ARRIVA-IL GRAN-TEATRO-MONTANO-Comunicato-Stampa-e

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ARRIVA-IL GRAN-TEATRO-MONTANO-Comunicato-Stampa-e
ARRIVA IL GRAN TEATRO MONTANO
Due sculture dal Sacro Monte di Varallo: omaggio a Giovanni Testori
Musei Civici del Castello Sforzesco, 16 marzo – 3 aprile 2016
Casa Testori, 9 aprile – 8 maggio 2016
Nel giorno del 23esimo anniversario della morte, un bellissimo omaggio a Giovanni Testori: dopo il restauro, arrivano a
Milano due sculture del Sacro Monte di Varallo da lui tanto amate.
Lo splendido Cristo di Gaudenzio Ferrari e il Manigoldo, provenienti dalla Cappella XXXII.
E dopo Milano, Novate Milanese: il viaggio che le riporterà a Varallo si concede una tappa fortemente significativa nella
Casa natale di Testori.
Al Castello Sforzesco
Al centro della sala XVII del Museo Civico milanese, dedicate alla scultura, l’esposizione delle due statue permette una
visione a tutto tondo eccezionale, grazie a un confronto puntuale con alcune statue lì conservate, capaci di mettere in
evidenza affinità e differenze con la scultura gaudenziana del Sacro Monte: dalla testa attribuita a Gaudenzio Ferrari,
alla Maddalena di Giovanni Angelo Del Maino, da poco acquisita dal Comune di Milano e presentata per l’occasione.
A Casa Testori
Spetta a Giovanni Testori non solo l’affermazione di un Gaudenzio scultore al Sacro Monte, ma, in particolare, la
ricostruzione dell’intricata vicenda di queste due statue “della più pura bellezza, fin nelle viscere”, inizialmente collocate
in un’altra Cappella del Monte. È Testori a firmare un libro mitico per il Sacro Monte varallino, Il gran teatro montano, il
più importante testo dedicato a Gaudenzio Ferrari, pubblicato esattamente 50 anni fa e oggi disponibile in
un’accuratissima nuova veste, edita da Feltrinelli per l’occasione e curata da Giovanni Agosti.
A Varallo
L’esposizione in uno dei più importanti musei italiani – il museo milanese di Michelangelo e Leonardo – ricco di visitatori
internazionali, e in un luogo come Casa Testori, così caro alla cultura lombarda, richiamerà il grande pubblico,
invogliandolo a visitare il Sacro Monte, dove le due statue verranno ricollocate in tempo per l’apertura della stagione
estiva.
Incontri
- Lunedì 4 aprile, ore 15.00 Castello Sforzesco, Sala Bertarelli
Presentazione del restauro delle due sculture
Con: Elena De Filippis, direttrice dell’Ente Sacri Monti
Eugenio e Luciano Gritti, restauratori delle opere
Saranno presenti numerosi studiosi invitati a vedere dal vivo le opere e intervenire nel dibattito attributivo dell'incredibile
Manigoldo, finalmente visibile nella cromia originale.
- Sabato 16 aprile, ore 18.00 Biblioteca Comunale di Villa Venino, Novate Milanese
In occasione della mostra a Casa Testori (9 aprile - 8 maggio)
Presentazione della nuova edizione del Gran teatro montano
Con: Davide Dall’Ombra, direttore Casa Testori
Elena De Filippis, direttrice dell’Ente Sacri Monti
Alberto Rollo, direttore editoriale Feltrinelli
Sarà presente il curatore, Giovanni Agosti
Info: www.casatestori.it; Email. [email protected]; T. 02.36589697
TESTI DELLA GUIDA
La Mostra - Presentazione
C’è qualcosa di straordinario in questa “trasferta” di due tra le più celebri sculture del Sacro Monte di Varallo al
Castello Sforzesco e a Casa Testori. L’aspetto inedito sta proprio nel vedere per una volta un pezzo di Sacro Monte
fuori dal suo naturale contesto. Vederlo da vicino, potervi girare attorno, studiarlo e, nel caso del Castello, confrontarlo
con alcune statue coeve lì conservate, capaci di mettere in evidenza affinità e differenze con la scultura gaudenziana del
Sacro Monte: dalla Testa attribuita a Gaudenzio Ferrari, alla Maddalena di Giovanni Angelo Del Maino, in fase di
acquisizione da parte del Comune di Milano e presentata per l’occasione.
