Gentili lettori, Tutto è già scritto ed è ovvio, talmente ovvio che viene

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Gentili lettori, Tutto è già scritto ed è ovvio, talmente ovvio che viene
Gentili lettori,
Tutto è già scritto ed è ovvio, talmente ovvio che viene continuamente mistificato da noi stessi
osteopati.
Come osteopata mi sono incuriosito moltissimo e ho quindi approfondito l’argomento andando a
studiare non solo il buon e pluricitato Still, ma anche l’ambito dell’osteopatia americana ed
europea, oltre che italiana.
E’ importante che ogni osteopata (studenti, vertici delle varie associazioni di categoria e direttori
delle scuole) si chiariscano e s’informino. C’è bisogno di sapere, perché troppe cose non si sanno e
troppo di ciò che si crede di conoscere è in realtà fasullo. Chiarire immediatamente è la
responsabilità di tutti noi, altrimenti come si può prendere una decisione, disegnare un progetto
o delineare una strategia?
La consapevolezza è il fondamento della decisione.
Sarò un po’ brutale e mi dispiace contraddire coloro che sono intervenuti in dibattiti e tavoli
istituzionali nell’ultimo anno e coloro che si sono accodati ai social network dichiarando il loro
pensiero senza vera consapevolezza, l’osteopata è un professionista? NO, assolutamente NO La
legge 4 / 2013 riconosce l’osteopata come professionista? NO. Chi è l’osteopata oggi? È un
cittadino della repubblica italiana che esercita liberamente un’attività lavorativa non
regolamentata.
Al che ci si potrebbe domandare: visto che sappiamo di essere un’attività lavorativa non
regolamentata, perché non restiamo in questo non -status?
Perché l’osteopata ha una criticità importante: mette le mani addosso alle persone, questo è il
vero problema.
In Italia e in qualunque paese libero ci sono attività professionali regolamentate e disciplinate
da una normativa di riferimento e ce ne sono altre invece che non sono mai state regolarizzate:
l’osteopata, come sappiamo, fa parte di quest’ultimo gruppo professionale e la criticità
importante e inaccettabile da chiunque e da qualsiasi ordinamento sta proprio nel fatto che nel
nostro caso mettiamo le mani addosso alle persone.
Perché, quindi, l’osteopata ha bisogno di uno Status (Status significa capire in che modo
l’attività professionale acquisisce rilevanza ed è considerata nell’ambito sociale)?
Per cercare di proteggersi, perché nel momento in cui si mettono le mani “addosso” a una
persona, la percentuale dei rischi aumenta in modo esponenziale: se si va per esempio a
manipolare e quindi a toccare, con manovre osteopatiche (regolamentate da Still, auto
referenziate dalle più note associazioni di categoria “di parte”, insegnate dai docenti delle
scuole piuttosto che da altri insegnanti e quindi tecnicamente perfette) il bacino di una donna
per valutare la sua funzione o per correggere una disfunzione somatica, il rischio sta nella
possibilità di prendersi una denuncia per molestie sessuali e non essendo provvisti di uno
Status, non esiste una norma di riferimento che indichi la legittimità e la correttezza di quella
manovra.
Per esempio il fisioterapista (che svolge pratiche osteopatiche) è una professione legittimata
da uno Status e da una norma che determina che lui può operare mettendo le mani “addosso” a
una persona.
L’osteopata, libero lavoratore che vive nella sua meravigliosa ideologia, non possiede una
normativa di riferimento che dice “tu sei legittimato a operare mettendo la mano addosso a una
persona”: l’osteopata è quindi legittimato a mettere le mani su una persona tanto quanto lo può
essere, ad esempio, un avvocato, che può fare tutta una serie di cose ma certamente non può
mettere le mani addosso al suo assistito.
È questa la grande criticità della quale l’osteopata deve essere consapevole e la domanda
successiva potrebbe quindi essere:
perché adesso dobbiamo assumere questa consapevolezza se Still dalla seconda metà del
1800 in poi ha esercitato l’attività dell’osteopata senza porsi la problematica?
