La causa nel trasferimento immobiliare in occasione della

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La causa nel trasferimento immobiliare in occasione della
Tutti gli atti mediante i quali la proprietà o un altro diritto reale viene trasferito (o costituito) da un
coniuge a favore dell’altro o a favore dei figli, allo scopo di regolamentare i rapporti patrimoniali in
occasione di una crisi matrimoniale, sono stati definiti “Trasferimenti immobiliari in occasione di
separazione
e di divorzio” .
In tali atti vi è un intersecarsi di ragioni patrimoniali, di ragioni personali, di ragioni affettive, di ragioni
derivanti dai rapporti pregressi ; la variegata congerie di interessi che presiede il trasferimento di un bene
in siffatta occasione si riflette nella ricerca della causa intesa esattamente non quale causa economico
sociale
dell’operazione, bensì quale funzione economico sociale individuale del contratto in una prospettiva che
tenga
proprio conto del concreto atteggiarsi degli interessi delle singole ipotesi .
Ecco allora che, Giurisprudenza e dottrina, hanno ritenuto che i trasferimenti in oggetto hanno una loro
autonoma
causa, consistente nell’intento comune di regolare le proprie posizioni personali e patrimoniali
(Cass. 23.2.1988, n. 7044; Cass. 11.1.992, n. 12110; Trib.Pistoia, 1 febbraio 1996; in dottrina, P.Carbone,
cit. p.627).
In particolare, secondo un recente orientamento della Suprema Corte, la causa di un contratto non è la sua
funzione economico sociale, che si cristallizza nelle ipotesi tipiche individuate dal legislatore
(cosa che non darebbe conto di un contratto con causa illecita), bensì la sintesi degli interessi reali che
il singolo e specifico contratto posto in essere è diretto a realizzare (Cass. 8..006, n.10490).
Quindi, la causa di tali accordi, come identificata dall’analisi giurisprudenziale, è stata qualificata come
causa familiae (Cass. 11.1.992, n.12110) o causa di separazione (atipica) o ancora come causa di definizione
della crisi coniugale (tipica) in quanto prevista dall’art. 711 c.p.c. e dall’art. 4, comma 13, L. divorzio,
che prevedono la possibilità per ciascun coniuge di condizionare il consenso alla separazione,
all’ottenimento
di un assetto soddisfacente dei propri interessi.
Questa pacifica ricostruzione consiste in definitiva nell’attribuzione alla crisi coniugale stessa di un ruolo
causale ed alla ricerca di un confacente assetto agli interessi patrimoniali in gioco di un favorevole giudizio
di meritevolezza.
L’accordo diretto ai trasferimenti immobiliari, insomma, è definito e modulato proprio in considerazione
del
rilievo che esso ha nella soluzione convenzionale della crisi stessa.
Pertanto, l’accordo avente ad oggetto l’impegno a trasferire un immobile fatto in sede di separazione
personale
dei coniugi non può essere inteso come preliminare di compravendita, così come la promessa di
trasferimento
di un immobile a titolo gratuito fatta nella medesima sede non può essere ricompresa nella figura della
donazione (la promessa a donare sarebbe infatti nulla per difetto dello spirito di liberalità;
oltretutto, non si concilia l’animus donandi con un accordo fatto per regolamentare una crisi coniugale);
infatti, un siffatto accordo, se stipulato in sede di separazione dei coniugi, viene ritenuto valido
(Cass. 11.5.984, n. 2887).
L’accordo di separazione omologato dal Tribunale è pertanto un negozio atipico con propri presupposti e
finalità: l’esigenza di assetto dei rapporti personali e patrimoniali dei coniugi separati.
Ad ulteriore sostegno di tale tesi, si evidenzia che il legislatore ha previsto (art. 19 L. 6 marzo 1987,
n. 74) che “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del
matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sono esenti dall’imposta di bollo, di registro
e di ogni altra tassa” (la Corte costituzionale ha poi esteso detta disciplina anche alla separazione,
specificando che sono agevolati tutti gli atti diretti alla sistemazione degli interessi non solo dei coniugi,
ma anche della famiglia e dei figli).
