Nostalgia - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna Capitana

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Nostalgia - Biblioteca Provinciale di Foggia La Magna Capitana
Ciro Mundi
Nostalgia
di Ciro Mundi
Carl Gustav Jung, psicoanalista, fondatore della Psicologia analitica, pubblicò nel 1952, in collaborazione con Wolfang Pauli, Premio Nobel per la Fisica
nel 1945, il saggio La Sincronicità, termine con il quale definiva la ricorrenza delle
coincidenze da non interpretare né come causali, rapporto lineare causa-effetto né,
tantomeno, come casuali, determinate dalla imponderabilità.
Jung, esplorando il parallelismo tra mondo fisico e mondo psichico, tra il visibile e l’invisibile, indica la comunanza di significato come connessione tra eventi
psichici ed eventi oggettivi che si verificano, in modo sincrono, nello stesso tempo.
Se il nesso di causalità lega avvenimenti susseguenti, la sincronicità definisce il parallelismo temporale e significante degli eventi psichici e fisici.
Gli eventi sincronici sono sempre accompagnati da un’intensa reazione
emotiva soggettiva, caricati di un carattere simbolico per noi significativo, poichè
un contenuto psichico si collega ad un evento esterno, reale.
Vi racconterò una personale, recente, microstoria di scandite sincronicità
che giustifica anche perché questa sera mi ritrovo qui nella veste insolita di richiedente asilo e sono grato all’Assessore Billa Consiglio, a Franco Mercurio ed ai
relatori per avermi concesso asilo con effetto immediato, travalicando ogni trafila
burocratica; del resto, il richiedente asilo compare inaspettato, si annuncia dopo lo
sbarco.
Qualche giorno fa ero a Roma e, per percorsi del tutto imprevisti, mi sono
ritrovato nei pressi del Pantheon, più precisamente, tra il Pantheon e Palazzo Giustiniani, davanti all’albergo dove Carlo Gentile scendeva quando, nella seconda
metà degli anni Settanta, frequentava assiduamente il Grande Oriente d’Italia, in
qualità di Gran Maestro Aggiunto. In quegli stessi anni ero studente di Medicina
a Roma e qualcuna di quelle sere le abbiamo trascorse insieme, passeggiando per
il centro di Roma nel mentre mi indicava i simboli esoterici su alcuni palazzi romani.
Questa inaspettata sincronicità mi ha indotto a pensare, semplicemente, ma
in modo netto, che è stato impegnativo vivere 25 anni senza Carlo Gentile e che, in
questo tempo, senza rendermene bene conto, il mio sentimento dominante è stato
la nostalgia.
Questa constatazione, considerata la mia formazione e pratica nelle Neuro293
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scienze, non poteva lasciarmi indifferente, soprattutto perché il neurologo è inseguitore di tracce, accertatore di segni di cui non può trascurare il minimo dettaglio
e questo a partire dalle proprie tracce, dai propri segni.
Pertanto, la traccia della nostalgia, così sincronicamente delineatasi, ne imponeva l’inseguimento poichè la nostalgia bordeggia la malinconia, può anticipare
la depressione clinica che scaturisce dalla mancata elaborazione del lutto per la
perdita della situazione amata, di quella parte di noi che con essa svanisce.
La Psicoanalisi annovera la nostalgia tra le sindromi da separazione. Non è
necessario aver posseduto qualcosa per perderla; si può avere la sensazione di aver
perduto qualcosa senza averla mai posseduta, maturando nostalgia del desiderio
passato di essere altro dal Sè attuale.
La nostalgia, etimo greco nostos algos, indica il dolore del ritorno, uno stato
d’animo di transizione che dal presente si rivolge al passato, per vivificarlo nella
memoria recente e trasportarlo con noi nel futuro.
Nella lingua latina non c’è equivalente, si può tradurre con desiderium.
Il termine nostalgia fu introdotto nel vocabolario europeo nel XVII^ secolo
dal medico svizzero Johanes Hofer che a Basilea il 22 Giugno del 1688 pubblicò
Dissertatio medica de nostalgia.
Descrive una patologia diffusa tra i suoi connazionali, costretti a combattere
da mercenari, lontano, per lunghi periodi, dai monti e dalle vallate della Svizzera.
La nostalgia è il mal du pays, lo spaesamento. Tale stato patologico poteva
aggravarsi sino alla morte.
