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Progetto di Ricerca. n. 2178,
finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
(D.D. 190/2011)
I SISTEMI DI QUALIFICAZIONE
DELLE IMPRESE
Modelli organizzativi, certificazione e qualificazione delle imprese:
buone pratiche per l’ottimizzazione dei processi e la selezione
degli operatori virtuosi nel settore della sanificazione del tessile
e dello strumentario chirurgico
EXECUTIVE SUMMARY
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EXECUTIVE SUMMARY
Il rapporto: struttura e finalità
Il settore dei servizi della sanificazione del tessile, dello strumentario
chirurgico e dei servizi medici affini, caratterizzandosi per l’elevata complessità
organizzativa, parcellizzazione dei processi produttivi, pluralità di centri di
imputazione (diffuso utilizzo dell’appalto) è spesso esposto a fenomeni distorsivi
della concorrenza, tra i quali e su tutti il dumping sociale, come, inevitabilmente,
anche a problematiche connesse agli infortuni e alle malattie professionali.
Una concorrenza sleale, testimoniata dalla diffusa presenza nel settore
medesimo di soggetti rispetto ai quali le attestazioni di idoneità tecnicoprofessionale – che costituirebbero i requisiti fondamentali per operare nel
mercato – si traducono in criteri meramente cartacei, documentali e formali non
certamente garanti della effettiva capacità di gestire in modo sicuro e competitivo
i processi produttivi.
A tal proposito forte è l’esigenza di definire un sistema di
selezione/sbarramento nel mercato per i soggetti non virtuosi, attraverso una
parametrazione dell’operatività sulla sussistenza di elementi sostanziali afferenti
alla concreta organizzazione del lavoro in azienda, alla strutturazione di processi
formativi e di valorizzazione della acquisizione di competenze oltre che alla
adozione di standard contrattuali ed organizzativi, ivi inclusi gli appalti, la cui
qualità sia attestata mediante procedimenti di certificazione.
Dal lato della salute e della sicurezza sul lavoro, per gli aspetti più sopra
richiamati, non a caso il legislatore ha indicato il settore della sanificazione del
tessile e dello strumentario chirurgico tra i “settori pilota” per la definizione di un
sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’art. 27
del d.lgs. n. 81/2008, nel cui ambito e tenendo conto le indicazioni degli
organismi paritetici, vengono individuati criteri finalizzati a migliorare l’ambiente
di lavoro dai rischi esistenti.
In quest’ottica, la ricerca si è proposta di individuare buone pratiche per
l’ottimizzazione dei processi produttivi e la selezione degli operatori, delineando a
sua volta un quadro prevenzionistico tipico del modello regolatorio by objectives,
dedito da un lato alla valorizzazione della certificazione dei contratti di lavoro e
degli appalti di cui alla legge Biagi e sulla sperimentazione della certificazione dei
modelli organizzativi, e dall’altro lato alla costruzione di un sistema di
qualificazione delle imprese quale criterio selettivo degli operatori sul mercato.
Il presente rapporto è composto di cinque parti. Nella prima, oltre ad una
breve descrizione del settore di riferimento, è delineata una mappatura del rischio
e dei fenomeni di dumping sociale, inquadrando sia le caratteristiche di sistema e
sia le criticità peculiari.
La seconda parte, invece, rimarcando l’evoluzione del mercato del lavoro e
dei sistemi di produzione che hanno portato ad affermarsi nuovi rischi per la
salute e sicurezza sul lavoro, analizza il sistema di qualificazione delle imprese
precisandone le origini, lo stato dell’arte e l’utilità di una sua definizione anche a
livello normativo.
Vi è poi una terza parte dedicata agli elementi fondamentali per la creazione
del sistema ideale di qualificazione, ossia la certificazione dei contratti di lavoro e
dei contratti di appalto, e ancora delle certificazioni di qualità dei processi e dei
prodotti. Elementi sostanziali protesi a maggior concorrenza leale sul mercato, ad
elevati standard di sicurezza per i soggetti aziendali e, inoltre, a garanzia di qualità
sui servizi offerti. A questi aspetti va aggiunta anche la quarta parte dedicata ai
modelli di organizzazione e gestione del lavoro con l’apertura alla possibilità della
certificazione degli stessi in prospettiva di tutela della salute e sicurezza dei
lavoratori.
La quinta, ed ultima parte, è dedicata alla descrizione dell’attività
sperimentale, svoltasi presso cinque aziende pilota, il cui percorso – scandito nelle
rispettive fasi di studio, applicazione concreta e condivisione all’interno di una
bozza di decreto del Presidente della Repubblica – è alla base della costruzione
del sistema di qualificazione del settore della sanificazione del tessile e dello
strumentario chirurgico.
Le problematiche emerse e le prospettive di intervento
Come anticipato diverse sono le problematiche riscontrate.
Su tutto, un’ampia implementazione all’adozione di prassi virtuose è
decisamente ostacolata dalla presenza di pratiche di concorrenza sleale adottate da
taluni operatori del mercato, che, per sottrarsi ai costi che una produzione accorta
e di qualità impone, operano senza rispettare il contratto collettivo di settore e
trascurando il rispetto della normativa tecnica in tema di sicurezza igienica dei
prodotti lavorati.
Va detto che tale stortura del mercato è resa possibile dall’assenza di una
normativa cogente che imponga adeguati livelli di qualità del servizio e di
sicurezza degli operatori e degli utenti finali.
