Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera

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Bollettino di informazione sull`attualità giurisprudenziale straniera
BOLLETTINO DI INFORMAZIONE
SULL’ATTUALITÀ GIURISPRUDENZIALE STRANIERA
aprile 2012
a cura di C. Bontemps di Sturco, C. Guerrero Picó, S. Pasetto, M. T. Rörig
con il coordinamento di Paolo Passaglia
FRANCIA
1. Decisione n. 2012-649 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla semplificazione del
diritto ed all’alleggerimento delle formalità amministrative
Rapporto di lavoro – Orari di lavoro – Legge che consente modifiche senza che sia richiesto
l’assenso di tutti i dipendenti dell’impresa – Asserita violazione della libertà contrattuale –
Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sussistenza di un interesse generale –
Rigetto.
2. Decisione n. 2012-650 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla disciplina del
servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese di trasporto aereo di
passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti
Sciopero – Legge che introduce obblighi di informazione preventiva imposti ai lavoratori del
settore aereo – Previsione del potere di sanzione disciplinare avverso il lavoratore che non
adempia agli obblighi – Asserita violazione del diritto di sciopero – Controllo di
costituzionalità in via preventiva – Proporzionalità della disciplina rispetto agli obiettivi di
tutela dell’ordine pubblico in aeroporto – Rigetto.
3. Decisione n. 2012-652 DC del 22 marzo 2012, Legge relativa alla protezione
dell’identità
Documenti d’identità – Legge che prevede la raccolta e la conservazione dei dati di
carattere personale, anche biometrici – Creazione di una banca dati centrale – Possibilità di
accesso non limitata alla verifica dell’identità delle persone – Asserita violazione del diritto
alla riservatezza – Controllo di costituzionalità in via preventiva – Sproporzione tra gli
obiettivi perseguiti e la compressione dei diritti individuali – Incostituzionalità.
4. Decisione n. 2012-227 QPC del 30 marzo 2012, Sig. Omar S.
Cittadinanza – Acquisto per matrimonio – Condizioni –Effetti del loro venir meno –
Contestazione dell’acquisto – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Questione
prioritaria di costituzionalità – Rigetto – Questione sollevata d’ufficio sul rispetto del diritto
di difesa – Rigetto – Riserva di interpretazione.
5. Decisioni relative alle elezioni presidenziali
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GERMANIA
1. Ordinanza del 5 marzo 2012 (2 BvR 1464/11)
Procedura penale – Patteggiamento – Inefficacia della rinuncia ai mezzi di impugnazione –
Situazione di dubbio in ordine alla sussistenza di un patteggiamento – Mancanza di una
adeguata valutazione da parte dei giudici dei fatti processuali – Asserita violazione del
diritto ad un equo e giusto processo – Ricorso diretto – Accoglimento.
REGNO UNITO
1. W (Algeria) (FC) and BB (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the
Home Department (Respondent); PP (Algeria) (FC) (Appellant) v Secretary of
State for the Home Department (Respondent) (formerly VV (Jordan) (FC) and PP
(Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department
(Respondent)); Z (Algeria) (FC), G (Algeria) (FC), U (Algeria) (FC) and Y
(Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the Home Department
(Respondent), [2012] UKSC 8, del 7 marzo 2012
Stranieri – Allontanamento di stranieri sospettati di terrorismo – Rimpatrio verso Paesi in
cui si pratichi la tortura – Procedimento dinanzi alla Special Immigration Appeals
Commission – Testimonianza – Condizione dell’anonimato assoluto posta dal potenziale
testimone – Adozione di una ordinanza della Commission volta ad imporre l’anonimato –
Corte suprema – Riconoscimento di tale potere in capo alla Commission – Limiti.
2. In the matter of S (A Child), [2012] UKSC 10, del 14 marzo 2012
Minori – Sottrazione di minore da parte della madre ed allontanamento verso altro Stato –
Imposizione del rientro nello Stato di residenza abituale della famiglia – Condizioni –
Articolo 13(b) della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di
minori – Approccio interpretativo – Necessaria valutazione della situazione in cui venga a
trovarsi il minore – Criteri.
3. Flood (Respondent) v Times Newspapers Limited (Appellant), [2012] UKSC 11, del
21 marzo 2012
Giornalismo – Articolo giornalistico di contenuto diffamatorio – Giustificazione della
condotta del giornalista – Condizioni – Necessario bilanciamento tra contrapposti interessi.
SPAGNA
1. STC 20/2012, del 16 febbraio
Processo civile – Persone giuridiche soggette all’imposta sulle società e con un fatturato
alto – Instaurazione di un giudizio – Assoggettamento a tasse giudiziarie – Asserita
violazione del diritto alla tutela giurisdizionale – Giudizio in via incidentale – Sussistenza di
limiti al principio di gratuità della giustizia – Rigetto.
2. STC 22/2012, del 16 febbraio
Sanità – Istituti legittimati a gestire cellule e tessuti umani – Disciplina – Norme statali
recanti principi generali, di coordinamento e di disciplina dei controlli – Asserita violazione
delle competenze normative della Comunità autonoma di Madrid – Conflitto positivo di
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competenza – Rigetto.
3. STC 37/2012, del 19 marzo
Giurisprudenza – Ricorso nell’interesse della legge – Doctrina legal del Tribunale supremo
– Asserita violazione di norme costituzionali – Giudizio in via incidentale – Ammissibilità
del ricorso avente ad oggetto l’interpretazione della legge – Valore vincolante della doctrina
legal – Rigetto nel merito – Opinioni dissenzienti.
STATI UNITI
1. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-699, del 26 marzo 2012; Zivotofsky, by his parents and
guardians, Zivotofsky et ux. v. Clinton, Secretary of State
Stato civile – Legge sulla registrazione su documenti ufficiali del luogo di nascita – Nascita
a Gerusalemme – Possibilità di richiedere la registrazione di Israele come luogo di nascita –
Rigetto della richiesta per l’esistenza di una policy governativa contraria – Ricorso di fronte
ai giudici federali – Asserita esistenza di una political question – Corte suprema –
Esclusione – Rinvio del caso al giudice di primo grado.
2. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-1024, del 28 marzo 2012; Federal Aviation
Administration et al. v. Cooper
Risarcimento dei danni – Privacy Act – Utilizzo della locuzione “actual damages” –
Ambiguità – Corte suprema – Interpretazione che, nel dubbio, deve essere favorevole alla
parte pubblica – Limitazione ai danni patrimoniali ed esclusione dei danni non patrimoniali.
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FRANCIA
a cura di Charlotte Bontemps di Sturco
1. Decisione n. 2012-649 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla
semplificazione del diritto ed all’alleggerimento delle formalità amministrative
Rapporto di lavoro – Orari di lavoro – Legge che consente modifiche senza
che sia richiesto l’assenso di tutti i dipendenti dell’impresa – Asserita
violazione della libertà contrattuale – Controllo di costituzionalità in via
preventiva – Sussistenza di un interesse generale – Rigetto.
Tra le diverse questioni di costituzionalità sollevate contro la legge oggetto del ricorso dei
parlamentari1, una è di particolare rilievo. Il riferimento va alla contestazione dell’articolo 45 della
legge, che permette, completando l’articolo L 3122-6 del codice del lavoro, agli accordi collettivi di
ridistribuire gli orari di lavoro su un periodo che va da un minimo di una settimana ad un massimo
di un anno senza che tale ridistribuzione sia considerata come una modifica del contratto di lavoro,
che richiederebbe l’accordo preliminare di tutti i dipendenti.
Il legislatore ha inteso superare l’orientamento della sezione sociale della Corte di cassazione 2,
riaffermando la possibilità per l’accordo collettivo, in un quadro legislativo determinato, di imporsi
sul contratto di lavoro individuale3.
I ricorrenti invocavano la violazione della libertà contrattuale.
Il Conseil constitutionnel ha sottolineato che il legislatore non può arrecare ai contratti
legalmente conclusi una lesione che non sia giustificata da un interesse generale sufficiente, a pena
di violare le esigenze costituzionali discendenti dagli articoli 4 e 16 della Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1789 e, per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori alla
determinazione collettiva delle loro condizioni di lavoro, dall’ottavo comma del Preambolo della
Costituzione del 1946.
Ciò posto, il Conseil ha però evidenziato che il legislatore ha inteso con questa norma rafforzare
gli accordi collettivi relativi alla modulazione degli orari di lavoro al fine di permettere
l’adattamento dei ritmi di lavoro dei dipendenti alla evoluzione dei ritmi di produzione
dell’impresa. Una tale soluzione, che permette di prescindere dall’accordo di ogni dipendente, è
comunque subordinata all’esistenza di un accordo collettivo, applicabile all’impresa, che la
autorizzi. Inoltre, i dipendenti a tempo parziale sono esclusi dall’applicazione di questa norma. In
ragione di ciò, si è concluso che le disposizioni contestate erano giustificate da un interesse generale
1
I quali contestavano anche la procedura seguita per l’approvazione della legge, la sua complessità e la sua assenza
di omogeneità, il carattere regolamentare di alcune disposizioni e l’assenza di legame diretto con l’oggetto della legge
di alcuni emendamenti adottati (a quest’ultimo proposito si sono avute le uniche dichiarazioni di illegittimità rese dal
Conseil).
2
Cass. Ch. Soc., 28 settembre 2010, n. 08-43.161.
3
CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-649 DC du 15 mars 2012, Loi relative à la
simplification du droit et à l’allègement des démarches administratives, in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseilconstitutionnel/root/bank/download/2012649DCccc_ 649dc.pdf, p. 3.
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sufficiente e che non arrecavano alla libertà contrattuale una lesione contraria alla Costituzione
(Considérant 14).
2. Decisione n. 2012-650 DC del 15 marzo 2012, Legge relativa alla disciplina del
servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese di trasporto aereo di
passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti
Sciopero – Legge che introduce obblighi di informazione preventiva imposti
ai lavoratori del settore aereo – Previsione del potere di sanzione
disciplinare avverso il lavoratore che non adempia agli obblighi – Asserita
violazione del diritto di sciopero – Controllo di costituzionalità in via
preventiva – Proporzionalità della disciplina rispetto agli obiettivi di tutela
dell’ordine pubblico in aeroporto – Rigetto.
La legge relativa all’organizzazione del servizio ed all’informazione dei passeggeri nelle imprese
di trasporto aereo di passeggeri ed a varie disposizioni nel campo dei trasporti è stata sottoposta al
controllo del Conseil constitutionnel in seguito ad un ricorso di parlamentari e senatori.
L’oggetto della legge risponde a un triplice fine: introdurre nuove norme nel Codice dei trasporti,
inserendo un capitolo relativo all’informazione dei passeggeri del trasporto aereo; autorizzare la
ratifica di due ordinanze relative al Codice dei trasporti; ed integrare il Codice del consumo al fine
di adeguarsi alle norme relative all’informazione dei consumatori sui prezzi e sulle condizioni di
vendita per i servizi aerei come previsto dal regolamento (CE) n. 1008/2008 del Parlamento
europeo e del Consiglio del 24 settembre 2008.
I ricorrenti hanno contestato la costituzionalità dell’articolo 2, che ha introdotto nuove regole in
materia di sciopero nei trasporti aerei. Il nuovo articolo L 1114-3 del Codice dei trasporti impone ai
dipendenti “la cui assenza è tale da incidere direttamente sulla effettuazione dei voli” di informare il
loro superiore della loro intenzione di partecipare ad uno sciopero non oltre le quarantotto ore
anteriori al suo orario di servizio (comma 1); prevede altresì che il dipendente che ha dichiarato
l’intenzione di partecipare allo sciopero, ma che successivamente vi rinuncia, deve comunicarlo
almeno ventiquattro ore prima dell’ora prevista per la sua partecipazione allo sciopero (comma 2);
lo stesso obbligo spetta al dipendente quando decide di riprendere il servizio (comma 3). Il nuovo
articolo L 1114-4 del Codice dei trasporti permette al superiore di sanzionare il dipendente che non
abbia adempiuto ad un obbligo previsto all’articolo 1114-3.
