Articolo ATTIVITA` INVESTIGATIVA

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Articolo ATTIVITA` INVESTIGATIVA
La revoca della licenza per attività investigativa
Uno dei miei hobby preferiti, ossia lo studio della giurisprudenza ed in particolare di quella
amministrativa, mi ha portato ad approfondire il tema della revoca della licenza per attività
investigativa e di guardia giurata.
Per una volta, quindi, tradendo le materie a me più care, ossia il codice stradale ed il
procedimento sanzionatorio, mi occupo della legislazione di pubblica sicurezza per definire il
quadro normativo relativo alla revoca delle licenze per attività investigativa, alla luce della
recente giurisprudenza dei Tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato.
LA DISCREZIONALITA’ NELLA REVOCA (*). In tema di autorizzazione allo svolgimento di
attività investigativa, gli artt. 8-13 del t.u. 18 giugno 1931, n. 773 configurano un sistema nel
quale si deve riconoscere all’autorità di pubblica sicurezza una sfera di discrezionalità in
ordine al diniego ed alla revoca delle autorizzazioni ivi contemplate; la buona condotta
richiesta dalla legge in capo al richiedente comprende anche l’esistenza di atipiche
circostanze idonee ad assurgere a causa ostativa al rilascio del provvedimento favorevole,
secondo una valutazione di affidabilità operata dall’amministrazione stessa.
E’ pertanto legittimo il provvedimento di diniego dell’autorizzazione allo svolgimento di
attività investigativa, adottato ai sensi degli artt. 8-13 del t.u. 18 giugno 1931, n. 773,
motivato facendo riferimento alla mancanza del requisito della buona condotta in capo al
richiedente, ed in particolare a seri indizi di scarsa affidabilità, pur in difetto di condanne,
rese in esito a dibattimento (nella specie il richiedente era risultato sottoposto ad indagine
per associazione a delinquere per professione abusiva e reati contro l’ordine pubblico; erano
inoltre risultate a suo carico denunce penali per esercizio abusivo della professione
d’investigatore privato; un congedo dall’Arma dei Carabinieri per perdita di grado, il
deferimento all’autorità giudiziaria per truffa). (*CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI - sentenza
25 giugno 2008 n. 3227).
I PROCEDIMENTI PENALI PENDENTI (*).
E’ illegittimo il decreto con il quale il Prefetto ha respinto la richiesta di rinnovo
dell’autorizzazione ex art. 134 T.U.L.P.S. per gestire in provincia un istituto di investigazioni
private per conto di privati ed ha sospeso l’autorizzazione in corso, facendo riferimento alla
pendenza di alcuni procedimenti penali nei confronti del richiedente (nella specie, riguardanti
abusi nell’esercizio dell’attività investigativa); la mera pendenza di procedimenti penali, infatti,
non costituisce circostanza idonea al diniego di rinnovo dell’autorizzazione, non essendo
sufficiente la semplice denuncia a suffragare la valutazione di inopportunità resa
dall’Amministrazione. Per giustificare il diniego di rinnovo, non può farsi nemmeno
riferimento a vicende successive all’adozione del provvedimento impugnato, trattandosi di
vicende che non potevano essere introdotte in giudizio, ma che, ove ritenute ulteriormente
ostative al rinnovo dell’autorizzazione, avrebbero dovuto dar luogo ad un nuovo ed
autonomo provvedimento negativo, che le recepisse, anche per consentire all’interessato
la predisposizione delle necessarie difese. (*CONSIGLIO DI STATO, SEZ. VI sentenza 13 luglio 2006 n. 4500).
LA REVOCA PER ABUSO (*). Per le licenze di polizia, l’art. 10 T.U.L.P.S. prevede, per i casi
di abuso della persona autorizzata, la revoca o la sospensione del titolo: sanzioni tra le quali,
ovviamente, l’Amministrazione deve scegliere in base al principio di proporzionalità.