Per i visitatori sarà un’esperienza destinata a sollecitare sguardi inediti, cortocircuiti imprevisti, davanti a questi corpi
così audacemente agli antipodi l’uno dall’altro.
In seguito al restauro condotto dalla Bottega Gritti, che ci ha restituito una sorprendente visione “autentica” delle due
sculture, per gli studiosi si apriranno invece nuovi problemi, e con i problemi nuove ipotesi su cui andare a far luce.
Certamente non si poteva preventivare opportunità migliore di questa per festeggiare i 50 anni dall’uscita di quel
fondamentale libro di Giovanni Testori che aveva di fatto svelato all’attenzione di un pubblico vasto la grandezza di
Gaudenzio Ferrari e il fascino del Sacro Monte di Varallo. Oggi quel libro è tornato in una nuova edizione, curata da
Giovanni Agosti, e pubblicata dallo stesso editore di allora, Feltrinelli: ed è altro motivo per cui festeggiare. Il titolo del
libro è diventato quasi il claim del Sacro Monte varallino: “Il gran teatro montano”.
Un frammento di questo straordinario teatro ora ha lasciato il suo secolare palcoscenico, per conquistare, ne siamo
sicuri, nuove platee. Dunque Arriva il gran teatro montano, con la scena, toccante e insieme impressionante, del Cristo
della Passione trascinato da un manigoldo. Due corpi veri, reali, in dialettica tra loro; una scultura che ha nei suoi geni
l’espansione verso l’azione scenica. Un frammento di teatro molto contagioso, che spingerà tanti ad andare a scoprire o
a riscoprire Varallo, ovvero l’“ottava meraviglia del mondo” (copyright di Toni Servillo).
Giuseppe Frangi, Associazione Giovanni Testori;
Renata Lodari, Ente di gestione dei Sacri Monti
Claudio A. M. Salsi, Soprintendenza del Castello Sforzesco
È Gaudenzio! La Scoperta di Giovanni Testori
Gaudenzio Ferrari è per il critico Giovanni Testori l’amore di una vita, il concretarsi in pittura e scultura dei sentimenti
di dolcezza e calore famigliare, il paladino di una bellezza non idealizzata e per questo ancor più vera. Tra gli anni
Cinquanta e Sessanta, gli scritti di Testori sul Sacro Monte di Varallo dedicati a Gaudenzio, ma anche a Tanzio da
Varallo e al misterioso Paracca, sono i suoi testi critici più rivoluzionari, con numerose acquisizioni oltre che
straordinari brani di poesia. Tra queste revisioni critiche, la riscoperta e difesa, contro ogni incertezza o attacco dei
colleghi, del Gaudenzio scultore, oltre che pittore, è stata una delle più importanti. Non stupisce che, pochi mesi prima
di morire, chiamato a raccontare la sua vita di uomo di teatro, scrittore e critico d’arte, dedichi tanto spazio a Gaudenzio,
rievocando proprio la scoperta del Cristo qui esposto.
“Io a Varallo ci andavo fin da bambino, in pellegrinaggio con i miei e con tutto il paese. Dunque, quando cominciai a
studiare il Sacro Monte ero avvantaggiato rispetto ad altri proprio perché avevo già visto quelle cose con
l’ammirazione del devoto. Vedere la capanna, vedere e toccare le sculture (perché i personaggi agenti sono tutti di
legno o di terracotta, mentre i non agenti – ossia il popolo – sono dipinti), vedere il Bambino nella grotta, poi
cominciare a capire quali statue sono opera di Gaudenzio e quali no; arrivare a intuire che lui era tutto – pittore,
scultore, architetto, liutaio – prima di aver letto quel che diceva Lomazzo, è stata una delle emozioni più grandi della
mia vita...
