Tesi di Dottorato

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Tesi di Dottorato
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA TERRA
DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA TERRA
XII CICLO, CONSORZIO CAGLIARI-GENOVA-TORINO
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
DI
CAGLIARI
LA CITTÀ PUNICO
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
DI
GENOVA
–ROMANA DI NORA:
UN CASO DI STUDIO GEOMORFOLOGICO
E ARCHEOLOGICO INTEGRATI
Relatore:
Prof. Antonio ULZEGA
Candidato:
Dott.ssa Susanna MELIS
Coordinatore del Dottorato:
Prof. LucianoCORTESOGNO
1
INDICE
PREFAZIONE.................................................................................................................5
Scopi e obiettivi del lavoro ...........................................................................................................5
Metodologia....................................................................................................................................6
INTRODUZIONE dalla geomorfologia alla geoarcheologia......................................9
Scienze naturali e archeologia: un binomio lungo due secoli.....................................................9
Geoarcheologia: obiettivi e metodi ............................................................................................12
PARTE PRIMA
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E ARCHEOLOGICI
CAPITOLO I Il sito nel suo contesto territoriale......................................................17
Archeologia e storia ....................................................................................................................17
Inquadramento geologico – strutturale.....................................................................................20
Caratteri geomorfologici.............................................................................................................32
CAPITOLO II inquadramento geologico e geomorfologico della baia di Nora......39
Caratteri geologici e strutturali..................................................................................................39
Caratteri geomorfologici.............................................................................................................46
PARTE SECONDA
VARIAZIONI RECENTI DEL LIVELLO DEL MARE NEL MEDITERRANEO: DATI
ARCHEOLOGICI, GEOLOGICI E BIOLOGICI
2
CAPITOLO III le oscillazioni del livello del mare: cause, e metodi di studio........57
Variazioni del livello del mare....................................................................................................57
Indicatori delle variazioni del livello del mare nel Mediterraneo...........................................58
Dati archeologici sulle variazioni del livello del mare nel Mediterraneo................................63
CAPITOLO IV dati archeologici relativi al sito di Nora..................................................................65
Molo Schmiedt..............................................................................................................................66
Terme a Mare...............................................................................................................................66
Basilica..........................................................................................................................................67
Cinta muraria...............................................................................................................................68
Tombe puniche.............................................................................................................................69
Cava di Fradis Minoris................................................................................................................70
PARTE TERZA
LA LAGUNA DI S.EFISIO
CAPITOLO V aspetti storici e geografici..................................................................75
Caratteristiche geografiche.........................................................................................................75
Ipotesi circa l’ubicazione del porto di Nora...............................................................................76
CAPITOLO VI analisi e sintesi dei dati......................................................................81
Indagini geopetrografiche sulla cava di Fradis Minoris...........................................................81
Analisi sedimentologiche condotte sulla spiaggia di Agumu...................................................85
Geofisica lungo i bordi della laguna...........................................................................................91
3
CONCLUSIONI.............................................................................................................94
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI................................................................................102
ALLEGATI
-
N. 1 carta geomorfologica in scala 1:5.000
-
N. 2 carta geomorfologica della laguna (1: 2.000)
4
PREFAZIONE
Scopi e obiettivi del lavoro
L’obiettivo principale del presente lavoro è la ricostruzione, mediante uno studio
geomorfologico e archeologico integrati, del paleopaesaggio del territorio di Nora nel
periodo punico-romano; intendendo con la parola paleopaesaggio non soltanto
gli
aspetti geografici, ma anche quelli economici e antropici legati ad esso, ossia i rapporti e
le interazioni intercorse tra l’uomo e l’ambiente in epoca antica per ricostruirne
l’evoluzione, fino al ‘900.
Prima che il passato dell’uomo possa essere districato, è necessario riuscire a decifrare
un vasto insieme di relazioni uomo-ambiente. In qualità di elemento di tale sistema,
l’uomo può agire o reagire ai cambiamenti ambientali innescati da fattori esterni, ed è
importante mettere in evidenza come in un contesto archeologico l’attività umana
influenzasse e/o fosse influenzata dall’ambiente.
Appare, dunque, evidente come lo scopo, al di là dei risultati ottenuti, fosse
principalmente di tipo epistemologico: come studiare una località di interesse
archeologico da un punto di vista geomorfologico? Come integrare i dati ottenuti da due
discipline apparentemente autonome?
Ci si è posti, dunque, il problema di quale potesse essere il contributo dato
dall’archeologia alla ricostruzione geomorfologica e, viceversa, quale fosse il contributo
dato dalla geomorfologia all’archeologia e da qui si è partiti alla ricerca di un metodo
atto a integrare le due discipline per ottenere un risultato unico afferente, in realtà, a una
disciplina diversa e autonoma quale la geoarcheologia.
L’originalità del lavoro consiste, fondamentalmente, nell’aspetto interdisciplinare
che esso si propone di offrire. Per tale motivo una parte decisamente importante di esso
si è svolta sul campo, sia direttamente sullo scavo archeologico, sia partecipando alla
ricognizione archeologica sul territorio; ciò ha permesso di acquisire una buona
dimestichezza con le problematiche e le metodologie utilizzate in ambito archeologico e
di poterle integrare con quelle relative alla geomorfologia, nonché di affrontare
problemi archeologici di tipo ambientale con un approccio né geomorfologico né
archeologico, ma geoarcheologico.
5
Metodologia
Il nostro lavoro si é articolato in diverse fasi: lo studio preliminare di carte geologiche e
topografiche, nonché della bibliografia riguardante il settore in esame, sono serviti come
base per organizzare il rilevamento di campagna. Ha fatto seguito un rilevamento
geomorfologico sul campo, a scala regionale (sintetizzato in una carta in scala 1:10.000,
corrispondente alla tavola II) che ha investito tutta la piana circostante il sito
archeologico di Nora; si é poi aumentato il dettaglio, realizzando un rilevamento
geomorfologico, in scala 1:5.000, che ha interessato la baia di Nora; infine, si é
aumentato ancora il dettaglio (scala 1:2.000) analizzando in maniera più precisa il
promontorio di Nora e la laguna di S.Efisio. Tale lavoro si é reso necessario per diversi
motivi :
1.
Pur dovendo studiare il sito archeologico di Nora nel particolare era necessario
inserire questa porzione di territorio, assai ridotta, in un contesto più ampio, quello
regionale, alfine di poter valutare e evidenziare i processi geomorfici che, ovviamente,
sono legati a una dinamica che interressa tutto il territorio.
2. Nel corso del lavoro ci si é resi conto che la laguna, nel suo complesso,
rappresentava un punto focale sia per gli aspetti antropici che per quelli geomorfologici:
da un punto di vista morfologico si tratta di un ambiente a rapida evoluzione e, in
quanto tale, utile nella ricostruzione delle modificazioni recenti; per cio' che concerne
gli aspetti antropici ci si é resi conto che già a partire dal periodo punico la laguna é
stata sede di insediamenti umani e di attività socio-economiche di vario genere.
L’indagine geomorfologica è stata portata avanti in parallelo alla ricognizione
archeologica sul territorio circostante Nora. Infatti l'indagine geomorfologica e quella
archeologica incrociate hanno messo in evidenza la presenza di una organizzazione del
territorio fortemente legata alla morfologia1 e alle formazioni superficiali presenti nel
territorio: ciò ha determinato la colonizzazione di determinate zone piuttosto che altre
da parte dei vari gruppi, in base al loro tipo di economia; così le colline andesitiche sono
state prevalentemente sede della colonizzazione nuragica evidenziando una economia
1
Non ci si riferisce, qui, alla morfologia intesa unicamente come forme del rilievo, ma anche a ciò che
alle forme del rilievo è associato e dipendente: idrografia superficiale (disponibilità d’acqua), esposizione
geografica ecc.
6
mista di tipo agricolo (limitata alle vallecole che si trovano tra una collina e l’altra) e di
tipo pastorale; i siti punici si trovano a non troppa distanza dalla città di Nora, con una
certa concentrazione verso la laguna, evidenziando così una vocazione più commerciale
e un forte legame di dipendenza con la città, mentre i siti romani si trovano sempre
posizionati nelle vaste aree alluvionali, laddove è possibile praticare l’agricoltura a scala
più larga, senza, però, disdegnare le colline andesitiche, più fertili, ma con spazi più
ridotti.
