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Maddalena Pennacchini
L’interesse in John Dewey
e l’educazione
dell’anziano
Armando
editore
Sommario
Prefazione di Nicola Siciliani de Cumis
Introduzione: Dewey e l’educazione degli anziani
L’educazione degli anziani: le considerazioni di Dewey
La comprensione del processo di crescita-invecchiamento
dopo Dewey
L’educazione degli anziani dopo Dewey Ripartire dall’interesse deweyano per pensare l’educazione
degli anziani
Capitolo 1: Dall’interesse a una “rivoluzione copernicana”
nell’educazione… anche degli anziani
1.1.L’interesse: attività autonoma che determina
l’apprendimento a tutte le età
1.2.Dialogo tra scuola e società per coltivare gli interessi
delle persone
1.3.La quadripartizione degli interessi
1.4.Interessi, singolarità del soggetto e “rivoluzione
copernicana” nell’educazione Capitolo 2: L’evoluzione dell’interesse nell’esperienza
2.1.Considerazioni sui cambiamenti nella definizione e
nelle caratteristiche dell’interesse 2.2.Interesse e disciplina
2.3.Interesse e rapporto che lega il presente e il futuro
nell’azione 7
11
11
13
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25
30
35
39
41
49
56
59
64
Capitolo 3: Dall’interesse a una scuola ancora “in cammino”
3.1.Interesse e programma
3.2.Interesse e metodo
3.3.Le scuole progressive: osservazioni sulla trattazione
deweyana
69
76
82
87
Capitolo 4: L’interesse nelle attività autonome che determinano
l’apprendimento a tutte le età
93
4.1.Il gioco
95
4.2.Il lavoro
99
4.3.Il lavoro e la disciplina
104
4.4.Il lavoro e l’apprendimento del leggere, dello scrivere
e del far di conto
107
Capitolo 5: Interesse e partecipazione al governo democratico
anche degli anziani
5.1.La guida degli interessi: l’educazione per la democrazia
5.2.Democrazia, libertà e interesse
113
117
125
Conclusione: Per un’educazione degli anziani:
elementi di sintesi e linee prospettiche
133
Appendice: Lessico deweyano sul tema dell’“interesse”
139
Bibliografia
154
Prefazione
“Le parole concern (interesse), affaire (affare), care (preoccupazione), matter (materia), thing (cosa), ecc. fondono in indissolubile
unità quelle sfere che, considerate separatamente vanno sotto il nome
di emotiva, intellettuale e pratica, dove poi le prime due sono dei
tratti caratteristici dell’ultima. […] Il conoscere scientifico è quella
particolare forma di umana attività pratica che si occupa del progresso
del conoscere a prescindere da qualsiasi interesse per altre faccende
pratiche”.
John Dewey, Knowing and the Known, 1949
“Arriveranno seicento bibliotecari dall’America”.
Aby Warburg, Tagebuch der Kulturwissnschaftliche
Bibliothek Warburg (1926-1929)
Lupus in fabula… De te fabula narratur… Sotto un grande abete dove
i bambini amavano confidarsi le loro fantasie, c’erano una volta due fratelli: Aby il primogenito tredicenne e Max il secondo, discendenti di una
famiglia di potenti banchieri ebrei di Amburgo, i Warburg. Per legge, Aby
avrebbe dovuto ereditare la maggioranza delle quote e la direzione della
banca, ma aveva altri interessi da quelli finanziari; amava invece la cultura,
la conoscenza, l’arte e voleva dedicarsi più che ad altro allo studio e alla
ricerca. Di debole costituzione, desiderava vivere tra i libri e comprarne e
leggerne il più possibile, magari scriverne. Max, più dotato fisicamente e
interessato al mondo degli affari e della politica, era ovviamente d’accordo
affinché le aspirazioni di Aby fossero soddisfatte ed essere lui, il secondogenito, a occuparsi della banca.