Solo lui sa rappresentare Cristo con questa tenerezza, e insieme con questa freschezza, così che, mentre lo guardi, ti
sembra di sentirlo respirare…”
Parlare di Gaudenzio giovane significava dare l’avvio a un lavoro di documentazione sul percorso artistico di questo
genio; significava portare delle correzioni, scoprire che la tal Madonna di quella tal cappella doveva essere cambiata
di posto; e significava cominciare a dare un ordine ai documenti, o dare un valore di documento a quanto, fin lì, non
l’aveva avuto; fino a disdire, magari, quello che io stesso avevo pensato, ma, più spesso – se l’occhio e il cuore erano
ben registrati – a confermarlo. Un episodio che mi è caro è quello relativo alla Cappella della spogliazione. Come
forse sai, certe cappelle del Sacro Monte sono state cambiate nel corso del tempo, fino ad assumere, talvolta, significati
completamente diversi rispetto all’origine.
Ad esempio, l’attuale cappella XL che, dapprima, era la Cappella della spogliazione, era diventata, in seguito, una
Pietà per ragioni d’ordine topografico nel quadro d’insieme delle cappelle. Ora, mentre studio la Cappella dell’andata
al Pretorio, la XXXII, mi accorgo di una scultura più antica delle altre, che erano di Giovanni D’Errico, fratello di
Tanzio, e quindi del Seicento. Questa qui era del Cinquecento. Allora andai a consultare i documenti, secondo i quali il
Cristo della spogliazione era stato spostato quando la cappella in cui si trovava era diventata quella della Pietà. Allora
mi feci dare le chiavi delle due cappelle, quella dell’andata al Pretorio e quella della Pietà. In quest’ultima, dietro le
sculture, c’erano ancora le impronte del Cristo poi spostato. Le misurai, poi andai a misurare quelle della statua del
Cinquecento nella Cappella dell’andata al Pretorio. Le cifre coincidevano perfettamente: quel Cristo era, dunque, di
Gaudenzio.
Giovanni Testori , (da Luca Doninelli, Conversazioni con Testori, 1993)
Il Caso aperto del Manigoldo
Il Sacro Monte di Varallo è uno straordinario cantiere che ha vissuto diverse fasi e trasformazioni dalla fine del
Quattrocento al Settecento. La storia di queste due statue, lignee e non in terra cotta come la maggior parte delle altre
sculture, si intreccia con le due fasi più importanti della storia di questo luogo straordinario, tra Cinque e Seicento.
La Cappella XXXII
Nella Cappella dell’andata al Pretorio (XXXII) sono collocate tre statue lignee: il Cristo e il Manigoldo qui esposti e un
Soldato romano che minaccia Cristo con un bastone. Le tre statue provengono certamente da cappelle più antiche,
dismesse o modificate, e arrivarono nell’attuale collocazione dopo il 1628, quando venne allestita la Cappella XXXII, le
cui pareti saranno decorate dal pittore valsesiano Pier Francesco Gianoli nel 1657. Per dar vita alla nuova scena le
sculture vennero integrate con altre statue in terracotta realizzate ad hoc, intorno al 1640, da Giovanni D’Enrico, il
protagonista assoluto della fase seicentesca del Monte. Ma da dove provenivano esattamente le tre statue lignee? E chi
le ha scolpite?
Il Cristo
Per il Cristo, la ricostruzione di Giovanni Testori appare corretta: è stato realizzato certamente da Gaudenzio Ferrari
entro il 1514, quando viene descritto in una delle ottave della prima guida a stampa del Sacro Monte, pubblicata a
Milano, da cui si apprende che la statua si trovava nell’attuale Cappella XL: ora Cappella della Pietà, allora Cappella
della spogliazione di Cristo. A Gaudenzio Ferrari spettano del resto anche gli affreschi ancora conservati nella Cappella
XL, destinati a completare la scena. Insieme al Cristo al centro, erano poste probabilmente anche una Madonna e un
San Giovanni ora dispersi, come attesta un documento del 1638 citato dal Galloni nel suo libro sul Sacro Monte. Si
trattava insomma, del primo esempio di fusione tra scultura e pittura operata da Gaudenzio, quel concerto unitario che
avrebbe realizzato in pieno qualche anno dopo nella Cappella dei Magi (V) e nella Cappella della Crocifissione
(XXXVIII).