Un grosso problema relativo ai resti archeologici della città di Nora riguarda la
presenza di alcune strutture in parte sommerse, in parte troncate dall’erosione: si è resa,
quindi, necessaria, una ricostruzione delle variazioni di livello tra la terraferma ed il
mare; tale ricostruzione è stata portata a termine facendo ricorso sia a metodi tendenti a
determinare la posizione altimetrica dei resti archeologici rispetto al l.m.m. attuale, sia a
metodi utilizzati in geomorfologia nell’identificazione delle paleolinee di riva. La
combinazione di questi due metodi permette, come si vedrà nel lavoro qui presentato, di
raggiungere buoni risultati sia nella ricostruzione delle variazioni del livello del mare
che nell’identificare le antiche ripe marine e le variazioni relative all’idrografia
superficiale e alla morfologia della piana in generale.
Per giungere a tale ricostruzione si è avuto un ulteriore contributo dal raffronto di
edizioni successive di rilievi catastali, di carte topografiche 2 e di fotografie aeree3
riprese in epoca diversa.
L’indagine si è articolata in due fasi:
1.
Studio delle fotografie aeree in relazione a tutte le altre fonti disponibili
2.
Esplorazione dei tratti di costa più significativi, determinazione metrica in
corrispondenza di resti monumentali di cui è stato possibile accertare la funzione e
l’antica posizione rispetto al livello del mare, e infine l’esecuzione dei rilievi
planoaltimetrici stessi. Da notare che per i ruderi sommersi sono state prese in situ
2
Sono state confrontate le carte topografiche in scala 1:25.000 dell’IGM del 1897 e del 1931, e quelle del
1965 e del 1987 allo scopo di evidenziare variazioni della linea di costa in questo arco di tempo; sono
state inoltre confrontate altre carte geografiche rilevate a partire dal 1830-1840 con il semplice scopo di
evidenziare la presenza e l’estensione delle aree paludose e di verificare i toponimi che rivestono sempre
una grande importanza in questo genere di studi.
3
Sono state raccolte e selezionate diverse levate aerofotogrammetriche a diverse scale e relative a tutto
l’arco del secolo a partire dal dopoguerra (1955) su tali foto è stato fatto un lavoro di interpretazione,
bidimensionale (utilizzando coppie o mosaici di foto aeree), tridimensionale (mediante l’utilizzo di
stereoscopi) e informatizzata tramite l’uso di programmi di trattamento di immagine.
7
misure riferite al l.m. del momento e per stabilire quali siano i valori del l.m.m. occorre
integrarli con quelli relativi alle escursioni di marea nel Mediterraneo.
Sono state, inoltre, eseguite, con lo scopo di individuare lo spessore dei sedimenti e
la provenienza degli apporti fluviali, alfine di capire l’evoluzione e i cambiamenti
relativi alla laguna di S.Efisio, una serie di analisi sedimentologiche nella spiaggia di
Agumu e delle indagini geofisiche nel bordo settentrionale della stessa.
8
INTRODUZIONE dalla geomorfologia alla geoarcheologia
Comparaison. La géologie est une sorte d’Histoire que
si elle se bornait à noter et conter telles éruptions
prodigieuses, telle inondation célèbre etc. elle ferait ce
que fait l’histoire avec ses événement. Mais elle recherche
les modifications lentes et que personne n’a pu observer
tel jour – Ce que devrait faire l’“histoire”. Mais ici cette
remarque : l’histoire ordinaire “reçoit” les faits tout
donnés, les événements enregistrés – tandis que celle,
dont Je parle “rechercherait” les événements, ou plutôt ce
qui, mis en lumière, deviendrait “événement” après coup.
(P.Valéry, Cahiers,II, p.1503)
Scienze naturali e archeologia: un binomio lungo due secoli
Un paragone tra storia e geologia, considerare la geologia una sorta di storia è
un’idea tutt’altro che bizzarra. Anche il geologo, come lo storico va alla ricerca degli
avvenimenti, e della loro cronologia.
Le prime collaborazioni tra scienza e archeologia sono nate intorno al XVIII secolo
con i contributi dati da fisica e chimica alla risoluzione di certi problemi archeologici:
Il chimico tedesco M.H. Klaproth con la pubblicazione, nel 1796, dei risultati di
alcune analisi chimiche, condotte su monete e vetri, greci e romani, diede uno dei primi
contributi all’archeometria.
Nel 1815 Humphrey Davy analizzò i pigmenti dei colori di alcune pitture di età
romano-imperiale. La stretta collaborazione tra l’archeologo Henry Layard e lo
scienziato T.T. Philipps, durante lo scavo di Ninive e di Babilonia portò alla
realizzazione, nel 1853, di un bollettino di scavo con, in appendice, i risultati delle
analisi condotte sui manufatti rinvenuti durante lo scavo.
All’inizio del XIX secolo la scoperta fatta da J.C. Boucher de Perthes ad Abbeville ,
nella valle della Somma, in Francia, diede un impulso definitivo all’utilizzo di metodi
geologici nello studio di siti archeologici. Boucher de Perthes scoprì delle selci lavorate,
degli utensili in pietra e dei resti fossili di vertebrati, ora estinti, il tutto all’interno di un
pacco sedimentario di ghiaie risalenti ad un periodo glaciale, che giaceva indisturbato a
circa 5 m sotto la superficie attuale.
9
I resti relativi alla presenza umana erano, ovviamente, contemporanei al deposito e
potevano essere datati insieme al contesto racchiuso dal deposito sedimentario: i resti
archeologici potevano essere datati con metodi geologici.
Nel 1863 Charles Lyell4 pubblica, dopo aver visitato Abbeville, il suo Geological
Evidence of the Antiquity of Man nel quale evidenzia come il contesto geologico possa
essere usato per documentare i manufatti e i resti relativi ai primi uomini: nasce
ufficialmente la collaborazione tra geologia e archeologia.
All’inizio del XIX secolo cominciano inoltre ad apparire gli studi condotti dai
geologi sulle cave di marmo greche e romane nel 1837 L. Ross descrive le cave del
monte Pentelikon vicino ad Atene.
Nel 1905 Raphael Pumpelly, allora presidente della Geological Society of America,
guida una spedizione in una parte della Siberia appartenente alla Turchia. I suoi studi,
condotti su siti preistorici, sono gli studi pionieristici nel campo della ricostruzione dei
paleoambienti e rappresentano il preludio per quelli successivi. Infatti a tale lavoro fece
seguito quello di Ellsworth Huntington il quale, effettuando degli studi simili in siti del
Nord e del Centro America, dimostrò come evidenze geomorfiche ed archeologiche
potessero essere usate per stabilire cambiamenti climatici e paleoambientali.
Attualmente non può più essere discusso il ruolo di primaria importanza assunto
dalla geologia negli studi archeologici. La geofisica e la geochimica sono di aiuto nella
localizzazione dei siti da scavare. La geomorfologia può mettere in evidenza i luoghi nei
quali è più probabile trovare antichi insediamenti e può essere d’aiuto nella
determinazione dei paleoambienti. Sullo scavo la stratigrafia e i metodi sedimentologici
aiutano a determinare la sequenza stratigrafica dello scavo e del sito.
La geofisica apporta, inoltre, un aiuto importante nella ricerca e nell’interpretazione
delle strutture nascoste o coperte dal suolo. La palinologia e la fitologia aiutano ad
individuare gli antichi metodi di sussistenza, oltreché le strategie agricole e il
paleoclima. I manufatti e i resti umani possono essere analizzati chimicamente e
isotopicamente: le analisi condotte sulle ossa permettono di determinare i regimi
alimentari e le malattie. La geochimica, la geofisica e le tecniche petrografiche aiutano a
4
Ch. Lyell fu uno dei più importanti scienziati degli ultimi due secoli con il suo Principles of Geology (18301833) diede uno dei maggiori contributi all’istituzione e al riconoscimento della Geologia in quanto disciplina
scientifica.
10
riconoscere la provenienza delle materie prime e a ricreare le tecniche di lavorazione
usate per creare oggetti ornamentali e di uso comune (Hertz & Garrison, 1998).
