archimede ebbe contatti con la Biblioteca di
Alessandria, per cui è possibile che questa sia collegata anche al meccanismo in questione
Ricostruzione moderna
IL MECCANISMO DI ANTIKYTHERA
Il meccanismo di Antikythera è un oggetto di metallo, scoperto nel relitto di una nave vecchia di duemila
anni, che apparentemente contiene degli ingranaggi e che costituisce quindi una sorta di strumento o di
meccanismo.
Nel 1900 un gruppo di pescatori di spugne greci scoprì il relitto di una nave al largo della piccola isola di
Antikythera, fra la Grecia e Creta. Spedizioni archeologiche sottomarine inviate sul posto recuperarono
vasellame, statue e oggetti corrosi, che facevano risalire il relitto a circa 2000 anni prima. Nel 1902 un
archeologo del Museo Nazionale di Atene, Valerios Stais, esaminò alcuni di quegli oggetti e gliene
capitò fra le mani uno di metallo che diventò noto con il nome di meccanismo di Antikythera. Uno
studio più attento rivelò che si trattava di una scatola che allo esterno aveva dei misuratori e all'interno
una massa complessa di ingranaggi, fra cui almeno venti ruote dentate. Tutte le superfici del congegno
erano ricoperte di iscrizioni greche.
Prima della scoperta di quel meccanismo, non era stato mai rinvenuto o descritto nessun oggetto o
congegno paragonabile. Quel che si sapeva fino a quel momento della tecnologia ellenica escludeva la
possibilità che in quel periodo si potesse costruire un congegno del genere.
Sulla base delle anfore, del vasellame e degli oggetti rinvenuti nel relitto, i ricercatori sono
ragionevolmente sicuri che il naufragio avvenne intorno al 65 a.C., con un margine di 15 anni. Un esame
delle lettere delle iscrizioni rivela che esse risalgono al primo secolo a.C. e che non sono certo posteriori
alla nascita di Cristo. Questa data corrisponde alla lingua usata e alla natura dei riferimenti astronomici
delle iscrizioni. L'iscrizione più
estesa, per esempio, fa parte di un calendario astronomico
straordinariamente simile a quello di cui si sa che fu compilato nel 77 a.C.Attualmente si ritiene assai probabile che quel congegno fosse un calcolatore astronomico che
meccanizzava i rapporti ciclici fra il sistema solare e le stelle. Forse era installato in una statua e usato
come pezzo da esposizione. Forse funzionava a energia idraulica. Quasi tutto il lavoro di restauro e di
ricostruzione che portò a questa conclusione si è svolto sotto la direzione di Derek J.
de Solla Price,
dell'Università di Yale.
A partire dagli inizi degli anni '50 Price iniziò il restauro del congegno, che era incrostato e
gravemente corroso. Lo stadio successivo fu la traduzione delle iscrizioni, che per la maggior parte sono
illeggibili. Il sole è menzionato parecchie volte, Venere una volta, ed è nominata l'eclittica. Un'iscrizione,
"76 anni, 19 anni," si riferisce al cosiddetto ciclo calippico di 76 anni e al ciclo metonico 19 anni (235
mesi lunari). La riga successiva comprende il numero 223 - un riferimento al ciclo delle eclissi di 223 mesi
lunari.
Nel 1972, dopo aver analizzato ai raggi X e ai raggi gamma i vari frammenti, Price stabilì molti particolari
della costruzione e del funzionamento del congegno, che a quanto pare era costruito con un'asse centrale.
Quando l'asse girava, entrava in funzione un sistema di alberi e di ingranaggi che faceva muovere delle
lancette a varie velocità intorno a una serie di quadranti. Questi ultimi sono difficili da interpretare per via
della corrosione. Quello anteriore tuttavia mostra chiaramente il moto del sole nello zodiaco e il sorgere
e il tramontare di stelle e costellazioni importanti. I quadranti posteriori, che sono più complessi e meno
leggibili, riguardavano i pianeti e i fenomeni lunari. A detta di Price il quadrante anteriore è "l'unico grande
esemplare noto di uno strumento graduato dell'antichità". A suo parere quel congegno era racchiuso in
una scatola di circa trenta cm. per 15 per 7,5 e sulle facce più grandi aveva dei pannelli con cerniere che
portavano le iscrizioni.