Così i due fratelli fecero un patto, che avvalorarono con una forte stretta
di mano e un bell’abbraccio: Aby avrebbe rinunciato alla primogenitura e
all’impresa di famiglia; Max, ereditando la banca, avrebbe acconsentito a
finanziare l’acquisto di qualsiasi libro che il fratello avesse richiesto. Affare fatto, dunque: e né Max né Aby infransero mai l’accordo; col passare
del tempo, rinsaldarono se mai i loro rispettivi interessi e la loro amici7
zia. Ciascuno dei due ragazzini, con quella transazione, aveva avuto cura
di soddisfare i propri interessi e di appagare al tempo stesso gli interessi
dell’altro. Per tutta la vita, Aby e Max avrebbero contribuito a rendere
pratica la loro compartecipazione a un più vasto ambito di interessi, da cui
sarebbero scaturiti precisi effetti conoscitivi ed economico-finanziari, sia
individuali sia sociali.
La M.M. Warburg Bank continuò infatti a svolgere la sua funzione (non
senza qualche macchia durante il nazismo, sostengono alcuni) e la biblioteca di Aby si fece grande e preziosa per la quantità e la qualità dei suoi
libri, stampe, riviste e giornali. E crebbe, crebbe in casa Warburg fino a
quando, per non essere distrutta dalla furia nazista, venne trasferita clandestinamente a Londra dove divenne il cuore del Warburg Institute, una
delle più importanti istituzioni culturali internazionali: specializzata nella
storia delle arti visive, interdisciplinare, multimediale e finalizzata all’incontro delle culture dall’Umanesimo/Rinascimento ai contemporanei, con
specifico riferimento ai rapporti tra Mediterraneo e resto del mondo. Terzo
mondo compreso.
L’episodio dei due fratelli Warburg mi è ritornato prepotentemente in
mente nel leggere la stimolante monografia di Maddalena Pennacchini,
L’interesse in John Dewey e l’educazione dell’anziano: un libro equilibratamente riepilogativo e garbatamente innovativo, attento soprattutto ai
profili teoretici, psicologici, etico-pedagogici e umani, che mettono capo
nella nozione di interesse in Dewey, dal particolare punto di vista dell’educazione della terza età. Un contributo monografico di tipo “consummatorio” – per usare un termine puntualmente riferibile al background deweyano –, che ben si attaglia alla collana Voci dall’America, a cura della
Fondazione Italiana John Dewey, diretta per i tipi dell’editore Armando da
Giuseppe Spadafora e strategicamente aperta alle culture dell’intero continente americano.
Un libro, insomma, che avrebbe probabilmente interessato il Warburg
del “buon Dio” che, “come il Diavolo”, sta “nel dettaglio” e il Warburg,
appassionato lettore di The Expression of the Emotion in Man and Animals
di Darwin e antropologo dell’immagine e curioso viaggiatore-fotografo tra
gli indiani Hope del Nuovo Messico. E che sarebbe certo piaciuto al Dewey democratico cittadino del mondo, raffinato intenditore di belle arti anche lui e autorevole mentore della Barnes Foundation di Filadelfia, luogo a
vario titolo warburghiano. Il Dewey lifelong learning, che sperimentando
su se stesso e sugli altri il tema dell’interesse nelle sue molte sfaccettature e nei diversi e talora opposti significati del termine, getta un ponte tra
l’America e l’Europa (non solo di Kant, Herbart, Hegel, Darwin, ma anche
8
di Bramante, Masaccio, Tintoretto, Tiziano, Raffaello, Botticelli, Rubens,
Rembrandt, dei Carracci, ecc.). Il Dewey curioso come Warburg dei Nord
e dei Sud dell’Europa e del mondo, che sa scrutare le ragioni profonde
dell’esaltazione e della mortificazione delle infinite potenzialità di ciascun
essere umano nelle differenti età della vita, cominciando da quella in cui
vecchi e bambini in qualche modo si rassomigliano e stanno bene insieme
nel nome della comune fragilità e di un qualche elementare principio di
solidarietà.
Non a caso Pennacchini viene a dire proprio di formazione e di scuola,
per tutte quante le fasi dell’esistenza. E di itinerari auto-etero-educativi,
che muovendo dall’“autonomia dell’interesse” come molla della soddisfazione di bisogni primari, introducono in differita a una sorta di montessoriana “rivoluzione copernicana” della personalità dell’anziano nel proprio
continuum evolutivo, con al centro la singolarità dei diversi soggetti cointeressati, la molteplicità e la varietà dei tipi di interesse nel vitale evolvere
dell’esperienza di ciascuno.