Ad oggi, l’adozione di tali cautele è lasciata alla responsabilità sociale di
ciascuna azienda, che – come è evidente – è spesso messa a dura prova dalla
condotta spregiudicata di alcuni operatori che, avendo come unico obiettivo
quello dell’abbattimento dei costi e del prezzo finale, ignorano del tutto qualità e
sicurezza. Ciò crea un vero e proprio dumping sociale.
Di contro e in prospettiva, la via maggiormente percorribile sarebbe quella
della qualificazione delle imprese. Infatti, l’introduzione del sistema di
qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi nel settore della
sanificazione del tessile e dello strumentario medico-chirurgico può contribuire,
da un lato alla crescita del livello qualitativo del servizio reso dalle imprese che vi
operano e, dall’altro, può costituire uno stimolo all’implementazione di buone
pratiche, per quanto riguarda la corretta gestione dei rapporti di lavoro e la tutela
della loro sicurezza. E tanto, favorendo un percorso di crescita culturale, all’esito
del quale sia possibile ritenere “ordinario”, “normale” l’agire dell’impresa
virtuosa e si riduca il raggio di azione delle imprese che operano al di fuori delle
regole.
Sotto un complementare profilo, l’introduzione del sistema di qualificazione
delle imprese nel settore della sanificazione del tessile potrebbe consentire ai
committenti pubblici e privati di individuare, fra le tante presenti sul mercato, le
aziende attente alla qualità della propria attività produttiva, ad una corretta
gestione dei rapporti di lavoro, alla tutela della sicurezza dei propri dipendenti. Il
tutto, al fine di arginare insidiosi fenomeni di concorrenza sleale – praticati da
operatori disposti ad offrire un servizio ad un prezzo più basso, ma scadente – che
non fanno altro che sottrarre ampi spazi di mercato alle aziende virtuose.
Il settore di riferimento: peculiarità e criticità
Il Sistema industriale integrato di beni e servizi tessili e medici affini (di
seguito il “Sistema” o il “Settore”) coinvolge le aziende industriali che rendono il
servizio di:
• noleggio e sanificazione del tessile,
• noleggio, sanificazione e sterilizzazione dei dispositivi medici,
• fornitura, noleggio, ricondizionamento e manutenzione di abiti da lavoro e
dispositivi di protezione individuale (“DPI”),
avvalendosi esclusivamente di macchinari ed apparecchiature automatici, che
escludono l’intervento meramente manuale nel ciclo di lavorazione.
I clienti sono grandi committenze (quali ospedali, comunità, alberghi,
ristoranti, caserme, scuole, industrie farmaceutiche, chimiche, tessili), che
affidano all’esterno il servizio, allo scopo di concentrare le proprie risorse sugli
obiettivi principali della loro attività.
Si tratta di un processo industriale di particolare complessità organizzativa e
delicatezza sociale, poiché:
a) il ciclo di lavorazione è destinato a soddisfare i bisogni di realtà collettive
quantitativamente significative;
b) l’attività realizzata dalle aziende industriali del settore non si limita alla
sola fase di igienizzazione, ma, attraverso il noleggio, ricomprende anche la
fornitura al committente di beni decontaminati e sterili.
La descritta complessità del processo produttivo si riverbera anche sul
fenomeno antinfortunistico, tenuto sotto controllo da una progressiva diffusione
della “cultura della sicurezza” tra le aziende del settore, oltre che da una maggiore
automazione dei processi industriali.
Infatti, uno studio condotto dall’Inail, con riferimento al periodo 2000-2009,
ha registrato una riduzione del 14,4% del fenomeno. Contrariamente, si è
registrato un aumento del numero delle malattie professionali. Tra le maggiori
fonti di esposizione al rischio, troviamo:
1) il possibile contatto con capi infetti provenienti da ospedali;
2) le ferite per opera di oggetti taglienti;
3) l’esposizione a prodotti chimici (acidi corrosivi, detersivi, composti usati
per la smacchiatura, ecc.);
4) il trascinamento per opera delle parti in movimento delle macchine
(presse, essiccatoi, stiratrici, ecc.);
5) l’elettrolocuzione e l’insorgenza di disturbi muscolo-scheletrici.
Data la complessità del processo produttivo e la delicatezza sociale dei
bisogni collettivi sui cui esso va ad impattare, è fondamentale che le aziende del
settore operino secondo standard produttivi e organizzativi ottimali, tali, cioè, da
garantire al committente un prodotto/servizio di qualità.
Quanto al profilo organizzativo, è senz’altro indice di affidabilità la
circostanza che l’azienda faccia una corretta ed integrale applicazione del CCNL
per i dipendenti dalle imprese del sistema industriale integrato di servizi tessili e
medici affini. Il rispetto del CCNL, infatti, garantisce che l’azienda operi
attraverso l’implementazione di soluzioni organizzative appropriate,
consensualmente volute dalle parti sociali.
In tale contesto regolatorio, è centrale il ruolo dell’ente bilaterale della
categoria. L’EBLI è stato individuato dalle organizzazioni sindacali e
dall’associazione datoriale come luogo privilegiato di analisi delle componenti
che influenzano il mercato delle aziende di sanificazione del tessile e dello
strumentario chirurgico, con un particolare riguardo alla condizione dei lavoratori.
Per quanto riguarda, invece, il profilo produttivo, le aziende possono
raggiungere un livello qualitativo ottimale se osservano:
a) la disciplina normativa in tema ambientale (d.lgs. n. 152/2006);
b) talune buone pratiche, che siano garanzia di un effettivo abbattimento della
contaminazione microbiologica e, quindi, della sicurezza igienica dei prodotti
lavorati.