Perché oggi siamo nel 2015 e viviamo in una società sempre più complessa (che ha quindi
sempre più bisogno di regole) e che tollera sempre di meno un eccesso di libertà, non in termini
di libertà nell’esercizio del diritto, ma in senso di ordinamento.
Questa è la vera criticità, talmente importante che deve rappresentare la priorità assoluta per
il mondo dell’osteopatia e quindi per uscire da questo “non status”, perché il non status
determina queste criticità.
Questo non vale soltanto nel caso dello stato di conflitto con i cittadini o nel caso della
responsabilità personale lavorativa in senso proprio, questa criticità è anche importante per
l’economia dell’osteopata lavoratore: come è possibile investire su una libera attività che non
possiede uno Status e che non è regolamentata né riconosciuta? Tanto è vero che gli unici
investitori del mondo osteopatico sono gli stessi osteopati.
C’è bisogno d’informazione, quella stessa informazione che oggi ha portato a una distinzione
netta dei ruoli e a rendersi conto che è meglio o fare il sindacato o fare la confederazione
d’impresa, perché fare entrambe le cose in un unico ente auto referenziato è promiscuo,
conflittuale e soprattutto poco comprensibile all’esterno.
Nessuno ha creato una codificazione, nessuno ha disegnato il nostro profilo: ognuno di noi si
alza al mattino, scrive un articolo e afferma che l’osteopata può fare determinate cose, ma
questo non serve a indirizzarsi verso un ambito professionale, quindi oggi prima ancora di
disegnare il percorso dell’ambito professionale è importante capire chi è l’osteopata che a oggi,
ripeto, è un libero lavoratore, non riconosciuto né regolamentato.
La legge 4 lo trasforma in professionista? No. Perché la legge 4, ricevendo una direttiva
europea, (quindi un principio europeo generale) offre la possibilità di diventare un
professionista.
La legge 4 dice sostanzialmente: “date un carattere professionale a tutte le attività lavorative
perché in Europa c’è molta confusione” e visto che, nell’ Europa unita, se svolgo un’attività in un
paese, devo poterla svolgere in tutti gli altri nella stessa maniera, alle stesse condizioni e con le
stesse norme “i paesi non allineati dovrebbero creare un regime professionale di tutte le attività
da far conoscere a tutti i Paesi Europei, preparando quindi un tesserino professionale di
riconoscimento per ogni lavoratore in modo tale che si possa capire immediatamente la sua
professione dovunque, in Europa (ricordiamoci che uno dei pilastri dell’Europa è la libera
circolazione dei lavoratori)”.
Così nasce la legge 4, che è una legge di recepimento del principio europeo che dice “tutte le
attività non regolamentate possono diventare professioni, a queste condizioni”: l’osteopatia
questo percorso non l’ha fatto, quindi non si può dire che la legge 4 automaticamente trasformi
gli osteopati in professionisti.
La legge 4, ripeto, dà la possibilità agli osteopati, liberi lavoratori, di farsi riconoscere come
professionisti e anche qui c’è un'altra distinzione che è necessario fare:
La legge 4 non istituisce la professione dell’osteopata, ma riconosce agli osteopati la
possibilità di essere riconosciuti come professionisti, che è un concetto diverso. La legge 4
non ci dice “istituisco la professione dell’osteopata” o “si può costituire la professione
dell’osteopata”, non dice questo. Dice soltanto che l’osteopata libero lavoratore può vedersi
riconosciuta la propria professionalità e ricevere il tesserino legalizzante la sua azione: a quel
punto l’osteopata è quindi legittimato a operare “mettendo le mani addosso” al suo assistito.
La realtà è quindi molto diversa rispetto a ciò che è stato enunciato finora sui tavoli istituzionali,
sui giornali, in TV e sui social network.