I ricorrenti invocavano la violazione del diritto di sciopero, garantito dal settimo comma del
Preambolo della Costituzione del 1946.
Il Conseil constitutionnel ha rigettato la questione, riprendendo – con alcune modifiche – il suo
considérant di principio in materia di diritto di sciopero4, secondo il quale “i Costituenti hanno
inteso affermare che il diritto di sciopero è un principio di valore costituzionale, ma che ha dei
limiti, ed hanno abilitato il legislatore a definirli, operando la conciliazione necessaria tra la difesa
4
Ispirato, peraltro, alla giurisprudenza amministrativa (CE, 7 luglio 1950, Dehaene, Rec. 462), adattata alle esigenze
costituzionali. La novità più significativa della decisione qui passata in rassegna è l’estensione del considérant di
principio oltre l’ambito dei servizi pubblici. Cfr. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012650 DC du 15 mars 2012, Loi relative à l’organisation du service et à l’information des passagers dans les entreprises
de transport aérien de passagers et à diverses dispositions dans le domaine des transports, in http://www.conseilconstitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2012650DCccc_ 650dc.pdf , p. 2-4 e 7.
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degli interessi professionali, di cui lo sciopero è un mezzo, e la salvaguardia dell’interesse generale,
che lo sciopero può ledere; […] è, a questo titolo, possibile per il legislatore tracciare il limite che
separa gli atti ed i comportamenti che costituiscono un esercizio lecito di questo diritto dagli atti e
dai comportamenti che ne costituirebbero un uso abusivo” (Considérant 6).
Con precipuo riguardo alle disposizioni legislative contestate, il Conseil ha in primo luogo
rilevato, riferendosi ai lavori parlamentari, che il legislatore ha inteso istituire un sistema che
permettesse alle imprese del settore aereo ed ai passeggeri di essere informati, onde assicurare il
“buon ordine” e la sicurezza delle persone negli aeroporti e, quindi, la tutela dell’ordine pubblico,
obiettivo di valore costituzionale; il legislatore ha, peraltro, limitato l’applicazione di queste
disposizioni ai soli dipendenti la cui assenza sia tale da incidere direttamente sulla effettuazione dei
voli5. In secondo luogo, con riguardo agli obblighi di informazione del superiore, il legislatore – ad
avviso del Conseil – ha permesso semplicemente l’adozione di una sanzione disciplinare contro il
dipendente che, abusando del diritto di sciopero, violi ripetutamente gli obblighi di informazione6.
Sulla scorta di questi rilievi, il Conseil ha concluso che le condizioni di esercizio del diritto di
sciopero poste dalla legge non sono da ritenersi sproporzionate rispetto all’obiettivo perseguito dal
legislatore.
3. Decisione n. 2012-652 DC del 22 marzo 2012, Legge relativa alla protezione
dell’identità
Documenti d’identità – Legge che prevede la raccolta e la conservazione
dei dati di carattere personale, anche biometrici – Creazione di una banca
dati centrale – Possibilità di accesso non limitata alla verifica dell’identità
delle persone – Asserita violazione del diritto alla riservatezza – Controllo
di costituzionalità in via preventiva – Sproporzione tra gli obiettivi
perseguiti e la compressione dei diritti individuali – Incostituzionalità.
La legge oggetto del vaglio del Conseil constitutionnel deriva da una proposta di legge7
presentata da un senatore della maggioranza governativa, divenuta, nelle more dell’approvazione,
minoranza nella camera alta.
Il testo comprende dodici articoli:
5
Il Conseil ha menzionato, al riguardo, il personale che ha un impiego di navigazione o che svolge una delle
operazioni di assistenza negli scali menzionata all’articolo L 1114-1, quello che presta servizio a bordo degli aerei,
quello deputato alla sicurezza negli aeroporti, al soccorso, alla lotta contro incendi o contro il pericolo di animali.
L’articolo L 1114-1 definisce i “dipendenti che concorrono direttamente all’attività di trasporto aereo dei
passeggeri” come quelli che “esercitano un’attività di trasporto aereo o che svolgono le funzioni di gestione
dell’aeroporto, della sua sicurezza, di soccorso, di lotta contro incendi, di lotta contro il pericolo degli animali, di
assistenza a bordo degli aerei nonché di servizi di assistenza agli scali, come il carico, i messaggi e le
telecomunicazioni, lo stoccaggio, la manutenzione e l’amministrazione delle unità di carico, l’assistenza ai passeggeri,
l’assistenza per i bagagli, l’assistenza per il carburante e l’olio, l’assistenza alle operazioni in pista, la pulizia e il
servizio nell’aereo, la manutenzione a bordo, l’assistenza alle operazioni aeree, l’amministrazione del personale di
cabina, l’assistenza del personale a terra e l’assistenza del servizio di polizia”.
6
Si noti, peraltro, il testo sembrerebbe non richiedere l’iterazione del mancato adempimento degli obblighi.
7
Come tale non soggetta ad uno studio di impatto da parte del Consiglio di Stato, a differenza di quanto avviene per
i progetti di legge.
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-
l’articolo 1° dispone che l’identità di una persona è provata con ogni mezzo (la
presentazione di una carta d’identità o di un passaporto valido è al riguardo sufficiente);
- l’articolo 2 prevede che la carta d’identità ed il passaporto abbiano un componente
elettronico contenente una serie di dati (nome, cognome, sesso, data e luogo di nascita;
eventuale nome utilizzato; domicilio; altezza e colore degli occhi; due impronte digitali; una
foto);
- l’articolo 3 stabilisce la possibilità di aggiungere al documento d’identità un altro
componente elettronico che permette un’identificazione a fini commerciali;
- l’articolo 4 consente ai funzionari chiamati a rilasciare documenti d’identità di far verificare
direttamente i dati dello stato civile fornito dal richiedente;
- l’articolo 5 autorizza la creazione di una banca dati, c.d. fichier central commun, composto
da tutti i dati delle carte d’identità e passaporti;
- l’articolo 6 concerne l’accesso protetto ai dati elettronici da parte degli agenti deputati alla
ricerca ed al controllo dell’identità delle persone nonché la consultazione della banca dati in
caso di serio dubbio sull’identità o di difficile lettura del documento d’identità;
- l’articolo 7 rinvia ad un decreto, adottato previo parere del Consiglio di Stato e della CNIL
(Commissione nazionale dell’informatica e delle libertà), la determinazione delle modalità
secondo le quali le pubbliche amministrazioni, gli operatori che svolgono una missione di
servizio pubblico e gli operatori economici possono consultare la banca dati per accertare la
validità del documento d’identità presentato;
- l’articolo 8 rinvia ad un analogo decreto la determinazione delle modalità e della durata
della conservazione dei dati per attuare le funzioni di cui all’articolo 3;
- l’articolo 9 istaura un regime di sanzioni più severo del regime generale in caso di
violazione delle banche dati a carattere personale creato dallo Stato;
- l’articolo 10 permette agli agenti di polizia ed ai gendarmi di accedere, ai fini della
prevenzione e della repressione di diversi reati di particolare gravità8, alla banca dati centrale
comune dei passaporti e delle carte d’identità;
- l’articolo 11 impone ai giudici che si pronunciano sull’usurpazione di identità di cui sia
oggetto una persona di esplicitare l’avvenuta usurpazione nel dispositivo della decisione;
- l’articolo 12 precisa che la legge si applica a tutto il territorio nazionale.
I ricorrenti hanno contestato gli articoli 5 e 10, ambedue poi dichiarati illegittimi. Il Conseil
constitutionnel ha peraltro sollevato d’ufficio la questione di costituzionalità dell’articolo 3,
anch’esso dichiarato contrario alla Costituzione.
Nel contestare gli articoli 5 e 10, i ricorrenti ritenevano, in primo luogo, che la creazione di una
banca dati biometrica concernente quasi tutta la popolazione francese, e le cui caratteristiche
rendessero possibile l’identificazione di una persona a partire dalle sue impronte digitali, fosse
costitutiva di una violazione del diritto costituzionale alla riservatezza; in secondo luogo, si
sosteneva che, nel consentire l’accesso ai dati registrati nella banca dati da parte di agenti di polizia
amministrativa e polizia giudiziaria, il legislatore non aveva adottato le garanzie sufficienti contro
rischi di abuso.
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Connessi all’indipendenza della Nazione, all’integrità del territorio, alla garanzia della forma repubblicana delle
istituzioni, ai mezzi di difesa e della diplomazia, alla salvaguardia della popolazione in Francia ed all’estero, ad
elementi essenziali del potenziale scientifico e economico e ad atti di terrorismo.
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Il Conseil ha definito il parametro costituzionale in materia. L’articolo 34 della Costituzione,
relativo alla riserva di legge, impone al legislatore: di determinare le garanzie fondamentali per
l’esercizio delle libertà pubbliche nonché per la procedura penale; di assicurare la conciliazione tra,
da un lato, la salvaguardia dell’ordine pubblico e la ricerca degli autori dei reati (entrambe
necessarie per assicurare la protezione di principi e diritti costituzionali) e, dall’altro, il rispetto
degli altri diritti e libertà costituzionali. In questo ambito, il legislatore dispone di un potere
discrezionale limitato dalla necessità di rispettare le suddette esigenze costituzionali. L’articolo 2
della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino impone, inoltre, al rispetto del diritto alla
riservatezza.
Sulla scorta di questo inquadramento, si è posto il principio secondo il quale la raccolta, la
registrazione, la conservazione, la consultazione e la comunicazione di dati di carattere personale
devono essere giustificate da un motivo di interesse generale e devono essere attuate in modo
adeguato e proporzionato a questo obiettivo. Ora, di per sé, la creazione di una banca di dati di
carattere personale, destinata a preservare l’integrità dei dati necessari per l’attribuzione dei
documenti d’identità e per l’espatrio, ha certamente l’effetto di rendere più affidabili e sicuri tali
documenti nonché quello di migliorare l’efficienza della lotta contro la frode, di talché può dirsi
giustificata da ragioni di interesse generale (Considérants 8 e 9).
Il Conseil ha però valutato nel suo complesso le caratteristiche della banca dati, rilevando che:
(1) tale banca dati avrebbe raccolto i dati concernenti quasi tutta la popolazione francese; (2) tra i
dati registrati, i dati biometrici (tra cui le impronte digitali) sono particolarmente sensibili; (3) la
legge permette l’interrogazione della banca dati anche a fini diversi della sola verifica dell’identità
di una persona; e (4) la legge autorizza la consultazione o l’interrogazione della banca dati non solo
per la verifica dell’identità di chi presenta un documento d’identità ma anche per altri fini di polizia
amministrativa e giudiziaria (Considérant 10). Tenendo conto della natura dei dati registrati,
dell’ampiezza della banca dati, delle sue caratteristiche tecniche e delle condizioni poste al suo
accesso, ha concluso che l’articolo 5 della legge si poneva in contrasto con il diritto al rispetto della
riservatezza in modo sproporzionato al fine perseguito, donde la dichiarazione di illegittimità
costituzionale degli articoli 5 e 10, nonché, in via consequenziale, del terzo comma dell’articolo 6,
dell’articolo 7 e del secondo periodo dell’articolo 8 (Considérant 11).