Dentro c'erano probabilmente almeno trenta ingranaggi, tutti di bronzo, e probabilmente tagliati da un unico
pezzo di metallo. La potenza, a suo dire, era trasmessa a un grande ingranaggio che aveva quattro raggi
uniti a mortasa nel bordo, dove erano saldati e fissati da ribattini. Secondo Price, "la caratteristica
meccanica più spettacolare del meccanismo di Antikythera" è una piattaforma girevole differenziale,
un meccanismo che si sarebbe rivisto soltanto nell'Europa del '500.
Sulla base della sua ricerca, Price ha concluso che, contrariamente a quanto si era creduto in
precedenza, una tradizione di alta tecnologia esisteva effettivamente in Grecia intorno all'epoca di Cristo.
Prima si dava per scontato che i greci conoscessero il principio degli ingranaggi, ma si riteneva che i
loro congegni muniti di ingranaggi fossero relativamente rudimentali. "Scientific American" concordava con
Price che la scoperta di quel meccanismo avrebbe potuto imporre una revisione delle opinioni esistenti
sullo stato della tecnologia nel periodo ellenistico.
M. Clagett afferma che c'era un rapporto complementare fra conoscenze astronomiche greche e grado di
raffinatezza degli strumenti esistenti a quell'epoca. A sostegno di questa tesi egli cita Ipparco, "il più
grande astronomo dell'antichità", che visse nel II secolo a.C. e che raggiunse il successo servendosi di
strumenti avanzati, come la diottra -uno strumento che serve a determinare una visuale con un meccanismo
a ingranaggi
LENTE DI CRISTALLO
Lente di cristallo molata proveniente dalla tomba Heluan, in Egitto.
LA BATTERIA DI BAGHDAD
Ricostruzione immaginaria, da parte di un artista , dell'interno della batteria di Baghdad
La batteria di Baghdad è un oggetto, scoperto a quanto si dice nei pressi di Baghdad fra i ruderi di
un villaggio vecchio di 2000 anni, che assomiglia alle moderne pile a batteria chimica usate
per produrre elettricità.
Nel 1936 al tedesco William Koneig, un archeologo dilettante che viveva in Iraq , fu mostrato un
oggetto che assomigliava molto da vicino a una pila a batteria e che si asseriva che era stato
dissotterrato di recente a Khujut Rabu'a, il sito di un antico villaggio vicino a Baghdad.
L'oggetto era costituito da un vaso di terraglia in cui era cementato un cilindro di metallo alto circa
10 cm. Il cilindro era fatto di una lamina di rame saldato con una lega di 60 per cento di stagno,
simile alla lega per saldatura in uso ai giorni nostri. Sul fondo del cilindro era fissato un disco
di rame, isolato con asfalto. La parte superiore era chiusa da un tappo, dal quale sporgeva un
tondino di ferro che era stato eroso in modo da poterlo usare come elettrodo.
Venuto a conoscenza di questa scoperta, un ingegnere americano, Willard F.M. Gray, costruì nel
'40 un modello funzionante di questa pila. Lo riempì di solfato di rame come elettrolito e scoprì
che esso produceva effettivamente una corrente elettrica. Non è dato sapere quale elettrolito
possa essere stato usato nel modello originale, ma si sa che sarebbe stato disponibile l'acido
acetico o citrico.
Koenig venne a sapere che oggetti analoghi,forse provenienti da Ctesifonte, un altro sito antico nei
pressi di Baghdad, erano in possesso del museo di Berlino. Si trattava di tre grandi vasi, uno
contenente dieci cilindri di rame, un altro dieci tondini di metallo e l'ultimo contenente tappi di
asfalto.
Mentre Ctesifonte continuò ad essere abitata fino all'VIII secolo d.C., si ritiene che il villaggio di
Khujut Rabu'a sia stato fiorente durante il periodo dei parti, che ebbe fine del III secolo d.C.Koenig formulò l'ipotesi che le pile fossero state usate in un procedimento di placcatura d'oro di
vasi ornamentali mediante galvanostegia anche su vasi di rame, riportati alla luce in Iraq, che
risalivano al 2500 a.C. Battendo leggermente su questi vasi, dalla superficie si staccava una sottile
patina bluastra, e ciò corrisponderebbe a uno strato placcato d'oro.
