Ara Pacis_pdf

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a cura prof. Capodiferro n. da www.arapacis.it
Ara Pacis.
Il 20 gennaio 1937 si iniziò a prendere in esame la possibilità di ricostruire l'altare; scartata l'ipotesi di
ricomporre l'Ara in situ, dal momento che ciò avrebbe comportato la demolizione di palazzo FianoAlmagià, vennero proposte la ricostruzione nel Museo delle Terme, la realizzazione di un Museo ipogeo
presso l'Augusteo, la ricostruzione dell'Ara Pacis su via dell'Impero. Ma fu Mussolini a decidere la
ricostruzione dell'Ara nei pressi del Mausoleo di Augusto, "sotto un porticato" tra via di Ripetta e il
Lungotevere. Come è noto, l'Ara Pacis venne ricostruita all'interno di un padiglione su via di Ripetta in
meno di un anno e mezzo.
Il progetto definitivo, presentato al Governatorato nel novembre 1937, non fu interamente rispettato
in fase esecutiva, probabilmente per il grande ritardo accumulato nella realizzazione dei lavori.
L'Ara Pacis viene restituita al pubblico dopo un lungo periodo di inaccessibilità, dettato dai necessari
lavori per realizzare le condizioni più idonee alla conservazione del monumento nel lungo periodo. Ad
un esame dell'altare eseguito negli anni Novanta, le sue condizioni erano risultate così preoccupanti da
spingere l'Amministrazione Comunale a prendere un impegno tanto importante: sostituire la teca
basata su un'idea Morpurgo nel 1938 perché del tutto insufficiente a proteggere il prezioso monumento
di età augustea dalle polveri, dai gas di scarico, dalle vibrazioni, dagli sbalzi di temperatura e di
umidità, e musealizzare l'Ara Pacis secondo i più moderni criteri di conservazione.
Gli spazi del museo progettato dallo studio dell'architetto statunitense Richard Meier, sono modulati sul
contrasto luce e penombra. Particolarmente legati a questo effetto, risultano i primi due corpi di
fabbrica: dopo una zona in penombra, la Galleria di accesso, si passa al padiglione centrale che ospita
l'Ara Pacis, nella piena luce naturale che filtra attraverso 500 mq di cristalli; questi, pur non
interrompendo visivamente la continuità con l'esterno, favoriscono il silenzio necessario per il pieno
godimento del monumento. Nella quiete dell'isolamento acustico è possibile apprezzare i ritmi pacati
dei motivi decorativi; assistere allo scorrere del corteggio, posto lungo i fianchi del recinto dell'Ara,
composto dalle massime cariche sacerdotali di età augustea e dai membri della famiglia imperiale,
guidati dallo stesso Augusto; ripercorrere le mitiche origini di Roma e le glorie augustee che hanno
donato all'impero la possibilità di vivere tempi tanto felici da essere denominati seculum aureum.
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Quando tornai a Roma dalla Gallia e dalla Spagna, sotto il consolato di Tiberio Nerone e Publio
Quintilio, portate felicemente a termine le imprese in quelle province, il Senato decretò che si dovesse
consacrare un'ara alla Pace augustea nel Campo Marzio e ordinò che in essa i magistrati, i sacerdoti e
le vergini vestali celebrassero ogni anno un sacrificio".
E' con queste parole che Augusto nelle Res Gestae, suo testamento spirituale, ci ha tramandato la
volontà del Senato di costruire un altare alla Pace, a seguito delle imprese da lui portate a termine a
nord delle Alpi tra il 16 e il 13 a.C., tra cui l'assoggettamento dei Reti e dei Vindelici, il controllo
definitivo dei valichi alpini, la visita alla Spagna finalmente pacificata, la fondazione di nuove colonie e
l'imposizione dei nuovi tributi.
La dedicatio dell'Ara Pacis, la sua inaugurazione, ebbe luogo il 30 gennaio del 9 a.C.