Ad esempio l’affermazione “l’ OMS riconosce la professione dell’osteopata” è palesemente
erronea perché, se così fosse, l’Italia sarebbe denunciabile alla Corte di Giustizia Europea per
inadempimento (poiché vincolata a rispettare le direttive OMS, come quelle europee o ONU)
perchè non riconosce la professione dell’osteopata che è invece riconosciuta a livello mondiale.
La verità è che ciò a cui si fa riferimento (in modo scorretto) è un Benchmark che in lingua
originale, al punto 2 dell’articolo 2.1 (dove si parla di “Training of osteopathic practitioners”,
quindi formazione degli osteopati praticanti) si legge più volte “Experts in osteopathy” (che non
significa osteopata professionista) e “osteopathic practitioner”. Il termine “Osteopata”, nel
Benchmark, non esiste: qualcuno (non l’OMS), in italiano, ha tradotto il Benchmark (in modo
totalmente sbagliato) in “professione osteopatica” e per questo ora molti affermano, in buona
fede ma erroneamente (ecco la grande mistificazione nel mondo osteopatico), che l’OMS
riconosce la professione dell’osteopata, quando l’OMS non dice nulla di tutto questo. Persino
al Ministro della Salute Lorenzin è stato dato da leggere in pubblico la scorretta traduzione del
Benchmark in italiano: vero e proprio passo falso per la comunità osteopatica italiana.
Abbiamo bisogno di chiarezza e conoscenza, perché se si vuole compiere un percorso,
interfacciarsi con altre realtà istituzionali come il mondo politico e quant’altro, la prima cosa
che è necessario fare è quella di acquisire consapevolezza ed essere informati, ed evitare di
chiedere al Sottosegretario del Ministero della Salute “il riconoscimento come professione
sanitaria, perché l’OMS già mi riconosce come tale” con il risultato di perdere credibilità e non
ottenere l’attenzione desiderata.
La mission di questa lettera è l’informazione chiara e semplice: siamo osteopati, studiamo
cinque anni, vogliamo diventare dei professionisti e svolgiamo un’attività lavorativa della quale
ambiamo a ottenere il riconoscimento dello Status, quindi non possiamo permetterci di non
sapere e non avere capacità di analisi critica responsabile ed è necessario avere la massima
consapevolezza
Come si fa? Prima di decidere come fare, è importante sapere:
Ottenere il riconoscimento dello Status è quindi il primo obiettivo da raggiungere: il
riconoscimento della professione e della professione sanitaria (ulteriore specificazione di
“professione”) sono entrambi step successivi.
La legislazione vigente ci offre tre strade:



Regionale
Governativa
Statale
Per quanto riguarda il livello regionale sappiamo per certo e per legge che alle regioni è
demandata la facoltà di riconoscere lo status di operatore d’interesse sanitario: che cos’è? Non
c’è un profilo specifico perché è una figura nuova, stabilita da una legge recente e demandata
alle regioni. Ad esempio se la regione Lombardia, oppure Marche o anche Lazio mi riconoscesse
l’osteopata come operatore d’interesse sanitario, da quel momento in poi sarebbe legittimato a
operare mettendo le mani “addosso all’assistito” e già questo sarebbe un bel passo avanti,
rispetto alla situazione attuale.
Esiste un livello governativo: in Italia il riconoscimento dello status della professione è
demandato a decreti ministeriali. Nell’ambito sanitario tutte le professioni esistenti (tranne
quelle che hanno l’albo) devono essere istituite con legge, ma tutte le altre professioni, da quella
d’infermiere a quella di assistente sanitario sono tutte istituite con decreto ministeriale
(massoterapista a parte che è stata istituita con una legge più antica della regolamentazione:
all’epoca quella legge era quindi l’unico strumento a disposizione).