Il Conseil ha inoltre dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 3, che attribuisce al titolare del
documento d’identità la possibilità di introdurre una firma elettronica per operazioni commerciali
on line. La illegittimità è stata affermata per il vizio di incompetenza negativa, in quanto la legge
non ha precisato la natura dei dati con i quali si poteva attivare tale funzione, né quali fossero le
garanzie per assicurare la integrità e segretezza dei dati, né – ancora – quali fossero le condizioni
per l’autenticazione della persona, specie per il caso di persone minorenni.
Con tali affermazioni, il Conseil constitutionnel si è posto sulla stessa lunghezza d’onda del
Consiglio di Stato e della CNIL9, già intervenuti su questioni analoghe.
4. Decisione n. 2012-227 QPC del 30 marzo 2012, Sig. Omar S.
Cittadinanza – Acquisto per matrimonio – Condizioni –Effetti del loro venir
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Per maggiori dettagli sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato e della CNIL, v. CONSEIL
CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-652 del 22 marzo 2012, Loi relative à la protection de
l’identité,
in
http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/
download/2012652DCccc_652dc.pdf.
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meno – Contestazione dell’acquisto – Asserita violazione del diritto alla
riservatezza – Questione prioritaria di costituzionalità – Rigetto –
Questione sollevata d’ufficio sul rispetto del diritto di difesa – Rigetto –
Riserva di interpretazione.
La Corte di cassazione ha sollevato una questione prioritaria di costituzionalità avente ad oggetto
gli articoli 21-2 e 26-4 del Codice civile.
Nella decisione di rinvio, peraltro, la Corte di cassazione non ha precisato su quale versione degli
articoli la questione si appuntava, nonostante gli stessi avessero subito modifiche nel corso del
tempo: pur essendo jus receptum che il Conseil non si pronuncia sull’individuazione della norma
applicabile al giudizio a quo, nella specie il Conseil ha precisato di doversi pronunciare solo sulle
disposizioni nella loro redazione applicabile al giudizio10, ovvero sull’articolo 21-2 nella redazione
risultante dalla legge n. 98-170 del 16 marzo, relativa alla cittadinanza, e sull’articolo 26-4 nella
redazione risultante dalla legge n. 2006-911 del 24 luglio 2006, relativa all’immigrazione e
all’integrazione.
Il primo articolo permette di acquisire la cittadinanza francese al coniuge di una persona francese
tramite “dichiarazione”, purché sussistano le seguenti condizioni: (1) la dichiarazione deve essere
registrata almeno un anno dopo il matrimonio; (2) al momento della registrazione, la convivenza
della coppia non deve essere cessata; e (3) il coniuge francese deve avere conservato la sua
cittadinanza francese.
Il secondo articolo dispone che la dichiarazione possa essere contestata dal Pubblico ministero,
anche se non è stato opposto un rifiuto alla registrazione della dichiarazione, in caso di falsità o di
frode, entro il termine di due anni dalla loro scoperta; prevede altresì che costituisce una
presunzione di frode la cessazione della convivenza nei dodici mesi che seguono la registrazione
della dichiarazione.
Il ricorrente invocava genericamente la violazione della protezione della riservatezza.
Il Conseil constitutionnel ha dichiarato le disposizioni contestate conformi alla Costituzione.
In primo luogo, si è precisato che né il rispetto della riservatezza né alcuna altra esigenza
costituzionale impone che il coniuge di una persona di cittadinanza francese possa per ciò stesso
acquisire la cittadinanza francese. Le condizioni poste dall’articolo 21-2 del Codice civile, così
come le modalità di contestazione da parte del pubblico ministero in caso di mancanza dei requisiti
legali, di falsità o di frode non ledono dunque la riservatezza. In secondo luogo, si è considerato che
la presunzione di frode posta dall’articolo 26-4 del Codice civile quando la convivenza della coppia
cessi meno di dodici mesi dopo la registrazione della dichiarazione è destinata, per un verso, ad
ostacolare l’acquisizione della cittadinanza francese tramite mezzi fraudolenti e, per l’altro, a
proteggere il matrimonio contro fini diversi da quelli suoi propri: il bilanciamento operato dal
legislatore tra le esigenze di ordine pubblico ed il rispetto della riservatezza è stato ritenuto
equilibrato (Considérants 8 e 9).
Il Conseil constitutionnel ha poi sollevato d’ufficio11 la questione relativa al rispetto del diritto di
difesa da parte del combinato disposto dei due commi dell’articolo 26-4 del Codice civile.
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CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Décision n. 2012-227 QPC du 30 mars 2012, M. Omar S.
(Conditions de contestation par le Procureur de la République de l’acquisition de la nationnalité par mariage), in
http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseil-constitutionnel/root/bank/download/2012227QPCccc_227qpc.pdf, p. 3.
11
In applicazione del regolamento del 4 febbraio 2010 sulla procedura seguita davanti al Conseil constitutionnel per
le questioni prioritarie di costituzionalità.
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Isolatamente intese, tanto la disposizione che permette al Pubblico ministero di contestare la
registrazione della dichiarazione a decorrere del giorno della scoperta della falsità o della frode
quanto quella che istituisce una presunzione semplice di frode qualora sia cessata la convivenza
della coppia nei dodici mesi che seguono la registrazione sono state considerate conformi alla
Costituzione.
Con precipuo riguardo all’applicazione combinata delle due disposizioni, essa potrebbe
condurre, “per il solo fatto che la convivenza abbia cessato nell’anno che segue la registrazione
della dichiarazione della cittadinanza, a stabilire norme probatorie aventi come effetto quello di
imporre ad una persona che ha acquisito la cittadinanza francese in ragione del suo matrimonio di
essere in misura di provare […] che alla data della dichiarazione tesa all’acquisizione della
cittadinanza, la vita comune tra i coniugi, sia materiale che affettiva, non era cessata”; si
attribuirebbe, così, al pubblico ministero un vantaggio al Pubblico ministero che lederebbe in modo
eccessivo il diritto di difesa del neo-cittadino (Considérant 13). Il Conseil ha quindi precisato
l’interpretazione da dare al combinato disposto dei due commi, nel senso di permettere di applicare
la presunzione di frode o di falsità solo nei giudizi instaurati entro i due anni che seguono la
dichiarazione: per quelli instaurati successivamente, la presunzione non potrà applicarsi, e spetterà
dunque al Pubblico ministero provare le allegazioni di falsità o di frode.
5. Decisioni relative alle elezioni presidenziali
Il Conseil constitutionnel ha adottato diverse decisioni nel mese di marzo a proposito delle
elezioni presidenziali che si svolgeranno il 22 aprile ed il 6 maggio prossimi.
In applicazione dell’articolo 3 della legge n. 62-1292 del 6 novembre 1962, relativa all’elezione
del Presidente della Repubblica a scrutinio universale, il Conseil constitutionnel ha, il 19 marzo,
adottato la decisione che stabilisce la lista dei candidati alle elezioni.
Ha così verificato le presentazioni dei candidati da parte degli eletti abilitati a tale fine (almeno
cinquecento), inviate al Conseil tra il 24 febbraio ed il 16 marzo alle ore 18.
Accertata la regolarità delle candidature ed il rispetto da parte dei candidati dei requisiti
sostanziali e di forma12, ha poi stabilito, per sorteggio, come determinato da una sua decisione del
24 febbraio 1981, l’ordine della lista dei candidati alle elezioni del Presidente della Repubblica: Eva
JOLY, Marine LE PEN, Nicolas SARKOZY, Jean-Luc MELENCHON, Philippe POUTOU,
Nathalie ARTHAUD, Jacques CHEMINADE, François BAYROU, Nicolas DUPONT-AIGNAN e
François HOLLANDE.
Il 22 marzo si è pronunciato su quattro reclami contro la decisione del Conseil constitutionnel del
19 marzo, nessuno dei quali è stato accolto.
Il 31 marzo, sono state pubblicate sul Journal Officiel le liste dei cinquecento sottoscrittori –
sorteggiati dal Conseil constitutionnel – che hanno presentato i candidati all’elezione del Presidente
della Repubblica13.
12
Per maggiori dettagli al riguardo, v. CONSEIL CONSTITUTIONNEL, Commentaire – Séance du 19 mars 2012
Etablissement de la liste des candidats à l’élection présidentielle, in http://www.conseil-constitutionnel.fr/conseilconstitutionnel/root/bank/download/Listecandidats 2012ccc_2012listecandidats.pdf.
13
Sul limite di cinquecento sottoscrizioni pubblicate, il Conseil si è espresso nella decisione n. 2012-233 QPC del
21 febbraio 2012, Pubblicazione del nome e della qualità dei cittadini eletti abilitati aventi presentato un candidato
all’elezione del Presidente della Repubblica, oggetto di segnalazione nel precedente numero di questo Bollettino.
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GERMANIA
a cura di Maria Theresia Rörig
1. Ordinanza del 5 marzo 2012 (2 BvR 1464/11)
Procedura penale – Patteggiamento – Inefficacia della rinuncia ai mezzi di
impugnazione – Situazione di dubbio in ordine alla sussistenza di un
patteggiamento – Mancanza di una adeguata valutazione da parte dei
giudici dei fatti processuali – Asserita violazione del diritto ad un equo e
giusto processo – Ricorso diretto – Accoglimento.
Il Tribunale costituzionale federale chiarisce in quale misura il giudice dell’impugnazione è
obbligato a vagliare i fatti (procedurali) quando verifica la sussistenza della conclusione di un
accordo processuale (c.d. patteggiamento) tra le parti coinvolte nel procedimento penale, tenuto
conto che un tale accordo rende la eventuale rinuncia ai mezzi di impugnazione inefficace.
L’accordo tra le parti di un processo penale sulle conseguenze di un giudizio penale, ossia il c.d.
patteggiamento, è disciplinato, dal 4 agosto 2009, nell’art. 257c del Codice di procedura penale
(StPO). Ai sensi dell’art. 302, comma 1, per. 2, StPO, le parti del processo non possono validamente
rinunciare ai mezzi di impugnazione loro spettanti contro la condanna, se quest’ultima è stata
preceduta da un tale accordo.
Ai sensi dell’art. 273, comma 1a, StPO, il giudice deve assicurare che lo svolgimento ed il
contenuto di un accordo di patteggiamento tra le parti venga documentato nel verbale dell’udienza
dibattimentale oppure che venga documentato il fatto che non sia stata trovato alcun accordo tra le
parti.
Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato alla reclusione di 2 anni e 10 mesi in base
alla confessione relativa alla commissione di diversi reati. Dopo la pronuncia della sentenza e la
revoca dell’ordine di custodia preventiva, sia la Procura della Repubblica che il ricorrente avevano
rinunciato ai mezzi di impugnazione. Nonostante la rinuncia, il ricorrente aveva successivamente
impugnato la sentenza sostenendo che la sua rinuncia fosse da ritenersi inefficace, in quanto alla
condanna si era giunti a seguito di un accordo tra le parti del processo.
Né il verbale dell’udienza principale né la sentenza contenevano però alcun riferimento, in senso
positivo o negativo, ad accordi tra le parti. Il verbale riportava solamente che l’udienza principale
era stata interrotta prima della costituzione del ricorrente ai fini di un “colloquio legale”, il cui
contenuto e svolgimento veniva però descritto dai soggetti coinvolti in maniera diversa e
contrastante. Secondo la dichiarazione scritta del difensore del ricorrente, le parti si sarebbero
accordati sulla determinazione del grado della pena e sulla contemporanea revoca dell’ordine di
custodia, mentre la rappresentante della Procura della Repubblica negava un vero e proprio
colloquio riguardante il grado della pena; le parti, secondo la Procura, avrebbero discusso
principalmente sul perdurare della custodia preventiva e l’eventuale sua revoca. Il presidente del
collegio dei giudici non era stato in grado di ricostruire la vicenda.
