Il ragazzo dai capelli verdi

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Il ragazzo dai capelli verdi
Il ragazzo dai capelli verdi
di Joseph Losey
Presentazione critica
Introduzione al film
La favola e la vita
Esordio alla regia di un autore prolifico e complesso, poco meno di trenta film in una carriera
quarantennale, Il ragazzo dai capelli verdi contiene molti dei temi e dei tratti stilistici che
caratterizzeranno la filmografia di Joseph Losey. Girato con pochissimi mezzi e in tempi piuttosto
ristretti, il film si presenta come una favola moralistica sul devastante conflitto mondiale appena
conclusosi, oltre che un originale approccio al tema della diversità e dell’intolleranza. Se il tono è leggero
nella recitazione degli attori, in particolare l’interpretazione surreale di Pat O’Brien, con un piede ben
piantato nel realismo ed un altro affondato nel musical, risultano evidenti i forti riferimenti all’attualità e
la decisa presa di posizione politica del film. Mentre l’Italia distrutta dai bombardamenti viveva la
stagione straordinaria del neorealismo, Hollywood affrontava temi simili con l’approccio spettacolare e
favolistico che da sempre caratterizzano la “fabbrica dei sogni”. Eppure è evidente come, a discapito
delle canzoncine spensierate con cui il film di Losey si conclude, la materia de Il ragazzo dai capelli
verdi sia estremamente complessa e sfaccettata. Lo stesso impegno politico, la stessa strisciante e feroce
critica sociale che porteranno Losey ad essere accusato di attività “anti-americane” dal senatore
McCarthy e ad eleggere l’Inghilterra come seconda patria, attivando in particolare una fruttuosa
collaborazione con il grande sceneggiatore Harold Pinter.
Al di là del commovente e un po’ scontato riferimento agli orfani di guerra di tutto il mondo, nella
sequenza in cui la palestra della scuola viene letteralmente tappezzata da volti di bambini malnutriti e
malvestiti, il film è percorso da una ferma presa di posizione contro l’atteggiamento xenofobo della
tranquilla società americana. La paura del diverso e l’estremo attaccamento alla tranquillità della
comunità di appartenenza diventano, nello sguardo del regista, valori distorti e fonti di profonde
ingiustizie sociali. In quest’ottica anche l’immagine dell’innocenza, l’infanzia, diventa spietata carnefice
di se stessa, vittima comunque di un sistema e della paura che gli adulti trasmettono continuamente.
Persino il personaggio del nonno, esempio inattaccabile di rettitudine morale e di efficacia educativa, è
costretto ad abdicare in favore di un “bene comune” che sconfina nell’egoismo e nell’opportunismo più
becero. Le canzoncine del musical mostrano tutta la loro inadeguatezza e sciocchezza nell’incontroscontro con i problemi reali, in una velata ma precisa autocritica a tutto il sistema produttivo
hollywoodiano.
La versione restaurata del film, pur non riuscendo a recuperare un doppiaggio italiano estremamente
deteriorato, punta moltissimo sull’esasperazione del technicolor, così da rendere eccessivo il contrasto dei
colori ed evidente la presenza del verde. Nonostante l’intento non propriamente filologico, il risultato è
una qualità dell’immagine estremamente moderna per temi che, purtroppo, non rischiano di invecchiare.