Sembra, stando alla testimonianza dello storico Cassio Dione (LIV, 25.3), che in un primo momento il
Senato avesse proposto di edificare l'altare all'interno della sua stessa sede, la Curia, ma l'idea non
ebbe seguito e fu preferito il Campo Marzio settentrionale, di recente urbanizzazione. L'altare dedicato
alla pace veniva così a trovarsi, non a caso, al centro del vasto pianoro sul quale tradizionalmente si
svolgevano le manovre dell'esercito, della cavalleria e, in tempi più recenti, le esercitazioni ginniche
della gioventù romana.
La costruzione dell'Ara, su decisione dello stesso Augusto, avvenne nel Campo Marzio settentrionale, in
quella zona, prossima al confine sacro della città (pomerium), dove quindici anni prima Ottaviano
aveva voluto edificare il suo Mausoleo, la tomba dinastica, ed ora, preso il titolo di Augusto, si
apprestava a costruire, contemporaneamente all'Ara Pacis, il grande orologio solare che da lui avrebbe
preso il nome, l'Horologium o Solarium Augusti.
Il greco Strabone ci ha lasciato un resoconto ammirato della Roma augustea, che in quegli anni si
andava estendendo tra la via Lata, attuale via del Corso, e l'ampia ansa del Tevere. Dopo aver
descritto la pianura verdeggiante, ombreggiata da boschi sacri, dopo aver detto dei portici, dei circhi,
delle palestre, dei teatri e dei templi che vi erano stati edificati, Strabone passa a parlare della
sacralità del Campo Marzio settentrionale, sancita appunto dalla presenza del Mausoleo e
dell'ustrinum, nel quale, nel 14 d.C., verranno bruciate le spoglie mortali del principe. Tra il Mausoleo e
l'ustrinum si trovava un bosco sacro, ricco di amene passeggiate. A sud-est invece, distanti circa 300
metri dal Mausoleo, sorgevano l'Horologium e l'Ara Pacis - in verità non descritti da Strabone - che
delimitavano l'area del campus alla quale Augusto affidava la sua memoria.
L'impianto urbanistico-ideologico ideato per il Campo Marzio settentrionale ebbe vita breve e nel giro di
pochi decenni l'integrità dell'Horologium risultò compromessa. Nell'area si determinò un generale e
inarrestabile innalzamento di quota, dovuto in gran parte agli straripamenti del Tevere; si cercò di
proteggere l'Ara Pacis con la costruzione di un muro che arrestasse il processo di innalzamento del
terreno, ma ovviamente a nulla valse questa precauzione contro il continuo processo di interramento
dell'intera area: il destino dell'Ara Pacis appariva dunque segnato e la sua obliterazione irreversibile.
Per più di un millennio il silenzio calò sull'Ara Pacis, facendo perdere persino la memoria del
monumento.
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Il recupero dell'Ara Pacis, iniziato nel XVI secolo, si è concluso, tra ritrovamenti fortuiti e scavi mirati,
solo quattro secoli dopo con la ricomposizione del monumento avvenuta nel 1938. La prima notizia del
riaffiorare dell'altare dalle fondamenta del palazzo di via in Lucina (successivamente di proprietà
Peretti, poi Fiano, poi Almagià) ci è fornita da un'incisione di Agostino Veneziano eseguita prima del
1536 che raffigura un cigno ad ali spiegate con un'ampia porzione del fregio a girali: segno evidente
che a quella data la corrispondente lastra dell'Ara Pacis era già nota. Un successivo recupero risale al
1566, anno in cui il cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano acquistò 9 grandi blocchi di marmo
scolpiti, provenienti dall'Ara.
Dopo questi ritrovamenti, non si ha più notizia dell'altare fino 1859, quando Palazzo Peretti, ormai
divenuto di proprietà del duca di Fiano, richiese lavori di consolidamento durante i quali fu visto il
basamento dell'altare e numerosi altri frammenti scolpiti, non tutti estratti "per l'angustia del sito e pel
timore di mettere in pericolo i muri del palazzo". In quella occasione furono recuperati numerosi
frammenti del fregio a girali, ma solo nel 1903, a seguito del riconoscimento dell'Ara operato da
Friedrich von Duhn, fu inoltrata una richiesta al Ministro della Pubblica Istruzione per la ripresa dello
scavo. Il suo accoglimento fu possibile grazie anche alla generosa offerta di Edoardo Almagià, che oltre
a dare il suo assenso all'esplorazione, donò anticipatamente quanto sarebbe stato recuperato sotto il
suo palazzo ed offrì un consistente contributo economico per le spese dello scavo.