Il tribunale dell’impugnazione aveva respinto l’appello, in quanto inammissibile per esservi stata
una valida rinuncia ai mezzi di impugnazione da parte del ricorrente, il quale non aveva fornito
alcuna prova sull’intervenuto accordo sulla pena. Neppure il reclamo immediato presso la corte
d’appello (Oberlandesgericht) aveva avuto successo. La decisione del giudice dell’impugnazione
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con cui era stata affermata la piena efficacia della rinuncia ai mezzi di impugnazione non era stato
infatti, ritenuta criticabile, giacché, per un verso, il verbale di udienza non conteneva le indicazioni
richieste dall’art. 273, comma 1a, StPO, né, per altro verso, il ricorrente non era riuscito – alla luce
delle dichiarazioni contrastanti del difensore e della Procura della Repubblica – a dimostrare la
conclusione di un accordo mediante le c.d. “prove libere” (Freibeweisverfahren).
Adito con ricorso diretto individuale, il Tribunale costituzionale federale ha cassato l’ordinanza
emessa dalla corte d’appello, in quanto lesiva del diritto fondamentale ad un giusto ed equo
processo penale per il ricorrente (art. 2, comma 2, per. 2, in combinato disposto con l’art. 20,
comma 3, LF). La corte d’appello dovrà pertanto nuovamente pronunciarsi sulla questione. Secondo
i giudici costituzionali, l’ordinanza cassata si è infatti posta in contrasto, in maniera non accettabile
dal punto di vista costituzionale, con gli obblighi di valutazione dei fatti da parte dei magistrati.
Sotto questo aspetto, non potevano non rilevare, in particolare, le affermazioni poco plausibili della
rappresentante della Procura della Repubblica che, da un lato, insisteva sulla carcerazione
preventiva e, dall’altro, aveva chiesto la revoca della custodia. Una simile circostanza avrebbe
dovuto indurre ulteriori verifiche inerenti ai fatti processuali. La corte avrebbe, tra l’altro, dovuto
sentire i giudici non togati ed i cancellieri che avevano preso parte all’udienza.
Peraltro, il dubbio sull’esatta ricostruzione dei fatti non avrebbe dovuto essere valutato
pregiudizialmente a sfavore del ricorrente: sebbene non si possa generalmente censurare, dal punto
di vista costituzionale, il fatto che l’eventuale dubbio circa la ricostruzione di fatti processuali (non
chiarito nell’ambito della c.d. prova libera) possa essere stato valutato a sfavore dell’imputato, ciò
non può valere nei casi in cui la mancata chiarezza sullo svolgimento dei fatti sia dipeso, come
accaduto nella specie, da una violazione di un obbligo di documentazione e verbalizzazione previsto
per legge.
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REGNO UNITO
a cura di Sarah Pasetto
1. W (Algeria) (FC) and BB (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for
the Home Department (Respondent); PP (Algeria) (FC) (Appellant) v
Secretary of State for the Home Department (Respondent) (formerly VV
(Jordan) (FC) and PP (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the
Home Department (Respondent)); Z (Algeria) (FC), G (Algeria) (FC), U
(Algeria) (FC) and Y (Algeria) (FC) (Appellants) v Secretary of State for the
Home Department (Respondent), [2012] UKSC 8, del 7 marzo 2012
Stranieri – Allontanamento di stranieri sospettati di terrorismo – Rimpatrio
verso Paesi in cui si pratichi la tortura – Procedimento dinanzi alla Special
Immigration Appeals Commission – Testimonianza – Condizione
dell’anonimato assoluto posta dal potenziale testimone – Adozione di una
ordinanza della Commission volta ad imporre l’anonimato – Corte suprema
– Riconoscimento di tale potere in capo alla Commission – Limiti.
La Corte suprema ha riconosciuto alla Special Immigration Appeals Commission (d’ora innanzi,
SIAC) il potere di emettere ordinanze volte a garantire in via assoluta ed irrevocabile la riservatezza
dell’identità di un testimone convocato dagli imputati a rischio di espulsione.
Nella specie, i ricorrenti erano individui sospettati di terrorismo, cittadini algerini. Il Ministro
degli interni inglese, avendo ricevuto dal governo algerino un’attestazione formale del suo impegno
a non sottoporre i sospettati a tortura una volta rimpatriati, aveva deciso nel senso del loro
allontanamento dal Regno Unito e del rimpatrio verso l’Algeria. I ricorrenti si erano opposti in base
all’articolo 3 CEDU, affermando che, nonostante l’attestazione del governo algerino, la tortura da
parte di agenti statali era invece assai diffusa nella prassi e nessun agente statale era mai stato
perseguito in merito; a favore della loro tesi, i ricorrenti avevano convocato un testimone, il quale
aveva richiesto, però, come condizione imprescindibile per la propria deposizione, un’ordinanza
della stessa SIAC che garantisse in maniera assoluta ed irrevocabile il suo anonimato. I ricorrenti
avevano proposto lo svolgimento di un’udienza riservata nel corso della quale la SIAC ed il
convenuto potessero valutare l’effettiva rilevanza della testimonianza. In tal modo, l’identità del
testimone sarebbe stata conosciuta solamente dalla SIAC stessa e dalle parti della controversia,
senza essere in alcun modo resa nota al di fuori del processo; allo stesso tempo, il Ministro avrebbe
comunque avuto la possibilità di ribattere contro le prove prospettate.
Il Ministro degli interni si era opposto, non solo all’emissione di una tale ordinanza nel caso di
specie, ma anche al riconoscimento, in generale, del potere della Commission di adottare una simile
ordinanza, poiché ciò avrebbe potuto generare una situazione in cui il Ministro stesso si sarebbe
trovato in possesso di informazioni che avrebbero potuto indicare, in qualche modo, l’esistenza di
una minaccia terroristica all’estero o qualche altra forma di rischio per la sicurezza nazionale, ma
che, in ragione dell’ordinanza di assoluta ed irrevocabile riservatezza, non avrebbe potuto
comunicare al Paese estero in questione, il che avrebbe comportato un grave pericolo per i futuri
rapporti diplomatici del Regno Unito. Se è vero che, in assenza dell’ordinanza, non avrebbe potuto
nemmeno acquisire le informazioni, ad avviso del Ministro l’ordinanza peggiorava soltanto la
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situazione di fronte ai Paesi esteri, poiché nel caso estremo prospettato non avrebbe potuto
affermare di non essere a conoscenza della minaccia, con effetti disastrosi qualora questa si fosse
concretizzata.
La Corte suprema ha riconosciuto in limine come il caso la ponesse “dinanzi a ciò che [poteva]
solamente essere ritenuta la più sgradevole delle scelte”, e che era “il male minore ciò che la Corte
[doveva] cercare, e non soluzioni perfette”. La Corte ha, all’unanimità, respinto le argomentazioni
del Ministro degli interni, stabilendo che, “sicuramente, deve costituire una difesa sostanziale
contro qualsiasi doglianza di natura diplomatica il fatto che il Ministro degli interni fosse soggetto
ad un’ordinanza definitiva ed assoluta che impediva [la comunicazione dell’informazione]”.
D’altra parte, come tra l’altro evidenziato dai ricorrenti, esistono numerosi atti internazionali che
esortano gli Stati ad assicurare che i testimoni siano tutelati contro maltrattamenti o intimidazioni,
soprattutto nel contesto dei diritti umani1. In sostanza, la Corte ha considerato le preoccupazioni del
Ministro degli interni insufficienti a giustificare un diniego, opposto ai ricorrenti ed alla SIAC, dei
possibili benefici della testimonianza. La Corte ha riconosciuto la natura “radicale” di tali tipi di
ordinanze e le difficoltà che esse possono comportare, ovvero la possibilità che tali ordinanze
possano contravvenire ai principi più basilari di giustizia trasparente; inoltre, anche se in seguito
all’udienza di valutazione delle prove la SIAC può decidere di non tener conto delle prove ivi
ascoltate, risulta difficile in pratica ignorarle del tutto; senza contare, poi, che il Ministro degli
interni non sarebbe in grado, nel corso di una tale udienza, di valutare la veridicità delle prove e non
sarebbe dunque in una posizione adeguata per controbattervi. Pur alla luce di tutto ciò, tali
considerazioni non sono state ritenute prevalenti rispetto alla necessità imperativa di assicurare il
più possibile che la SIAC giunga alla decisione giusta sulla questione relativa all’articolo 3, e
dunque sulla necessità di ottenere tutte le prove necessarie al fine di adempiere ad un tale compito.
La Corte, pur con molte riserve, ha stabilito che la SIAC ha la facoltà di emettere tali tipi di
ordinanze, e che in alcuni casi ciò potrebbe essere addirittura opportuno. Tale potere deve però
essere impiegato in via eccezionale e, prima di emettere un’ordinanza in tal senso, la SIAC deve
richiedere la divulgazione più completa possibile da parte del ricorrente del contenuto della
testimonianza, delle circostanze precise che inducono il testimone a temere rappresaglie causate
dalla sua deposizione, del modo in cui il ricorrente ed i suoi difensori legali sono venuti a
conoscenza delle prove in possesso del testimone e di quali misure hanno intrapreso per
incoraggiarlo a deporre secondo le modalità consuete previste per questo tipo di testimonianza
(ovvero con l’uso di ordinanze volte a tutelare l’anonimato ed udienze private). In ogni caso, il
Ministero degli interni deve avere la facoltà di tentare di persuadere la SIAC a sospendere il
provvedimento in modo da poter agire in base alle informazioni acquisite, o almeno a non tener
conto della testimonianza. Altrimenti detto, il potere della SIAC va esercitato in modo ragionevole
ed anche sensibile, in base all’ampia discrezionalità riconosciutale.
La Corte ha enunciato chiaramente che la decisione stabilita non è in alcun modo fondata sul
potere del Ministro degli interni di instaurare la c.d. closed material procedure dinanzi alla SIAC,
che comporta l’uso di testimonianze e prove tenute riservate, e rivelate solamente al difensore
dell’imputato (c.d. special advocate); la decisione non è dunque motivata da alcun desiderio di
“pareggiare” i poteri tra le parti, poiché tali poteri non sono comparabili. Infatti, il Ministro degli
1
La Corte cita, ad esempio, l’articolo 13 della Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti
crudeli, disumani o degradanti, ed il Principio 3(b) del Protocollo di Istanbul per un’efficace indagine e documentazione
sulla tortura o su altro trattamento o pena crudele, disumano o degradante (v. paragrafo 15 della sentenza).
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interni, in quanto carica pubblica, è necessariamente vincolato all’obbligo di agire nell’interesse
pubblico, circostanza che non si applica all’imputato.
2. In the matter of S (A Child), [2012] UKSC 10, del 14 marzo 2012
Minori – Sottrazione di minore da parte della madre ed allontanamento
verso altro Stato – Imposizione del rientro nello Stato di residenza abituale
della famiglia – Condizioni – Articolo 13(b) della Convenzione sugli aspetti
civili della sottrazione internazionale di minori – Approccio interpretativo –
Necessaria valutazione della situazione in cui venga a trovarsi il minore –
Criteri.
La Corte suprema chiarisce il diritto applicabile in materia di sottrazione internazionale di
minori, già affrontato dalla stessa Corte nel caso In re E, del 2011, la cui interpretazione da parte
della Court of Appeal nel caso di specie aveva lasciato però margini di incertezza. Il caso,
interessante già in ragione della materia trattata, ha assunto un particolare rilievo anche perché la
Corte suprema ha espresso il proprio disaccordo con un principio tratto dalla giurisprudenza della
Corte EDU.