Infatti, anche l’eventuale atto notarile di conferma degli accordi predetti e relativi al trasferimento di
immobili gode del predetto regime agevolato.
Appare ridondante, in questa sede, dilungarsi sul concetto di atto pubblico processuale e sulla efficacia
delle dichiarazioni negoziali nel verbale di separazione consensuale , essendo sufficiente dare atto del
principio, ormai pacifico, che l’accordo dei coniugi è una dichiarazione negoziale in sede processuale,
idonea
a dispiegare effetti immediatamente traslativi di diritti.
La natura di atto pubblico del verbale di separazione ne avvalla la trascrivibilità ancorché la prassi
privilegi la previsione del solo obbligo nel verbale, a fronte di una successiva formalizzazione notarile
dell’accordo, per la complessità delle menzioni urbanistiche, catastali e in genere procedurali .
Il secondo argomento che si intende con la presente trattare riguarda il tema della opponibilità ai terzi del
provvedimento assegnativo della casa familiare in sede di separazione e di divorzio.
Tale questione è stata in passato foriera di un forte contrasto, oggetto di diverse e divergenti
pronunce giurisprudenziali, soprattutto in ordine alla natura giuridica dell’assegnazione ed alle
conseguenti implicazioni in tema di efficacia del provvedimento giudiziale nei rapporti tra i coniugi
e nei confronti dei terzi.
Alcuni autori hanno ritenuto che il diritto sul bene assegnato si configurasse come un diritto
reale di abitazione e, in quanto tale, tutelabile erga omnes.
Tale inquadramento fu però disatteso da altri autori e dalla giurisprudenza sulla base del fatto che i
modi di costituzione di diritti reali sono tassativamente previsti dalla legge e che non può costituirsi per
provvedimento del giudice, non consentendolo il combinato disposto degli artt. 1026 e 978 c.c., un diritto
reale di abitazione, peraltro condizionato, nella sua esistenza, da criteri preferenziali e di mera possibilità e,
nella sua durata, da circostanze accidentali, e quindi in termini tali da renderlo incompatibile con gli schemi
delle situazioni giuridiche reali (Cass. n. 5082 del 1985; Cass. n. 3934 del 1980).
Si sono poi evidenziate altre posizioni dottrinali volte a configurare la situazione giuridica de qua come
comodato della durata determinata per relationem, con riferimento al venir meno delle condizioni fattuali
inducenti all’assegnazione, ma proprio per questo fortemente mutilato dei propri profili distintivi, come
quello relativo all’obbligo della restituzione nei casi di cui agli artt. 1804, comma 3, e 1809, comma 2,
c.c.
E’ stata anche ipotizzata ora la ravvisabilità di una locazione costituita per effetto di un provvedimento
giudiziale – pur mancante dell’elemento essenziale del corrispettivo per l’utilizzazione dell’immobile –,
ora un diritto personale sui generis, ora un diritto personale di godimento a titolo di mantenimento dovuto
ai figli ed al coniuge separato, ora infine un diritto personale di godimento variamente segnato da tratti di
atipicità (tale è la posizione su cui è attestata la Suprema Corte di Cassazione. Cfr. Cass. n. 529 del 1999;
n.7680 del 1997; n. 11508 del 1993; n. 13126 del 1992; n. 4016del 1992; n. 6348 del 1991, n. 4420 del
1998).
Il problema relativo alla opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare è
stato originato dalle diverse interpretazioni dell’art. 6, n. 6,l. n. 898 del 1970, nel testo riformato dall’art.
11 l. n. 74 del 1987, rese possibili dalla formulazione della norma in termini ambigui e contraddittori,
con il duplice riferimento sia alle regole della trascrizione che alla disciplina relativa alle locazioni.
Stabilisce, infatti, l’articolo in questione che “[…] L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile
al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 del codice civile”.
L’art. 1599 c.c. prevede l’opponibilità del contratto di locazione al terzo acquirente se ha data
anteriore al contratto di alienazione della cosa, mentre il successivo comma terzo del medesimo articolo
stabilisce che “le locazioni di beni immobili non trascritti non sono opponibili al terzo acquirente,
se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione”.