Lo spaesamento è la perdita del senso di sé anche se la vita, per essere pienamente vissuta, ci induce al viaggio dentro e fuori di noi ; ma la vita stessa ci
toglie i compagni di viaggio rendendoci spaesati e sopravvissuti o ci illude, facendoci intravedere la terra promessa che nessuno ci promette e che noi stessi ci
promettiamo, nella vaghezza cangiante dei desideri contingenti, per il periodico
rinnovamento totale di noi stessi mentre sappiamo che le palingenesi sono impossibili, rischiando, inconsapevolmente, la disintegrazione del Sè, sino, all’estremo,
«….scendere nel gorgo muti….» come scriveva Cesare Pavese in Verrà la morte ed
avrà i tuoi occhi.
La psicoanalisi ci insegna che, con faticosa applicazione, possiamo cambiare
il passo del viaggio, modificando così il tempo del movimento per focalizzare al
meglio ciò che siamo stati e siamo, per costruire il come saremo, la direzione ed il
senso del viaggio, rifuggendo, se possibile, dalla fatica di Sisifo.
Martin Heidegger, uno dei filosofi più amati da Carlo Gentile, in Essere e
Tempo introduce il Dasein, l’Esserci, l’essere tra qui e lì, che io interpreto come
uno stato di spaesamento permanente che non ci fa essere totalmente presenti dove
siamo presenti né totalmente assenti dove siamo assenti.
Si determina un pendolarismo incessante, ad alto costo energetico psichico, tra la terra di partenza, trasfigurata dalla memoria e dai ricordi e la terra di
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approdo che non conosciamo. Ci collochiamo, di fatto, in una terra di mezzo
dalla quale, per necessità di provare ad essere Ulisse, ci muoviamo per pulsioni
interiori o collisioni esterne, conseguendo ulteriore spaesamento : lo spaesamento dalla terra di mezzo che amplifica quello dalla terra di origine e quello dalla
terra di approdo.
Corriamo il rischio di trasformarci in perenni esiliati da noi stessi e dalla vita,
dei richiedenti asilo, appunto, alla ricerca della Terra Felice che, forse, non esiste;
perché non consona alla condizione umana basata sulla finitezza, sul finale di partita anzitempo noto, la Morte. Solo la nostalgia, sentimento tipico degli esiliati,
àncora tra loro le diverse Terre per permetterci di riattraversarle, per ristorarci,
quando siamo a rischio di soccombenza.
Se l’Odissea è l’epopea della nostalgia, Ulisse, prototipo dell’esule e del fuggiasco, armato del suo ingegno, torna da dove è partito, in un percorso circolare,
ma torna per non tornare, per non essere riconosciuto e per non riconoscere e, comunque, per ripartire, in un viaggio infinito, secondo la profezia di Tiresia, ‘verso
una Terra che non conosce il mare’, una Terra che, di fatto, non esiste; ed Ulisse è
destinato ad attraversare ancora Terre di mezzo; e, nella Terra di mezzo, con Calipso, Ulisse si era già fermato per ben 7 anni.
Esiste, quindi, anche la nostalgia per il futuro ignoto, dimensione in cui
la nostalgia diventa desiderio che si nutre dell’energia che estraiamo dalla nostra
identità costituitasi nel corso del viaggio.
Solo se intesa e vissuta come fonte di energia, la nostalgia non induce stati
mentali, individuali e collettivi, regressivi, patologici, non diventa ossessione, ma
ci proietta con maggior forza nell’inconoscibilità del futuro in cui il dolore delle
perdite e la dolcezza del desiderio si fondono, stemperandosi, così che il dolore
non diventi lutto permanente ed il desiderio non diventi vuoto edonismo.
Il nostos algos dei Greci ed il desiderium dei latini si unificano nel senso; ma
il desiderium è volizione rivolta al futuro che ha come oggetto del desiderio il passato e qui lo scontro tra passato e futuro, sul campo di battaglia del presente della
nostra mente e della nostra vita quotidiana, può diventare dirompente per la mente
stessa, sino a disintegrarla.
Paradossalmente, la cura preventiva e protettiva da questi effetti è la nostalgia stessa che non recuperando il tempo, dal tempo e nel tempo viene curata, anche
se mai guarita; l’inconscio impedisce la guarigione poichè dalla nostalgia trae emozioni positive per rafforzare l’autostima nella propria identità.