La ricorrente era una cittadina britannica ed australiana trasferitasi in Australia assieme al primo
marito. Nel 2008, tre anni dopo il trasferimento, la coppia aveva divorziato, ed alla fine di
quell’anno la donna aveva intrecciato una relazione con un cittadino australiano, dal quale aveva
avuto un figlio. All’inizio del rapporto, l’uomo aveva confidato alla donna di essere stato
eroinomane tra il 1994 ed il 1998 e di essere stato affetto da epatite C. In seguito alla separazione
dal primo compagno, la donna aveva sviluppato forme di ansia e depressione, per le quali aveva
assunto farmaci fino alla gravidanza; in seguito alla gravidanza la donna aveva anche sostenuto un
trattamento di psicoterapia che era proseguito, telefonicamente, anche dopo il suo ritorno in
Inghilterra. I primi mesi della seconda relazione e quelli della gravidanza erano stati segnati dalle
gravi difficoltà economiche in cui versava l’impresa dell’uomo, culminate, nel maggio 2009, con il
fallimento dell’impresa. Da quel momento, le spese domestiche erano state sostenute
essenzialmente dalla donna, che lavorava come infermiera, e dai debiti contratti dalla famiglia; le
difficoltà economiche avevano portato l’uomo a ricadere in problemi di abuso di alcool e
stupefacenti. Avendolo sorpreso nell’atto di fare uso endovenoso di stupefacenti, nel gennaio 2011,
la donna aveva richiesto un’ordinanza restrittiva con cui all’uomo venisse impedito l’accesso
nell’abitazione familiare. Tre giorni dopo l’emissione dell’ordinanza, nel febbraio 2011, la donna
aveva fatto ritorno in Inghilterra portando con sé il figlio, senza il consenso del padre né il permesso
di una corte australiana, contravvenendo dunque all’articolo 3 della Convenzione sugli aspetti civili
della sottrazione internazionale di minori2. La donna ha ribattuto che un’ordinanza di ritorno
immediato del minore in Australia ai sensi della Convenzione avrebbe comportato un “fondato
rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici e psichici, o
comunque al rischio di trovarsi in una situazione intollerabile”.
Il medico e la psicologa della madre avevano entrambi affermato che un suo rientro in Australia,
ed il conseguente timore per lo stato mentale e per le azioni del padre, unitamente alla lontananza
dalla propria famiglia, avrebbero comportato una ricaduta in depressione, il che avrebbe potuto
incidere negativamente sulla sua capacità di accudire il figlio. Tale prognosi era stata avvalorata
2
Nel Regno Unito, la Convenzione è stata recepita attraverso il Child Abduction and Custody Act 1985.
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anche dallo psichiatra nominato d’ufficio da entrambe le parti, il quale aveva diagnosticato che la
madre soffriva della c.d. sindrome da donna malmenata (Battered Women’s Syndrome) e che aveva
sviluppato in seguito stress patologico. Lo stesso psichiatra riteneva che la misura necessaria per
tutelare la madre contro tali eventualità sarebbe stata la cura psichiatrica del padre. Il giudice di
prima istanza non aveva ordinato il rientro del figlio in Australia, ma il giudice della Court of
Appeal aveva invece disposto in tal senso.
La Corte suprema ha accolto all’unanimità l’appello della madre contro la decisione della Corte
d’appello che aveva ordinato l’immediato ritorno del bambino in Australia. Con l’occasione, è stata
chiarita la portata della suddetta sentenza In re E.
In quel caso, la Corte aveva stabilito che il testo dell’articolo 13(b) della Convenzione, sul quale
si fondava la difesa della madre, era chiaro nell’indicare che la giustificazione per il comportamento
tenuto dalla madre era invocabile solamente in circostanze limitate. La Corte aveva proseguito
stabilendo che, allorché fossero in discussione pretesi maltrattamenti domestici, la corte doveva
prima accertare se essi potessero comportare un grave rischio che il minore si trovasse in una
situazione intollerabile; in caso affermativo, la corte avrebbe dunque dovuto stabilire come tutelare
il minore dal rischio. Se il minore non poteva essere tutelato, allora la corte avrebbe dovuto
esaminare se gli addotti maltrattamenti fossero reali.
Nel caso presente, il giudice di primo grado, in seguito ad un’attenta disamina del materiale
probatorio, aveva concluso che molte delle gravi contestazioni mosse dalla ricorrente nei confronti
del convenuto non potevano essere negate e che la ricorrente era stata in grado di dimostrare di
essere stata vittima di abusi significativi da parte del compagno. La Court of Appeal aveva
brevemente trattato la natura del rapporto tra i genitori, ma non aveva fatto alcun riferimento ai
numerosi fatti che fondavano la tesi della madre, non giungendo quindi a percepire che i timori
della madre derivavano da elementi più importanti di mere congetture, ed omettendo altresì di dare
la giusta rilevanza alle prove mediche.
La Court of Appeal aveva precisato che la questione cruciale era quella di determinare se le
preoccupazioni e l’ansia della madre fossero realistiche e ragionevoli; approccio che, tuttavia, mal
si conciliava con quanto stabilito nel precedente giurisprudenziale In re E, nel quale la Corte
suprema aveva stabilito che una giustificazione del comportamento tenuto ai sensi dell’Articolo
13(b) poteva essere fondata sulle preoccupazioni di un genitore circa un ritorno, con il proprio
figlio, nel Paese di residenza abituale, che non erano necessariamente basate su un rischio obiettivo
nei suoi confronti ma che erano comunque tali da destabilizzare, con ogni probabilità, le sue
capacità di accudire il bambino, a tal punto da rendere la situazione del bambino intollerabile. Nella
prospettiva del caso In re E, la questione cruciale consisteva, dunque, nella valutazione di ciò che
sarebbe probabilmente accaduto una volta genitore e figlio avessero fatto ritorno nel Paese: nel caso
in cui il genitore avrebbe sofferto di ansie tali da ledere la propria salute mentale e da rendere
intollerabile la situazione per il figlio, allora il ritorno non poteva essere ordinato; la ragionevolezza
o meno del genitore non era rilevante. In ogni caso, nella specie, la fonte delle ansie provate della
madre era proprio il padre. Il grado in cui le ansie potevano ragionevolmente dirsi fondate era
rilevante non da un punto di vista oggettivo, ma ai fini dell’accertamento dello stato mentale della
madre.
La Corte suprema ha espresso la propria disapprovazione per il rovesciamento, da parte della
Court of Appeal, della valutazione del rischio per la madre effettuata dal giudice di prima istanza.
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La Corte suprema ha anche richiamato, in una postilla all’argomentazione, la giurisprudenza
della Corte EDU3 secondo la quale, in un caso riguardante la Convenzione sulla sottrazione di
minori, l’articolo 8 CEDU era tale da richiedere un esame approfondito delle circostanze oggettive
del caso; senza entrare in dettaglio, la Corte suprema ha ritenuto che né la Convenzione sulla
sottrazione, né la CEDU, rendono necessaria una tale indagine.
3. Flood (Respondent) v Times Newspapers Limited (Appellant), [2012] UKSC
11, del 21 marzo 2012
Giornalismo – Articolo giornalistico di contenuto diffamatorio –
Giustificazione della condotta del giornalista – Condizioni – Necessario
bilanciamento tra contrapposti interessi.
La sentenza tratta della c.d. “giustificazione Reynolds”, vale a dire la giustificazione che può
addursi per la divulgazione di affermazioni diffamatorie allorché questa sia effettuata nell’interesse
pubblico ed il divulgatore abbia agito in maniera responsabile nella verifica della veridicità delle
informazioni ottenute. Tale privilege è stato rinvigorito dalla Corte suprema dopo che la Court of
Appeal, ne aveva escluso l’applicabilità al caso di specie, esclusione che rischiava di limitare in
maniera significativa la libertà di stampa.
La causa di giustificazione era stata introdotta dalla House of Lords nella sentenza Reynolds v
Times Newspapers and others, del 1999, dove si era affermato che “l’elasticità dei principi di
common law permette che le interferenze con la libertà di espressione siano circoscritte a ciò che si
rende necessario nei singoli casi di specie” e che doveva essere “dato il giusto peso all’importanza
della libertà di espressione dei mezzi d’informazione su tutte le questioni di interesse pubblico”. Su
questa base, si era stabilito che la pubblicazione di materiale diffamatorio doveva ritenersi tutelato
se la pubblicazione fosse nell’interesse pubblico e se il divulgatore avesse agito in maniera
responsabile nella divulgazione.
Il caso giunto alla cognizione della Corte suprema sollevava tre questioni di principio relative al
Reynolds privilege: come valutare il significato e le implicazioni possibili di un articolo
giornalistico rivelatosi diffamatorio; come determinare la sussistenza di un interesse pubblico;
quando definire responsabile la condotta del giornalista.
Per quanto attiene alla prima questione, la gravità delle affermazioni divulgate è un elemento
importante nel bilanciamento tra l’interesse pubblico ad avere informazioni ed i possibili danni
derivanti da una diffamazione. In questo tipo di casi, si è soliti procedere in via preliminare alla
determinazione dell’esistenza del Reynolds privilege, ma ciò rende necessario determinare il
significato e le possibili implicazioni dell’articolo giornalistico (ciò che sarà utile anche durante la
fase dell’accertamento relativo alla terza questione). In certi casi, infatti, un articolo giornalistico
può avere più di un significato: per questa evenienza, la Corte suprema ha stabilito che il giornalista
è tenuto a tenerli in considerazione tutti in sede di verifica della veridicità delle informazioni e nella
decisione di pubblicare.
Con riferimento all’interesse pubblico, la parte asseritamente danneggiata aveva argomentato
che, pur trattando l’articolo di una tematica di interesse pubblico, quale la corruzione nelle forze di
polizia, le affermazioni in esso contenute non lo erano. La Corte non ha disconosciuto la fondatezza
3
Neulinger e Shuruk c. Svizzera e X c. Latvia, entrambi del 2011.
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di tale asserzione, ma ha sottolineato la necessità di prestare attenzione alle circostanze peculiari del
caso. La vicenda era di notevole importanza pubblica e le affermazioni diffamatorie contenute
nell’articolo costituivano parte della notizia. Esse erano state divulgate con l’obiettivo legittimo di
assicurarsi che su certe vicende venissero svolte indagini, avendo il giornalista avuto valide ragioni
per dubitare che fino a quel momento non ci fossero state. Anche l’identificazione nominativa
dell’individuo in questione era giustificata, sia perché sarebbe stato identificato comunque da parte
dei suoi colleghi, sia perché non si poteva rischiare che altri membri della sua unità venissero
sospettati.
Sulla condotta del giornalista, ed in particolare sulla verifica della veridicità delle informazioni
che si impone al fine di adempiere ai requisiti del giornalismo responsabile, la Corte ha affermato
che il caso di specie non coinvolgeva un reportage, ovvero una pubblicazione giornalistica nel
quale l’interesse pubblico sta nel fatto stesso che una certa affermazione venga fatta. In un caso
come quello di specie, l’interesse pubblico riguardava il contenuto delle affermazioni e la loro
veridicità; pertanto, il Reynolds privilege sarebbe stato applicabile solo se il giornalista riteneva
onestamente e ragionevolmente che i fatti pubblicati fossero veritieri. In concreto, i fatti che
sembravano suffragare le informazioni ottenute erano veritieri ed erano stati verificati. Era
ragionevole, dunque, per il giornalista, concludere circa il carattere non diffamatorio delle
affermazioni che inseriva nell’articolo.
Nella decisione, la Corte suprema ha più in generale proposto un bilanciamento tra i diritti
dell’agente di polizia diffamato, sanciti dall’articolo 8 CEDU, e quelli del giornalista, tutelati
dall’articolo 10 CEDU. La Corte ha ammonito contro una assimilazione eccessiva tra la
diffamazione ed altri casi in cui è necessario operare un bilanciamento del tipo suddetto: “la
creazione del Reynolds privilege era il frutto della constatazione, da parte della House of Lords, che
la normativa sulla diffamazione non prestava attenzione sufficiente alla rilevanza della libertà di
espressione sancito dall’articolo 10 CEDU”.