Parte della giurisprudenza ha sostenuto che la previsione di opponibilità della locazione di immobili al
terzo acquirente nel limite temporale suindicato in difetto di trascrizione, contenuta nell’art. 1599 c.c.
costituisce disposizione eccezionale non estensibile in via analogica ad altri istituti, e segnatamente
all’assegnazione della casa familiare, trattandosi di fattispecie non riconducibile né analoga all’assegnazione
della casa familiare, e che, d’altro canto, la genericità del richiamo all’art. 1599 c.c. contenuto
nell’art. 6, n. 6, della legge sul divorzio – applicabile anche in materia di separazione personale,
per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 454 del 1989 – non consente di estendere all’istituto
in discorso la disciplina relativa alle locazioni (Cass. n. 4529 del 1999).
Tale indirizzo era però stato contraddetto dalla Corte costituzionale che, nel 1990,
con l’ordinanza n. 20, fornendo un’interpretazione autentica della citata sentenza n. 454 del 1989, ebbe ad
affermare che l’onere di trascrivere il provvedimento di assegnazione riguardi, secondo quanto
prevede l’art. 1599 c.c. la sola assegnazione ultranovennale, ferma restando l’opponibilità del
provvedimento
in tutte la altre ipotesi.
E quest’ultimo è l’indirizzo che è stato seguito di recente da altre pronunce della Corte di Cassazione,
in particolare la n. 10977 del 1996 e la n. 7680 del 1997, che, in contrasto con la citata n. 4529 del 1999,
hanno affermato che l’onere della trascrizione del provvedimento della casa familiare di cui
all’art. 155 c.c. ai fini della opponibilità ai successivi acquirenti, riguarda, in analogia alla
disciplina in tema di scioglimento di matrimonio ed ai sensi dell’art. 1599 c.c. la sola assegnazione
ultranovennale, salva restando l’opponibilità del provvedimento nei limiti del novennio.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, chiamate a comporre il contrasto venutosi a formare a seguito di
tali sentenze, hanno stabilito che, ai sensi dell’art. 6, comma 6, l. 1° dicembre 1970 n. 898
(nel testo riformato dall’art. 11 l. 6 marzo 1987 n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale,
il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione
data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni
dalla data di assegnazione, ovvero – ma solo se il titolo sia stato in precedenza
trascritto – anche oltre i nove anni (Cass. Sez. Un. 26 luglio 2002 n. 11096).
Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno però avuto cura di mettere anche in rilievo che l’affidamento di
figli minori o la convivenza con figli maggiorenni, ma non autonomi, costituisce elemento necessario,
anche se non più sufficiente, per ottenere l’assegnazione della casa familiare.
Infatti, per convincimento maturato all’interno della giurisprudenza, tale provvedimento non integra una
componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio, ma svolge una
funzione di tutela essenziale nei confronti dei figli.
Ed è proprio in questo quadro complessivo di riferimento che “diventa agevole, superando le ambiguità del
tenore letterale dell’art. 6, comma 6, della legge sul divorzio in termini di coerenza sistematica, ravvisare
nel richiamo all’art. 1599 c.c. in esso contenuto la precisa volontà del legislatore di assimilare ai meri
fini della trascrizione il diritto dell’assegnatario a quello del conduttore, così attribuendo all’istituto un
quoziente di opponibilità ai terzi, anche a prescindere dalla trascrizione: peraltro la limitazione di detta
assimilazione al solo piano degli effetti nei confronti dei terzi vale a rendere non rilevanti ai fini in discorso
le insopprimibili differenze – che appaiono particolarmente valorizzate nella sentenza n.
4529 del 1999 – in ordine alla natura, alla funzione ed alla durata tra assegnazione e locazione” .
Alla luce di tali principi possiamo ritenere pertanto opponibile ai successivi acquirenti di un immobile, il
precedente provvedimento di assegnazione della casa familiare, anche se non trascritto.
La trascrizione sarà invece necessaria, ai fini dell’opponibilità ai terzi acquirenti, nel caso di provvedimento
di assegnazione ultranovennale, provvedimento che dovrà essere fondato, in assenza di accordo, sul
presupposto
indefettibile dell’affidamento dei figli minori (o maggiorenni non autonomi), in caso di presenza degli stessi,
al genitore assegnatario.