Gli scienziati - geologi, chimici, fisici – hanno tentato di risolvere problemi
archeologici prima ancora che l’archeologia esistesse come disciplina riconosciuta.
Per ciò che concerne il rapporto tra geologia e archeologia si può affermare che negli
ultimi cinquant’anni la ricerca si è evoluta considerevolmente dando luogo a tutta una
serie di sottodiscipline aventi come comune denominatore quello di associare geologia e
archeologia. Una di queste aree di indagine è la ricostruzione dei paesaggi del passato
mediante delle tecniche geomorfologiche e sedimentologiche.
Questo tipo di ricostruzioni è particolarmente in uso nelle aree a rapida evoluzione
quali quelle situate intorno ai maggiori sistemi fluviali e nei mari interni, in quanto,
spesso, tali ambienti sono anche sede di attività e di insediamenti umani (Rapp &
Gifford, 1982)
I termini archeogeologia, archeometria, geoarcheologia e geologia archeologica 5
sono stati usati per descrivere i differenti tipi di collaborazione scientifica tra geologia e
archeologia.
Il termine archeogeologia è stato usato per la prima volta nel 1976 per indicare in
maniera abbastanza generica e generale il contributo dato dalle scienze geologiche
all’archeologia.
L’archeometria si prefigge lo scopo di misurare le proprietà fisico - chimiche dei
materiali archeologici. Negli ultimi anni in Gran Bretagna e in Nord America questa è
stata centrata su due principali campi di studio : (1) metodi di datazione applicabili al
Pleistocene antico e recente e (2) metodi analitici volti a determinare le tecnologie e la
provenienza dei manufatti e delle materie prime.
La geoarcheologia ha lo scopo, almeno nelle intenzioni della rivista americana che
porta questo nome, di interessarsi principalmente ai processi sedimentari e
geomorfologici legati a siti archeologici e, mediante il loro studio, di ricostruire i
paleopaesaggi archeologici.
5
Corrispondenti ai seguenti termini inglesi: archaeogeology, archaeometry, georachaeology, archaeological
geology.
11
Geoarcheologia: obiettivi e metodi
Epistemologia
La collaborazione tra geologia e archeologia nasce, dunque, nell’800, ma è a partire
dagli anni ’70 che nascono le distinzioni tra i diversi campi di applicazione e tra i
diversi approcci, ed è proprio negli anni ’70 che nasce la geoarcheologia con
l’accezione che le si da attualmente.
Le ipotesi che facciamo sull’argomento della nostra ricerca sono influenzate dai
metodi che abbiamo a disposizione per investigare su quel determinato soggetto, e le
tecniche che usiamo dipendono, in parte, dalle domande che ci poniamo riguardo al
soggetto.
Diversi autori operano una distinzione fra due diversi modi di intendere la
collaborazione tra geologia e archeologia:
1.
Geologia archeologica
2.
Geoarcheologia
Queste due sottobranche sono spesso definite in maniera distinta.
La geologia archeologica è stata definita come l’applicazione di tecniche geologiche
alla risoluzione di problemi discreti di natura archeologica. Si tratta essenzialmente di
geologia.
La geoarcheologia è definita da Rapp & Gifford come dell’archeologia fatta
mediante dei metodi, delle tecniche o dei concetti di tipo geologico6.
Secondo Butzer (1985) “La geoarcheologia è la formulazione e la soluzione di
problemi archeologici utilizzando metodi relativi alle Scienze della Terra. La
geoarcheologia è o dovrebbe essere parte integrante del processo di scavo. In termini di
stratigrafia attuazione e revisione sul sito di strategie e tattiche il tutto corredato e
integrato dalla fase analitica di laboratorio”.
E importante precisare che le definizioni fin qui esposte hanno senso se le si
considera da un punto di vista metodologico, e non con i fini o gli scopi che la disciplina
si prefigge. Da un punto di vista dei fini e degli scopi si può dire che fra esse non ci
siano distinzioni di sorta. Fare una distinzione in questo senso è come farla fra diversi
6
Leach, 1992
12
tipi di archeologia. Una differenza sostanziale esiste, invece, quando si usa l’archeologia
nella soluzione di problemi geologici quali per esempio quelli cronologici legati alla
datazione dei terrazzi fluviali: in questo caso è diverso anche il fine che ci si prefigge.
Noi ci troviamo in perfetto accordo con l’interpretazione fornita da questi autori del
concetto di geoarcheologia che consideriamo la disciplina che si occupa dello studio di
problemi archeologici servendosi di metodi propri alla geomorfologia, alla
sedimentologia e alla petrografia del sedimentario: il geoarcheologo, attraverso lo studio
del terreno e le analisi di laboratorio, elabora il micro-, meso-, macro - ambiente del sito
e provvede alla realizzazione di modelli dell’attività umana nel tempo e nello spazio.
L’approccio è quello dello studio di un sito archeologico nel quale viene data
importanza al contesto ambientale e, per questo motivo, è necessario l’intervento di
discipline derivanti dalle scienze della terra. Tale approccio prevede che si metta a
fuoco il contesto geomorfologico dei manufatti e consente di realizzare uno studio
interdisciplinare completo in quanto presuppone una stretta collaborazione, in fase di
acquisizione, elaborazione e interpretazione dei dati, tra geomorfologo e archeologo;
poiché riteniamo che questo sia il modo più proficuo di procedere, in questo tipo di
ricerche, l’abbiamo applicato per portare avanti il nostro lavoro, stabilendo nel corso
degli anni una collaborazione diretta con la missione archeologica di Nora, sia sullo
scavo che nell’indagine relativa al territorio circostante.
Stato attuale della ricerca e metodologie utilizzate
L’attuale interesse per la topografia antica, per la prospezione archeologica (ossia
l’analisi del territorio mirata al ritrovamento di nuovi siti) e l’archeologia dei paesaggi
ha determinato un rapido svilupparsi della stretta collaborazione tra scienze naturali ed
esatte e archeologia sperimentando e applicando nuove tecnologie quali GIS o
Telerilevamento.
Nell'ambito degli studi paesaggistici, si ritiene comunemente che la distribuzione
spaziale dei siti archeologici dipenda in gran parte da un ampio spettro di fenomeni
territoriali (come, ad es., la morfologia, il tipo di suolo, la vicinanza di risorse idriche, il
manto vegetale, le condizioni climatiche, ecc.) che caratterizzano il contesto ambientale
nel quale i siti sono localizzati.
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Per questo, durante lo scorso decennio, sono stati applicati in maniera sempre più
diffusa i modelli previsionali nelle indagini che cercavano di spiegare la distribuzione
spaziale dei siti già conosciuti, per prevedere dove vi erano maggiori probabilità di
rinvenire nuovi siti.
Dal confronto del set di dati archeologici con l’archivio di dati territoriali, è possibile
costruire modelli euristici o statistici che mettono in relazione la variabilità spaziale dei
suddetti parametri con l'evento "localizzazione di sito archelogico".
A tal fine, gli ambienti GIS, i sistemi di telerilevamento, e le tecniche di
modellizzazione tridimensionale e di image processing possono offrire nuove
opportunità per l'identificazione, l'analisi e l'interpretazione delle località archeologiche.
In particolare, l'integrazione di tali tecniche rende possibile sia la definizione delle
relazioni dei siti già noti con il contesto ambientale, sia l'identificazione di nuove risorse
archeologiche sul territorio.
Tali tipi di indagine mirano così a:
•
comprendere le interrelazioni esistenti tra la presenza di siti archeologici ed il
contesto ambientale;
•
sviluppare modelli previsionali per stabilire dove è più probabile localizzare
nuovi siti;
•
generare un database geografico dei siti archeologici e delle relative peculiarità
ambientali per alcune regioni campione;
•
Ricostruire la topografia antica e la morfologia nonché lo sfruttamento del
territorio in epoca antica.
Lo studio dei siti costieri e la ricostruzione delle linee di costa mediante studi
interdisciplinari (geoarcheologici in particolare) ha costituito una larga parte dei
lavori di questo tipo dagli anni ’70 ad oggi.