Risultato: un sistema di rapporti coinvolgenti il passato, il presente e il
futuro delle azioni; la centralità del presente, altrettanto ricco sia di storia
sia di avvenire, aperto al possibile nel segno della duplice prospettiva: per
l’appunto, quella del ieri e quella del domani (la makarenkiana “gioia del
domani”). Di qui l’importanza biografica e autobiografica dei propositi, dei
progetti e dei programmi, quelli scolastici anzitutto. L’anzianità deweyanamente intesa si fa allora “mezzo procedurale” e “fine in vista”, tutt’altro
che puro e semplice “mezzo materiale” (fisicamente e psichicamente deficitario) o puro “scopo finale” (prematuramente devitalizzato). L’anzianità
come regno del qui e ora, con tutte le possibili positività che le derivano
insieme dall’esperienza vissuta e dal vivente progettuale in atto.
Un sodalizio trans-temporale che è il file rouge di un po’ tutto il saggio
di Pennacchini. E che viene a essere il presupposto ideale delle singole analisi dei luoghi deweyani concernenti l’interesse assunti a conferma
dell’ipotesi pratico-operativa, nell’ottica del nesso vivente, dall’infanzia
alla vecchiaia, di buon senso e rigorosa razionalità. E l’uno e l’altra, a capo
di transazioni di tipo “commerciale” (precisa Dewey) nell’individuo e nei
rapporti tra individui, sul piano intergenerazionale, in famiglia, nella scuola, nella società e in chiave interculturale e transculturale.
A volerci riflettere (e Pennacchini vi insiste), tra gli stessi giochi dei
bambini e il loro auspicabile evolvere ludiforme dalla nascita alla morte, in
qualsiasi essere umano, non c’è vera e propria soluzione di continuità. Tutti
gli uomini infatti, mediando a più livelli tra “indagini scientifiche” e “senso
comune”, possono progredire, autoeducarsi ed educare. Una problematica,
9
quest’ultima, cui anche il novantenne Dewey sembra essere specialmente
sensibile, ragionando personalmente una volta di più (e non sarà l’ultima)
di Scienza e senso comune (nelle conclusioni di Knowing and the Known,
in collaborazione con Arthur F. Bentley). Il suo “testamento”, tra l’altro, in
tema di interesse.
Una sorta di riflessione a futura memoria, che rinvia a una riformulazione dei termini del problema, alla luce delle salde persuasioni deweyane
sottolineate da Pennacchini circa l’“utilità dell’inutile” – d’accordo non
a caso con Abrahm Flexner, “il modernista psicagogo un po’ rétro” che
“in fondo”, secondo Warburg, «ha capito della Kulturwissenschaftliche
Bibliothek più di quanto sembra a prima vista».
Scrive infatti Dewey (con l’aiuto dell’Oxford Dictionary), sulle ultime
novità in fatto di interesse:
Concern (interesse) è passato, da una prima accezione (in cui era virtualmente sinonimo di dis-cern [discernere]), ad essere usato come oggetto
di preoccupazione, di sollecitudine o persino di ansietà; e poi anche come
ciò “di cui ci si occupa, ci si affaccenda”, e circa il quale si è chiamati ad
agire. E in vista della tendenza odierna a limitare il business (affari) ad
occupazioni finanziarie, vale la pena di notare che il suo senso originario
principale era quello di care (preoccupazione), trouble (problema). Care
(preoccupazione), in questa accezione, suggerisce una notevole gamma di
sfumature. Si va dalla ansietà, attraverso il preoccuparsi di, nel senso di
avere passione per, e attraverso l’essere profondamente agitato per, fino a
preoccuparsi di nel senso di prendersi cura, badare, prestare sistematicamente attenzione, o ad importare.