Nel luglio 1903, iniziati i lavori, fu subito chiaro che le condizioni erano estremamente difficili e che alle
lunghe poteva essere compromessa la stabilità del palazzo. Pertanto, esplorata circa metà del
monumento e recuperati 53 frammenti, lo scavo venne interrotto. Nel febbraio 1937, il Consiglio dei
Ministri in vista del bimillenario della nascita di Augusto decretò la ripresa dello scavo, con l'impiego di
tecniche di avanguardia.
Tra il giugno e il settembre 1938 contemporaneamente allo scavo, si svolsero i lavori del padiglione,
che avrebbe ospitato la ricostruzione dell'Ara Pacis sul Lungotevere. Il 23 settembre, il giorno stesso di
chiusura dell'anno augusteo, Mussolini inaugurò il monumento.
Il 20 gennaio 1937 si iniziò a prendere in esame la possibilità di ricostruire l'altare; scartata l'ipotesi di
ricomporre l'Ara in situ, dal momento che ciò avrebbe comportato la demolizione di palazzo FianoAlmagià, vennero proposte la ricostruzione nel Museo delle Terme, la realizzazione di un Museo ipogeo
presso l'Augusteo, la ricostruzione dell'Ara Pacis su via dell'Impero. Ma fu Mussolini a decidere la
ricostruzione dell'Ara nei pressi del Mausoleo di Augusto, "sotto un porticato" tra via di Ripetta e il
Lungotevere. Come è noto, l'Ara Pacis venne ricostruita all'interno di un padiglione su via di Ripetta in
meno di un anno e mezzo. Il progetto definitivo, presentato al Governatorato nel novembre 1937, non
fu interamente rispettato in fase esecutiva, probabilmente per il grande ritardo accumulato nella
realizzazione dei lavori. Infatti alla Ditta Vaselli, vincitrice della gara per la realizzazione del
contenitore, venne consegnato il cantiere solo a pochi mesi dal 23 settembre, data fissata per
l'inaugurazione dell'Ara Paci e a Morpurgo, progettista del padiglione, non restò che accettare la
semplificazione del progetto: cemento e finto porfido furono impiegati in luogo del travertino e del
marmo pregiato, mentre il ritmo e l'andamento dei pilastri, sia in facciata che lateralmente, vennero
cambiati.
Alla base del compromesso ci fu un'intesa non scritta, tra architetto e Governatorato, di ritenere
provvisoria la sistemazione e di rimettere mano alla teca dopo l'inaugurazione. Ma la somma richiesta,
l'incertezza dei tempi e la guerra già nell'aria renderanno irrealizzabile quanto programmato.
Negli anni del conflitto le vetrate furono rimosse e il monumento protetto da sacchetti di pozzolana,
sostituiti in seguito da un muro paraschegge. Solamente nel 1970 la teca fu ripristinata.
I primi interventi di restauro riguardanti l'Ara Pacis e la sua sistemazione nel padiglione sul
Lungotevere, datano agli inizi del 1950, quando il Comune fece liberare la struttura dal muro
paraschegge, riparare la trabeazione dell'ara danneggiata dalle protezioni antiaeree e costruire tra i
pilastri, in luogo delle vetrate rimosse durante la guerra, un muro di m. 4,50 d'altezza. Il vero
ripristino del padiglione avvenne solo nel 1970 con la posa in opera di nuovi cristalli.
Nel corso degli anni Ottanta, si è proceduto al primo sistematico intervento di restauro sull'Ara, che ha
comportato lo smontaggio e la sostituzione di alcuni dei perni in ferro a sostegno delle parti aggettanti
del rilievo, oltre alla risarcitura delle fratture della malta, al consolidamento dei restauri storici, alla
ripresa del colore delle parti non originali e naturalmente alla rimozione di polveri e residui depositatisi
nel corso degli anni. In questo stesso intervento, la testa riconosciuta come Honos, ed inserita
erroneamente nel pannello di Enea, è stata rimossa.