E’ illegittimo, contrastando con il principio di proporzionalità, il provvedimento di revoca di una
licenza di polizia disposto in relazione a violazioni da parte del titolare della licenza
relativamente tenui o, comunque, di non particolare gravità e che non sia stato preceduto da
alcuna diffida a cessare l’abuso inviata all'interessato (nella specie si trattava della revoca
della licenza per l’esercizio di attività di investigazioni private e le violazioni contestate
consistevano nel fatto che era stata trovata reiteratamente chiusa la sede dell’agenzia).
Ha osservato il C.G.A. che è ben vero che l’abuso, in astratto, può comunque comportare la
revoca dell’autorizzazione; ma, almeno per gli abusi di minor gravità, è illegittimo il ricorso
immediato alla più drastica delle sanzioni (la revoca della licenza), senza una previa diffida
eventualmente accompagnata, al più, da un periodo di sospensione (espressamente prevista,
non a caso, dal cit. art. 10 come sanzione alternativa).
La revoca, viceversa, va riservata o alle violazioni più gravi, ovvero ai casi di recidiva, più o
meno reiterata, in quelle più tenui. (*CGA, SEZ. GIURISDIZIONALE - sentenza 27
dicembre 2006 n. 806).
È in questo senso che, infatti, si è sempre espressa la giurisprudenza dominante: cfr., in
riferimento ad un caso non dissimile, C.d.S., IV, 2 ottobre 1989, n. 652, per cui "l’esistenza di
una norma (art. 136 t.u. 18 giugno 1931 n. 773), che per gli istituti privati di vigilanza dispone
la revoca della licenza "per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico", non esclude
l'applicabilità agli stessi della regola generale, riguardante qualsiasi autorizzazione di polizia,
che di quest'ultima prevede la revoca in caso di accertato abuso da parte del titolare;
legittimamente, pertanto, l'autorità prefettizia revoca, ai sensi degli art. 10 e 11 t.u. cit.,
l'autorizzazione all'esercizio di attività di vigilanza ad un istituto il cui titolare, nonostante
ripetute diffide, l'abbia svolto oltre i limiti territoriali previsti nella licenza".
GLI EFFETTI DEL PATTEGIAMENTO (*). Una sentenza ex artt. 444 e 445 c.p.p. non fa
venir meno requisito della assenza di "condanna per delitto non colposo" richiesto dall'art. 134
del T.U.LL.P.S. ai fini della concessione dell'autorizzazione per eseguire investigazioni, nè è da
sola sufficiente a legittimare la valutazione negativa circa la persistenza della buona condotta,
valutazione addotta a giustificazione dell’esercizio della facoltà di revoca delle licenze di
polizia, di cui all'art. 11, 2° comma, T.U.L.P.S.. (TAR LOMBARDIA-MILANO, SEZ. I Sentenza 29 agosto 2001 n. 5634).
Al riguardo si ricorda che la funzione stessa dell'istituto dell’applicazione della pena su
richiesta delle parti, non è quella di accertare, con gli effetti propri dei giudicato, l’esistenza
del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento, con l'irrogazione della
sanzione derivante dall'accordo fra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante.
Invero, come ritenuto dalla S.C. (Cass. pen., Sez. un., 8 maggio 1996 n. 11) la sentenza di cui
all’art. 444 c.p.p. si sostanzia nell'applicazione di una pena "senza giudizio", perché il giudice
non deve dichiarare la colpevolezza dell'imputato, ma deve far riferimento all'accordo tra
pubblico ministero ed imputato sul merito del l'imputazione, pur esercitando autonomi poteri
di controllo sull'accordo stesso.
La sentenza di patteggiamento, pertanto, non è utilizzabile in altro procedimento ... come
prova di responsabilità penale dell'imputato che ha richiesto e consentito l'applicazione della
pena ex art. 444 c.p.p." (Cass. pen, sez. VI, 27 novembre 1995 n.649); il rapporto di
"equiparazione" tra sentenza patteggiata e sentenza di condanna, quindi, "è esauribile solo
nell'ambito in cui è possibile cogliere gli aspetti positivi della ... affinità" tra i due tipi di
pronuncia. aspetti che "concernono esclusivamente l'applicazione di una pena ad un soggetto
per un determinato reato" (Cass. sez. un. Penale, 26 febbraio 1997).