Scriveva Antoine de Saint Exupery «…Se vuoi costruire una nave non radunare uomini per raccogliere la legna e distribuire compiti ma insegna loro la
nostalgia del mare ampio ed infinito...». Stiamo parlando della spinta energetica
determinata dalle emozioni e dalle motivazioni che può essere molto più efficace
di qualsiasi altro farmaco.
Oggi, sappiamo, grazie alle strabilianti ricerche cliniche sul cervello che la
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nostalgia stimola la corteccia cerebrale ma anche l’amigdala, il talamo e l’ipotalamo
cioè le strutture anatomiche dove si generano il pensiero razionale ed il pensiero
emotivo.
Paradossalmente, la guarigione, l’estinzione della nostalgia, sarebbe una minaccia per l’intero equilibrio psichico che richiede, invece, cure continue.
Frequentare la nostalgia sembra una missione impossibile ma le risorse della
nostra mente, affinate durante il viaggio della vita, ci confortano e rasserenano in
questa frequentazione.
I versi dell’idillio Le Ricordanze di Giacomo Leopardi hanno scolpito tutto
questo con parole irrinunciabili come le definisce Erri De Luca quando ci invita a
masticarle, al mattino, perchè «…insaporiscono il palato per rendere sopportabili
le amarezze della vita quotidiana…»
Nostalgia è parola irrinunciabile perché è uno stato d’animo irrinunciabile, funzione inalienabile dell’identità, ma è anche parola enigmatica; nelle diverse
culture se ne riscontrano dizioni diverse ma la più complessa è saudade, descritta
dal portoghese Ferdinando Pessoa «…Lisbona torno a rivederti ma io non mi rivedo...»; è la lontananza che si fa presente in assenza del protagonista, l’Io.
Dalla stessa cultura di Pessoa nasce il Fado (Fato) con Tom Jobin e Vinicius
de Moraes che nel 1958 scrivono Chaga saudade (Basta con la nostalgia) «…basta
con la nostalgia ma la verità è che senza di essa non c’è pace, non c’è bellezza, tutto
è tristezza e malinconia. Ma se lei tornasse che cosa bella, che cosa folle…»
La nostalgia può essere il crinale tra bellezza e follia; del resto, quanti grandi
artisti al fuoco dell’arte hanno bruciato il proprio equilibrio mentale.
Saudade è considerata la 7^ parola, in tutti gli idiomi conosciuti, per impossibilità di traduzione. E sempre perché le coincidenze non sono casuali, 7 è
il numero da sempre considerato magico, simbolico sin dall’antichità: l’astrologia babilonese riconosceva 7 pianeti, divideva il mese lunare in cicli di 7 giorni.
L’Antico Testamento indica la Terra e il Cielo, ognuno con 7 nomi. Nel Libro
dell’Apocalisse la fine del mondo è annunciata dalla rottura dei 7 sigilli, dal suono
di 7 trombe di 7 Angeli. Il film di Bergman 7^ Sigillo inizia con una frase tratta
dall’Apocalisse di San Giovanni: « E quando [l’Agnello] aprì il settimo sigillo, fu
silenzio nel cielo come di mezz’ora ». Nel Nuovo Testamento 7 i peccati capitali,
7 i sacramenti, dono dello Spirito Santo, 7 le virtù di cui 4 cardinali e 3 teologali.
Nell’Ebraismo, il candelabro rituale Menorah ha 7 luci. Nel Corano il mondo è
retto da sette colonne. Nel libro sacro dell’ Induismo 7 sono gli illuminati dei
Veda. 7 è il numero più ricorrente nella storia di Roma, costruita su 7 colli, governata da 7 Re, definita città eterna ma anche la città delle 7 Chiese tra le quali
si svolge, ancora oggi, il pellegrinaggio introdotto da San Filippo Neri nel XVI^
secolo. 7 sono i colori dell’arcolobaleno, con forti connotati simbolici tanto da
far scrivere a Paul Klee che «..il simbolo collega il visibile all’invisibile…. Rende
omogenei il significante ed il significato». Jung sostiene che «… un’immagine è
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simbolica quando implica qualcosa che sta al di là del suo significato ovvio ed
immediato…» Infine, per l’apprendista, 7 sono i gradini della scala nel Tempio
massonico.
In definitiva, Jung riteneva che i numeri sono produzioni spontanee dell’inconscio che li usa come fattore ordinante, la più primitiva espressione dello Spirito,
elementi simbolici
Questa digressione numerologica ci introduce in una delle dimensioni meno
note della ricerca di Carlo Gentile, la Metapsichica, denominata successivamente,
in modo assai infelice, Parapsicologia, connotandola, così, in gran parte come creduloneria.