Anche se non adeguatamente isolato dalle vetrate ripristinate, si sperava che gli interventi degli anni
Ottanta, consentissero la buona conservazione del monumento a lungo termine. Invece già alla metà
degli anni Novanta si sono resi manifesti i problemi legati ad un'escursione termica e igrometrica
troppo ampia e repentina: infatti la malta è tornata a riaprirsi in un reticolo di microfratture; l'umidità,
raggiunti i perni in ferro che non era stato possibile sostituire, ha provocato la loro espansione e la
frattura dall'interno del marmo; inoltre da indagini condotte sulla tenuta delle lastre maggiori, sono
emersi risultati preoccupanti, quali segnali di distacco dal muro di sostegno; infine, uno strato di
polveri grasse e acide si era depositato con stupefacente rapidità su tutta la superficie dell'altare,
frutto dell'aumento incontrollato dell'inquinamento da traffico e da riscaldamento. Le precarie
condizioni del monumento, nell'impossibilità di adeguare la teca esistente, hanno spinto nel 1995 il
Comune di Roma a pensare alla sostituzione della vecchia teca.
Il progetto per il nuovo complesso museale dell'Ara Pacis è stato redatto da Richard Meier & Partners
Architects, studio statunitense a cui si devono alcuni dei più notevoli musei della seconda metà del
Novecento. La cantierizzazione del progetto è stata assegnata all'italiana Maire Engineering ed è
curata, per l'Amministrazione comunale, dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali e dall'Ufficio Città
Storica. L'edificio, rimasto sostanzialmente inalterato, è stato concepito per essere permeabile e
trasparente nei confronti dell'ambiente urbano, senza compromettere la salvaguardia del monumento.
Un organismo ad andamento lineare che si sviluppa secondo l'asse principale nord-sud e si articola in
aree scoperte, ambienti completamente chiusi e in zone chiuse, ma visivamente aperte alla
penetrazione della luce.
Il nuovo complesso museale, che ricompone la quinta edilizia ad ovest del Tridente, è suddiviso in tre
settori principali. Al primo settore, una Galleria chiusa alla luce naturale, si accede tramite una
scalinata che supera il dislivello tra via di Ripetta e il Lungotevere e raccorda la nuova costruzione alle
chiese neoclassiche antistanti. La scalinata presenta due elementi di richiamo al passato: una fontana,
memoria del Porto di Ripetta che insisteva proprio su quest'area, e una colonna che misura dall'Ara la
stessa distanza che, in età augustea, la separava dall'obelisco della grande meridiana. La Galleria, che
ospiterà i servizi di accoglienza, assolverà la duplice funzione di introdurre la visita al monumento e di
"schermare" l'Ara da meridione. Superata la sua penombra, si entra nel Padiglione centrale, dove di
giorno l'Ara è immersa nella luce diffusa dei lucernari e da ampi cristalli filtranti. Questa soluzione ha
comportato il montaggio di oltre 1500 mq di vetro temperato, in lastre grandi fino a tre metri per
cinque, tali da annullare l'effetto-gabbia del Padiglione e garantire il massimo di visibilità.
Il terzo settore, a nord, ospita una Sala per convegni disposta su due piani e fornita di un locale per
ristorazione. Sopra la sala, un';ampia terrazza aperta al pubblico affaccia sul Mausoleo di Augusto.
Sfruttando il dislivello esistente tra il Lungotevere e via di Ripetta, è stato inoltre ricavato un vasto
piano semi-interrato, fiancheggiato dal Muro delle Res Gestae, unico elemento conservato del vecchio
padiglione. In questi spazi verranno realizzati una biblioteca, gli uffici di direzione e due grandi sale
illuminate artificialmente, dove saranno esposti i frammenti non ricollocati nella costruzione del 1938 e
altri importanti rilievi della cosiddetta Ara Pietatis. A questi spazi, utilizzabili anche per mostre
temporanee, si accederà sia internamente, sia tramite due ingressi indipendenti a sud e nord di via
Ripetta.