Un esercizio terminologico pedagogicamente preliminare (procedurale), che mi fa tornare a riflettere sulla storia di Aby e Max sotto il grande
abete di Casa Warburg, dove i bambini amavano scambiarsi le loro fantasmagorie. E, dunque, a ragionare sulla circostanza che le ultime volontà
del vecchio John finiscono con l’introdurre ai celebri successivi I care, da
Martin Luther King a Don Milani e oltre, nella prospettiva non del magister homini lupus ma di quella, invece, dell’homo homini magister.
Nicola Siciliani de Cumis
10
Introduzione
Dewey e l’educazione degli anziani
L’educazione degli anziani: le considerazioni di Dewey
Parlare di educazione degli anziani in riferimento al pensiero di John
Dewey può apparire azzardato, poiché il filosofo e pedagogista americano non si è occupato direttamente dell’argomento. Negli anni in cui
Dewey scriveva, i ricercatori a lui contemporanei erano divenuti a malapena consapevoli della rilevanza sociale che avrebbe avuto il tasso
di invecchiamento della popolazione e, come lui stesso affermò, erano
completamente sottostimate e non comprese le questioni psicologiche,
educative e morali inerenti l’invecchiamento. Ad ogni modo, quando alla
fine degli anni Trenta del XX secolo vennero presentati i risultati dei primi studi che cercavano di comprendere il problema dell’invecchiamento
negli aspetti biologici, fisiologici e medici, venne chiesto proprio a Dewey di scrivere l’introduzione a un testo scientifico avente queste caratteristiche1. In essa il pedagogista metteva in evidenza quello che a suo
giudizio era il problema psico-pedagogico più rilevante delle persone
avanti negli anni, ossia la tendenza a perdere la capacità di adattamento e
di flessibilità, con tutte le conseguenze sul piano personale e sociale che
un tale indebolimento comporta. A suo giudizio, la ricerca della fontana
dell’eterna giovinezza per una vita sempre più lunga era fallita (e continua a fallire)2 poiché gli scienziati si erano concentrati solo sul mantenimento della forma fisica. Essi avrebbero conseguito ben altri risultati se
1
Cfr. Dewey J., Introduction, in Cowdry E.V. (ed.), Problems of ageing, Baltimore,
The Williams & Wilkins Company, 1942, pp. xxvi-xxxiii.
2 Cfr. Pennacchini M., Ugolini S., Medicina e immortalità: la genesi storica, in
Tambone V., Borghi L., La medicina dei Nuovi Vampiri. Il sogno dell’eterna giovinezza da
Twilight a Eclipse, Milano, Academia Universa Press, 2010, pp. 51-78.
11
avessero re-indirizzato la loro ricerca focalizzandola sulla comprensione
di quali condizioni e di quali metodi educativi incidono con la capacità
di ritenzione e con la perdita della capacità di adattamento rispetto ai
cambiamenti ambientali.
La proposta di Dewey, per altro appena accennata, di educazione degli anziani è di superare le forme di istruzione a lui contemporanee che
tendono automaticamente alla produzione artificiale di abiti e comportamenti che arrestano la “crescita” e creano incapacità a ri-adeguarsi e ricostruirsi, giacché adottano schemi educativi tesi alla produzione meccanica di abilità e alla riproduzione altrettanto meccanica di informazioni.
Si tratta di schemi educativi messi a punto per preparare i lavoratori da
impiegare nell’industria, i quali si devono limitare ad azionare macchine; nella loro preparazione l’enfasi cade sull’accuratezza e sulla velocità
nella realizzazione di processi ripetitivi, mentre viene dato poco spazio
all’iniziativa e al giudizio personale, caratteristiche che frenano i processi di maturazione e crescita della persona. Riportando tutto ciò agli
anziani, secondo Dewey, si determinano due conseguenze: «una di esse è
la perdita, che esiste ora, delle condizioni usuali dell’esperienza a creare
gli interessi e le capacità che occuperanno gli anni successivi fruttuosamente e felicemente. L’altra è l’aspetto positivo dello stesso problema: la
necessità di studiare per accertare e sviluppare quelle attività nelle quali
la parte più vecchia della popolazione può impegnarsi con soddisfazione
per se stessa e con valore per la comunità» [trad. aut.]3.