Al riguardo, è determinante la sensibilità delle imprese nel dotarsi di una serie
di certificazioni, che siano garanzia di elevati standard produttivi, nel rispetto
della normativa tecnica di riferimento. Precisamente:
• UNI EN ISO 9001:2008 Sistema di gestione per la qualità;
• ISO 14001:2004 Sistemi di gestione ambientale – Requisiti e guida
all’uso;
• SA 8000:2008 Responsabilità sociale d’impresa;
• OHSAS 18001:1999 Sistemi di gestione della sicurezza e della salute dei
lavoratori;
• UNI CEI EN ISO 13485:2004 Dispositivi medici – Sistemi di gestione
della qualità.
Senz’altro cruciale è il controllo della contaminazione microbiologica, il cui
riferimento è costituito dalla norma UNI EN 14065:2004 (secondo le linee guida
Assosistema). Il rispetto di tale norma, infatti, consente di creare un sistema di
controllo idoneo per il conseguimento del certificato RABC (sistema di analisi e
controllo della biocontaminazione).
In particolare, il sistema di controllo così impostato impedisce la c.d.
contaminazione crociata. E tanto attraverso:
a) la separazione totale della biancheria pulita da quella sporca, mediante
barriera fisica, tanto in fase di immissione in processo, quanto in fase di emissione
dal processo dei beni lavorati;
b) la regolamentazione e la limitazione del passaggio di personale e di
attrezzature tra zona sporco e zona pulito.
Il sistema di qualificazione delle imprese
Il settore della sanificazione del tessile e dello strumentario chirurgico, come
tutti del resto, ha risentito negli ultimi decenni una trasformazione notevole. Le
dirompenti evoluzioni tecnologiche, la globalizzazione, il decentramento
produttivo, oltre che fattori socio-culturali, legislativi ed organizzativi, hanno
generato una forte esigenza di specializzazione, sete di innovazione, di flessibilità
del lavoro e soprattutto di pratiche di outsourcing.
Visto il nuovo scenario, alla base delle principali problematiche di gestione
della salute e sicurezza si sono posti tre fattori organizzativi: la frammentazione
delle imprese, per cui numerose mansioni prima svolte nella medesima impresa
ora vengono affidate ad imprese esterne; la considerevole riduzione della
dimensione media delle imprese; la dispersione delle attività in più sedi, spesso
distanti tra loro.
Come anticipato, i delineati mutamenti intervenuti nel mercato del lavoro e
nei modelli organizzativi d’impresa, l’emersione di nuove problematiche legate
alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, hanno aperto la strada a nuove sfide sul
campo della prevenzione.
Di fatti gli sviluppi normativi che si sono susseguiti nel tempo,
particolarmente negli ultimi anni, in materia di salute e sicurezza hanno imposto
l’analisi del rapporto tra questa e l’organizzazione del lavoro, muovendosi su due
linee direttrici. Da un lato l’“organizzazione del lavoro versus sicurezza del
lavoro”, nell’accezione più tradizionale che la vede come potenziale fattore di
rischio; e dall’altro l’“organizzazione del lavoro per la sicurezza del lavoro”, nel
senso di elemento essenziale, anche sul piano procedurale, ai fini di un’efficace
implementazione delle politiche e pratiche di prevenzione in azienda.
Da ultimo, con il d.lgs. n. 81/2008, il sistema di prevenzione in azienda è
inscindibilmente connesso al complessivo modello organizzativo aziendale, e tutte
le sue componenti, soggetti, competenze, funzioni, controlli, responsabilità,
sanzioni, devono essere inserite in un assetto organizzativo esplicitato e
rispondere a criteri di razionalità organizzativa, efficienza ed efficacia.
In questo senso si inserisce l’individuazione di un sistema di qualificazione
delle imprese e dei lavoratori autonomi. Tale ruolo è stato attribuito alla
Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro,
tenuta ad individuare settori e criteri finalizzati alla definizione del sistema di
qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’art. 27 del Testo
Unico.
In questo progetto il settore della sanificazione del tessile e dello strumentario
chirurgico è indicato dall’art. 27, d.lgs. n. 81/2008, tra quei settori definiti
“pilota”, funzionali alla costruzione di un prototipo che dovrebbe confluire in un
decreto del Presidente della Repubblica. Tale scelta trova la sua ratio nella
necessità di tener conto, da una parte, degli incombenti obblighi nascenti dal
dettato normativo in relazione a settori affetti da gravi fenomeni di dumping, da
tassi infortunistici elevatissimi, dal frequente ricorso allo schema dell’appalto,
dall’altra, nella necessità di modernizzare ed innalzare il livello degli standard
contrattuali, organizzativi, professionali e formativi dei molteplici settori
caratterizzati dallo svolgimento di prestazioni di opere o servizi con contributo
prevalentemente personale dell’operatore ovvero con organizzazione
imprenditoriale minima, in un regime di sostanziale dipendenza economica.
A titolo esemplificativo, la Commissione, nel delineare i requisiti inderogabili
e preferenziali, trasversali a tutti i settori produttivi interessati, per il possesso
della qualificazione delle imprese, ha espressamente indicato, tra i preferenziali, la
certificazione dei singoli contratti di lavoro e dei singoli contratti di appalto.
Maggiore spazio in materia di salute e sicurezza sembra esser stato concesso
agli organismi bilaterali, i quali possono partecipare alla selezione degli operatori
virtuosi presenti sul mercato, rilasciando, su richiesta delle imprese,
un’asseverazione dell’adozione ed efficace attuazione dei modelli di
organizzazione e gestione della sicurezza di cui all’art. 30 del decreto.
