Amleto Dalla Costa: fotografare ad arte

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Amleto Dalla Costa: fotografare ad arte
Amleto Dalla Costa: fotografare ad arte
Scritto da Ezio Rotamartir
All’alba dei dieci anni dall’apparizione di osservatoriodigitale e di tutte le altre nostre iniziative
che parlano di fotografia, è forse la prima volta che incontriamo un professionista che abbia
vissuto d’arte in modo così intenso e, direi, a tutto tondo: Amleto Dalla Costa è un esempio
per tutti coloro che si già vivono di questa magnifica professione e, ancora di più, per tutti coloro
che si accingono a farla diventare la loro ragione di vita professionale. Basterà digitare il suo
nome su un qualsiasi motore di ricerca per trovarsi di fronte a una tale quantità di informazioni
che non basterà certo questa intervista a raccogliere; probabilmente sarebbe più indicato un
libro ma sicuramente dovrebbe essere un tomo di dimensioni molto generose.
Personalmente l’ho conosciuto oltre vent’anni fa e, per me, era un signore molto simpatico che
si occupava, per quanto ne sapessi io, di immagine, di arte, di pittura fino al giorno in cui l’ho
incontrato con una fotocamera al collo in giro per la città. Era da poco iniziata la nostra
avventura editoriale così, con quella scusa cominciai a scambiare due parole in modo più
approfondito sull’argomento. Da allora non abbiamo mai più smesso di parlarne e ora è giunto il
momento di raccontarvi il perché. Un giorno di tanti anni fa mi sono innamorato di un disegno
che rappresentava una figura di donna nella Galleria di Milano: mi colpì il tratto, la pulizia delle
linee e la forza comunicativa che aveva in sé. Mi chiesi se fosse frutto di un lavoro abile
realizzato con i programmi di grafica vettoriale dell’epoca, qualcosa che fosse scaturito da una
mente fertilissima votata al mondo della pubblicità. In parte mi sbagliavo e in parte no. La mano
era quella di un vero artista, un “mago” del disegno al tratto ma anche di un fine creatore di
campagne pubblicitarie che hanno attraversato un’intera epoca, forse quella più ricca e proficua
sotto ogni punto di vista, quella del secondo dopo guerra italiano. La mente dietro alla mano era
quella di un ragazzone milanese che aveva trovato nell’arte figurativa – in ogni sua forma – la
sua ragione di vita, quello che lo porterà per il mondo con la sua cifra stilistica: signore e signori
Amleto Dalla Costa.
Nato a Milano nel 1929 si trova ad affrontare la vita da adolescente con un dono che, a questi
livelli, è molto raro da trovare: quello di saper e poter disegnare ciò che si vuole così, a
memoria. Il momento storico non è dei più sereni poiché il Paese ha vissuto un periodo bellico
terminato solo da un decennio e di lì a poco ne affronterà un altro, ancora peggiore. Amleto,
che nel secondo conflitto mondiale perderà il padre, si trova a dover decidere in fretta che cosa
fare. Uno zio gli offre la possibilità di entrare all’Accademia di Brera dove si forgiano i pittori
dell’era moderna ma, colpo di scena, lui dice no e preferisce entrare da subito nel mondo del
lavoro perché lo ritiene la vera palestra formativa. Ovviamente è già conscio delle sue capacità
ma, ancora, le deve far conoscere al mondo… Viene arruolato, sedicenne, dalla
ARS Film
di Nino Pagot per entrare a far parte di una nutrita schiera di ragazzi, erano in 120, per
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disegnare cartoni animati. Si diverte e impara ma dopo un paio d’anni ringrazia e saluta: la vita
e la voglia di imparare lo portano altrove, alle
Fabbriche Riunite NEON
dove si creano e realizzano le insegne luminose tanto in voga all’epoca. Sarà sua, ad esempio,
la mitica scritta del cinema Capitol insieme a tante altre che hanno fatto storia in città.