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SPAGNA
a cura di Carmen Guerrero Picó
1. STC 20/2012, del 16 febbraio
Processo civile – Persone giuridiche soggette all’imposta sulle società e con
un fatturato alto – Instaurazione di un giudizio – Assoggettamento a tasse
giudiziarie – Asserita violazione del diritto alla tutela giurisdizionale –
Giudizio in via incidentale – Sussistenza di limiti al principio di gratuità
della giustizia – Rigetto.
Il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto la questione sollevata in via incidentale dal
Juzgado de Primera Instancia n. 8 di La Coruña avente ad oggetto l’art. 35, comma 7, par. 2, della
legge n. 53/2002, del 30 dicembre, recante misure fiscali, amministrative e di ordine sociale.
La norma contestata ha creato una tassa giudiziaria per l’esercizio del diritto di azione nei
processi civili e amministrativi, cui sono state assoggettate le persone giuridiche con fini di lucro,
soggette all’imposta sulle società e con un fatturato netto nel periodo impositivo precedente
superiore a sei milioni di euro. Ad avviso del giudice proponente, la norma si poneva in contrasto
con il diritto di accesso alla giustizia, uno dei profili del diritto alla tutela giurisdizionale di cui
all’art. 24, comma 1, Cost. Il Tribunale costituzionale ha circoscritto il thema decidendum all’analisi
della legittimità costituzionale della tassa che grava sulla presentazione della domanda nel processo
civile1, unico aspetto della norma applicabile nel processo a quo.
Nell’atto di promovimento non sono stati sollevati dubbi riguardo alla finalità della tassa
giudiziaria di “finanziare il servizio pubblico dell’Amministrazione della giustizia da parte dei
soggetti che più beneficiano dell’attività giurisdizionale”. A questo proposito, il Tribunale
costituzionale ha ricordato che “la giustizia può essere dichiarata gratuita, come ha fatto la legge n.
25/1986 [legge di soppressione delle tasse giudiziarie]; ma è palese che la giustizia non sia gratuita.
Se i soggetti coinvolti non pagano il costo del funzionamento della giustizia, il potere giudiziario
deve essere finanziato mediante imposte versate dai contribuenti. Nonostante sia evidente che la
giustizia, in quanto garanzia dello Stato di diritto, implica benefici collettivi che trascendono
l’interesse del singolo, il suo finanziamento puro, mediante imposte [generali], comporterebbe che
cittadini che non si rivolgono mai ai tribunali contribuiscano a finanziare le attività svolte dai
tribunali e dagli organi di giustizia a beneficio di coloro che chiedono giustizia una volta, più volte
oppure molte volte. Optare per un modello di finanziamento della giustizia civile mediante imposte
o per un altro modello in cui i soggetti coinvolti debbono sostenere le spese che la loro domanda di
giustizia genera mediante tasse o contributi, oppure [prediligere] uno qualunque dei possibili
modelli misti, dove il funzionamento dei tribunali della giurisdizione civile è finanziato
parzialmente a carico di imposte e tasse pagate da chi risulta beneficiario dell’azione giudiziaria
[…] è una decisione che in democrazia [...] spetta al legislatore.
1
Il cancelliere non dà corso alle domande civili che non siano accompagnate dal documento che prova il pagamento
della tassa giudiziale e le domande saranno dichiarate inammissibili dal tribunale trascorsi i 10 giorni previsti per sanare
il mancato pagamento.
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“[...] Parimenti, la libertà di configurazione della disciplina da parte del legislatore raggiunge il
versante della spesa pubblica. [...] La Costituzione non ha sancito la gratuità dell’amministrazione
di giustizia, bensì «un diritto alla gratuità della giustizia […] nei casi e con le forme che il
legislatore determini» (art. 119 Cost.). Il legislatore potrà attribuire il beneficio del patrocinio
gratuito alle persone che possiedano le caratteristiche ed i requisiti che si ritengano rilevanti, potrà
modulare la gratuità in funzione del tipo di giurisdizione coinvolta – penale, del lavoro, civile, etc. –
o anche [a seconda] del tipo di processo nonché, ovviamente, in funzione delle risorse economiche
di cui possa disporre in ogni momento” (FJ 8).
Nella fattispecie, considerando che sono soggette al pagamento della tassa giudiziaria solo le
persone giuridiche che fatturano più di sei milioni di euro l’anno, il regime stabilito “è pienamente
rispettoso delle previsioni costituzionali sulla gratuità della giustizia. Come già dichiarato nella
sentenza n. 117/1998, del 2 giugno, il contenuto indisponibile del diritto alla giustizia gratuita è solo
riconducibile alla persona fisica, l’unica di cui può parlarsi del «livello minimo di sussistenza
personale o familiare» cui si riferisce l’art. 119 Cost., e che, a differenza delle persone giuridiche,
non è una creazione del legislatore (FFJJ 4 e 5). Malgrado il diritto alla tutela giurisdizionale
protegga tanto le persone fisiche quanto le persone giuridiche […], non si deve dimenticare che la
situazione delle une e delle altre è diversa riguardo alla gratuità della giustizia.
“Questi criteri sono stati confermati pienamente dalla Corte EDU. Nell’ordinanza O’Limo contro
Spagna, del 24 novembre 2009 (causa n. 33732/05), questa ha concluso che il sistema stabilito dal
legislatore spagnolo per agevolare l’assistenza legale gratuita offre «garanzie sostanziali» per il
diritto di accesso ai tribunali, nonostante ne rimangano esclusi le società commerciali o le
associazioni che […] non sono di pubblica utilità (§ 25) […].
“Ad ogni modo, dalla nostra prospettiva, dobbiamo evidenziare che non viola la Costituzione
una norma di rango legislativo che sottoponga enti commerciali, con un elevato volume di
fatturazione, al pagamento di alcune tasse che servono per finanziare i costi generati dall’attività
svolta per giudicare le domande che liberamente decidono di presentare dinanzi ai tribunali della
giurisdizione civile per difendere i loro diritti ed interessi legittimi” (FJ 9). La tassa risulterebbe,
invece, illegittima se si dimostrasse che l’ammontare è tanto elevato da ostacolare in concreto
l’accesso alla giurisdizione o che lo ha ostacolano in termini irragionevoli in un caso concreto (FJ
10).
A sostegno della sua tesi, il Tribunale costituzionale menziona anche la sentenza della Corte
EDU Kreuz contro Polonia, del 19 giugno 2001 (causa n. 28249/95), e ribadisce che i suoi criteri
sono condivisi dall’Unione europea, alla luce di come l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali,
sul diritto alla tutela giurisdizionale, è stato interpretato nella sentenza DEB Deutsche
Energiehandels- und Beratungsgesellschaft mbH della Corte di giustizia, del 22 dicembre 2010
(causa n. C-279/09). In quest’ultima pronuncia non si discute il finanziamento dell’attività
giurisdizionale da parte delle imprese che instaurano liti civili, ma si stabilisce che il principio di
tutela giurisdizionale impone che una persona giuridica che invochi nel processo diritti riconosciuti
dal diritto comunitario possa ottenere la dispensa del pagamento anticipato delle spese processuali
(solo) se tale pagamento, anteriormente alla sentenza, costituisca un ostacolo insuperabile per il suo
accesso alla giustizia. Tale affermazione si pone in piena sintonia con le esigenze desumibili
dall’art. 24, comma 1, della Costituzione spagnola (FJ 10).
2. STC 22/2012, del 16 febbraio
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Sanità
–
Istituti
legittimati
a
gestire
cellule
e
tessuti
umani – Disciplina – Norme statali recanti principi generali, di
coordinamento e di disciplina dei controlli – Asserita violazione delle
competenze normative della Comunità autonoma di Madrid – Conflitto
positivo di competenza – Rigetto.
Il plenum del Tribunale costituzionale ha respinto il conflitto positivo di competenza con cui la
Comunità autonoma di Madrid chiedeva che fosse dichiarata la violazione delle sue competenze in
materia di sanità conseguente al regio decreto n. 1301/2006, del 10 novembre, con cui si
stabiliscono le norme sulla qualità e la sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, la
valutazione, la lavorazione, la preservazione, la conservazione e la distribuzione di cellule e di
tessuti umani e con cui si approvano le norme di coordinamento e di attuazione per il loro uso su
esseri umani.
Il regio decreto disciplina le attività collegate all’utilizzo di cellule e tessuti umani ed i prodotti
elaborati da loro derivati, quando siano destinati ad applicazioni sull’uomo. Il sistema di
accreditamento, designazione, autorizzazione o licenza degli istituti legittimati a gestire i tessuti è
gestito dalle Comunità autonome.
Ad avviso dei rappresentanti della Comunità di Madrid, lo Stato avrebbe disciplinato la materia
in un modo tanto esaustivo da ledere la competenza autonomica di autorganizzazione. In
particolare, le doglianze hanno riguardato: la cadenza con cui le autorità autonomiche debbono
realizzare le ispezioni periodiche negli istituti; la fissazione dei termini di validità delle
autorizzazioni per gli istituti; la possibilità di estendere il controllo a terzi che abbiano stabilito
rapporti contrattuali con gli istituti; l’impossibilità di ottenere l’autorizzazione per istituti aventi fini
di lucro; il sistema di scambio di informazioni con l’Organizzazione nazionale dei trapianti.
Nel sistema costituzionale e statutario di ripartizione delle competenze in materia di sanità,
spettano allo Stato la determinazione delle bases (principi normativi generali che conformano
oppure disciplinano una determinata materia), il coordinamento generale (consistente nel fissare i
mezzi ed i sistemi di interrelazione che rendano possibile l’informazione reciproca, l’omogeneità
tecnica su alcuni aspetti e l’azione congiunta delle autorità statali e autonomiche nell’esercizio delle
rispettive competenze) e l’alta ispezione (strumento di verifica o controllo che può portare, se del
caso, ad attivare i controlli costituzionalmente stabiliti a beneficio delle Comunità autonome, ma
che non può sostituirli) (FJ 3).
Innanzi tutto, il regio decreto n. 1301/2006 ha sancito che le autorità autonomiche competenti
effettueranno ispezioni periodiche per garantire che gli istituti autorizzati adempiano ai requisiti del
decreto ed applichino le misure di controllo di qualità sollecitate. L’intervallo tra due ispezioni sarà
di due anni (art. 35, comma 4). Il Tribunale costituzionale ha considerato che lo stabilimento di una
certa periodicità nelle ispezioni non viola le competenze di esecuzione della Comunità di Madrid.
La previsione, pur non rientrando nell’alta ispezione che spetta allo Stato, rientra comunque nella
competenza di coordinamento generale della sanità. Si tratta, infatti, di una norma di sicurezza che
mira a stabilire un criterio comune di controllo o di valutazione dell’efficacia su tutto il territorio
dello Stato (FJ 5).