Logicamente l’adozione di determinati modelli organizzativi e di gestione della
sicurezza diventa parametro sul quale misurare la virtuosità delle imprese,
effettuando, in tal modo, una sorta di “selezione naturale” tra gli operatori.
Certamente le imprese più virtuose avranno una migliore qualificazione, si
distingueranno sul mercato e potranno accedere ad una serie di benefici, quali:
• il diritto di preferenza in gare di appalto e subappalto pubbliche;
• accesso ad agevolazioni, contributi, finanziamenti pubblici;
• benefici legati ad una più credibile e spendibile reputazione sul mercato
nei confronti dei vari stakeholders quali clienti, fornitori, Pubblica
Amministrazione, concorrenti, comunità di interesse scientifico, con conseguente
riverbero positivo in termini di produttività e competitività.
In tal modo si conferma chiaramente che la selezione dei soggetti operanti sul
mercato, tanto per l’accesso a pubblici appalti, quanto per l’accesso agli appalti
inter privatos, deve basarsi in ogni caso sulla verifica e sull’effettivo possesso, da
parte degli aggiudicatari, degli appaltatori e subappaltatori, di requisiti sostanziali
afferenti alla:
• affidabilità gestionale ed organizzativa (modelli di organizzazione e
gestione idonei ed efficaci);
• alla genuinità dei contratti di lavoro e degli appalti utilizzati;
• all’adozione di percorsi formativi efficaci ed effettivi;
• al rispetto di più elevati standard di responsabilità sociale d’impresa.
Non vi è dubbio che il principale obiettivo sotteso all’adozione di un “sistema
di qualificazione” consiste nell’individuare misure di maggior tutela rispetto a
quelle generali previste per ogni luogo di lavoro dal Testo Unico, applicabili ai
settori a maggior rischio infortunistico, con l’obiettivo di abbattere i relativi indici
di rischiosità.
La certificazione dei contratti e degli standard organizzativi
Nella costruzione di un sistema di qualificazione delle imprese,
indubbiamente, la certificazione dei contratti di lavoro e di appalto e degli
standard organizzativi, come disciplinata dal d.lgs. n. 276/2003, rappresenta un
elemento fondamentale. Prima di scendere in valutazioni di merito più
approfondite su questo procedimento, vanno passate in rassegna le varie forme di
certificazione di qualità ad oggi esistenti.
Le certificazioni di qualità
Qualsiasi imprenditore che intenda operare nel mercato attuale sa che, per
tentare di affermare la propria impresa ed i relativi prodotti, dovrà ottenere una o
più certificazioni di qualità. La certificazione di qualità serve, così, ad assicurare
gli stakeholders circa il modo di operare dell’impresa: scegliendo un’azienda che
abbia un sistema di qualità in un determinato settore, il cliente è ragionevolmente
sicuro che questa sarà in grado, con continuità nel tempo, di fornire prodotti e
servizi conformi a determinati requisiti concordati.
Quando si affronta il tema della certificazione della qualità e dell’osservanza
di norme capaci di assicurare il Sistema di gestione della qualità (SGQ), si deve
necessariamente affrontare l’argomento delle certificazioni ISO 9000. Le ISO
9000 identificano una serie di norme e linee guida, sviluppate dall’ISO, che
propongono un sistema di gestione per la qualità, pensato per monitorare i
processi aziendali affinché siano indirizzati al miglioramento della efficacia e
dell’efficienza della organizzazione, oltre che alla soddisfazione del cliente.
Attualmente, l’unica norma della famiglia ISO 9000 per cui una azienda può
essere certificata è comunque la ISO 9001:2008, la quale rappresenta quindi il
riferimento, riconosciuto a livello mondiale, per la certificazione del sistema di
gestione per la qualità delle organizzazioni di tutti i settori produttivi e di tutte le
dimensioni.
I principi, così come individuati e spiegati dall’ISO, sono:
• l’orientamento al cliente, ossia la priorità di soddisfare le esigenze esplicite
ed implicite dei clienti e di mirare a superare le loro stesse aspettative;
• la leadership;
• il coinvolgimento del personale, che costituisce l’essenza
dell’organizzazione;
• l’approccio per processi, con cui si tenta di ottenere il risultato desiderato
con la maggiore efficienza quando le relative attività e risorse sono gestite come
un processo;
• il miglioramento continuo, mantenuto come obiettivo permanente
dell’organizzazione;
• l’analisi e i dati dell’informazione come base delle decisioni;
• l’interdipendenza dei rapporti come beneficio per migliorare la capacità di
creare valore.
A testimoniare come il mercato sia ormai pronto per l’utilizzo delle
certificazioni anche in ambito giuslavoristico, può addursi l’esempio della
certificazione SA 8000.
L’art. 30 d.lgs. n. 81/2008, intitolato Modelli di organizzazione e di gestione
stabilisce che «In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione
aziendale definiti conformemente alle Linee guida Uni-Inail per un sistema di
gestione della salute e sicurezza sul lavoro (SGSL) del 28 settembre 2001 o al
British Standard OHSAS 18001:2007 si presumono conformi ai requisiti di cui al
presente articolo per le parti corrispondenti».
La norma rappresenta un esempio importante di un caso in cui la
certificazione da parte di un ente terzo privato (quindi non di un organo pubblico)
viene valutata con enorme considerazione da parte del legislatore, al punto da
ottenere una presunzione di ottemperanza alla legge per le parti corrispondenti.
Certificarsi secondo OHSAS 18000 significa:
• realizzare una dettagliata analisi dei rischi reali e potenziali, legati alla
specifica attività di cui si tratta;
• studiare adeguate soluzioni per evitare che tali rischi si trasformino in
danni alle persone;
• garantire una costante ed efficace formazione interna;
• controllare costantemente le soluzioni adottate, ossia adottare soluzioni
realmente funzionali ed applicabili alla struttura ed alla specificità delle attività.