In conclusione, se da un lato dobbiamo riconoscere che Dewey non
ha mai considerato direttamente l’apprendimento nell’età adulta né tanto
meno quello nella terza età, poiché nell’epoca in cui egli visse e fu attivo
la ricerca educativa si concentrava esclusivamente sull’età evolutiva e
ciò a ragione di motivi storici e demografici, dall’altro dobbiamo altresì
evidenziare che Dewey si era posto l’obiettivo di educare degli esseri
umani. Egli ha sempre parlato di continuità dello sviluppo dell’uomo, di
continuità educativa conseguibile grazie al continuum dell’esperienza, e
questo è un processo che non si ferma mai. Proprio per questo egli ritie3
«One of them is the failure, which now exists, of the usual conditions of experience
to create the interests and the capacities with will occupy later year fruitfully and happily.
The other is the positive side of the same problem: the need of study to ascertain and develop the kind of activities in which the older part of the population can engage with satisfaction to themselves and value to the community» (Dewey J., Introduction, in Cowdry
E.V. (ed.), op. cit., p. xxx).
12
ne che, anche in merito all’educazione degli anziani, dal punto di vista
scientifico e filosofico il problema di fondo resti il rapporto tra invecchiamento e maturazione.
Il processo dell’invecchiamento e quello della maturazione, sebbene
non siano due processi identici, non possono essere separati; contrariamente a quanto riteneva la società dell’epoca in cui Dewey scriveva, la
scissione tra questi due elementi è un prodotto socio-culturale piuttosto
che determinato dalla biologia. Proprio per questo egli ritiene che gli
specifici problemi inerenti l’invecchiamento siano tutti connessi con il
processo della crescita, di più, che la nostra filosofia dell’intera vita e di
tutte le relazioni sociali richieda una ricostruzione delle credenze tradizionali sulla base della crescita come categoria fondamentale. Quando
la società prevederà relazioni e istituzioni sociali alla luce del contributo
che sono in grado di dare alla crescita continua dell’essere umano, quando sarà capace di criticare coloro che in vario modo arrestano e deviano
il processo di crescita, allora sarà sulla buona strada per una soluzione
dei problemi morali e psicologici dell’invecchiamento umano.
La comprensione del processo di crescita-invecchiamento dopo Dewey
Negli ultimi decenni per motivi di natura dapprima storica e successivamente teorica l’attenzione all’età senile, che ai tempi di Dewey si
presentava come una novità, è divenuta un elemento di studio preponderante in molti ambiti disciplinari. Storicamente, infatti, si è fatto sempre più evidente che il numero di anziani sta aumentando e aumenta
progressivamente in conseguenza dell’allungamento della vita media,
del miglioramento delle condizioni di vita e dei progressi della scienza medica. Per comprendere appieno la “portata storica” del fenomeno
dell’invecchiamento della popolazione, è utile consultare le proiezioni
statistiche sull’andamento demografico mondiale pubblicate dalle Nazioni Unite nel 2005 sulla base delle quali il fenomeno viene definito una
rivoluzione demografica4.
L’incidenza del fenomeno ha reso “visibile” anche teoricamente il
problema degli anziani; detto meglio, quando si è visto che un numero
4
Cfr. Nazioni Unite, The Ageing of the World’s population (2005), http://www.un.org/
esa/socdev/ageing/popageing_demo5.html [ultima consultazione: 20 aprile 2014].
13
crescente di persone anziane «rappresentavano per la società (e per se
stesse) lo status di una massa di anziani anziché quello di una élite di
vecchi, allora si è capito che l’età senile aveva bisogno di un nuovo inquadramento e di una nuova definizione»5. Di conseguenza, la vecchiaia
ha smesso di essere luogo dell’assenza per divenire luogo della presenza
di qualcos’altro6.