Il ruolo del minore e la sua rappresentazione
Canta che ti passa
Piero, il protagonista del film, ha dieci anni e dopo un’infanzia felice accanto ai genitori si trova ad
essere sballottato da una famiglia all’altra tra le sue innumerevoli zie. Questa situazione ha indurito il suo
carattere rendendolo molto diffidente nei confronti degli adulti e poco affettuoso. Il suo incontro con il
“nonno”, un anziano signore amico del padre, dopo un’iniziale prudenza si trasforma subito in un rapporto
di grande affetto e di perfetta intesa. Il nonno sa come trattare con Piero e come guadagnare la sua stima,
si guarda bene da imporgli schemi precostituiti e regole ferree, assecondando anche le sue paure e
cercando di aiutarlo a superarle. Piero, per la prima volta dopo anni di provvisorietà si sente a casa e il
suo atteggiamento aperto lo porta a fare amicizia con molta facilità. L’atteggiamento positivo del nonno,
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Il ragazzo dai capelli verdi – scheda critica
in grado di gestire con il buon umore e con il sorriso anche le più banali o ripetitive mansioni quotidiane
come il lavoro, fa il cameriere-cantante in un piccolo locale, portano Piero ad un atteggiamento
estremamente positivo nei confronti della vita. Il nonno è pieno di sorprese e cerca sempre di trasformare
la quotidianità del ragazzo nella continua scoperta della magia della vita. L’impatto con la notizia della
morte di entrambi i genitori a causa di un bombardamento getta però Piero nello sconforto: da un lato si
sente abbandonato e pensa che la madre e il padre gli abbiano preferito i bambini dell’ospedale per cui
lavoravano, dall’altro percepisce tutto a un tratto la sua diversità nei confronti dei compagni di scuola e
di gioco. Se non riesce più ad identificarsi con i suoi coetanei del paese, stenta anche a vedere se stesso
nei manifesti degli orfani di guerra che, appesi a scuola, vorrebbero sensibilizzare tutti a raccogliere
fondi; inoltre l’incontro concreto con la morte lo gettano nel panico portandolo a credere che il mondo
stia per essere distrutto e che il rischio sia imminente. Il suo bisogno di identificazione lo porta a
sviluppare una reazione psicosomatica, veicolata dal film in modo surreale e fiabesco. Quando si sveglia
con i capelli verdi la sua reazione è più divertita che spaventata e la prima cosa che gli viene da pensare è
che si tratti di un’ennesima sorpresa del nonno. Il suo entusiasmo però svanisce a contatto con la
diffidenza del mondo esterno che vede qualcosa di malato e inquietante nello strano colore dei suoi
capelli. Mentre la paura si diffonde e monta trasformandosi in intolleranza, Piero si vede sempre più
isolato e, in un primo tentativo di fuga, sogna di incontrare i piccoli orfani dei manifesti che lo invitano a
non sprecare la sua peculiarità e a trasformarla in un messaggio al mondo. Piero accetta orgogliosamente
la sua missione ma ormai la situazione in paese è insostenibile. Sono proprio i suoi compagni di scuola che
cercano di tagliargli i capelli con la forza e che convincono il nonno dell’inevitabilità della scelta. Piero
deve dunque rinunciare ad essere un simbolo e sente di rinunciare alla propria identità. Deluso persino dal
nonno tenta una nuova fuga e viene recuperato dalla polizia. Il dialogo finale con il dottor Evans, dai toni
vagamente reazionari, gli fa invece capire di poter essere comunque un veicolo di messaggi positivi e
Piero, pur non rinunciando alla speranza di veder rispuntare sulla sua testa i capelli verdi, accetta di
vivere il messaggio di pace con il buon umore e l’allegria che il nonno gli ha insegnato.
La rappresentazione del protagonista è piuttosto schematica ma si presta, come la vicenda, ad
approfondimenti piuttosto importanti. Il tono e lo stile del racconto risentono inevitabilmente degli anni
trascorsi ma non perdono l’efficacia ed un certo tono surreale piuttosto moderno.
Riferimenti ad altre pellicole e spunti didattici
Per il linguaggio utilizzato la visione de Il ragazzo dai capelli verdi è adatta per i bambini delle scuole
elementari e per i ragazzi delle scuole medie inferiori che possono meglio immedesimarsi nel
protagonista. I temi trattati si prestano a diversi livelli di approfondimento, ma possono proporre con più
immediatezza una riflessione sulla diversità e sui danni causati dalle guerre. Per un maggiore
approfondimento di questi temi si consiglia inoltre la visione di Sciuscià (Italia, 1946) di Vittorio De Sica e
Germania anno zero (Italia, 1948) di Roberto Rossellini che fotografano la situazione bellica e post-bellica
dalla parte dei bambini vittime del conflitto e I quattrocento colpi (Francia, 1959) di Francois Truffaut
sulla figura di un ragazzo fuori dagli schemi e in lotta con il mondo.
Ludovico Bonora
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