L’azione di verifica e monitoraggio di tali soluzioni permetterà alla azienda di
affinare le tecniche utilizzate e di realizzare l’obiettivo del miglioramento
continuo.
La certificazione dei contratti di lavoro e di appalto
La certificazione – introdotta, nel nostro ordinamento, dalla l. n. 30/2003 e
disciplinata dal d.lgs. n. 276/2003, così come successivamente modificata –
risponde a una elementare istanza di certezza del diritto e di affidamento tra le
parti di un rapporto di lavoro relativamente alle reciproche intese negoziali. Ciò in
ragione di un diffuso senso di instabilità, avvertito nell’ambito dei rapporti di
lavoro, del regolamento contrattuale, riconducibile anche ad una eccessiva
conflittualità e, in diversi casi, alla esasperazione del contenzioso tra datore di
lavoro e organismi ispettivi soprattutto in tema di esatta qualificazione dei
contratti di lavoro.
La certificazione dei contratti di lavoro dovrebbe permettere il superamento
delle asimmetrie informative spesso insite in tali rapporti, grazie all’accresciuta
informazione resa al lavoratore dagli enti certificatori, attenuando altresì la logica
di contrapposizione e conflitto tra le parti a vantaggio di una graduale, virtuosa
diminuzione del contenzioso sui diversi aspetti regolati.
Il fine perseguito dal legislatore con l’introduzione dell’istituto è quello della
flessibilità regolata e sostenibile, accompagnata cioè da uno strumento che ne
garantisca la genuinità e la trasparenza. Ciò al fine di consentire, al contempo, di:
• ridurre il contenzioso sul lavoro;
• combattere il lavoro sommerso;
• assicurare adeguate informazioni alle parti contrattuali;
• scongiurare i rischi ed i costi di evasioni fiscali ed omissioni contributive e
retributive, favorendo per tale via la diffusione della cultura della regolarità e la
lotta alle irregolarità.
Per questo, la certificazione risulta addirittura uno strumento utile alla corretta
diffusione delle tipologie contrattuali c.d. flessibili introdotte dal d.lgs. n.
276/2003.
In merito, e per gli aspetti che rilevano all’analisi in oggetto, particolare
rilievo ha poi assunto l’art. 27 del Testo Unico di salute e sicurezza, dal quale si
può desumere che ogni modello organizzativo concernente l’impiego della
manodopera possa essere sottoposto al vaglio delle competenti commissioni di
certificazione.
In una ottica più lungimirante, almeno rispetto alla logica formalistica di chi
si impunta sulla sola tenuta giudiziaria del provvedimento di certificazione, e in
termini maggiormente coerenti con la prassi di alcune commissioni, che mirano a
farsi apprezzare per autorevolezza più che per autorità, l’istituto della
certificazione può anche essere letto in chiave di responsabilità sociale d’impresa
(RSI o CSR).
Esiste infatti oggi, una percezione diffusa e più forte della prassi, reiterata da
alcune aziende, del ricorso abusivo ad alcuni contratti di lavoro, e di conseguenza
si assiste a una certa resistenza, da parte dei lavoratori, all’accettazione delle
nuove forme di lavoro, che vengono ricollegate a un univoco stato di precarietà.
In questa ottica, l’esistenza di un istituto che svolge il ruolo di garante sul
rispetto dei diritti del lavoratore produce un effetto positivo per l’accettazione
delle nuove formule contrattuali, unitamente alla realizzazione effettiva della
flessibilità del mercato, in quanto riduce le asimmetrie informative che spesso
risultano sbilanciate a sfavore del lavoratore. Si tratta, per le imprese, per i
lavoratori e per il sistema in generale, di un investimento nella creazione di un
circolo virtuoso che genera benefici ad ampio raggio. In definitiva, utilizzare la
certificazione – anche nel nuovo ruolo che sembra derivarle alla luce dell’art. 27
del Testo Unico di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori – in chiave di
responsabilità sociale d’impresa e di valorizzazione del capitale intangibile
significa ricevere dai propri dipendenti maggiore commitment e sviluppare il
senso di appartenenza e condivisione degli obiettivi e dei risultati della azienda,
con un riflesso positivo sul modo di lavorare e sul modo in cui si diffonde
all’esterno il cosiddetto positive word of mouth.
L’esperienza fin qui maturata della certificazione dei contratti di lavoro e di
appalto ha dimostrato come questo strumento abbia potenzialità diverse e in
qualche misura maggiori rispetto agli obiettivi originari di deflazione del
contenzioso a cui si era ispirata l’introduzione dell’istituto stesso. Non solo. La
prassi delle commissioni di certificazione ha altresì evidenziato come tali
potenzialità derivino e si spieghino proprio a partire dalla natura strettamente
volontaria del procedimento.
Per chi persegue politiche di decentramento l’ottenimento della certificazione
porta con sé la possibilità di realizzare una effettiva riduzione dei costi e un
aumento dell’efficienza, con la garanzia, al contempo, di collaborare con un
interlocutore attendibile: la certificazione dota infatti l’appaltatore di un titolo
distintivo sul mercato, che segnala la sua “qualità” e orienta i possibili partner
grazie alla riduzione del deficit informativo, traducendosi, tra l’altro, in un
beneficio complessivo all’economia grazie alla accresciuta capacità di attrarre e
mantenere investimenti. Proprio questi ultimi due fattori trasformano il costo
sostenuto per la certificazione in redditività futura, e quindi in un investimento.