Un fattore critico nella ricostruzione dei paleopaesaggi costieri risiede nel valutare se
un avanzamento o un arretramento della linea di costa sia o no dovuto a un
cambiamento del livello medio del mare. Tale cambiamento è in generale dovuto ad un
mix di tre processi geologici: sollevamento o abbassamento generalizzato del livello del
14
mare; movimenti tettonici verticali del basamento; e deposizione (o viceversa erosione)
di depositi sedimentari costieri.
Tre diverse metodologie sono state usate per studiare e descrivere i cambiamenti
costieri recenti relativi a contesti archeologici. Raphel (1973) ed altri hanno utilizzato
un attento rilievo gemorfologico al fine di dare una dettagliata descrizione
dell’evoluzione delle forme del rilievo pertinenti (collegate), dei sistemi fluviali e delle
relazioni mare - terra. Un approccio diverso è quello di Flemming (1978) il quale ha
studiato il cambiamento relativo del livello del mare nel Mediterraneo in primo luogo
studiando la posizione verticale delle strutture archeologiche costiere databili e
conducendo un’analisi matematica per stabilire le relazioni originali tra le strutture
suddette e la linea di costa a loro contemporanea. La terza metodologia è consistita
nell’effettuare una serie intensa di sondaggi in aree costiere al fine di ricoprire la
sequenza verticale degli ambienti geologici aggiungendo la dimensione della profondità
alla ricostruzione paleogeografica. I materiali provenienti dai sondaggi possono inoltre
essere datati grazie al C14 e ciò permette quindi di stabilire una cronologia assoluta
nella sequenza dei cambiamenti (Rapp & Gifford, 1982).
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PARTE PRIMA
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E ARCHEOLOGICI
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CAPITOLO I
Il sito nel suo contesto territoriale
Il sito archeologico di Nora, ubicato sull’omonimo promontorio (cfr. Tav. I), appartiene
al territorio comunale di Pula, una località turistica di circa 5000 abitanti posta a 30 Km
da Cagliari.
Tale sito ha suscitato l’interesse di numerosi studiosi e viaggiatori del secolo scorso
(Canonico Spano, La Marmora) e, quando alla fine dell’800, una mareggiata ha
riportato alla luce i resti del tophet punico, posto sulla spiaggia, nei pressi della chiesetta
paleocristiana, sono stati intrapresi i primi scavi ufficiali. Da allora si sono susseguite
varie campagne di scavo, ricerche e ipotesi.
Archeologia e storia
Cenni storici su Nora e Pula
La città di Nora è un sito molto antico. Le prime testimonianze della presenza
dell’uomo risalgono all’epoca nuragica, anche se la documentazione risulta
insufficiente. La prova più evidente è data dalla presenza di un pozzo nuragico nei
pressi dell’angolo SE delle terme a mare, con una breve scalinata che scende verso
l’acqua. La vita in epoca nuragica nella zona è, comunque, attestata dalla presenza di un
nuraghe, segnalato da La Marmora, e non più esistente, sul piccolo rilievo di Sa Guardia
Mongiasa. Secondo la descrizione e il disegno che ne fa La Marmora i resti di questo
nuraghe fungevano da base per l’acquedotto romano.
La fondazione della città viene attribuita ai Fenici, ipotesi confermata dai dati di
scavo e da altre informazioni indirette come per esempio la posizione geografica. Infatti
i Fenici (come attesta anche lo storico greco Tucidide) prediligevano, per i loro
insediamenti, sorti per soddisfare le esigenze del commercio marittimo, promontori,
isole, lagune, foci di fiumi, oppure zone al riparo di un istmo, a destra o a sinistra del
quale si ancoravano le navi, a seconda dello spirare dei venti. Nora risponde a queste
caratteristiche: le cale che si aprono nelle tre principali insenature della penisola (cale di
NE, di SE, di NO) dovevano avere natura di ancoraggio di “buon tempo”, mentre il
porto attrezzato della città punica si apriva, probabilmente, a Nord della cala di NO,
17
nella zona dell’attuale peschiera; tale ipotesi troverebbe una conferma anche nel
ritrovamento, durante la ricognizione, di numerosi siti punici lungo i bordi della
peschiera7.
La data di fondazione della colonia da parte dei Fenici si fa risalire all’VIII sec. a.C.
sulla base di una stele trovata a Nora durante gli scavi degli anni ’50, gli scavi più
recenti, condotti nella parte più meridionale del promontorio confermano la presenza
fenicia almeno a partire dal VI sec. a.C.
I dati di scavo e le attestazioni archeologiche hanno permesso di stabilire che la città
era abbastanza fiorente già nel V – IV sec. a.C., assumendo una notevole rilevanza tra le
città della costa meridionale dell’isola. I resti di edifici considerabili sicuramente di età
punica, ritrovati a Nora, non sono molto numerosi: Si tratta soprattutto di resti di
fortificazioni, templi, muri, mentre nelle tombe rinvenute lungo la costa sono stati
trovati dei ricchi corredi funerari.
Nel 238 a.C. inizia a sentirsi la presenza della dominazione romana, in questo
periodo Nora rivestiva ancora una certa importanza (essendo sede del Governatorato)
che conserverà e, anzi, accrescerà, in epoca imperiale. Il periodo di maggiore fioritura in
epoca romana viene indicato fra il II e il III sec. d.C.; i resti più imponenti quali il teatro
e le terme a mare appartengono proprio a questo periodo e, comunque, la maggior parte
degli edifici attualmente visibili appartiene al periodo romano. Da questo momento
l’espansione della popolazione sul territorio circostante assume proporzioni decisamente
maggiori e diventa più capillare e indipendente dalla città.
La documentazione epigrafica e quella proveniente dagli scavi forniscono dei dati
inerenti lavori di restauro e costruzione di opere pubbliche e quindi di datarne un certo
numero. Tali datazioni permettono di stabilire per la maggior parte degli edifici un’età
compresa tra il II e il III sec. d.C. : questo è il momento di massimo splendore di Nora
in età romana.
I primi segni dell’abbandono della città si manifestano a partire dal 456 – 466 d.C.,
quando la Sardegna fu soggetta alle incursioni vandaliche. Secondo una ricostruzione
fatta dal Casalis, gli abitanti di Nora resistettero dapprima con una Nora praesidium,
città fortificata, dopodiché cominciarono a spostarsi verso l’interno, alla ricerca di
luoghi più sicuri dove potersi installare. Il promontorio ha continuato, comunque, ad
7
Per un’analisi dettagliata circa l’ubicazione del porto si rimanda al Capitolo V.
18
essere abitato fino all’VIII secolo d.C., periodo in cui cominciarono le incursioni arabe
lungo le coste sarde e che sancisce il definitivo abbandono del promontorio di Nora.
Tutta la zona è rimasta completamente deserta per un lungo periodo di tempo,
probabilmente a causa della malaria (la zona di Pula ne è stata liberata definitivamente
negli anni ’50 grazie all’intervento dell’ERLAAS), dell’incedere delle pestilenze e per il
ripetersi delle incursioni barbariche; nel XVI secolo la zona era completamente priva di
abitanti.
Nel XVII secolo i ricchi proprietari terrieri cagliaritani che avevano dei possedimenti
nella zona di Pula fecero in modo di farvi installare delle famiglie che lavorassero la
terra in modo da trarne qualche profitto; in particolare poco dopo il 1630, quando già
erano state costruite le torri litoranee (S.Macario, Coltellazzo, Cala d’Ostia) che
rendevano un po’ più sicuro l’entroterra, fu ristabilita la popolazione; ma, ancora una
volta, nel 1652-1656, la peste, unitamente a nuove incursioni, debellò completamente
anche questo nuovo nucleo.
Successivamente si ebbe un incremento della popolazione a S.Pietro di Pula
(l’attuale Villa S.Pietro), il quale trovandosi spostato verso l’entroterra appariva più
sicuro dagli attacchi provenienti dal mare; qui la popolazione si occupava
prevalentemente di agricoltura e di pastorizia. Dopodiché si ebbe un nuovo
spostamento: un gruppo di abitanti di S.Pietro andò a stabilirsi dov’era l’antico borgo
(Pula) ed essendo una zona fertile, ormai sicura, perché non più soggetta a incursioni, si
sviluppò ben presto un commercio fiorente con Cagliari, che determinò l’accrescersi del
centro abitato.