Ancora una volta Amleto è contento del lavoro ma sente il bisogno di andare oltre e prova a fare
da sé: insieme a un altro giovane che farà molta strada nel campo della moda si lancia
finalmente nel mondo della fotografia come art director ma, talvolta, anche come modello
perché no. Il successo e le commesse di lavoro cominciano ad arrivare, un tipo di situazione
che non lo abbandonerà più.
osservatoriodigitale: Quindi la fotografia è diventata un lavoro da subito…
Amleto Dalla Costa: No, anzi, per tanti anni è rimasta solo una grande passione. Solo quando
abbiamo deciso di aprire la
ArDaCo abbiamo cominciato a fare sul serio.
Avevo aperto un mio piccolo studio che allora era frequentato anche da due “studenti” che poi
avrebbero fatto molta strada: uno era un giovane studente di medicina e l’altro ci intratteneva
con le sue storie fantastiche: il primo,
Giorgio Alpi
, è diventato un urologo di grande fama mentre il secondo,
Dario Fo
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, ha finito col prendere un Nobel per la letteratura. Allora possedevo una Leica e mi piaceva
fotografare: il terzo frequentatore dello studio era Giorgio, un bel ragazzo che aveva un occhio
particolare per la moda, un settore che non avrebbe più lasciato: cercava un socio per aprire
uno studio fotografico per i servizi di moda e così ci lanciammo in quell'avventura. Fu
un’esperienza bellissima e molto costruttiva dalla quale imparai moltissimo. Si lavorava molto
ma ci si divertiva altrettanto: erano tempi fantastici. (
Il giovane bel ragazzo socio del nostro eroe diventerà col tempo una vera e propria icona del
fashion a livello planetario: quel Giorgio era proprio lui,
Giorgio Armani
. Da li il nome ARmani DAlla COsta della società, ndr).
Qualche anno più tardi però Giorgio accettò un incarico importante per curare l’allestimento
delle vetrine della Rinascente così la nostra “impresa” finì e io decisi di aprire una mia piccola
agenzie di pubblicità. Sono stati anni fantastici pieni di entusiasmo e voglia di fare, una vera e
propria fucina di creatività.
La fotografia, a livelli sempre molto importanti, mi ha accompagnato da allora al punto che tra
pochi giorni si inaugurerà a Milano una mostra con le mie amate fotografie di strada.
od: infatti ne parleremo tra poco; prima però mi piacerebbe sapere ancora qualcosa in più del
Dalla Costa pittore e creativo, di quelle sue grafiche accattivanti che hanno fatto il giro del
mondo.
ADC: Disegnare per me è sempre stata un’attività naturale, ho ricevuto questa specie di dono
che ho scoperto sin da piccolo; mia madre era una discreta pittrice e mio padre disegnava
davvero molto bene, al punto che in casa era normale trovare qualcosa su cui fare degli schizzi.
Ho sempre avuto una spiccata capacità di riprodurre a memoria ciò che mi capitava di vedere,
fosse un treno o un animale, una casa o una figura umana. Mi piace esplorare diversi modi e
utilizzare tecniche differenti: diciamo che le ho provate praticamente tutte a partire da
carboncino fino alla pittura a olio passando ovviamente dai Pantone e dalle vernici acriliche. Mi
sono sempre sentito un pittore e oggi i miei quadri li faccio con la fotocamera digitale. È un
mezzo espressivo come un altro, solo che mi regala una libertà espressiva quasi senza limiti.
Dopo tanti anni di pubblicità dalla quale ho ricevuto moltissimo, in termini di stima,
riconoscimenti e soddisfazioni, mi sono sottoposto a una sfida che consisteva nel provare a fare
il pittore nel senso proprio del termine, cioè riuscire a vivere solo dei proventi della propria arte.
Così mi sono detto che avrei cercato di fare una mostra personale e, se fosse andata bene,
allora avrei fatto quello per il resto della mia vita.
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Erano altri tempi e così riuscii a fare la mia mostra che ebbe un discreto successo, al punto che
cominciai a viaggiare tra Milano e Basilea ininterrottamente per quasi nove anni; allora nella
città svizzera c’era un fermento incredibile intorno all’arte e c’erano molte gallerie che
esponevano le mie opere. Ebbi modo di conoscere clienti, critici e galleristi di tutto il mondo che
mi hanno permesso di esporre in ben 184 mostre, dagli Stati Uniti al Giappone passando per
tutta Europa.