In secondo luogo, le attività con cellule e tessuti umani si possono realizzare solo nei centri o
unità sanitarie autorizzati dalle autorità competenti ed il regio decreto specifica il termine di validità
delle autorizzazioni: tra due e quattro anni (artt. 14, comma 2, e 26, comma 2). Neanche in questo
caso si constata una violazione delle competenze autonomiche relative all’organizzazione dei piani
di ispezione dell’Assessorato della sanità. Secondo il plenum del Tribunale costituzionale, il termine
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di validità minimo e massimo forma parte del contenuto della autorizzazione che si concede ed è
una norma básica, in quanto risponde alla necessità di garantire su tutto il territorio dello Stato la
qualità e la sicurezza dei tessuti e delle cellule. In effetti, l’autorizzazione amministrativa è uno
strumento di intervento, di natura preventiva, che protegge l’interesse generale; ed è proprio la
tutela dell’interesse generale ciò che giustifica che lo Stato fissi un periodo di validità delle
autorizzazioni che permettono di portare a termine attività collegate all’approvvigionamento, allo
stoccaggio ed alla distribuzione di cellule e tessuti umani. Fissare un periodo di validità per
l’autorizzazione superiore a quattro anni può diminuire la garanzia che l’attività venga posta in
essere con le necessarie condizioni di qualità e sicurezza. Inoltre, fissare un periodo di validità non
inferiore a due anni è in intima connessione con l’art. 35, comma 4, che prevede che le garanzie di
qualità e sicurezza siano ispezionate dalle autorità in periodi che non eccedano i due anni, per cui
risulta coerente che le autorizzazioni siano vigenti, come minimo, durante quel periodo (FJ 6).
In terzo luogo, l’art. 35, comma 6, del regio decreto n. 1301/2006 prevede che l’ispezione
riguarderà, non solo gli istituti, ma anche i terzi con cui siano stati stabiliti rapporti contrattuali
attinenti alle infrastrutture, ai documenti ed alle informazioni relativi alla materia trattata dalla
norma statale. Questa previsione implicherebbe un notevole cambiamento nell’ambito dei
programmi di ispezione, oltrepassando il limite oggettivo finora proprio delle bases, con
conseguente compressione della capacità di organizzazione della Comunità autonoma. Ciò posto, il
plenum ritiene che la determinazione dell’ambito obiettivo e soggettivo dell’attività di ispezione
costituisca comunque un elemento normativo básico che spetta allo Stato, nella misura in cui tende
a fissare un ambito comune in materia di ispezioni a partire dal quale ogni Comunità autonoma
potrà sviluppare le proprie competenze (FJ 7).
In quarto luogo, l’art. 3, comma 5, del regio decreto n. 1301/2006 impone che gli istituti
autorizzati non possano avere fini di lucro, potendo soltanto recuperare i costi effettivi dei servizi
prestati per la realizzazione delle attività autorizzate. Per la Comunità di Madrid questa disposizione
limita la possibilità che si stabiliscano imprese dedicate al deposito di cellule del cordone
ombelicale, dato che non si prevede un beneficio commerciale, di talché si limita indirettamente la
libertà di impresa dell’art. 38 Cost. Il Tribunale costituzionale non entra nel merito della questione,
adducendo il fatto che non si rivendica l’esercizio di una competenza autonomica (FJ 8).
Infine, gli artt. 26 comma 4, 30, comma 2, 13 e 28 del regio decreto n. 1301/2006 stabiliscono un
sistema di scambio e comunicazione di informazioni. In questo caso, non si pone in questione la
decisione statale di centralizzare in un registro nazionale l’informazione sugli istituti e sulle unità o
centri autorizzati di approvvigionamento e di applicazione di cellule e tessuti umani: ad essere
contestato è il circuito nell’ambito del quale l’informazione viene comunicata. In particolare, si ha
l’obbligo di comunicare l’informazione all’Organización Nacional de Trasplantes da parte sia
dell’autorità sanitaria competente che delle unità di coordinamento di trapianti delle Comunità
autonome. Secondo il plenum, il fatto che la norma statale stabilisca un tale sistema di informazione
risponde alla necessità di stabilire meccanismi di informazione coordinati tra i diversi organi
competenti in materia, perché solo così l’Organizzazione nazionale dei trapianti può adempiere alla
sua funzione di coordinare le attività di donazione, estrazione, preservazione, distribuzione e
trapianto di organi, tessuti e cellule nell’insieme del sistema sanitario spagnolo. Trattasi, pertanto, di
una manifestazione della funzione di coordinamento costituzionalmente attribuita allo Stato in
materia sanitaria. Il fatto che il sistema di informazione previsto può porre eventuali problemi di
funzionamento alla Comunità autonoma, esigendo una doppia comunicazione all’Organizzazione
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nazionale di trapianti da parte di due organi della Comunità, non rileva in sede di giudizio del
Tribunale costituzionale, donde il rigetto della doglianza della Comunità di Madrid (FJ 9).
3. STC 37/2012, del 19 marzo
Giurisprudenza – Ricorso nell’interesse della legge – Doctrina legal del
Tribunale supremo – Asserita violazione di norme costituzionali – Giudizio
in via incidentale – Ammissibilità del ricorso avente ad oggetto
l’interpretazione della legge – Valore vincolante della doctrina legal –
Rigetto nel merito – Opinioni dissenzienti.
Il 19 marzo il plenum del Tribunale costituzionale si è riunito a Cadice in occasione del
bicentenario della promulgazione della Costituzione spagnola del 1812. Nell’occasione, ha respinto
la questione sollevata in via incidentale dal Juzgado de lo Contencioso-administrativo n. 1 di Elche,
avente ad oggetto l’art. 81 del texto articulado della legge sul traffico, sulla circolazione dei veicoli
a motore e sulla sicurezza stradale, approvato con regio decreto legislativo n. 339/1990, del 2
marzo, e l’art. 132 della legge n. 30/1992, del 26 novembre, recante il regime giuridico delle
amministrazioni pubbliche e della procedura amministrativa comune, così come interpretati dalla
sala amministrativa del Tribunale supremo (nelle sentenze del 15 dicembre 2004 e del 22 settembre
2008).
Il giudice proponente riteneva violati gli artt. 9, comma 3 (principio di certezza del diritto), 117,
comma 1 (indipendenza giudiziaria), e 123, comma 1 (supremazia del Tribunale costituzionale in
materia di garanzie costituzionali) della Costituzione. Sussidiariamente, sollevava identiche
doglianze di legittimità nei confronti dell’art. 100, comma 7, della legge n. 29/1998, del 13 luglio,
che disciplina la giurisdizione contenzioso-amministrativa (d’ora in avanti, LJCA).
L’oggetto del giudizio riguardava la prescrizione delle infrazioni e delle sanzioni amministrative
ed il silenzio amministrativo, ma la decisione riguarda essenzialmente l’art. 100, comma 7, LJCA,
secondo cui “la sentenza [del Tribunale supremo] emessa [nei ricorsi nell’interesse della legge]
rispetterà, in ogni caso, la situazione giuridica privata derivata dalla sentenza impugnata e, in caso
di accoglimento del ricorso, il dispositivo fisserà la doctrina legal. In quest’ultimo caso, la sentenza
sarà pubblicata nel Bollettino Ufficiale dello Stato e, una volta pubblicata, sarà vincolante per tutti i
giudici e tribunali inferiori di grado della giurisdizione amministrativa”.
La sentenza desta notevole interesse perché il Tribunale costituzionale si è pronunciato sul valore
delle sentenze che accolgono ricorsi di cassazione nell’interesse della legge e sulla possibile
violazione da parte loro del principio costituzionale dell’indipendenza giudiziaria (art. 117, comma
1, Cost.). Inoltre, è stato chiarito che gli organi giudiziari possono utilizzare il giudizio in via
incidentale quando dubitano della legittimità dell’interpretazione data dal Tribunale supremo
all’accogliere un ricorso nell’interesse della legge.
a) Sul valore della giurisprudenza del Tribunale supremo come fonte del diritto e sulla
possibilità di adire il Tribunale costituzionale attraverso il giudizio in via incidentale (FJ 2)
L’avvocato dello stato e il pubblico ministero avevano propugnato rispettivamente
l’inammissibilità del ricorso del giudice a quo e la sua infondatezza, giacché i dubbi di
costituzionalità non si proiettavano sulle norme applicabili alla fattispecie ma sull’interpretazione
data dal Tribunale supremo nel giudicare due ricorsi nell’interesse della legge. Per contro, il plenum
del Tribunale costituzionale, pur riconoscendo che l’interpretazione giurisprudenziale di una norma
non può essere oggetto di una “questione di incostituzionalità”, ribadisce la singolarità della
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doctrina legal fissata dal Tribunale supremo nelle sentenze di accoglimento di ricorsi di cassazione
nell’interesse della legge. Questa, secondo quanto disposto dal legislatore, “concretizza il contenuto
normativo” delle norme applicabili al caso di specie, per cui “non solo ha il valore complementare
dell’ordinamento giuridico che l’art. 1, comma 6, del codice civile riconosce alla giurisprudenza del
Tribunale supremo”, ma gode di “vera e propria forza vincolante per i giudici ed i tribunali inferiori
di grado”, che, di conseguenza, devono attenersi all’interpretazione legale data dal Tribunale
supremo.
Il plenum riconosce che, in casi di questo tipo, il fulcro del giudizio in via incidentale non è la
legittimità di una semplice interpretazione giurisprudenziale del Tribunale supremo, ma la
legittimità di norme il cui contenuto preciso è quello che il Tribunale supremo ha stabilito
all’accogliere un ricorso nell’interesse della legge. L’organo inferiore è obbligato ad applicare le
norme con il contenuto stabilito dalla sala amministrativa del Tribunale supremo, pena la violazione
del diritto alla tutela judicial efectiva (art. 24, comma 1, Cost.), e, nel caso in cui dubiti della
legittimità della doctrina legal del Tribunale supremo, non può disapplicarla, ma è obbligato a
rivolgersi al Tribunale costituzionale attraverso il giudizio in via incidentale.
b) Sulla possibile violazione del principio costituzionale dell’indipendenza giudiziaria (FFJJ 37)
Prima di pronunciarsi su questo argomento, il Tribunale costituzionale traccia le caratteristiche
del ricorso per cassazione nell’interesse della legge nella giurisdizione amministrativa, che è
sussidiario rispetto al ricorso per cassazione e che ha sempre avuto natura eccezionale, sia perché la
legge limita i soggetti legittimati a presentarlo, sia per i suoi effetti. La finalità delle sentenze di
accoglimento è quella di stabilire una giurisprudenza con valore vincolante, tenendo ferma la forza
di giudicato della decisione oggetto di impugnazione. Alla tradizionale funzione nomofilattica di
protezione del diritto che è propria del ricorso per cassazione, nel ricorso per cassazione
nell’interesse della legge si aggiunge una funzione integratrice o di omogeneizzazione del diritto, a
garanzia dell’applicazione uniforme della legge su tutto il territorio nazionale ed al fine di evitare il
perpetuarsi di criteri interpretativi erronei e gravemente dannosi per l’interesse generale (FJ 3).
D’altra parte, senza l’indipendenza giudiziaria non si ha Stato di diritto, elemento essenziale di
uno Stato costituzionale (FFJJ 4-6). L’indipendenza giudiziaria (art. 117, comma 1, Cost.) connota
tutti i giudici e magistrati nell’esercizio della funzione giurisdizionale ed implica che essi siano
sottoposti unicamente ed esclusivamente alla legge, senza essere vincolati ad ordini, istruzioni o
indicazioni di alcun potere pubblico, ivi compresi i tribunali superiori di grado 2. Ciò nondimeno, il
Tribunale costituzionale ritiene che la natura vincolante che ha per gli organi giudiziari inferiori la
doctrina legal che il Tribunale supremo stabilisce quando accoglie ricorsi nell’interesse della legge
nella giurisdizione amministrativa non viola l’indipendenza giudiziaria, perché la sua natura
vincolante, voluta dal legislatore, ha come finalità quella di “preservare interessi costituzionalmente
garantiti, come il principio di certezza del diritto (art. 9, comma 3, Cost.) e l’applicazione uniforme
del diritto su tutto il territorio nazionale (artt. 1, comma 1, 14 e 139, comma 1, Cost)”. Inoltre, il
plenum sostiene che la loro indipendenza sia garantita anche dalla possibilità che i giudici hanno di
2
L’indipendenza giudiziaria permette che gli organi giudiziari inferiori dissentano, mediante un ragionamento
fondato in punto di diritto, da quanto sostenuto da tribunali superiori e anche dalla stessa giurisprudenza del Tribunale
supremo, se del caso, senza che si violi il principio di uguaglianza nell’applicazione della legge né quello di tutela
giurisdizionale.