Il nucleo stabile di Pula è nato alla fine del ‘700 e la sua espansione è cominciata
verso la metà dell’800.
Scavi attuali e metodi di studio
Nel 1990 sono iniziati i nuovi scavi archeologici sul promontorio di Nora diretti dalla
Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano e portati
avanti con la collaborazione delle Università di Genova, Padova, Pisa e Viterbo. Questi
nuovi scavi hanno un’importanza notevole per quel che riguarda gli studi su Nora in
quanto hanno permesso di acquisire una mole importante di dati preziosi a
19
comprenderne la storia. Fino al 1977 le conoscenze che si avevano della città si
concentravano principalmente nella lettura di alcuni monumenti ed episodi isolati:
rimanevano sostanzialmente poco conosciuti il periodo iniziale e le vicende legate alla
fase tardo romana, passando per il periodo vandalo e quello bizantino sino al suo
abbandono. Un primo importante intervento fu effettuato nel 1977 con lo scavo delle
grandi Terme a Mare: per la prima volta si ebbero dati stratigrafici affidabili per
individuare le varie fasi di vita, fino al crollo, dell’edificio termale. I nuovi scavi hanno
dato un grosso input per quanto concerne la fase fenicia e le fasi tarde di vita della città.
In relazione alla fase fenicia sono stati individuate un’area sacra e delle strutture
abitative databili tra il VII e il VI sec. a.C.; altre interessanti informazioni riguardano
l’ultima fase di vita di epoca bizantina, evidenziando il fenomeno della continuità di uso
della grande strada costiera, posta nel lato nord-occidentale del promontorio, anche
dopo l’abbandono degli edifici che sorgevano ai lati.
Nel 1992 ha preso il via lo studio del territorio mediante il metodo della ricognizione
archeologica sul territorio, tale metodo di indagine ha lo scopo di ricostruire la
topografia antica, la distribuzione della popolazione nel territorio e l’organizzazione e lo
sfruttamento dello stesso e, per questo motivo, presuppone l’intervento di diverse
professionalità e di un lavoro essenzialmente interdisciplinare.
La ricognizione ha interessato tutta l’area della piana di Pula fino ai comuni di
Sarroch e Villa S.Pietro. Tale studio ha permesso l’identificazione di diversi siti 8 sparsi
per tutto il territorio (cfr. Tav. II): una presenza umana ripartita su una porzione di
territorio molto vasta che, messa in relazione con i dati geologici e geomorfologici,
permette di chiarire i rapporti intercorsi nelle epoche passate tra i vari gruppi umani e il
territorio da loro occupato9.
Inquadramento geologico - strutturale (cfr. Tav. III)
Il promontorio di Nora fa parte della piana costiera di Pula; tale piana, di origine
alluvionale, è compresa nelle seguenti tavolette I.G.M. in scala 1:25.000: F. 234 III SW
8
Per sito si intende una presenza di materiale archeologico in quantità consistente rispetto a una
presenza più o meno costante di materiale indicata come disturbo di fondo; la concentrazione
abbondante di materiale costituirebbe un’anomalia rispetto al disturbo di fondo e in quanto tale viene
indicata come sito ossia come luogo di frequentazione umana, la cui natura viene chiarita in un secondo
tempo con lo studio del materiale e delle strutture, quando queste sono presenti.
9
Per un maggiore dettaglio circa la ricognizione e i risultati si vedano i capitoli V e VII.
20
e F. 240 IV NW (rilevate nel 1965) e F. 565 Sez. II – Villa S.Pietro, F. 573 Sez. I –
Domus de Maria e F. 566 sez. III – Pula il cui rilevamento risale al 1987.
Le litologie affioranti nel settore sono essenzialmente delle coperture superficiali
relative al Quaternario; tali depositi occupano la quasi totalità della piana. Sparse qua e
là, a costituire i promontori che caratterizzano la costa e gli alti morfologici della piana,
troviamo le rocce vulcaniche terziarie. Sempre al Terziario sono riferibili gli scarsi
affioramenti di arenarie e argille relativi alla “Formazione del Cixerri”. Mentre i graniti
affioranti a monte rappresentano il substrato paleozoico del settore. Nel dettaglio la
piana presenta i seguenti lineamenti geologici.
Paleozoico
La Sardegna e la Corsica costituiscono la parte restante di una zolla crostale che
presenta maggiori affinità con l’Europa continentale (in particolare con alcune parti
della Francia e della Spagna) che con il resto dell’Italia.
Si può senz’altro affermare che l’isola ha vissuto nel corso del Paleozoico gli
avvenimenti più importanti della sua storia geologica, passando attraverso ben due cicli
orogenetici (quello caledonico che ha interessato sedimenti cambriani e siluriani e
quello ercinico che ha coinvolto anche depositi devoniani e carboniferi). Tali cicli
orogenetici hanno lasciato segni ancora ben evidenti sull’assetto geologico generale
della Sardegna: il granito, la caratteristica litologica che contraddistingue la Sardegna è
ciò che resta di un magmatismo di tipo intrusivo legato all’orogenesi ercinica.
I rilievi che chiudono la piana di Pula verso Ovest fanno parte degli affioramenti
paleozoici del basso Sulcis e sono rappresentati perlopiù da graniti ai quali si associano,
in maniera abbastanza esigua e limitata alla sola zona entro il comune di Villa S.Pietro,
delle metamorfiti (in facies scisti verdi).
I graniti si presentano perlopiù a grana media con un colore grigio-roseo, talora a
grossi feldspati, che conferiscono alla massa una struttura essenzialmente porfirica.
Sono soprattutto leucograniti con scarse manifestazioni filoniane associate. Ad Ovest di
Villa S. Pietro prevalgono litologie a grana molto fine di origine metamorfica (facies di
derivazione pelitico arenacea) dove il metamorfismo è originato dalla intrusione
granitica (metamorfismo di contatto). Il basamento è interessato, poi, da deformazione
21
di origine ercinica, nonché dalla tettonica alpina (la quale ha condizionato i rapporti
spaziali attualmente esistenti tra le varie litologie): il lineamento tettonico principale è
un’importante faglia a prevalente rigetto verticale orientata WSW-ENE che divide le
litologie paleozoiche a N e a NW, da quelle terziarie e quaternarie a S e SE. questa
faglia può essere considerata come un prolungamento della grande linea di dislocazione
del Campidano occidentale. In prossimità di questa faglia il granito, generalmente
abbastanza compatto, si presenta arenizzato, potrebbero esserne la causa dei fenomeni
di frizionamento. La morfologia complessiva della piana costiera di Pula è stata
fortemente influenzata dalla presenza di questo elemento strutturale che ha determinato
un forte dislivello responsabile, insieme ai cambiamenti climatici alternatisi nel
Quaternario, del riempimento alluvionale prodottosi nella piana.
Cenozoico
Nel Cenozoico la Sardegna ha subito diverse vicissitudini di tipo dinamico che
l’hanno portata all’attuale posizione all’interno del Mediterraneo: durante tutto il
Paleozoico e il Mesozoico la Sardegna era saldata all’Europa continentale, tale
situazione si è protratta, secondo vari studiosi, fino all’Eocene dopodiché l’isola, ha
cominciato un movimento di deriva verso sud-est e una rotazione antioraria di circa 30°
che l’hanno portata a occupare la posizione attuale. Questa rotazione non è stata senza
conseguenze: è in quel momento che si è iniziato a formare il graben sardo, ossia una
vasta depressione, estesa dal golfo di Cagliari al golfo dell’Asinara, entro la quale si è
originato un vulcanismo di tipo andesitico esteso dai bordi di questa depressione fino
alle parti poste più a sud del golfo di Cagliari (Sarroch-Pula). In seguito, nel Miocene,
questa depressione viene invasa dal mare che comincia a depositare i suoi sedimenti.
Sarà, poi, nel Pliocene medio che si avrà un nuovo ciclo subsidente che interesserà la
parte meridionale della grande depressione e che originerà il graben del campidano
ossia l’attuale pianura del Campidano che si estende dal golfo di Cagliari al golfo di
Oristano.