Non è affatto da escludere che 2000 anni fa sia esistita nel Vicino Oriente la tecnologia necessaria
per fabbricare e usare una pila capace di produrre una corrente continua, data la lunga storia di
progressi nella metallurgia e nella chimica che precedette quel periodo.
Troppi particolari della storia però rimangono oscuri per permettere una conclusione positiva. Per
quel che si può stabilire, gli oggetti in questione non sono stati datati con esattezza. Koenig scrisse
che la batteria era "passata per molte mani" prima che egli venisse a sapere della sua esistenza. E'
quindi possibile che essa non fosse stata nemmeno trovata fra le rovine dei parti.
Secondo Gray, nell'odierna Baghdad i metallurgici usano dei bagni di placcaggio di metallo
collegati a rudimentali pile voltaiche. Forse si servono di una tecnica scoperta due milleni prima e
conservata gelosamente. Non è detto però che tale tecnica non derivi invece dalle pratiche
europee di galvanostegia sviluppate nell'Ottocento e adattate ai materiali disponibili nel Vicino
Oriente. In quest'ultimo caso non è da escludere che la famosa batteria di Baghdad sia un manufatto
recente, buttato via sbadatamente o
archeologica.
presentato fraudolentemente a Koenig come scoperta
I NUMERI DI FIBONACCI
I numeri di Fibonacci sono una sequenza matematica, i cui elementi e i cui rapporti si riscontrano
in una straordinaria varietà di fenomeni naturali e artistici.
A questa sequenza fu dato il nome del suo scopritore duecentesco, Leonardo Pisano, detto
Fibonacci. In una sezione del suo famoso trattato, Liber Abaci, questi poneva un problema
matematico: Se una coppia di conigli rimane isolata, "quanti conigli nasceranno nel corso di un
anno, ammesso che ogni mese una coppia di conigli ne produca un'altra coppia, e che i conigli
incomincino a partorire due mesi dopo la propria nascita?".
Per arrivare alla soluzione, possiamo preparare tre liste. Su una segneremo il numero totale delle
coppie di conigli alla fine di ogni mese, su un'altra il numero delle coppie feconde, e sulla terza il
numero delle coppie immature. Le tre liste risultano identiche (ove si eccettui il fatto che la
lista delle coppie immature incomincia con 0, e alla lista di tutte le coppie manca il primo numero
di tutta la sequenza, cioè 1). La lista di tutte le coppie per ogni singolo mese si presenta così: 1, 2, 3,
5, 8, 13,21,34, 55, 89, 144, 233 e 377. L'ultima cifra della lista dà la soluzione del problema: nel
corso di dodici mesi nasceranno 376 coppie (dobbiamo sottrarre da 377 la prima coppia, che era già
nata).
L'intera sequenza di Fibonacci deriva dalla lista delle coppie mature: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21 ecc.
Questa successione numerica ha la proprietà matematica che ogni elemento (a partire dal secondo) è
uguale alla somma dei due precedenti. Usando questa formula è possibile estendere la sequenza
all'infinito.
La sequenza ha un'altra proprietà matematica interessante, che si può notare calcolando il rapporto
di ogni elemento con quello precedente . Partendo dai primi due elementi, il rapporto è 1 1, o semplicemente 1. Il secondo rapporto è 2 - 1, o 2. Il terzo è 3 - 2, o 1,5; il quarto è 5 - 3 o circa
1,67; il quinto è 8 - 5, o 1,6. Gli altri sono 1,625, circa 1,615, circa 1,619, circa 1,618.
Nel settecento si scoprì che questi rapporti convergono su un numero irrazionale detto phi, i cui
primi termini sono 1,618034. (più precisamente, phi, è 1/2 della radice quadrata di 5 più 1/2.)
Questo significa che ogni numero è circa 1,618034 volte più grande del numero che lo precede.
Questo stesso numero phi, aveva già svolto una parte importante nella civiltà occidentale. Era noto
come il numero aureo che gli antichi greci chiamavano proporzione divina.
Servendosi di riga e compasso, i geometri greci erano in grado di dividere qualsiasi linea data in due
segmenti, in modo che il rapporto fra il segmento più lungo e quello più corto fosse identico al
rapporto fra l'intera linea e il segmento più lungo. La divisione della linea era detta sezione aurea, il
rapporto proporzionale era la proporzione divina, e il numero con cui era possibile esprimere tale
rapporto era il numero aureo o aurea mediocrità. In altre parole, l'intera linea è circa 1,618034 volte
più lunga del segmento più lungo, e il segmento più lungo è circa 1,618034 più lungo del segmento
più corto.