Il manigoldo
Il Soldato con il bastone, di qualità non paragonabile alla finissima fattura del Cristo e del Manigoldo che lo trascina,
non proviene verosimilmente dalla Cappella XL e, certamente, è estraneo alla mano di Gaudenzio Ferrari. Più
complessa e affascinante è invece la vicenda dello straordinario aguzzino qui esposto, unito al Cristo a formare un
tutt’uno. La guida di Francesco Sesalli, nel 1566, descrive le due statue nella Cappella XL in un elenco di opere
realizzate “tutte o la maggior parte” da Gaudenzio. Nel 1965 Testori non prende partito sull’attribuzione del Manigoldo
a Gaudenzio, sostenuta invece espressamente da Vittorio Viale qualche anno dopo.
Il recente restauro, tuttavia, ci ha restituito una scultura molto diversa da quella che conoscevamo, di qualità altissima
ma anche di una ferocia che non si accorda con la mano di Gaudenzio. Francesco Frangi, vista l’opera nella bottega dei
restauratori Gritti, per primo mette in dubbio l’attribuzione e comincia a immaginare una cronologia diversa per l’opera.
Il Manigoldo sarebbe quindi stato aggiunto nella Cappella XL dopo l’intervento di Gaudenzio, probabilmente tra il
1514 e il 1566, quando viene citato dal Sesalli.
Un problema aperto
Le fotografie fatte dopo il restauro cominciano a girare via mail e Giovanni Agosti, docente dell’Università degli Studi
di Milano, scrive le sue prime impressioni a Elena De Filippis, direttrice dell’ Ente di gestione dei Sacri Monti
piemontesi:
“Cara Elena, domani io e Jacopo Stoppa andremo dai Gritti a vedere le due statue che dovrebbero essere esposte a
Milano e a Novate. Dalle fotografie che ci hai inviato anche noi siamo convinti che il manigoldo, che è pur di
grandissima qualità, non sia di Gaudenzio e spetti a una fase ben più inoltrata nel Cinquecento, mentre il Cristo
funziona benissimo circa 1510 vicino alla parete di Santa Maria delle Grazie e in coerenza con gli affreschi della
Cappella XL. Facciamo ancora fatica a capire se il cattivo vada nella zona di metà secolo o se sia da spingere vicino al
momento in cui Aurelio Luini è coinvolto nel cantiere del Sacro Monte e già quasi ai confini con il mondo di Camillo
Procaccini. In sostanza il manigoldo è del 1540-1550 circa o del 1570-1580 circa?
Bisognerebbe studiare le fotografie dei flagellatori della Cappella XXX: ne hai, per favore? Una di queste sere ci
parliamo per telefono. Intanto un abbraccio, Giovanni”
Un leonardismo oltre Gaudenzio
È lo stesso Agosti a coinvolgere Gianni Romano, professore emerito dell’Università degli Studi di Torino, che scrive
una mail alla direttrice:
“Cara Elena, studiare i problemi difficili dalle sole fotografie non è raccomandabile per gli storici dell’arte, ma non
essendo ancora in grado di fare un salto disinvolto per vedere le statue dal vero devo rassegnarmi a guardare nella
sfera di cristallo della connoisseurship. Quello che mi stupisce nel manigoldo è la gran smorfia del viso che risale
vistosamente a Leonardo e ai suoi imitatori che strafacevano in moti dell’animo: da Lomazzo, Aurelio Luini, Figino in
avanti, fino a Camillo Procaccini e al suo allievo incisore Carlo Biffi, che esegue acqueforti dai disegni caricati di
Camillo. È certo che il manigoldo non è di Gaudenzio, mai seriamente malato di basso leonardismo. Sorprende che la
statua sia in legno così da evocare il documento pubblicato da Rossana Sacchi su certe statue in legno giunte al Sacro
Monte da Milano, in date non più propriamente gaudenziane. Anche l’anatomia del manigoldo non convince, un poco
segaligna e senza quella grazia che Dio ha dato agli uomini di Gaudenzio, vestiti o in mutande che siano.
Per giudicare le altre figure bisognerebbe aver studiato bene le statue del Sacro Monte nel periodo critico tra
Gaudenzio e Morazzone (non sono da tanto, anche perché andrebbero studiate nell’insieme, non cappella per cappella).