I materiali e le tecnologie.
Per la realizzazione del nuovo Museo sono state impiegate materie prime e realizzati impianti di
assoluta qualità. La scelta dei materiali è finalizzata all'integrazione con l'ambiente circostante: il
travertino, come elemento di continuità coloristica, l'intonaco e il vetro, in grado di offrire una
compenetrazione tra interno ed esterno, un contemporaneo effetto di volume e trasparenza, di pieno e
vuoto.
Il travertino proviene dalle stesse cave da cui fu estratto per la realizzazione di piazza Augusto
Imperatore negli anni Trenta ed è lo stesso più recentemente utilizzato da R. Meier per il Getty Center
di Los Angeles e altre importanti opere architettoniche. La sua lavorazione "a spacco" e le
caratteristiche stesse della pietra ne fanno un materiale unico, prodotto con una tecnica messa a punto
per lo stesso Meier. L'illuminazione, sia interna che esterna, notturna e diurna impiega riflettori dotati
di accessori anti-abbagliamento, filtri per la resa del colore e lenti che circoscrivono e modulano la
distribuzione del fascio luminoso in relazione alle caratteristiche delle opere esposte. L'intonaco bianco
Sto-Verotec, già materiale d'uso tradizionale, qui viene impiegato su pannelli di vetro riciclato di
dimensioni finora mai usate in Italia. Si caratterizza per l'estrema levigatezza, ottenuta attraverso
sette strati di applicazione su rete vitrea e per la sua reazione "autopulente" agli agenti atmosferici. Il
vetro temperato che racchiude l'Ara è composto da due strati, ciascuno di 12 mm, separati da una
intercapedine di gas argon e dotati di uno strato di ioni di metallo nobile per il filtraggio dei raggi
luminosi. La sua tecnologia, studiata per ottenere un rapporto ottimale tra resa estetica, trasparenza,
fonoassorbenza, isolamento termico e filtraggio della luce, si spinge al limite delle attuali possibilità
tecniche. Il microclima interno è affidato ad un complesso impianto di condizionamento che risponde a
due essenziali requisiti: essere il più discreto possibile rispetto all'architettura circostante e reagire in
tempi brevi a cause perturbanti le condizioni termiche e di umidità. Una serie di ugelli crea una cortina
d'aria che lambisce le grandi vetrate, impedendo fenomeni di condensazione e stabilizzandone la
temperatura. Una fitta rete di polietilene, sotto al pavimento, è percorsa, secondo la necessità, da
acqua temperata calda o fredda, al fine di creare condizioni climatiche ideali. Il grande salone dell'Ara
è servito, inoltre, da un sofisticato impianto che consente la circolazione di aria con elevato grado di
filtraggio anche in condizioni di affollamento due volte superiori al massimo previsto.
INTERNO
L'Ara Pacis, composta da un recinto che racchiude laltare propriamente detto, riproduce le forme di un
templum minus, così descritto da Festo: "I templa minora sono creati dagli Auguri (sacerdoti)
recingendo i luoghi prescelti con tavole di legno o con drappi, in modo che non abbiano più di un
ingresso, e delimitando lo spazio con formule stabilite. Dunque il tempio è il luogo recintato e
consacrato in modo da restare aperto su un lato ed avere angoli ben fissati a terra". Se si fa eccezione
per gli ingressi, che nel caso dell'Ara Pacis sono due, questa descrizione si adatta particolarmente bene
a questo monumento e alla sua decorazione interna che, nella parte inferiore, rappresenta il tavolato di
legno che, nei templi arcaici, delimitava lo spazio "inaugurato" con formule sacre.
L'interno del recinto si presenta, come l'esterno, diviso in due zone sovrapposte e separate da una
fascia decorata a palmette: nel registro inferiore la decorazione, semplificata, sembra riprodurre il
motivo delle assi del recinto in legno che delimitava lo spazio sacro; il registro superiore invece è
arricchito da un motivo di festoni e bucrani (teschi animali) intervallati da paterae o coppe rituali.