In quel periodo mi ricordo tutti parlavano di me a Basilea perché avevo inventato e realizzato
delle scatole rosse con la scritta Brera 3 (che era l’indirizzo della mia galleria d’arte a Milano
aperta nel '76) che servivano a trasportare le tele o i poster serigrafati senza che si rovinassero;
fu un successone e in più mi diede una grande fama, quando si dice ottenere il massimo con il
minimo sforzo…
od: una chiusura totale con il mondo della pubblicità…
ADC: Sì, però è avvenuto in maniera graduale perché dopo la piccola agenzia ne nacque una
più grande, che si chiamava Dalla Costa, e poi, insieme a Dino Capozza, ne fondammo un’altra
che si chiamava Trend. Un mondo e un momento incredibile. Sono di quegli anni campagne per
le calze
Carabelli e i treni Rivarossi, successi di aziende italiane che sono andati ben oltre
i confini nazionali: immagini e prodotti che sono finiti sui mercati americani e giapponesi solo
per citarne due.
In quegli anni utilizzavo per fotografare le macchine Linhof a grande formato e le Hasselblad e
le Mamiya, per il medio formato: erano la mia passione, oggetti e strumenti di lavoro magnifici.
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La fotografia è sempre stata un punto di partenza per il mio lavoro, una sorta di musa ispiratrice
che mi aiutava a far nascere poi le mie opere pittoriche.
Certo se dovessimo star qui a raccontare tutte le cose che ho fatto sai che barba per i lettori…
È ovvio che in una lunga carriera fai moltissime cose ma quello che penso sia più rilevante è la
mia voglia di ricominciare, di rinnovarmi, l’entusiasmo che metto in tutto quello che faccio che
mi ha sempre accompagnato e che oggi mi porta ancora a lavorare per realizzare una nuova
mostra.
Diciamo comunque che dal ’91 circa, cioè dai tempi della guerra del Golfo che ha visto
scomparire all'improvviso gli acquirenti giapponesi, il mercato dell’arte si è fermato e non è più
tornato ai livelli di un tempo. Ho continuato ancora un po’ con la mia galleria – nel senso che
era mia anche perché esponevo esclusivamente opere mie – per poi deciderne la chiusura nel
’99. Un’amica gallerista poi mi chiese ancora un'ultima mostra in Svizzera che realizzai solo con
i disegni a matita e carboncino nel 2006. Da allora mi sono dedicato solo ed esclusivamente
alla mia passione fotografica, al piacere personale di scattare immagini per me.
Solo che l’occhio non riposa mai e girando per la strada ho cominciato a cogliere delle immagini
che nascevano da sole, proprio sulla strada, spesso bagnata dalla pioggia, immagini che per
me rappresentavano volti, situazioni, personaggi, tutti talmente belli da non credere che
venissero creati per caso. In questo la fotocamera digitale mi ha permesso di realizzare un
lavoro e un archivio di immagini che mai avrei potuto scattare in pellicola: non solo per i costi
ma soprattutto per i tempi. In studio ho lavori di un decennio che mai sarei riuscito a realizzare e
stampare dovendo scegliere tra le pellicole.
od: le fotografie come si trasformano in veri e propri quadri?
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ADC: In modo molto semplice e naturale. Di giorno scatto e poi alla sera stampo in formato A4:
dispongo tutte le stampe sul tavolo e comincio a scegliere quelle che mi ispirano di più. Quelle
che ho deciso di tenere saranno poi oggetto di un’ulteriore cernita per poi stampare in grande
formato, 70x100 e oltre, quelle migliori. A volte capita che una foto per la quale mi ero
entusiasmato dopo la prima stampa, vista in grande perde la sua forza e finisce in archivio:
credo che la stampa in grande formato delle immagini renda loro giustizia a livello cromatico ed
emotivo e permetta di giudicarne la validità in modo decisamente migliore.All’inizio di questa
avventura mi piaceva “arricchire” le foto stampate con qualche oggetto, pensavo di accrescerne
il valore emotivo e anche il significato poi ho cambiato direzione: le mie fotografie oggi, così
come quelle che saranno in mostra a Milano, sono semplicemente stampate su tela, senza
nessun artificio o ritocco digitale: sarebbe un delitto e poi snaturerebbe tutto il mio lavoro.
od: Infatti sull’invito alla mostra c’è una perfetta sintesi del “Dalla Costa pensiero” a proposito di
questo tipo di opera…
ADC: “Dopo una vita dedicata alla pubblicità, al design, alla pittura, alla scultura ho voluto
cercare l’essenza del mio lavoro sconvolgendo qualsiasi logica reale.