Faccio avere questa stessa lettera a Giovanni Agosti, così il cerchio si chiude e ricominciamo con tutti i nostri
grattacapi.
Con affetto,
Gianni”.
Un’occasione unica
Siamo solo all’inizio: numerosi studiosi, prima che l’opera venga ricollocata, grazie a una visione ravvicinata e a 360°,
potranno dare il loro apporto alla ricerca di un nome per questo straordinario scultore.
***
Il Restauro
Le due sculture raffiguranti Cristo e il Manigoldo sono conservate in una cappella non provvista di vetri alle finestre e
la contaminazione del locale con l’ambiente esterno è immediata. Le sculture sono pertanto esposte al vento, all’umidità
e alla polvere. E questo in ogni stagione dell’anno.
Le condizioni di conservazione delle opere non erano pertanto buone e le statue risultavano ricoperte da un diffuso
strato di polvere che si era accumulata soprattutto tra i capelli e sugli abiti.
Per l’intervento è stato necessario rimuovere le sculture e trasportarle nella bottega di restauro di Bergamo. Qui le statue
sono state svestite e gli abiti sono stati affidati al laboratorio di restauro del Monastero Mater Ecclesiae, sull’isola di San
Giulio (VB).
Si è quindi rimosso il pesante strato di polvere utilizzando pennelli con setole morbide e aspirapolvere.
Particolarmente complesse erano le condizioni dei capelli, realizzati molto probabilmente con crine. La polvere era
intrisa ed è quindi stato necessario lavare il crine con detergenti a ph neutro con piccoli impacchi. Durante il lavaggio si
è potuto capire qual è la tecnica utilizzata per attaccare alla testa i capelli. Questi sono suddivisi in ciocche, ciascuna
delle quali è attaccata alla testa tramite una goccia di cera fusa.
Si sono quindi effettuate delle prove di pulitura per analizzare nel dettaglio la situazione dello strato pittorico, essendo
quello visibile uno strato di pittura non originale. Per quanto riguarda il Manigoldo si è scoperto come fosse stato
ridipinto una sola volta. La ridipintura era simile all’originale, ma con tonalità maggiormente rosata. Le differenze più
evidenti riguardavano i dettagli quali barba, sopracciglia, occhi e peli. Nella versione originale la barba era realizzata
dipingendo ciascun pelo, mentre nella ridipintura vi era un solo colore grigio uniforme.
Unico elemento non ridipinto era la “foglia” che copre l’attributo maschile, conservata nella cromia originale poiché
nascosta dal perizoma.
Per quanto concerne il Cristo le ridipinture erano due, anche se probabilmente è più corretto distinguere una ridipintura
e una aggiunta pittorica per rendere molto più “segnato” dal sangue il corpo dopo la flagellazione, mantenendo però
come base la coloritura originale. Durante questo intervento sono state stese delle velature per rendere tumefatti gli
incarnati e sono stati aggiunti numerosi segni effetto della fustigazione. In un secondo tempo è stata stesa invece una
vera e propria ridipintura, abbastanza grossolana sia per la qualità dei materiali usati che per il tratto pittorico. Durante
questo secondo intervento il viso non è stato toccato, ma quasi certamente, durante il primo intervento di modifica sono
state aggiunte delle materiche colature di sangue, realizzate con gommalacca fatta colare lungo i lineamenti del viso. La
cromia originale, non sottoposta a ridipintura e all’aggiunta ematica era visibile nella parte protetta dal perizoma.
Terminata la fase di indagine si sono proseguiti i lavori con la pulitura. Si sono completamente eliminate le ridipinture
più superficiali su entrambe le sculture, mentre si è mantenuto il primo livello di correzione della cromia del Cristo, con le
aggiunte dei segni delle flagellazioni sia sul corpo che sul viso. Si è recuperata così quasi completamente la policromia
originale.
Successivamente si sono ritoccate le poche lacune e, infine, è stata stesa una vernice a base di cera.
I capelli staccati sono stati nuovamente applicati utilizzando lo stesso metodo usato in origine.
Luciano Gritti