Anche questo motivo rimanda alla decorazione che veniva posta sopra la recinzione lignea, in questo
caso ornata con ghirlande straordinariamente cariche di spighe, di bacche e di frutta di ogni stagione,
sia coltivata che spontanea, fissate ai sostegni tramite vittae, o bende sacre.
ESTERNO
Il recinto è posto su un grande basamento marmoreo, quasi interamente di restauro, suddiviso in due
registri decorativi: quello inferiore vegetale, quello superiore figurato, con rappresentazione di scene
mitiche ai lati dei due ingressi e con un corteo di personaggi sugli altri lati. Tra di essi è una fascia di
separazione con un motivo a svastica, ampiamente ricostruita.
Registro superiore. Lato ovest.
Sul lato sinistro della fronte del recinto, si conserva il pannello con la raffigurazione del mito della
fondazione di Roma: Romolo e Remo vengono allattati dalla lupa alla presenza di Faustolo, il pastore
che adotterà e alleverà i gemelli, e di Marte, il dio che li aveva generati unendosi con la vestale Rea
Silvia. Al centro della composizione è rappresentato il fico ruminale, sotto il quale vennero allattati i
gemelli. Sull'albero si possono distinguere gli artigli di un uccello, nel 1938 completato al tratto come
un'aquila, ma forse un picchio che, come la lupa, è sacro a Marte. Il dio è rappresentato nelle sue vesti
guerriere, munito di lancia, elmo crestato ornato da un grifo e corazza sulla quale si distingue la testa
di
una
Gorgone.
Sulla destra della fronte del recinto è visibile il rilievo che raffigura Enea, già avanti negli anni, che
sacrifica ai Penati e pertanto è ritratto in veste sacerdotale con il capo coperto, nell'atto di fare
un'offerta su un altare rustico. La parte finale del braccio destro è andata perduta, ma quasi
certamente sorreggeva una patera, una coppa rituale, come fa supporre la presenza di un giovane
assistente al rito (camillus) che porta un vassoio con frutta e pani e una brocca nella mano destra. Un
secondo assistente al rito sospinge una scrofa verso il sacrificio, probabilmente sul luogo stesso in cui
verrà fondata la città di Lavinium se si interpreta la scena alla luce dell'VIII libro dell'Eneide.
Recentemente, tuttavia, è stato ipotizzato che il personaggio che sacrifica sia Numa Pompilio, il
secondo dei sette re, che proprio nel campo Marzio celebrò un sacrificio alla concordia tra sabini e
romani, in occasione del quale venne sacrificata una scrofa.
Lato Est.
A sinistra del lato est del recinto, è il pannello con la raffigurazione della Tellus, la Terra madre,
ovvero, secondo una diversa interpretazione, Venere, madre divina di Enea e progenitrice della Gens
Iulia, cui appartiene lo stesso Augusto. Un'ulteriore lettura interpreta questa figura centrale come la
Pax Augusta, la Pace, da cui l'altare prende nome. La dea siede sulle rocce, vestita di un leggero
chitone. Sul capo velato, una corona di fiori e di frutta. Ai suoi piedi, un bue ed una pecora. La dea
sostiene ai suoi lati due putti, uno dei quali attira il suo sguardo porgendole un pomo. Nel suo grembo,
un grappolo d'uva e dei melograni completano il ritratto della divinità genitrice, grazie alla quale
prosperano uomini, animali e vegetazione. Ai lati del pannello due giovani donne, le Aurae velificantes,
l'una seduta su un drago marino, l'altra su un cigno, simbolo rispettivamente dei venti benefici di mare
e
di
terra.
Sul pannello di destra si conserva invece un lacerto del rilievo della dea Roma. La figura rappresentata,
è stata completata "a graffio" su malta. In considerazione del fatto che è seduta su un trofeo di armi,
non può essere che la dea Roma, la cui presenza va letta in stretta relazione a quella della VenereTellus, poichè la prosperità e la pace sono garantite da Roma vittoriosa. La dea è rappresentata come
un'amazzone: il capo cinto dall'elmo, il seno destro denudato, il balteo a tracolla che sorregge una
corta spada, un'asta nella mano destra. Molto probabilmente facevano parte della scena le
personificazioni di Honos e Virtus, posti ai lati della dea, nelle sembianze di due giovani divinità
maschili.