Con la complicità di una fotocamera digitale.
E ho iniziato percorrendo strade della mia città, scoprendo un modno sconosciuto che si
materializza sotto i nostri passi senza ottenere interesse da chi lo calpesta.
Una pagina di giornale marcita in una pozzanghera, un sacchetto di plastica investito da uno
scooter, un tombino arrugginito, uno straccio impregnato di nafta.
Materie plasmate o corrotte da eventi naturali che hanno stravolto la loro primaria identità per
trasformarla in nuovi messaggi irrazionali. Rappresentazioni creative in continua mutazione.
Le ho viste, scoperte e imprigionate nella scheda fotografica, ingigantite e stampate su tela
nella versione originale, non replicabili, senza elaborazioni al computer.
Ho dedicato sei anni a questo progetto e spero che altri occhi riescano a percepire queste
immagini autentiche e misteriose, sempre incompiute.
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E l’occhio della nostra mente può interpretarle con la propria fantasia, storia, memoria,
emotività.”
Da quando è iniziato il progetto ho utilizzato una Canon 5D Mark II con un’ottica fissa 35mm
f/1.4 e, in seguito due Sony, una RX1 R full frame e una RX100 Mark III che porto sempre con
me ovunque vada come una sorta di blocco per gli appunti, una collega di lavoro della quale
non riesco più a fare a meno.
Alla mostra, intitolata Incontri di strada: gli occhi della mente, che rimarrà aperta dal
prossimo 19 ottobre fino al 6 novembre, saranno esposte 42 opere, fotografie stampate su tela
in dimensioni 90x100 in versione originale, senza alcun ritocco digitale.
Prima di chiudere voglio spendere due parole sulla famosa donna ritratta nella Galleria Vittorio
Emanuele di Milano; quella che per qualcuno a prima vista poteva sembrare una semplice e
forse banale serigrafia nasconde dietro a sé un lavoro incredibile a livello pittorico. Gli originali
di Dalla Costa sono nella maggior parte realizzati con vernici acriliche che presuppongono una
perizia e una pazienza indiscutibili da parte dell'artista stesso. Come mi ha mostrato Amleto nel
suo studio per ottenere, ad esempio, un colore rosso pieno è necessario effettuare almeno otto
passaggi sopra la stessa area del dipinto, affinché il tono sia quello desiderato ma c'è anche
l'aspetto geometrico da tenere in considerazione perché se ottenere un colore pieno è difficile lo
è almeno altrettanto riempire una curva perfetta senza sbavature.
Mi volto e, in ogni dove, vedo ritratto, schizzi, disegni a matita o al carboncino: anche gli scherzi
o i divertimenti di un minuto, come li definisce lui, per me sono meraviglie per gli occhi. Non
sono abituato a tanta bellezza tutta insieme: mi sembra quasi di essere in un museo privato (e
forse ci sono) dove le emozioni non finiscono mai di colpirmi.
Tuttavia, quello che colpisce più di tutto, è la straordinaria forza di Amleto Dalla Costa e del suo
entusiasmo che anima quotidianamente la sua giornata ricavandone spremute di creatività in
ogni momento. Lo vedo con le sue sneaker, i jeans, la giacca e l'immancabile fotocamera al
collo pronto a una nuova caccia di immagini come se fosse un ragazzino al quale hanno
appena regalato un gioco nuovo.
Buona fortuna Amleto e grazie per questa visita privata nel tuo personalissimo museo.
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La mostra di Amleto Dalla Costa si terrà a Milano, a Palazzo Bovara, in corso Venezia 51. Il
ritratto in b/n di Amleto Dalla Costa è di Enrico Magri.
Data di pubblicazione: ottobre 2015
© riproduzione riservata
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