La civiltà greca classica, e in particolare le tradizioni di Pitagora e Platone, tentò di unificare tutte le
arti e tutte le scienze secondo rapporti armonici che a loro avviso erano inerenti all'universo. In ogni
campo di studio - la società umana, per esempio - ogni individuo aveva un posto unico nella
gerarchia di tutti gli individui. I rapporti gerarchici fra gli individui rispecchiavano dei principi
matematici, e in particolare la proporzione divina.
Nel Timeo Platone sostiene che i tre termini di una divina proporzione - la più grande (la linea
intera), quella di mezzo (il segmento più lungo) e la più piccola (il segmento più corto) - sono "tutti
di necessità gli stessi , non sono che uno". In una progressione di divine proporzioni, ogni parte è un
microcosmo, o modello minuscolo di tutto l'insieme.
Gli artisti e gli architetti greci facevano libero uso dei rettangoli aurei - rettangoli cioè in cui il
rapporto fra il lato lungo e quello corto è il numero aureo. Essi ritenevano che quella figura fosse
gradita all'anima. Se da uno spigolo di rettangolo aureo si taglia un quadrato, anche il rettangolo che
rimane è un rettangolo aureo. Questi rettangoli aurei erano usati per disegnare la pianta del
pavimento e la facciata dei templi . Il Partenone, sull'Acropoli di Atene, si conforma a questa
regola.
Anche i vasi greci e le statue che raffiguravano esseri umani erano costruiti secondo la proporzione
divina. L'ombelico di una statua, per esempio, divideva l'altezza del corpo in due segmenti aurei.
Poi il segmento superiore veniva diviso all'altezza del collo in altri due segmenti dello stesso
genere. Gli occhi, infine, dividevano in maniera analoga la testa (vgs. figura a lato).
A partire dal rinascimento anche la tradizione europea delle belle arti ha fatto frequente e deliberato
uso della proporzione divina nella forma delle tele, nelle dimensioni delle figure e in altri
particolari.
Anche i compositori si sono serviti di tale proporzione nelle loro partiture musicali. In questo caso,
il tempo sostituisce lo spazio come dimensione da dividere. Per quel che è dato sapere, l'uso
musicale della proporzione divina non fu intenzionale fino al Novecento. Ciò convalida l'idea che la
proporzione è naturalmente piacevole.
Nell'Ottocento si scoprì che un'elevata percentuale di comuni oggetti rettangolari, quali le carte da
gioco, le finestre, le copertine dei libri e ,e cartelle si avvicinano ai rettangoli aurei. Da allora i
disegnatori commerciali si sono serviti volutamente delle dimensioni auree per disegnare involucri,
vetrine e manifesti pubblicitari.
Una figura geometrica affine, la spirale aurea, è un altro mezzo col quale è possibile vedere la
proporzione divina in molti oggetti. Per ottenere questa spirale, si disegni una serie di rettangoli
aurei decrescenti uno dentro l'altro. Questo disegno mostrerà anche una serie di quadrati
decrescenti. Si disegni ora attraverso questi quadrati una serie di archi circolari che abbiano come
raggio i lati dei quadrati. La curva che ne consegue si avvicina alla spirale aurea, detta anche spirale
logaritmica. (La precisa equazione della spirale aurea comprende il numero aureo come fattore).
La spirale aurea si può trovare nell'arte di molte culture e molto spesso anche in natura. Parecchie
varietà di comuni organismi marini, dal plancton alle lumache al nautilo, presentano spirali auree
nelle loro fasi di sviluppo o nelle loro conchiglie. La parte inferiore delle onde del mare forma delle
spirali auree, inducendo i costruttori navali a dare la stessa forma alle ancore. Anche la maggior
parte delle corna, delle zanne, dei becchi e degli artigli si avvicinano alla spirale aurea, così come
fanno le braccia a spirale della Via Lattea e di molte altre galassie.
La spirale aurea compare nella coda delle comete e nella spirale di certi ragni.
Le spirali auree si possono trovare anche nella distribuzione dei semi nel capolino di molte specie di
fiori, nell'ordinamento delle scaglie degli ananas e delle brattee sulle pigne.