Allora è divenuto di primaria importanza non solo conoscere gli anziani, comprendere chi fossero, ma anche riflettere sul processo di invecchiamento. «Mi sono trovato subito di fronte ad un problema quasi insolubile: quando incomincia la vecchiaia? O meglio: quando si comincia
ad invecchiare?»7. Tale interrogativo esistenziale che si è posto Arrigo
Levi palesa la presa di coscienza di una realtà da sempre parte dell’uomo
e non solo, giacché l’invecchiamento è un processo inerente alla natura
della materia vivente: i viventi non possono non invecchiare8. Un processo che dal punto di vista biologico conduce a cambiamenti universali e
non reversibili e che nell’uomo è correlato a un progressivo declino psicofisico. Un processo, per altro, trasversale che inizia nel momento della
nascita di un soggetto e termina con la sua morte, e che va interpretato
necessariamente nella sua trasversalità, ossia rispetto all’intero percorso
di vita, piuttosto che come la connotazione di una specifica età. Ancor
oggi, tuttavia, nel linguaggio comune prevale la tendenza ad associare il
termine “invecchiamento” all’anzianità e alla vecchiaia, come se fosse
un fenomeno proprio esclusivamente dell’età avanzata, ossia di quel periodo della vita che si colloca dopo l’età adulta e che rappresenta l’ultima
fase dell’esistenza, prima della morte. Tale errata associazione probabilmente è conseguente al fatto che durante la vecchiaia l’invecchiamento
assume una forma più visibile e pervasiva rispetto alle età precedenti.
La vecchiaia si presenta, quindi, come una nuova stagione della
vita creata dagli eventi storici e socio-sanitari dell’ultimo mezzo secolo, la quale tuttavia non possiede tratti uniformi, giacché esistono tante
5
23.
6
Erikson E.H., I cicli della vita. Continuità e mutamenti, Roma, Armando, 1999, p.
Cfr. Loiodice I., Bambini e anziani, centro o periferia?, in «Metis», 2, 2013, http://
www.metis.progedit.com/anno-iii-numero-2-dicembre-2013-le-periferie-delleducazionetemi/108-interventi/510-bambini-e-anziani-centro-o-periferia.html.
7 Levi A., La vecchiaia può attendere. Ovvero l’arte di restare giovani, Milano,
Mondadori, 1998, p. 6.
8 Cfr. Pinto Minerva F., Educazione e senescenza: introduzione al problema della formazione alla Terza età, Roma, Bulzoni, 1974.
14
vecchiaie quanti sono gli individui9. L’invecchiamento umano, infatti,
avviene con modalità, ritmi e conseguenze estremamente variabili da
soggetto a soggetto, in relazione a fatti e condizioni contingenti; proprio per questo non è possibile fornire dell’invecchiamento umano una
definizione univoca, avendo esso natura processuale e manifestandosi
in forma diversa in ciascuna persona. Al fine di migliorare la qualità
della vita degli anziani ed evitare iniquità sociali dipendenti dalla classe
di appartenenza, è necessario estendere l’educazione anche alle ultime
età dell’esistenza umana. Per farlo, tuttavia, è necessario conoscere gli
anziani di oggi e comprendere quanto essi siano differenti da quelli che
si sono affacciati a questa età della vita prima di loro; essi, infatti, sono i
coetanei del processo di modernizzazione radicale e diffusa che ha investito l’Italia del secolo scorso10.
Sicuramente l’invecchiamento di una quantità così ingente di persone
è un fenomeno nuovo non solo per la collettività, ma anche per i singoli.
Questi non hanno modelli di riferimento o hanno “modelli deboli” e devono trovare il loro modo di invecchiare. La società, da parte sua, sebbene sembra essersi posta come obiettivo la “qualità della vecchiaia” e tante
discipline la studiano, di fatto palesa non poche difficoltà a individuare
gli indicatori della qualità della vita della vecchiaia, anche se tale indice
è divenuto esso stesso un indicatore della qualità della vita dell’intera
società11. In concreto, la vecchiaia è
ancora in larga parte tutta da “inventare”; è stata spesso immaginata e
costretta in spazi limitati, si tratta ora di ripensarla e, in non poche delle
sue espressioni, “abolirla” non riconoscendo validi i motivi che hanno
giustificato un eccesso di distinzione rispetto all’età adulta. Il ripensamento della vecchiaia passa anche attraverso il “protagonismo” degli
anziani, con la consapevolezza però che anche il protagonismo […]
necessita di stimolazioni e percorsi dove venga innescato, formato e dotato di strumenti e caratterizzazioni efficaci e già di per sé liberatori12.