Le formazioni terziarie affioranti nella nostra area di studio sono di due tipi: una, la
più antica, sedimentaria, di ambiente continentale di transizione (la “Formazione del
Cixerri”), l’altra di tipo vulcanico andesitico.
22
Formazione del Cixerri
Tale formazione è stata rinvenuta principalmente nella valle del fiume Cixerri,
nell’iglesiente, ma suoi lembi sono stati ritrovati in diverse parti dell’iglesiente stesso e
del Sulcis, tra cui nella piana di Pula. La formazione è in facies continentale e gli
apporti ciottolosi, rinvenuti nella valle del Cixerri provengono dal dominio iberico ossia
dalla Spagna nord-orientale (Cherchi & Montadert, 1982): gli autori sono concordi nel
ritenere che la deposizione sia iniziata quando ancora la Sardegna era saldata all’Europa
continentale. Questo sulla base del contenuto mineralogico e litologico della base degli
affioramenti, rinvenuti nella valle del Cixerri, il quale presenta delle affinità con rocce
rilevate in Spagna. Il colore rosso, una delle caratteristiche peculiari di questo deposito è
dovuto proprio all’ambiente di deposizione. Tale ambiente è, prevalentemente, di tipo
fluvio-deltizio negli affioramenti più occidentali della formazione, mentre in quelli più
meridionali (Sarroch - Pula) Barca & Palmerini (1973) ipotizzano ambienti di
sedimentazione di tipo prevalentemente lagunare, nei quali ricorrenti e cospicui apporti
terrigeni, riconoscibili nelle facies conglomeratiche intercalate alle arenarie, hanno dato
luogo a processi di sedimentazione riconducibili a quelli torbiditici; non ci si riferisce in
questo caso a torbiditi legate da un punto di vista genetico alla batimetria, ma a correnti
di torbida prodottesi nell’ambito di correnti fluviali nelle quali sia presente una forte
concentrazione di materiali clastici eterometrici. Fra gli ambienti di sedimentazione
possibili viene incluso anche quello marino – litorale per la presenza, in alcune facies, di
strutture sedimentarie quali burrows ossia gallerie scavate da organismi fossatori che in
genere vivono in questo ambiente.
La datazione della formazione ha rappresentato uno dei problemi maggiori nello
studio della stessa, in quanto essa si presenta quasi completamente priva di contenuto
fossilifero. Tuttavia il ritrovamento di alcuni fossili nei pressi di Domusnovas ha
permesso di datarne la base e di attribuirla ad un Eocene medio/inf. (Massoli-Novelli &
Palmerini, 1970), il fatto che poi al di sopra della formazione si trovino le vulcaniti
datate Oligocene-Miocene, porta a concludere che la formazione del Cixerri si è formata
in un arco di tempo compreso tra l’Eocene medio/inf. e l’Oligocene.
23
Nel nostro settore tale formazione affiora in maniera sporadica e gli affioramenti più
estesi sono quelli di Sa Perdera (nella fascia pedemontana ad Ovest di Villa S.Pietro) e
di G.dia Mussara (a Nord di Villa S.Pietro). Nel complesso si tratta di arenarie di colore
grigio, disposte in banchi, potenti, talvolta, anche diversi metri, alternate a delle argille
rosso - violacee; le arenarie, hanno una granulometria media, sono prevalentemente
quarzose e debolmente cementate da un cemento di tipo carbonatico, si presentano
completamente prive di fossili (anche a livello microscopico) e di qualsiasi tipo di
struttura sedimentaria. Le argille, particolarmente evidenti per via del loro colore viola
intenso, presentano una plasticità estrema quando bagnate. Per questo motivo sono state
campionate e sottoposte ad analisi archeometriche (tuttora in corso) al fine di stabilire se
siano state usate o no nella fabbricazione di ceramiche in epoca punica o romana.
In località Sa Perdera/Sa Perderedda le arenarie affiorano sotto a depositi di
versante pleistocenici piuttosto ben cementati; mentre a G.dia Mussara le troviamo
sotto alle vulcaniti.
Vulcaniti
Le vulcaniti sono un elemento litologico e morfologico importante nel nostro settore:
rappresentano il substrato sul quale poggiano le formazioni superficiali della piana e la
caratterizzano morfologicamente costituendone gli alti morfologici e i promontori lungo
la costa.
Sono state individuate due facies vulcaniche che affiorano in alternanza: una lavica
massiva (osservabile nel promontorio del Coltellazzo) e una brecciosa (piuttosto diffusa
nel settore di Pula). Tali vulcaniti sono state riconosciute come andesiti appartenenti al
ciclo vulcanico attivo in Sardegna a partire dall’Oligocene in concomitanza con i
movimenti di rotazione del massiccio sardo-corso, prima della trasgressione miocenica
(Pecorini & Pomesano-Cherchi, 1969). Le datazioni più recenti, fatte sulle vulcaniti,
hanno fornito un’età di 35-32 M.a. (Montigny et al. 1981; Beccaluva et al., 1985; 1987).
Le facies brecciose o “agglomeratiche” si presentano costituite in prevalenza da
elementi arrotondati, con una debole percentuale di elementi spigolosi. Le dimensioni di
questi ciottoli variano in media tra i 3 e i 10 cm di diametro, sono presenti elementi di
dimensioni maggiori o minori, ma alquanto raramente.
24
Il colore e l’aspetto di questi agglomerati andesitici sono vari e sono in relazione al
grado di alterazione della roccia ed al colore dei singoli elementi che li costituiscono; la
parte “agglomerante” è generalmente grigio-verde, mentre gli inclusi variano dal grigio,
al verde, al rosso. Per ciò che concerne la genesi, potrebbe trattarsi di agglomerati
formati da materiali accumulatisi in seguito allo smantellamento di rilievi vulcanici
preesistenti, trasportati dall’acqua, scesi per gravità e poi inglobati dalla massa lavica
andesitica che raffreddandosi ha costituito la parte “agglomerante”. Tali brecce hanno
un aspetto quasi conglomeratico, sono molto sensibili all’erosione presentando lungo la
costa, diverse forme quali solchi di battente, piccole cavità scavate nella roccia, o
marmitte e ripe di erosione. L’alto grado di erodibilità determina, inoltre, l’abbondante
formazione di materiale detritico, che accumulandosi ai piedi dei versanti costituisce
falde di detrito e colluvi.
Le lave presentano una varietà di colore dovuta al diverso grado di alterazione. Il
loro colore varia dal grigio chiaro a quello scuro, quasi nero, al verdastro. Quelle più
scure sono anche, generalmente, le più fresche e le più compatte, presentanti una
frattura da scheggiosa a concoide, caratteristica, quest’ultima, dei tipi più vetrosi. Le più
chiare sono, invece, le più alterate e, di conseguenza, le meno compatte e mostrano una
frattura terrosa.
Le rocce fresche presentano una struttura porfirica con fenocristalli le cui dimensioni
possono andare da qualche decimo di mm fino a 5-6 cm. I fenocristalli in quest’ultimo
caso sono rappresentati da grossi individui di orneblenda di colore nero lucente e con
tracce nette di sfaldature (Massoli-Novelli, 1965).
L’alterazione tende a modificare il colore della roccia. Nelle facies ove è prevalente
l’alterazione cloritica, che investe soprattutto gli anfiboli e, secondariamente, i
plagioclasi, si ha una conseguente colorazione verdastra della roccia alterata. Laddove
prevale, invece, la trasformazione argillosa, la roccia passa dal colore grigio omogeneo
primitivo ad un grigio chiaro punteggiato di bianco, perdendo molto in compattezza
(Massoli-Novelli, 1965).
Le facies massive e filoniane costituiscono dei rilievi con versanti acclivi mentre le
facies brecciose, facilmente argillificate, danno luogo, in genere, a basse colline. Le
25
facies massive si presentano, inoltre, fratturate, con fratture fra loro perpendicolari che
le rende soggette alla formazione di falesie quando affiorano lungo la costa.
Le due facies, massiva e brecciosa, si trovano alternate. La fuoriuscita delle lave non
è avvenuta attraverso degli apparati vulcanici conici, ma attraverso delle faglie. Gli
autori sostengono che l’elemento tettonico responsabile di questa fuoriuscita sia proprio
la faglia orientata NE-SW, in raccordo con le faglie del Campidano, posta tra i rilievi
paleozoici e la piana vera e propria.