Gentile collaborò, con grande impegno, al gruppo di Metapsichica che si
raccoglieva attorno alla rivista «Luce ed Ombra», fondata nel 1894, a Milano, poi
trasferita a Roma. Alla redazione della rivista, vera e propria fucina interculturale,
partecipavano psichiatri e neurologi e, successivamente, psicoanalisti, il più illustre
tra i quali fu Emilio Servadio che, da avvocato, divenne psicoanalista di fama mondiale. Tra il 1961 ed il 1963 Gentile pubblicò sulla rivista numerosi saggi: Virgilio,
poeta metafisico; Psicologia della morte e coscienza mercuriale; Atanor metapsichico; I misteri di Trofonio, studio sui rituali metapsichici; La storia dell’anima nella
poesia epico-narrativa; Il viaggio della Yubris e del Simbolo. Commento metapsichico al Libro di Maya.
Sono tutti saggi sul simbolo, argomento costante della sua ricerca; per la psicoanalisi freudiana l’inconscio parla per simboli, e non solo durante il sogno.
Vediamo, così, come gran parte della ricerca di Carlo Gentile scorresse parallela alla ricerca psicoanalitica. Infatti, con il nome iniziatico di Antelius, Carlo
Gentile fu Superiore Incognito dell’Ordine Martinista, fondato nel 1948 a Napoli
ed attivo sino al 1954. Parte fondante del Martinismo era il Pitagorismo per il quale
la conoscenza della realtà è possibile attraverso il costante riferimento ai numeri
per identificarne ogni particolare; i numeri non sono uno strumento dell’uomo per
conoscere la realtà, ma sono la realtà.
Qualche anno fa, chiudendo un intervento sulla ricerca di Carlo Gentile
affermai che, a noi, soprattutto, aveva insegnato una disciplina non riconosciuta in
ambiti accademici: il mestiere di vivere.
A distanza di anni, e rielaborando la nostalgia determinata dalla sua ricordanza, possiamo dire che quella disciplina non ha libri di testo ma tra gli infiniti
capitoli di questo testo inesistente, oggi, forse, abbiamo conquistato un nuovo capitolo, frutto ancora, dopo 25 anni, del suo insegnamento, capitolo che intitolerei
il ‘coraggio di sopravvivere dei richiedenti asilo’.
Nel corso della nostra vita dimostreremo se saremo ancor più coraggiosi di
quanto lo siamo stati sinora sul versante della conoscenza, tanto da conquistare i
capitoli che oggi ancora ignoriamo, e di cui non sappiamo nemmeno l’esistenza,
pur continuando, per necessità, a vagare tra le terre.
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Si tratta, in definitiva, come scrive Josè Saramango nel racconto l’Isola sconosciuta di cercare ‘…un luogo nobile che appare e scompare dalle carte della fantasia ma che sta ben saldo nel cuore di ognuno di noi…’
Abbiamo iniziato questo incontro parlando della Sincronicità di Jung che,
guarda caso, si chiamava Carl e cioè Carlo come Carlo si chiamava Gentile e l’ultima sincronicità per me è sorprendente e commovente e della cui citazione vi chiedo venia : oggi è 29 Giugno, ci siamo dati convegno alle 18.00. Ho appreso della
data e dell’ora Venerdì scorso, guarda caso, da un altro Carlo che è qui con noi.
Questa comunicazione mi ha suscitato un’inspiegabile inquietudine che si è placata
solo il giorno successivo, Sabato, quando ho realizzato che intorno alle 18.00 del
29 Giugno di sei anni fa, nel 2003, moriva Remo, mio padre; amico fraterno, per
tantissimi anni, di Carlo Gentile e sono certo che da richiedenti asilo, uno all’altro,
ed ognuno per l’altro, così come erano in vita terrena, si sono incontrati sulla linea
del solstizio di Estate.
Questo intervento è dedicato a loro, ma soprattutto, a Paola Gentile che con
il suo modo di essere e di stare al mondo mi ha impedito di esiliarmi da questa serata e ci rende più dolce questa struggente nostalgia da cui fermamente non vogliamo
guarire ma che abbiamo il dovere di curarci come abbiamo fatto questa sera di cui
avremo nostalgia.
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