9
Cfr. Tramma S., Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, Milano,
Guerini, 1989.
10 Cfr. Tramma S., I nuovi anziani. Storia, memoria e formazione nell’Italia del grande
cambiamento, Roma, Meltemi, 2003.
11 Cfr. Tramma S., Inventare la vecchiaia, Roma, Meltemi, 2000.
12 Tramma S., Il vecchio e il ladro. Invecchiamento e processi educativi, cit., pp. 157158.
15
L’educazione degli anziani dopo Dewey
Nel mentre che il numero degli anziani cresceva e aumentava il numero di anni che essi vivono da vecchi, anche la ricerca educativa ha
sviluppato una rinnovata attenzione nei confronti dapprima degli adulti e
successivamente delle persone anziane, a partire da una riconsiderazione,
come si è visto, del concetto stesso di invecchiamento e di vecchiaia.
A partire dagli anni Novanta del XX secolo si comincia a focalizzare la riflessione sull’apprendimento come attività che si sviluppa lungo
tutto l’arco della vita, riflessione che ha trovato una risposta istituzionale
nel Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente (Lisbona,
2000), nel quale l’Unione Europea ha indicato linee teoriche e operative
per costruire un sistema che promuova e realizzi il lifelong learning.
Insomma, in tempi recenti ciò che auspicava Dewey si è concretizzato
e la ricerca pedagogica ha scommesso sulla possibilità di un’educazione
permanente estesa agli anziani, e quindi capace di contribuire a preservarne la qualità della vita e il senso dell’esistenza. Ciò nonostante, come
evidenzia Massimo Baldacci, ci sono ancora delle resistenze e/o dubbi
circa le condizioni di possibilità dell’educazione permanente nella terza
età. L’apparente dissonanza che nel senso comune potrebbe essere individuata nell’accostare l’educazione e l’età senile radica in alcuni assunti
impliciti che scalzano tanto il presupposto quanto lo scopo di una educazione in questa età della vita: «1. Si vede lo sviluppo umano secondo
un modello a parabola: vi è un ramo ascendente (l’età evolutiva), un
massimo (l’età adulta), e un ramo discendente, di carattere involutivo
(l’età senile). 2. Si considera l’educazione come una preparazione alla
vita futura, e come tale connessa allo sviluppo. La tenuta di questi assunti è appoggiata da 3. l’ideologia economicistica, che porta a ritenere
eventuali politiche per gli anziani come un lusso inammissibile»13.
In discussione, pertanto, c’è ancora quella che Dewey ha definito
come categoria fondamentale: la crescita. In realtà in merito al presupposto di un’educazione permanente estesa anche all’anziano, oggi è noto
che, sebbene egli impari più lentamente e necessiti di un tempo maggiore
per “fissare” quanto appreso, continua ad apprendere, per di più, mag13
Baldacci M., Tempo ritrovato ed eterno ritorno. L’anziano e l’educazione permanente, in Baldacci M., Frabboni F., Pinto Minerva F. (a cura di), Continuare a crescere.
L’anziano e l’educazione permanente, Milano, FrancoAngeli, 2012, p. 63.
16
giore è la sua costanza nell’applicarsi in attività che fanno intervenire
i suoi processi cognitivi, minore è il decadimento della sua capacità di
apprendere14. Per cui la prospettiva di un apprendimento per tutto l’arco
della vita non si presenta come un’utopia quanto piuttosto come una possibilità reale per di più auspicabile, giacché la manutenzione della mente
degli anziani consente loro non solo di capire la realtà che li circonda ma
anche di progettare e, perché no, riprogettare le frontiere del possibile
sulla base di quella comprensione, aderendo così all’evolutività aperta
propria della vita. La mente dell’uomo
se lasciata deperire (invecchiare) provoca nell’età senile depressioni e
smarrimenti, con la relativa ossessione di una sua irreversibile “disaffettività”, di un suo inarrestabile viale del tramonto: lastricato di mortificazioni, esclusioni, rifiuti. In altre parole. La vecchiaia ha il sacrosanto diritto non solo alla tutela della salute e dei suoi bisogni primari (autonomia, cibo, cura, movimento, convivialità) ma anche e soprattutto il
diritto vuoi a una mente-allenata (capace di cogliere l’evoluzione dei
suoi processi di invecchiamento), vuoi a un cuore-che-sogna (capace di
accendersi: se scosso da sentimenti, emozioni, illusioni, affetti forti)15.