Da un punto di vista morfologico le vulcaniti si presentano cupuliformi, con versanti
piuttosto dolci, quando non superano i 50 m di altezza; nel settore di Sarroch, dove le
quote raggiunte sono abbastanza elevate, i versanti sono scoscesi e la dinamica di
versante è abbastanza accentuata. La dinamica costiera è quella che agisce con più
efficacia, lasciando le tracce della sua azione sui promontori: la morfologia della costa è
quella che si presenta più articolata. Tutti i promontori presentano delle falesie o delle
ripe di erosione, la presenza dell’una o dell’altra dipende essenzialmente dalla litologia;
sono sempre presenti delle piattaforme di abrasione scavate sulla roccia e dei solchi di
battente sia attuali che relativi a livelli del mare più alti dell’attuale (cfr. foto 4); quando
l’azione del mare agisce sulle brecce si ha la formazione di ulteriori forme quali
marmitte e altri tipi di cavità.
Quaternario
I depositi quaternari (essenzialmente formazioni superficiali) sono riferibili sia al
Pleistocene che all’Olocene. Tali depositi si presentano distribuiti nel modo seguente:
nella fascia pedemontana (dove dominano i processi legati alla gravità e all’azione delle
acque di ruscellamento superficiale) prevalgono i depositi continentali quali glacis e
conoidi pleistocenici e falde di detrito attuali; nella fascia intermedia, dove l’attività
deposizionale operata dai corsi d’acqua si fa più intensa, prevalgono i depositi
alluvionali terrazzati sia olocenici che pleistocenici, e i depositi alluvionali sciolti
attuali; nella fascia costiera, sede del modellamento e dell’accumulo marino, troviamo
depositi di spiaggia attuali e pleistocenici, sabbiosi o ciottolosi; depositi limoso-argillosi
delle zone palustri, e lembi di depositi continentali relitti relativi al pleistocene.
26
Pleistocene
Il Pleistocene marino è rappresentato da conglomerati e arenarie a stratificazione
incrociata la cui datazione, ottenuta con il metodo della racemizzazione degli
aminoacidi10, ha dato 125.000 anni B.P. e ci permette di collocare, cronologicamente,
tali affioramenti all’interno dell’ultimo intereglaciale. Il contenuto fossilifero è piuttosto
abbondante ed è costituito da Lithothamnium, Patella ferruginea e dalla fauna tipica del
tirreniano: lo Strombus Bubonius; tali specie, attualmente viventi lungo le coste
senegalesi, in un ambiente climatico diverso dal nostro, indicano, che nel Tirreniano, la
Sardegna aveva un clima simile a quello attuale delle coste dell’Africa occidentale.
I depositi tirreniani affiorano lungo la linea di costa tra 2 e 4 m sul l.m.m. attuale, tra
P.ta S.Vittoria e P.ta d’Agumu. Le due sezioni tipo affioranti in questa zona sono quella
di Fradis Minoris e quella di Nora.
Il significato paleogeografico di questi depositi è abbastanza chiaro: si tratta di
testimonianze di antiche spiagge, cordoni litorali, tomboli formatisi circa 125.000 anni
fa in un clima più caldo del nostro e con un livello del mare più alto di 2-4 metri.
L’affioramento di Fradis Minoris viene interpretato come un cordone litorale
emerso in seguito a una fase di barra sommersa. La sua emersione avrebbe provocato la
chiusura, tra il promontorio di Nora e la P.ta d’Agumu, di uno stagno con caratteristiche
simili a quelle dell’attuale stagno di Chia. Il promontorio di Nora deve, invece, la sua
formazione al tombolo tirreniano che avrebbe saldato quella che allora era un’isola alla
terraferma. Testimonianze di questa saldatura sono fornite sia dagli affioramenti
tirreniani distribuiti nell’istmo che collega oggi il promontorio alla terraferma, ma anche
da altri affioramenti trovati a quote di circa + 1,6 m s.l.m.m. attuale, all’interno dell’area
di scavo. La spiaggia di Nora, invece, aveva una larghezza maggiore con una linea di
costa che correva parallelamente alla linea di costa attuale (cfr. Tav. IV).
Attualmente i depositi tirreniani sono incisi e formano delle ripe di erosione attive,
sottoposte all’azione erosiva del mare, che opera uno scalzamento alla base con crollo
arretramento della ripa parallelamente a se stessa.
Il Pleistocene continentale è rappresentato da depositi continentali di versante e
alluvionali. I primi si presentano principalmente come un insieme caotico ed
10
Ulzega A. Hearty P. J., 1986-Geomorfology, Stratigraphy and Geochronology of Late Quaternary
Marine Deposits in Sardinia Z. geomorph. N.F. Suppl. Bol. 62, 119-129, Berlin-Stuttgart.
27
eterometrico di ciottoli con diverse litologie dipendenti dal settore di provenienza degli
apporti. Nei depositi più a Nord prevalgono rocce metamorfiche paleozoiche
(affiorando tali rocce nel settore montano a Ovest di Villa S.Pietro), in quelli più a Sud
sono essenzialmente rocce granitiche (affiorando nel settore a monte quasi
esclusivamente graniti a partire dalla zona a Ovest di Pula).
I ciottoli che costituiscono il deposito presentano un grado di elaborazione molto
basso, spesso sono a spigoli vivi. Le dimensioni sono molto variabili, con ciottoli di
dimensioni massime di 30 cm. Tali ciottoli si trovano immersi in una matrice argillososabbiosa che può assumere una colorazione rosso-arancio oppure tendente al marronegrigio. Tale colorazione è essenzialmente funzione dell’età, infatti i depositi più antichi
si presentano ossidati e questa ossidazione conferisce al deposito un colore arrossato. La
matrice si presenta argilloso-sabbiosa dove i litotipi dominanti sono granitici, mentre
dove prevalgono le metamorfiti la matrice è essenzialmente di tipo argilloso.
Il deposito può, inoltre, presentare un grado di cementazione piuttosto elevato, tale
da conferirgli un aspetto quasi lapideo, in questi casi i ciottoli di granito sono
fortemente alterati fino a presentare fenomeni di arenizzazione. Il grado di
cementazione, l’alterazione dei ciottoli e l’ossidazione della matrice vengono utilizzati
come segni indicanti l’antichità del deposito ossia anche se non si conosce la loro età
precisa si ritiene che essi appartengano a un Quaternario antico e in particolare al
Pleistocene. I depositi di versante di questo tipo vengono classificati, da un punto di
vista morfologico, come dei glacis misti (di accumulo e di erosione) originati, in alcuni
casi, dalla coalescenza di più conoidi (soprattutto nella zona a Ovest di Villa S.Pietro).
Morfologicamente si presentano come delle distese subpianeggianti (pendenza massima
di 10-15 gradi) e fungono da cerniera tra i rilievi e la piana alluvionale. La loro
formazione è dovuta prevalentemente ad accumulo torrentizia e colluviale, e la loro
estensione, in una zona in cui il clima attuale non ne permetterebbe la formazione, fa si
che gli autori siano concordi nel ritenere che tali depositi si siano formati in un
momento in cui il clima era più freddo, di tipo periglaciale 11. Un tipo di clima che
attualmente si trova alle alte latitudini e alle elevate altitudini, ma che durante le fasi
fredde del Quaternario ha interessato anche la Sardegna.
11
Si ritiene che questo ambiente morfoclimatico sia quello più favorevole alla formazione di questo tipo
di glacis.
28
I depositi alluvionali occupano la fascia intermedia sia lungo il corso del Rio Pula
che del Rio S. Margherita e, quando affiorano sulla linea di costa, sono incisi a formare
delle ripe di erosione non più attive che costituiscono il retrospiaggia delle spiagge
attuali. Si presentano come delle coltri di materiale detritico che raggiungono anche lo
spessore di diversi metri (come nel caso del Rio Mannu/Rio Pula) costituite da materiale
ciottoloso, essenzialmente granitico, formato da ciottoli con un alto grado di
elaborazione fino ad arrotondati, eterometrici e moderatamente classati, di dimensioni
massime di circa 30 cm, immersi in una matrice sabbioso-argillosa di colore rossoarancio. Nel complesso le loro caratteristiche ricordano molto quelle dei glacis, fatta
eccezione per il maggiore arrotondamento dei ciottoli e per la loro maggiore
classazione. Anche in questo caso il colore sarebbe indice di una ossidazione che,
insieme al grado di cementazione presentato dai depositi, viene messo in relazione con
l’età che, anche in questo caso, si attribuisce al Pleistocene.