La procedura attuata costituisce così un fattore essenziale per la competitività,
in quanto garantisce la flessibilità organizzativa nel rispetto delle norme
giuridiche attraverso un utilizzo strategico delle medesime.
Inoltre, comunicando all’esterno la avvenuta certificazione dei propri contratti
(di appalto ma anche di lavoro), l’impresa risulterà meno propensa a porre in
essere il cosiddetto “azzardo morale”, che al contrario la porterebbe a occultare
eventuali irregolarità. Ciò in quanto il costo, in termini di immagine, derivante da
un atteggiamento del genere sarebbe nettamente superiore ai benefici ottenuti
grazie appunto alle irregolarità.
Modelli organizzativi di gestione e prospettive di certificazione
Elemento di ulteriore rilievo per la definizione del sistema di qualificazione
delle imprese è senza dubbio l’adozione di un modello di organizzazione e
gestione. Infatti questi, almeno per gli aspetti della salute e sicurezza sul lavoro,
oltre a garantire una alta probabilità di ridurre gli infortuni e l’insorgenza di
malattie professionali attraverso la modellizzazione di una attenta gestione
aziendale, offre in aggiunta la possibilità di godere dell’efficacia esimente ai sensi
del d.lgs. n. 231/2001 che introduce la responsabilità dell’ente.
Riguardo a questo ultimo aspetto, più nel dettaglio, presupposto necessario
perché si configuri la responsabilità dell’ente è che un soggetto in posizione
apicale o un sottoposto abbia commesso, nell’interesse o a vantaggio dell’ente, un
reato ricompreso nelle categorie individuate espressamente dal d.lgs. n. 231 negli
articoli compresi tra il 24 ed il 25-duodecies. Il “reato d’impresa” dipende
direttamente dalla presenza di una struttura organizzata che non solo caratterizza
ontologicamente l’ente, ma è anche il vero e proprio substrato dal quale tale
ordine di reati trae la sua origine. Il metodo migliore per arginare il fenomeno
della criminalità d’impresa è dunque quello di attuare delle valide ed efficaci
regole di organizzazione e tale finalità viene perseguita con l’adozione ed efficace
applicazione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo previsti dagli artt.
6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001.
Questi modelli concretizzano la loro funzione in primo luogo mediante
l’individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi dei reati; in
seguito a tale attività preventiva il modello, poi, è volto ad individuare protocolli
ad hoc per la formazione delle decisioni in ottica preventiva rispetto alla
realizzazione di determinati reati.
Il ruolo sistematico del modello in tale impianto gli attribuisce due ordini di
funzioni: quella principe, esimente, ed una seconda, che si può dire parzialmente
esimente, di natura riparatoria. La funzione esimente si concretizza in modo
differente a seconda che il reato sia commesso da un soggetto apicale o da un
subordinato. La funzione riparatoria si esplicita ovviamente in fase post delictum e
consiste nella possibilità da parte di un ente che abbia commesso un reato, ma che
non aveva precedentemente adottato un modello organizzativo o che ne aveva
adottato uno non efficace, di vedere ridotte le sanzioni allo stesso inflitte, fino alla
possibile totale esenzione da quelle interdittive, subordinatamente all’adozione di
un modello organizzativo o al suo adeguamento.
Alla generica disposizione dell’art. 6, d.lgs. n. 231/2001, l’art. 30, d.lgs. n.
81/2008, prescrive una serie di ulteriori specifici requisiti per il modello
organizzativo in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, in particolare
deve assicurare la presenza, all’interno dell’organizzazione aziendale, di funzioni
e procedure che assicurino la puntuale osservanza di tutti gli obblighi previsti
dalla legge.
Il modello, inoltre, per esercitare appieno la sua funzione esimente, deve
garantire che l’organizzazione aziendale in ottica preventiva sia effettivamente
adottata e rispettata, risulti efficace e sia aggiornata nel tempo in dipendenza dai
mutamenti intervenuti all’interno dell’azienda.
Il d.lgs. n. 81/2008, sempre all’art. 30, inoltre, sancisce (per le parti che
soddisfano i requisiti enunciati e in fase di prima attuazione) il valore esimente
per modelli a norma OHSAS 18001:2007 e UNI-INAIL 2001.
Sono ritenuti peculiari della struttura del modello organizzativo i caratteri di:
• efficacia;
• specificità;
• dinamicità.
Con i primi due termini ci si riferisce alla necessità che il modello in
questione tenga in considerazione tutte le caratteristiche peculiari dell’ente, dalle
dimensioni alla storia, alla capacità di adeguarsi ad eventuali cambiamenti nelle
esigenze preventive, divenendo in tal senso la contestualizzazione un elemento
fondamentale per il giudice al momento del sindacato di legittimità.
Questione da sempre dibattuta è quella del rapporto tra il documento di
valutazione dei rischi (DVR), la cui obbligatorietà è sancita dagli artt. 15, 28 e 29
d.lgs. n. 81/2008 ed il modello di organizzazione e gestione ex art. 30. Nello
specifico, la disamina si deve concentrare sulla circostanza della coincidenza o
meno della valenza dei due documenti.
La celeberrima decisione del Tribunale di Trani, sezione distaccata di
Molfetta del 26 ottobre 2009 sulle morti nel caso Truck Center, oltre ad essere
stata la prima sentenza ad aver riconosciuto la responsabilità di un ente per delle
morti sul lavoro, tra gli altri, ha chiarito in modo definitivo questo aspetto. L’art.