Abbiamo infine il livello statale, che è costituito dalla legge 4 di cui ho scritto in apertura e che
offre, ripeto, la possibilità di riconoscere la professionalità del soggetto lavoratore” in due modi
chiari e semplici:
a livello individuale: “Sono un lavoratore che voglio assurgere a livello di professionista
individuale, cioè voglio che la mia attività assurga allo status di professionalità, come faccio a
fare questo? Mi auto referenzio attraverso una norma uniforme. A questo punto trovo qualcuno
che mi certifica con le norme UNI e a livello individuale chiamo i tecnici dell’istituto accreditato
per il rilascio delle norme e certificati UNI, lo faccio venire a studio gli dico “questo è il mio
protocollo comportamentale, vidimalo, oppure confrontalo con altri protocolli che a tua volta
hai elaborato e a quel punto tu mi dai il certificato, il timbretto UNI”, a quel punto sto operando
ai sensi delle legge 4, sono diventato un professionista (non mi è stata riconosciuta la
professione, ma la professionalità che è una cosa un po’ diversa) quindi posso legittimamente
svolgere la mia attività perché è certificata da un soggetto esterno che sta stabilendo gli
standard comportamentali della mia azione, perciò posso benissimo fare una manovra su un
bacino di un assistito, nella misura in cui nel protocollo uniforme è previsto che, per eliminare
quella disfunzione somatica, debba mettere la mano sul bacino di quella persona.
C’è poi il percorso collettivo: la legge 4 dice “le attività professionali si possono costituire in
categoria, quindi in un’associazione professionale”. Non stiamo parlando di albo, non stiamo
parlando di Registro, non stiamo parlando di ordine ma stiamo parlando di associazione
professionale, un’associazione professionale che deve avere alcune caratteristiche e che deve
essere accreditata dal governo. Il Governo deve, attraverso i suoi ministeri, accreditare quel
soggetto e quel soggetto associativo a sua volta, per effetto dell’accreditamento, acquisisce il
potere di certificare la professionalità. L’associazione professionale costituita ai sensi della
legge 4 del 2013 può a sua volta dare il certificato di professionalità; naturalmente occorre che
l’associazione abbia certi requisiti.
Un ulteriore mistificazione è affermare che “non è vero perché la norma UNI deve esserci per
forza”: assolutamente falso. La legge 4 prevede espressamente che l’associazione professionale
accreditata dal governo riconosce o conferisce il certificato di professionalità al soggetto che sia
dotato di certe caratteristiche, quindi che abbia fatto sostanzialmente un percorso formativo
che fa parte dell’accreditamento e che eventualmente sia in possesso del certificato UNI e di
assicurazione professionale: questo significa che non è obbligatorio essere in possesso degli
ultimi due e quindi se li ha ottenuti bene, altrimenti non importa.
Un ulteriore mistificazione è dichiarare che il Ministero della Salute ha riconosciuto l’osteopata
come professione sanitaria: di nuovo, assolutamente falso. Riportiamo per questo la risposta
(oggetto di numerose altre mistificazioni sulla rete, nei tavoli di riunione e tra noi osteopati)
che il Ministero della Salute ha dato all’ente nazionale italiano di unificazione, che è un atto di
certificazione UNI, rispetto alla possibilità di essere autorizzato a certificare gli osteopati
secondo un protocollo. Il Direttore Generale delle Professioni Sanitarie risponde in questo
modo: “< si fa riferimento alla richiesta di parere trasmessa da codesto ente concernente il
progetto di norma europea su Osteopathic Healthcare Provision per comunicare quanto segue:
preliminarmente si osserva in Italia che l’osteopata non è una figura sanitaria regolamentata, ma
sono allo studio soluzioni per inquadrare la figura medesima in un preciso ambito normativo - [
non ha scritto: ma sono allo studio soluzione per inquadrare la figura medesima in un preciso
ambito di professione sanitaria]– si fa presente, infatti, che l’istituzione di una nuova figura
sanitaria (anche il massoterapista è una figura sanitaria, anche l’ottico è una figura sanitaria,
anche il M.C.B. lo è) richiede l’attivazione di un iter legislativo ad hoc, pertanto pur condividendo
la necessità di pervenire a riconoscimento di detta figura (non di detta professione), in mancanza
di un quadro legislativo di riferimento non è possibile allo stato attuale esprimere parere
favorevole a tale proposta tecnica CENN, perché così come formulata, genererebbe interferenze
con le competenze riservate agli esercenti delle professioni sanitarie.