Si è scoperto che questi ed altri esempi botanici hanno anche un'altra attinenza con la proporzione
divina manifestata nella successione numerica di Fibonacci.
Sulla testa di un tipico girasole, per esempio, il numero delle spirali rientra molto spesso in questo
schema: 89 spirali che si irradiano ripide in senso orario; 55 che si muovono in senso antiorario e
34 che si muovono in senso orario ma meno ripido. Questi sono tre numeri adiacenti delle sequenza
di Fibonacci. Il più grande girasole che si sia mai conosciuto aveva 144, 89 e 55 spirali.
In molte specie vegetali, prime fra tutte le Astaracee (girasoli, margherite, ecc.), il numero dei petali
di ogni fiore è di solito un numero di Fibonacci, come 5, 13, 55 o perfino 377, come nel caso della
diaccola. Le brattee delle pigne si dispongono in due serie di spirali dal ramo verso l'esterno - una in
senso orario e l'altra in senso antiorario. Uno studio di oltre 4000 pigne di dieci specie di pino rivelò
che oltre il 98 per cento di esse conteneva un numero di Fibonacci nelle spirali che si diramavano in
ogni direzione. Inoltre, i due numeri erano adiacenti, o adiacenti saltandone uno, nella sequenza di
Fibonacci - per esempio 8 spirali in un senso e 13 nell'altro, o 8 spirali in un senso e 21 nell'altro. Le
scaglie degli ananas presentano un'aderenza ancora più costante ai fenomeni di Fibonacci: non una
sola eccezione fu trovata in un test compiuto su 2000 ananas.
I numeri di Fibonacci si trovano anche nella fillotassi, l'ordinamento delle foglie su un gambo. Su
molti tipi di alberi le foglie sono allineate secondo uno schema che comprende due numeri di
Fibonacci. Partendo da una foglia qualunque, dopo uno, due, tre o cinque giri dalla spirale si trova
sempre una foglia allineata con la prima. a seconda delle specie, questa sarà la seconda, la terza, la
quinta, l'ottava o la tredicesima foglia.
Queste scoperte in botanica, in zoologia e in astronomia non avrebbero sorpreso gli antichi greci,
convinti com'erano dell'armonia geometrica dell'universo. A dire il vero, alcuni dei dati presentati in
questo articolo sono stati usati in una moderna teoria di "simmetria dinamica", elaborata dallo
studioso americano Jay Hambridge. Questa teoria attribuisce la potenza dinamica dell'arte greca al
suo uso dei "quadrati turbinanti" della proporzione divina.
Forse si troverà ancora qualche principio che colleghi tutti gli esempi naturali di fenomeni aurei e
indichi altre manifestazioni non ancora scoperte. Forse gli esseri umani hanno percepito
inconsciamente tale principio in questi fenomeni naturali e se ne sono serviti come metro di
giudizio per valutare le opere d'arte.
D'altra parte, non è escluso che si tratti soltanto di coincidenze. E' stato fatto notare che esiste
soltanto un numero ordinato di disegni ordinati possibili per gli artisti. Una certa ripetizione di
questi disegni è quindi inevitabile.
Inoltre, molte grandi opere d'arte non hanno nessun rapporto apparente con la proporzione divina. E
molti esempi si avvicinano soltanto in maniera approssimativa all'ideale. Infine, il gusto per la
proporzione divina può essere apparso naturale solo dopo un lungo uso da parte dei greci e dei loro
imitatori.
Anche in natura troviamo che alcuni dei fenomeni citati non sono che manifestazioni occasionali o
approssimative della spirale aurea o della sequenza di Fibonacci. In ogni caso questi esempi
comportano soltanto un numero limitato di fenomeni. Sono state avanzate teorie specifiche in vari
campi per spiegare alcuni casi particolari, come la fillotassi (la disposizione delle foglie). Ebbene,
queste teorie non hanno alcuna applicazione universale.
Anche se non si trova mai una spiegazione universale, lo studio dei fenomeni aurei e delle
successione numerica di Fibonacci può essere visto come un nobile esercizio nella ricerca di unità e
di rapporti matematici. In fin dei conti, la ricerca era una caratteristica fondamentale della filosofia
greca e anima tuttora la scienza moderna.