30 del Testo Unico, al comma 3, infatti, prevede chiaramente oneri di verifica,
valutazione, controllo e gestione del rischio che senza dubbio non sono ricompresi
tra quelli strettamente valutativi prescritti in ambito di redazione del DVR.
La finalità del modello 231, in sostanza, non si esaurisce nella funzione di
mappatura e gestione del rischio relativamente alla prevenzione degli infortuni,
ma comprende anche un ruolo di controllo sul sistema operativo al fine di
garantirne una verifica continua dell’effettività. Tale circostanza implica, di
conseguenza, una discrepanza tra i soggetti destinatari del DVR e quelli
destinatari del modello di organizzazione, gestione e controllo.
Nel contesto dell’attuazione di un efficace modello organizzativo in
un’impresa di medie, piccole o piccolissime dimensioni appare opportuno rilevare
come la Commissione consultiva permanente stia lavorando per dare indicazioni
operative finalizzate ad incentivare l’adozione e l’efficace attuazione dei modelli
organizzativi nelle PMI; tali soggetti, in ogni caso, non si vedranno costretti ad
uniformarsi a quanto stabilito dalla Commissione, bensì potranno optare per
soluzioni di implementazione organizzativa comunque potenzialmente dotate di
idoneità preventiva ancorché non fedeli al testo elaborato dalle parti sociali.
L’intervento, al momento – in attesa della definizione da parte di tale soggetto
delle vere e proprie procedure semplificate per l’adozione e l’efficace attuazione
dei modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza nelle piccole e
medie imprese – si può dire concretizzato nella circ. Min. lav. 11 luglio 2011
(Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro Div. VI).
Il provvedimento suddetto, approvato in data 20 aprile 2011, proprio in
pendenza dell’emissione delle suddette procedure semplificate, vuole svolgere la
funzione di indirizzo per quelle piccole e medie imprese che si sono dotate o
hanno intenzione di dotarsi di un modello di organizzazione e gestione della salute
e sicurezza conforme alle Linee guida UNI-INAIL (2001) o alle BS OHSAS
18001:2007.
Tale operazione è stata posta in essere al fine di consentire ai soggetti in
questione la possibilità di verificare la compatibilità del proprio modello con i
requisiti previsti dall’art. 30, d.lgs. n. 81/2008 e, alla luce di ciò, apportare
eventuali modifiche allo stesso al fine di ottenerne la maggior compatibilità.
Un modello rispondente ai criteri delle succitate linee guida è considerato,
quindi, conforme, per le parti corrispondenti – individuate appunto dalla tabella di
comparazione – all’art. 30.
La disposizione che ci consente di trovare un collegamento tra la disciplina
della certificazione ex d.lgs. n. 276/2003, artt. 76 e ss. ed il d.lgs. n. 81/2008 (c.d.
Testo Unico sicurezza) è sicuramente l’art. 27 di quest’ultimo testo normativo,
rubricato Sistemi di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi.
Dall’art. 51, comma 3-bis, d.lgs. n. 81/2008, poi, per quanto tale disposizione
non ne dia una esplicita definizione, si può ricostruire il concetto di asseverazione
dell’adozione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione da
parte degli organismi paritetici. Si può dire quindi che tali disposizioni normative
delineino i profili dei concetti di certificazione e di asseverazione dei modelli di
organizzazione e gestione.
Nonostante il disposto dell’art. 51, comma 3-bis, d.lgs. n. 81/2008, enfatizzi il
ruolo degli organismi paritetici anche in merito all’asseverazione dei modelli di
organizzazione e gestione, manca una definizione esaustiva delle funzioni, dei
profili e delle conseguenze dell’asseverazione, al punto da potersi definire tale
concetto soltanto a contrario per differenza dalla certificazione.
Un’idea della direzione che sembra essere stata presa sul tema, ci può essere
data anche dalla bozza di proposta di modifica del d.lgs. n. 231/2001 presentata
nell’ottobre 2010 (anche conosciuta come schema di disegno di legge
dell’AREL). Tale bozza prevedeva, tra le altre, l’introduzione di un sistema di
certificazione dei modelli di organizzazione e gestione, l’istituzione di un apposito
albo dei soggetti certificatori e la presunzione di idoneità esimente degli stessi
modelli così certificati rispetto alla responsabilità per i reati presupposto.
Contestualmente è previsto anche un sistema di certificazione di singole
procedure nella fase in cui l’ente si sta fornendo di un modello di organizzazione,
ma non se ne sia ancora completamente dotata.
Sperimentazione aziendale
Alla luce della ricognizione del quadro fenomenologico, normativo,
contrattuale ed organizzativo relativo al comparto della sanificazione del tessile e
dello strumentario chirurgico e alla ricognizione della disciplina in materia di
certificazione dei contratti di lavoro e di appalto, di qualificazione delle imprese e
di modelli di organizzazione e gestione, è stata svolta una attività di ricerca sul
campo e di sperimentazione di case studies aziendali presso cinque “aziende
pilota” associate ad Assosistema. In particolare, in queste imprese si è proceduto
all’analisi di contesto e di impatto dei relativi modelli organizzativi. Si è trattato di
aziende modello del sistema associativo sia per standard di salute e sicurezza sul
lavoro, che per standard organizzativi e contrattuali.
Con questa attività si è voluto costituire il punto di partenza per l’esame di
contesto organizzativo, contrattuale e prevenzionale e al tempo stesso creare le
condizioni per una concreta sperimentazione partecipata, con il supporto degli enti
bilaterali e delle associazioni di categoria, delle buone pratiche delineate.