In merito allo scopo, invece, la messa in discussione della possibilità
dell’educazione permanente nell’età senile nasce da una confusione tra
mezzi e fini; si parla di scopo dell’educazione per considerare l’educazione stessa come un mezzo per raggiungere un obiettivo altro, per di
più esterno e posteriore a essa: la preparazione in un aspetto della vita
(lavoro, ecc.) di un’età successiva a quella che si sta vivendo. In realtà,
come rileva Baldacci, anche qui «il problema di fondo è stato risolto da
Dewey: l’educazione non ha scopo, l’educazione è lo scopo. Cioè a dire,
l’educazione ha come vero scopo l’educazione stessa, ossia ancor più
educazione»16.
14
Cfr. Oliverio A, La mente dell’anziano, in Dozza L., Frabboni F. (a cura di), Pianeta
anziani. Immagini, dimensioni e condizioni esistenziali, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp.
31-39.
15 Frabboni F., La pedagogia della terza età, in Dozza L., Frabboni F. (a cura di), op.
cit., p. 27.
16 Baldacci M., Tempo ritrovato ed eterno ritorno. L’anziano e l’educazione permanente, in Baldacci M., Frabboni F., Pinto Minerva F. (a cura di), op. cit., p. 67.
17
A ogni modo, tra le numerose e varie teorie dell’apprendimento in
età adulta, Luppi ha individuato tre elementi chiave che, sulla base delle
caratteristiche degli anziani, dei contesti educativi in cui essi apprendono
e delle finalità degli interventi educativi a loro destinati, possono costituire dei “principi base” per l’educazione degli anziani: la centralità del
discente, l’apprendimento basato sull’esperienza e l’insegnamento come
facilitazione dell’apprendimento17.
A un’osservazione più attenta si nota, tuttavia, che tutti e tre questi principi base sono riconducibili a uno solo: l’apprendimento basato
sull’esperienza del discente, il quale necessariamente è centrato sull’allievo e assegna al docente il ruolo di facilitatore dell’apprendimento.
Il ruolo dell’esperienza nell’educazione dell’anziano dovrebbe essere
impostato, secondo quello che John Dewey «definisce il “principio di
continuità”, in base al quale ogni esperienza deve prendere qualcosa dalle esperienze precedenti e, al tempo stesso, modificare in qualche modo
la qualità delle successive, in modo che risultino più profonde ed estese.
Questo, secondo Dewey, è il significato della crescita che l’educazione
favorisce: la continuità e la ricostruzione dell’esperienza»18.
Solo partendo dalle esperienze reali dei discenti di tutte le età della vita è possibile arrivare a un apprendimento significativo, ossia a un
apprendimento capace di stimolare interessi vitali nel soggetto che apprende, coinvolgendolo nella sua interezza (piano cognitivo, affettivo
ed emozionale). Valorizzando il vissuto esperienziale del discente e il
conseguente bagaglio di conoscenze e competenze di cui è portatore,
si pone al centro dell’educazione ogni soggetto da educare; proprio per
questo è necessario pensare itinerari didattici diversi in modo che tutti gli
individui in apprendimento raggiungano la stessa meta sebbene attraverso percorsi eterogenei.
Pertanto, propedeutica a ogni attività educativa è sicuramente un’indagine esplorativa sul modello di quella condotta da Baldacci, Frabboni
e Pinto Minerva tesa a «sondare la fenomenologia dell’esperienza senile,
per cercare di coglierne alcune linee e possibilità»19.
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Cfr. Luppi E., Pedagogia e terza età, Roma, Carocci, 2008.
Ivi, p. 90.
19 Baldacci M., Frabboni F., Pinto Minerva F., L’indagine esplorativa. Premessa, in
Baldacci M., Frabboni F., Pinto Minerva F. (a cura di), op. cit., p. 89.
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