Sui lati nord e sud, sono rappresentate due affollate schiere di personaggi, che si muovono da sinistra
verso destra; tra di essi compaiono sacerdoti, assistenti al culto, magistrati, uomini, donne e bambini,
la cui identità storica è ricostruibile solo in via ipotetica. L'azione compiuta dal corteo non è del tutto
certa: infatti secondo alcuni, la scena rappresenta il reditus di Augusto, cioè la cerimonia di
accoglienza tributata al princeps al ritorno dal suo lungo soggiorno in Gallia e in Spagna; secondo altri,
rappresenta l' inauguratio della stessa Ara Pacis, cioè la cerimonia durante la quale, nel 13 a.C., si
procedette a delimitare e consacrare lo spazio sul
quale sarebbe sorto l'altare.
Il corteggio, su entrambi i lati del recinto, è aperto dai littori, seguiti da membri dei massimi collegi
sacerdotali e forse dai consules. Subito dopo iniziano a sfilare i membri della famiglia di Augusto. Sul
lato Sud, sono stati riconosciuti con certezza lo stesso Augusto, coronato di alloro, i quattro flamines
maiores, sacerdoti dal caratteristico copricapo sormontato da una punta metallica, Agrippa, raffigurato
con il capo coperto dal lembo della toga e con un rotolo di pergamena nella mano destra ed infine il
piccolo Gaio Cesare, suo figlio, che si tiene alle vesti paterne. Agrippa è l'uomo forte dell'impero, amico
e genero di Augusto, di cui ha sposato in seconde nozze la figlia Giulia. E' inoltre padre di Gaio e Lucio
Cesari,
adottati
dal
nonno
e
destinati
a
succedergli
nel
comando.
Gaio è rivolto verso la figura femminile che lo segue, nella quale è solitamente riconosciuta Livia, la
sposa del principe, rappresentata con il capo velato e la corona di alloro che ne fanno una figura di alto
rango. Secondo un'interpretazione più recente, questa figura andrebbe invece identificata con Giulia,
che
qui
comparirebbe
a
seguito
del
marito
e
del
suo
primogenito
Gaio.
Nella figura maschile che segue viene generalmente riconosciuto Tiberio, anche se questa
identificazione va messa in dubbio in considerazione del fatto che il personaggio indossa dei calzari
plebei, particolare che non si addice a Tiberio, discendente da una delle famiglie romane di più antica
nobiltà.
Al cosiddetto Tiberio fa seguito un gruppo familiare, probabilmente formato da Antonia Minore, nipote
di Augusto, da suo marito Druso e dal loro figlioletto Germanico. Druso è l'unico ritratto in vesti
militari, con la caratteristica veste militare, il paludamentum: infatti nel 13 a.C. egli si trovava
impegnato a combattere le tribù germaniche ad est del Reno. Segue un secondo gruppo familiare,
verosimilmente formato da Antonia Maggiore, nipote di Augusto, dal suo sposo Lucio Domizio
Enobarbo, console nel 16 a.C., e dai loro figli Domizia e Gneo Domizio Enobarbo, futuro padre di
Nerone.
Lato Nord.
Iniziando la lettura da sinistra, tra i personaggi che sfilano è stato riconosciuto Lucio Cesare,
secondogenito di Agrippa e Giulia, anch'egli adottato da Augusto. Qui è raffigurato come il più piccolo
dei fanciulli, condotto per mano. La figura femminile velata che segue potrebbe essere quella della
madre Giulia, verso la quale convergono gli sguardi di quanti stanno intorno. Molti però ritengono che
Giulia andrebbe riconosciuta sull'altro lato del corteggio, al posto di Livia che la verrebbe quindi a
sostituire su questo lato. La figura matronale posta alle spalle della Giulia / Livia, è generalmente
riconosciuta come Ottavia Minore, sorella di Augusto. Tra le due donne si staglia in primo piano la
figura di un giovanetto, riconosciuto come terzo figlio di Agrippa e della prima moglie di lui Marcella
Maggiore. Alle spalle di Ottavia è ben visibile la piccola Giulia Minore che in quanto nipote di Augusto,
gode il
diritto di comparire per prima tra le bambine presenti alla cerimonia.