Tale analisi è stata funzionale a costruire percorsi di certificazione degli
standard contrattuali ed organizzativi su misura per le specifiche esigenze,
dimensioni e settore delle aziende stesse. Operativamente si è proceduto ad
organizzare dei training seminar per la sensibilizzazione della comunità aziendale,
rivolti a imprenditori, dirigenti e quadri e aperti agli stessi lavoratori, per la
promozione della informazione sulle tematiche oggetto della ricerca e a garantire
il coinvolgimento attivo della comunità aziendale nella realizzazione di percorsi di
eccellenza organizzativa e produttiva solo attraverso un processo dinamico che
coinvolge direttamente i vertici aziendali anzitutto sotto un profilo culturale.
Successivamente alla attività di sensibilizzazione e formazione, si è proceduto
alla elaborazione e alla sperimentazione di cinque percorsi di certificazione degli
standard contrattuali ed organizzativi ai sensi dell’art. 76 ss. del d.lgs. n.
276/2003. La fase ha rappresentato la diretta conseguenza dell’impianto
progettuale rivolto alla delineazione e alla applicazione dei percorsi di
certificazione parametrati alle specifiche esigenze e caratteristiche delle aziende
esaminate attentamente. Essa è stata a sua volta funzionale alla concreta
sperimentazione dei modelli e alla determinazione dei case studies, di cui sono
state raccolte le evidenze sperimentali.
Dopo una attenta analisi dei contratti di lavoro e dei contratti di appalto, si è
potuto definire un sistema interno di qualificazione delle imprese traducendolo in
una bozza di decreto del Presidente della Repubblica presentabile agli organi
preposti per il recepimento e l’approvazione normativa. Nella bozza di decreto
viene precisato che le industrie di sanificazione, sterilizzazione del tessile e dello
strumentario chirurgico sono individuate come tali esclusivamente tra quelle che
effettuano l’intero ciclo di lavorazione per mezzo di macchinari e apparecchiature
automatici che escludano l’intervento meramente manuale nel ciclo di lavorazione
nonché validate ai fini della garanzia della sicurezza igienica dei prodotti
processati.
Quanto agli effetti del riconoscimento del sistema di qualificazione delle
imprese, il possesso dei requisiti per ottenere la qualificazione costituisce
elemento preferenziale per la partecipazione alle gare relative agli appalti e
subappalti pubblici e per l’accesso ad agevolazioni, finanziamenti e contributi a
carico della finanza pubblica, sempre se correlati ai medesimi appalti o subappalti.
Si precisa ancora che le pubbliche amministrazioni sono tenute, in sede di
aggiudicazione di appalti e subappalti pubblici e ove debbano precedere alla
erogazione di agevolazioni, finanziamenti e contributi a carico della finanza
pubblica, alla preventiva verifica del possesso, da parte dei soggetti interessati,
della relativa qualificazione ai sensi del presente regolamento.
Il possesso dei requisiti di qualificazione delle imprese, così come previsti
nella proposta di decreto del Presidente della Repubblica, comporterebbe la
riduzione del premio assicurativo da corrispondere all’Inail e costituirebbe titolo
per ottenere un credito di imposta, nella misura massima del 50% delle spese
sostenute per l’adeguamento della organizzazione del lavoro ai requisiti stabiliti.
All’interno della bozza di decreto del Presidente della Repubblica sono
elencati sia i requisiti inderogabili e sia i requisiti preferenziali per il
riconoscimento della qualificazione delle imprese.
Tra i criteri inderogabili per il riconoscimento della qualificazione, sono
ricompresi:
a) il rispetto delle previsioni in materia di informazione, formazione e
addestramento dei lavoratori;
b) il rispetto delle previsioni normative in materia di documento unico di
regolarità contributiva;
c) la presenza di personale, prevalentemente a tempo indeterminato e in
percentuale non inferiore al 30% degli addetti, con esperienza almeno triennale
nel settore di riferimento e rispetto alla specifica attività lavorativa o lavorazione
svolta;
d) la idoneità allo svolgimento della attività di specifico riferimento, valutata
tenendo conto del rispetto delle disposizioni in materia di valutazione dei rischi,
sorveglianza sanitaria, misure di gestione delle emergenze, fornitura, possesso,
corretto utilizzo e manutenzione dei dispositivi di protezione individuale e di
attrezzature di lavoro di cui al d.lgs. n. 81/2008;
e) l’integrale applicazione degli accordi o contratti collettivi di riferimento,
compreso il versamento della contribuzione all’ente bilaterale nazionale;
f) l’adozione, secondo le Linee guida associative di Assosistema, di un
sistema di controllo della biocontaminazione conforme ai requisiti previsti dalla
norma UNI EN 14065:2004 e di aver conseguito la certificazione RABC (Risk
Analysis Biocontamination Control);
g) la certificazione, ai sensi del titolo VIII, capo I, d.lgs. n. 276/2003, delle
forme contrattuali flessibili utilizzate;
h) la certificazione dei singoli contratti di appalto o subappalto, fornitura,
subfornitura e trasporto, ai sensi del titolo VIII, capo I, d.lgs. n. 276/2003 e nei
limiti di cui all’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008.
Tra i criteri e requisiti preferenziali per il riconoscimento della qualificazione,
sono ricompresi:
a) l’adozione e la efficace attuazione da parte delle imprese di modelli di
organizzazione e gestione rispettosi delle disposizioni di cui all’art. 30 del d.lgs. n.
81/2008 e degli artt. 6 e 7 del d.lgs. n. 231/2001;
b)
la volontaria applicazione di codici di condotta ed etici e di iniziative di
responsabilità sociale da parte delle imprese.