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sollevare una “questione di incostituzionalità” quando ritengano che la dottrina del Tribunale
supremo possa essere illegittima (FJ 7).
Infine, per quanto riguarda la specifica problematica della “questione di incostituzionalità”, il
Tribunale costituzionale dichiara che la doctrina legal del Tribunale supremo sul computo dei
termini di prescrizione delle infrazioni e delle sanzioni amministrative, secondo cui il ritardo
dell’Amministrazione nella risoluzione esplicita di un recurso de alzada contro una risoluzione
sanzionatrice non produce prescrizione, non è contraria al principio di certezza del diritto (art. 9,
comma 3, Cost.) né alla giurisprudenza costituzionale sul silenzio amministrativo (FJ 8). Il precetto
normativo è, infatti, enunciato con sufficiente chiarezza ed elimina qualsiasi ombra di incertezza sul
contenuto e sulla portata della fissazione del dies a quo nel computo del termine di prescrizione
delle infrazioni e delle sanzioni amministrative.
Su quest’ultimo punto non si è avuta l’unanimità: sono quattro i giudici costituzionali (il
vicepresidente Eugeni Gay Montalvo ed i giudici costituzionali Pablo Pérez Tremps, Adela Asua
Batarrita e Luís Ortega Álvarez) che hanno redatto opinioni dissenzienti, in cui si argomenta il
contrasto della dottrina legale del Tribunale supremo con il principio di certezza del diritto.
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STATI UNITI
a cura di Sarah Pasetto
1. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-699, del 26 marzo 2012; Zivotofsky, by his parents
and guardians, Zivotofsky et ux. v. Clinton, Secretary of State
Stato civile – Legge sulla registrazione su documenti ufficiali del luogo di
nascita – Nascita a Gerusalemme – Possibilità di richiedere la registrazione
di Israele come luogo di nascita – Rigetto della richiesta per l’esistenza di
una policy governativa contraria – Ricorso di fronte ai giudici federali –
Asserita esistenza di una political question – Corte suprema – Esclusione –
Rinvio del caso al giudice di primo grado.
Il ricorrente dinanzi alla Corte suprema è nato a Gerusalemme; la madre aveva chiesto che il
luogo di nascita del richiedente venisse indicato come “Israele”, in una certificazione consolare di
nascita all’estero ed anche sul passaporto, ai sensi del Foreign Relations Authorization Act, Fiscal
Year 2003. L’Act stabilisce, alla section 214(d), che “ai fini della registrazione della nascita, della
certificazione della nazionalità, o del rilascio di un passaporto di un cittadino statunitense nato nella
città di Gerusalemme, il Segretario, su richiesta del cittadino o del tutore legale del cittadino, può
registrare Israele come il luogo di nascita”. Nella specie, i funzionari del governo statunitense
avevano però respinto la richiesta in base ad una policy dello State Department che proibisce la
registrazione di Israele come luogo di nascita per coloro che sono nati a Gerusalemme. La District
Court, in primo grado, ha respinto il ricorso del richiedente affermando che si trattava di una
questione politica non sottoponibile a giudizio, vertendosi dello status politico della città di
Gerusalemme. In secondo grado, la D.C. Circuit Court aveva confermato tale sentenza, motivando
la propria decisione sul fatto che la Costituzione conferisce all’esecutivo il potere esclusivo di
riconoscere la sovranità di Stati esteri, e che l’esercizio di un tale potere non può essere controllato
dalle corti.
La Corte suprema ha ripercorso la propria giurisprudenza, per evidenziare che una disputa
“solleva una questione politica […] se vi è una ‘attribuzione costituzionale testualmente
dimostrabile della questione ad un dipartimento politico; oppure se mancano standards per la sua
risoluzione conoscibili e gestibili dagli organi di giustizia’”1. Le corti inferiori avevano affermato la
sussistenza nella specie di una questione politica perché, secondo la Corte suprema, avevano mal
compreso la problematica sottesa alla controversia, presumendo che la risoluzione della richiesta
dei Zivotofsky avrebbe reso necessaria una definizione, da parte del potere giudiziario, della policy
statunitense nei confronti dello status della città di Gerusalemme. In realtà, nel caso di specie si
richiedeva ben altro, e cioè semplicemente se Zivotofsky potesse far valere il proprio diritto fondato
su una legge di scegliere se far registrare Israele come luogo di nascita sul suo passaporto, ciò che
rientra chiaramente nei limiti del potere giudiziario.
Inoltre, poiché l’interpretazione della section 214(d) di cui sopra non era contestata dalle parti,
l’unica vera questione che doveva essere decisa in via giudiziaria era la costituzionalità della legge.
Al riguardo, non vi era alcuna “attribuzione costituzionale testualmente dimostrabile della questione
1
Nixon v. United States, 506 U.S. 224, 228 (1993).
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ad un dipartimento politico”: almeno sin dai tempi della sentenza Marbury v. Madison, la Corte
suprema ha riconosciuto che è di competenza del potere giudiziario determinare la costituzionalità
di una legge. Né sussisteva una “mancanza di standards per la sua risoluzione conoscibili e gestibili
dagli organi di giustizia” per risolvere la questione, come dimostrato dal fatto che entrambe le parti
avevano avanzato argomentazioni giuridiche dettagliate sulla costituzionalità o meno della section
214(d).
Poiché le corti inferiori erano giunte erroneamente alla conclusione che il caso sollevava una
questione politica, e non avevano pertanto esaminato il merito della vicenda, la Corte suprema,
ribadendo di essere una corte “di controllo finale e non di esame iniziale”, ha rinviato il caso al
giudice di primo grado.
2. 565 U.S. ____ (2012), No. 10-1024, del 28 marzo 2012; Federal Aviation
Administration et al. v. Cooper
Risarcimento dei danni – Privacy Act – Utilizzo della locuzione “actual
damages” – Ambiguità – Corte suprema – Interpretazione che, nel dubbio,
deve essere favorevole alla parte pubblica – Limitazione ai danni
patrimoniali ed esclusione dei danni non patrimoniali.
Un pilota sieropositivo, parte convenuta dinanzi alla Corte suprema, ha omesso di divulgare la
sua malattia alla Federal Aviation Agency, ente incaricato tra l’altro di certificare l’idoneità al
lavoro di piloti, rilasciando all’uopo certificazioni mediche. All’epoca dei fatti, la Agency non
rilasciava certificati medici di idoneità ad individui sieropositivi. Il pilota aveva ottenuto l’idoneità
ed aveva continuato a lavorare. Successivamente, il pilota aveva chiesto ed ottenuto sussidi sanitari
a lungo termine presso la Social Security Administration in ragione della sua malattia. In seguito, il
Department of Transportation aveva avviato un’indagine per identificare i piloti inidonei per motivi
medici: il Department e la Administration si erano scambiati i rispettivi dati ed il pilota era stato
così identificato. La sua licenza era stata revocata ed era stato condannato al pagamento di una
multa e ad un periodo di libertà vigilata. Il pilota aveva denunciato i tre enti coinvolti per aver
asseritamente violato il Privacy Act del 1974, che contiene un elenco dettagliato di condizioni per la
gestione dei dati in possesso di organi del potere esecutivo. L’Act permette ricorsi per ottenere
risarcimenti per danni effettivi (c.d. actual damages) se il Governo viola intenzionalmente le
condizioni poste dall’Act con ripercussioni negative per l’individuo. Il pilota aveva asserito che
l’illecita divulgazione al Department of Transportation di informazioni mediche riservate aveva
comportato altresì danni psicologici ed emotivi.
Il giudice di primo grado aveva stabilito che il Governo aveva violato l’Act ma, vista l’ambiguità
della locuzione “actual damages”, l’immunità sovrana doveva portare ad un’interpretazione a
favore del Governo, donde l’affermazione secondo cui l’Act non autorizzava il risarcimento di
danni non materiali. La Corte d’appello del Ninth Circuit aveva invece escluso l’ambiguità della
locuzione, donde la risarcibilità anche dei danni derivanti da sofferenze psicologiche ed emotive.
La Corte suprema ha rovesciato la decisione giudice di secondo grado, con una opinion redatta
dal Justice Alito cui hanno aderito altri quattro giudici; una opinion dissenziente è stata sottoscritta
da tre giudici2.
2
La Justice Kagan non ha partecipato alla discussione del caso.
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29
Facendo riferimento alla propria giurisprudenza, la Corte suprema ha rilevato che una
limitazione dell’immunità sovrana dello Stato deve essere espressa in termini chiari e non ambigui
nel testo della legge; qualsiasi ambiguità deve quindi essere risolta a favore dello Stato.
Quando il Congresso statunitense ha utilizzato la locuzione “actual damages”, era
“presumibilmente consapevole” di ciò che avrebbe significato, ed ha dunque implicitamente
adottato “anche l’insieme di principi collegati a ciascuna parola, sviluppatisi nel contesto giuridico
dal quale le parole stesse sono state estrapolate”. Nella specie, il significato delle parole “actual
damages”, anche nel contesto giuridico, è ben lungi dall’essere inequivocabile. Anche se la
locuzione è stata spesso interpretata nel senso di includere danni non patrimoniali, non sono
mancati casi di interpretazioni più restrittive, per far riferimento solamente a danni patrimoniali.
Data la natura “camaleontica” del termine, lo si deve leggere nel contesto legislativo nel quale
compare.
Il Privacy Act ha obiettivi simili alla normativa sulla diffamazione ed ai torts sulla riservatezza.
La previsione che esso reca secondo cui i richiedenti possono ottenere un risarcimento minimo di $
1.000 se sono in grado di dimostrare di aver subito almeno in qualche misura dei danni materiali,
“rispecchia” i torts di common law di libel per quod e slander3, in seguito ai quali i richiedenti
possono ottenere un risarcimento per “danni generali” (general damages) se sono in grado di
dimostrare preventivamente di aver subito danni c.d. “speciali” (special damages). I danni speciali,
limitati alle perdite di ordine pecuniario, devono essere oggetto di una richiesta specifica avanzata
al giudice e debbono essere provati; i danni generali, invece, riguardano le perdite di natura non
pecuniaria e non devono essere né specificamente richiesti né provati. Questo schema è stato dalla
Corte esteso attraverso una assimilazione degli “actual damages” di cui al Privacy Act agli “special
damages”, con la duplice conseguenza di limitare i danni a quelli patrimoniali e di imporre al
richiedente la prova dei danni concretamente subiti. La assimilazione è stata suggerita anche
dall’uso promiscuo che il Congresso, in altre circostanze, ha fatto degli aggettivi “actual” e
“special” riferiti ai “damages”. D’altra parte, in casi di diffamazione e privacy inerenti al common
law, i danni speciali ed i danni generali sono gli unici modi per ottenere risarcimenti: poiché il
Congresso ha espressamente escluso risarcimenti per danni generali, è ragionevole dedurre che il
Congresso abbia inteso i danni “actual” di cui al Privacy Act come “danni speciali derivanti da
danno pecuniario comprovato”.
La Corte ha ammesso che l’interpretazione contraria non è del tutto inconcepibile. Poiché, però,
il Congresso non ha agito in maniera inequivocabile, la Corte ha adottato l’interpretazione restrittiva
sull’assunto che la limitazione delle prerogative sovrane dello Stato richiede una esplicitazione che,
nella specie, non era data.
3
I torts citati possono essere tradotti, non senza approssimazione, come diffamazione circostanziata per scritto e
diffamazione orale.
aprile 2012
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