Resta invece molto incerta l'identità delle figure alle spalle della piccola Giulia.
Registro inferiore. Lati nord e sud.
Il registro inferiore del recinto è decorato con un fregio vegetale composto da girali che partono da un
rigoglioso cespo di acanto; dal centro dell'acanto si innalza verticalmente una candeliera vegetale. Dai
girali dell'acanto si sviluppano foglie di edera, di alloro, di vite, si dipartono viticci e palmette, e
laddove gli steli si assottigliano, avvolgendosi a spirale, sbocciano fiori di ogni varietà. Nella fitta
vegetazione trovano ospitalità piccoli animali e venti cigni ad ali spiegate, che scandiscono il ritmo
della composizione. Questo rilievo vegetale è stato spesso riferito alla IV Ecloga di Virgilio, dove il
seculum aureum, il ritorno dell'età felice e pacifica si annuncia con la produzione copiosa e spontanea
di frutti e messi. Aldilà del richiamo generico alla fertilità e all'abbondanza, conseguente al ritorno
dell'età dell'oro, il fregio può essere letto anche come un'immagine della pax deorum, della
conciliazione delle forze divine che reggono l'intero universo, resa possibile dall'avvento di Augusto.
ALTARE
L'Ara Pacis è composta da un recinto che racchiude la mensa, l'altare propriamente detto sul quale si
offrivano le spoglie animali e il vino. La mensa occupa quasi totalmente lo spazio interno al recinto, dal
quale è separato da uno stretto corridoio il cui pavimento si presenta leggermente inclinato verso
l'esterno, in modo tale da favorire la fuoriuscita delle acque, sia piovane che dei lavacri successivi ai
sacrifici,
attraverso
canalette
di
scolo
aperte
lungo
il
perimetro.
L'altare è costituito da un podio di quattro gradini sul quale poggia un basamento, che presenta altri
quattro gradini sulla sola fronte. Sopra di essi si eleva la mensa, stretta tra due avancorpi laterali. Le
due
sponde
laterali
presentano
acroteri
a
volute
vegetali
e
leoni
alati.
Sull'interno della sponda sinistra si distinguono le Vestali, sei in tutto, rappresentate a capo coperto:
sono le virgines nominate dal pontifex maximus, la massima carica sacerdotale, scelte tra le fanciulle
aristocratiche comprese tra i sei e i dieci anni di età, le quali restavano custodi del fuoco sacro per 30
anni.
Qui
le
vediamo
nel
corso
della
cerimonia
accompagnate
da
aiutanti.
Del fregio che fronteggia quello delle Vestali, non rimane invece che un frammento con due figure, la
prima delle quali rappresenta un sacerdote, più esattamente un flamen, mentre nel personaggio che
segue si è voluto riconoscere lo stasso Auguto, forse rappresentato nella veste di pontifex maximus,
carica che assunse nel 12 a.C., proprio mentre l'Ara Pacis era in costruzione. Sulla sponda destra
esterna si conserva una processione con tre animali, due bovini e una pecora, condotti al sacrificio da
dodici addetti (victimarii). Nelle loro mani gli strumenti del sacrificio: i vassoi, il coltello, la mazza e il
ramo d'alloro per l'aspersione. Sono preceduti da un togato (o forse un sacerdote) accompagnato da
aiutanti e assistenti al culto. Molto probabilmente, i frammenti del fregio dell'altare sono riferibili ad un
sacrificio, forse quello stesso alla Pax Augusta che il Senato aveva decretato si celebrasse ogni anno, il
30 gennaio, nella ricorrenza della consecratio dell'altare.
L’ara_pacis_nel_campo_marzio
il_padiglione_novecentesco
L’interno_del_ museo_oggi
I restauri
pannello_della_tellus_particolare_con_aura_velificans_su_cigno
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fregio_vegetale_girale_con_fiore_sul_lato_settentrionale
gruppo_scultoreo_con_pan_e_sileno
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sponda_settentrionale_della_mensa_sacrificale_lato_interno

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