Il futuro della professione dell’osteopata parte dalla conoscenza, dalla conoscenza della
professione e della realtà socio politico legislativa economica nella quale l’osteopata deve
diventare un professionista, non della tecnica osteopatica: quella la conosciamo, siamo bravi,
ottimi osteopati, liberi lavoratori autonomi non regolamentati, ne riconosciuti, pieni di criticità.
Lascio a voi queste mie considerazioni questi miei fatti, affinché voi li elaboriate, voi li
metabolizziate, voi li apprendiate. Perché solo da voi può nascere lo stimolo per un processo e
un’azione uniforme che possa avere speranza di successo; si può arrivare anche a un
riconoscimento come ambito di professione sanitaria autonoma, non pongo limite in questo
momento, ma siamo talmente tanto lontani dall’obiettivo che porselo significa soltanto ricadere
in un’azione demagogica come quella a cui ho assistito in una nota conferenza stampa di un
eccellente deputato della Repubblica Italiana, il quale ha illustrato, in maniera molto brillante,
un’ipotesi di lavoro per il riconoscimento appunto della professione sanitaria dell’osteopatia
con laurea magistrale autonoma e di primo contatto. Sono andato a questa conferenza stampa
perché ero incuriosito, tanta è la stima che ho per questa persona e inizialmente ascoltando mi
sono detto: “<che passo avanti, ha fatto una cosa formidabile>”, mi stupivo che un deputato
della repubblica prendesse una iniziativa così forte soprattutto da solo (i disegni e le proposte
di legge che funzionano sono quelle cosiddette trasversali, cioè che raccolgono più firme di più
sottoscrittori, dove c’è un capofila, come per esempio la legge Bossi-Fini che sono i primi due
firmatari, ma che ha bisogno di moltissime altre firme trasversali per passare) e infatti alla
domanda “quando potremo andare a chiudere questa operazione?” il deputato ha risposto in
modo molto onesto “se ne parla tra una decina d’anni”, ovvero mai: quante legislature cambiano
in 10 anni? Almeno tre e ogni volta si deve ricominciare da capo.
L’osteopata è inserito in un sistema sanitario di ampio respiro, nei Benchmark dell’OMS del
2010, ma ha le sue peculiarità e queste sono definite con il sistema anglosassone (sistema molto
libero e aperto, differente dall’organizzazione schematica del nostro diritto italiano, molto più
chiuso e passatemi il termine “inscatolato”), dobbiamo veramente comprendere e considerare
che a livello internazionale, l’inquadramento dell’osteopatia è inserito nell’ambito delle
TM/CAM (medicine complementari e alternative) al pari di Ayurveda, Tuina e le altre: nostra
mission e nostro obiettivo potrebbe essere aderire all’inquadramento sistematico proposto
dall’OMS andando a creare nelle sue categorie sanitarie proprio un’area definita TM/CAM
medicine non convenzionali. A quel punto il Ministero si troverebbe nella possibilità di
risolvere questa complessa vicenda e mettere ordine a questo sistema differenziato e frazionato
dei naturopati, osteopati, chiropratici e di coloro che si occupano di Ayurveda, Nuad Thai,
Medicina tradizionale Cinese, Tuina, Medicina Unani e quindi avere sotto il suo controllo le
redini di queste discipline che si occupano di salute/benessere degli italiani, aderendo a delle
linee guida internazionali che negli altri paesi sono già applicate.
In questo periodo di stasi informiamoci, organizziamoci, uniamoci e acquisiamo
consapevolezza.
Grazie della lettura
Giusva Gregori D.O.