Seuffert (1970) sostiene che sia i glacis che le alluvioni appartengono all’ultimo
grande
periodo freddo del Quaternario ossia al Würm12, allora essi sarebbero la
testimonianza del deterioramento climatico intercorso in seguito al periodo caldo del
Tirreniano. Infatti per la loro formazione sono necessarie condizioni climatiche
particolari quali l’aumento delle precipitazioni che con l’alternarsi di gelo e disgelo,
determinano l’aumento del materiale detritico da trasportare e depositare a valle.
Tuttavia la mancanza di elementi datanti in modo assoluto non ci permette di stabilire se
siano realmente posteriori o se, invece, relativi a un periodo a clima freddo, precedente
al Tirreniano. Gli elementi che abbiamo ci permettono solo di stabilire che si tratta di
depositi relativi a un Quaternario antico, depositatisi in un clima più freddo di quello
attuale e di quello tirreniano. Inoltre tali depositi si presentano incisi e terrazzati cioè
dopo la loro formazione c’è stato un cambiamento climatico che ha determinato
condizioni erosive dettate da minori precipitazioni e un graduale sollevamento del
livello del mare. I depositi superficiali nella parte alta e media della valle sono stati
incisi, e la stessa sorte è toccata ai depositi posti sulla costa. Probabilmente le
testimonianze erosive lungo la costa, a una quota leggermente superiore a quella del
12
Anche se gli studi più recenti hanno dimostrato che le glaciazioni furono dei periodi caratterizzati da
diverse oscillazioni climatiche succedutesi nel corso di quello che un tempo veniva indicato come
wurmiano, per comodità di trattazione utilizzeremo questo termine per indicare grosso modo il periodo
di formazione di questi depositi.
29
l.m.m. attuale, sono riferibili alla trasgressione Versiliana, la quale in Sardegna avrebbe
raggiunto come livello massimo, + 2 m.
Gli effetti più evidenti sono materializzati dalle innumerevoli ripe di erosione (cfr.
Tav. V) incise su depositi continentali posti attualmente nella zona di retrospiaggia
(lungo la spiaggia di Nora, la spiaggia di Agumu, a P.ta Furcadizzu, a Porto Columbu),
da solchi di battente incisi a circa un metro al di sopra del livello attuale (Punta
d’Agumu, foto 4), ai quali talvolta si trova associata la piattaforma di abrasione
correlata (promontorio del Coltellazzo).
30
Olocene
I depositi continentali olocenici sono essenzialmente depositi di versante, colluvi e
depositi alluvionali; i depositi di versante sono quelli più recenti e coprono quasi tutti i
versanti dei rilievi di quote maggiori, in particolare i rilievi granitici e quelli andesitici
di Sarroch. Tali depositi sono il risultato di processi meccanici innescati dalla gravità,
che agisce insieme agli agenti meteorici. Infatti la roccia, spesso già fratturata
naturalmente, subisce delle frantumazioni per opera degli agenti meteorici, e i
frammenti, così prodotti, tendono a muoversi lungo il versante per effetto della gravità,
accumulandosi ai piedi del versante stesso dando luogo a degli ammassi ciottolosi,
completamente sciolti, a spigoli vivi. Nel nostro settore i depositi di versante di questo
tipo, meglio sviluppati, si trovano alla base delle rocce granitiche.
I depositi colluviali interessano in modo particolare le vulcaniti, e sono distribuiti sia
sui versanti delle colline che dei promontori; hanno spessori variabili da centimetrici a
metrici (cfr. foto 6), il materiale che li costituisce deriva dall’alterazione chimica
dell’andesite e dal trasporto lungo i versanti operato dalle acque di ruscellamento
diffuso. Il risultato è un deposito caotico, etereometrico, formato da ciottoli spigolosi di
vulcaniti immersi in una matrice argillosa di colore bruno.
I depositi alluvionali, osservabili in vaste aree della piana, si presentano come delle
distese ciottolose di materiale granitico, con ciottoli ben arrotondati, immersi in una
matrice argillosa di colore bruno; tali depositi sono, talvolta, incisi dai corsi d’acqua
attuali. La loro vasta estensione è legata a una paleoidrografia più sviluppata rispetto a
quella attuale, anche nell’olocene recente: In alcuni casi questi depositi sono le uniche
testimonianze rimaste di corsi d’acqua ormai estinti il cui corso è individuabile facendo
un’analisi incrociata tra foto aeree e rilevamento di campagna.
I depositi alluvionali sciolti costituiscono i letti dei corsi d’acqua maggiori:
essenzialmente ciottolosi, fortemente eterometrici, privi totalemente di matrice, i litotipi
dominanti sono granitici, in quanto il reticolo idrografico della piana prende origine nel
settore montano paleozoico..
I depositi marini sono rappresentati dalle spiagge che si presentano, sabbiose o
ciottolose. Tali spiagge hanno una estensione abbastanza ridotta e si trovano sempre
31
strette fra i promontori andesitici formando delle caratteristiche baie. Sono presenti
alcune forme costiere di accumulo particolari quali cordoni litorali di formazione molto
recente come quello posto all’interno della laguna e quello che costituisce la parte finale
della spiaggia di Agumu.
I depositi palustri occupano un’area abbondante, ma non molto vasta, del settore
studiato. E’ molto difficile indicare con precisione i limiti di questi depositi anche
perché l’area ha subito degli interventi di bonifica negli anni cinquanta mirati a
eliminare i focolai di malaria e dunque le aree paludose o stagnanti. Sono comunque
estesi nella parte a Nord della laguna “Su Stangioni e S.Efisio” e in prossimità del
canale Cristallu. Tali depositi si presentano argillosi, di colore grigio scuro-nero e sono
gli unici depositi interamente argillosi che si trovano nelle immediate vicinanze della
città di Nora.
Caratteri geomorfologici (cfr. Tav. III)
La zona oggetto di studio ha, nel complesso, una morfologia pianeggiante o
subpianeggiante, con degli alti morfologici rappresentati dalle colline e dai promontori
andesitici.
La zona può essere divisa, nonostante l’omogeneità che presenta nel complesso, in
tre fasce morfologicamente distinte da un punto di vista genetico:
a.
Una fascia pedemontana caratterizzata dalla presenza di depositi di versante,
dove prevalgono i processi legati alla gravità e al ruscellamento superficiale e che
funziona da raccordo tra la fascia montana e la piana vera e propria;
b.
Una fascia intermedia, che rappresenta la piana alluvionale in senso stretto, nella
quale i processi alluvionali legati alle acque incanalate hanno prevalso, soprattutto nel
Pleistocene;
c.
La fascia costiera caratterizzata da una costa a promontori alternati a baie sabbiose o
ciottolose e nella quale la dinamica costiera è l’elemento morfologico dominante (anche
se in certe zone si può avere una influenza notevole da parte della dinamica eolica).
Veniamo ora ad analizzare in maniera più dettagliata le tre zone individuate
all’interno della piana.
Fascia Pedemontana
32
La fascia pedemontana è caratterizzata da una copertura attuale, costituita da falde di
detrito e piccoli coni di deiezione, e una copertura pleistocenica costituita da glacis
quaternari (a Ovest di Villa S.Pietro) più o meno incisi e terrazzati. Tale area si estende
lungo tutto il bordo dei rilievi paleozoici che chiudono la piana a occidente.
La morfologia dei glacis è tipicamente dolce, debolmente inclinata e incisa dai corsi
d’acqua attuali. I processi che dominano e che hanno dominato nel Pleistocene, in
quest’area, sono quelli di ruscellamento diffuso, quelli dovuti alla gravità e quelli legati
alle acque incanalate. I glacis sono delle forme relitte, ossia delle forme non più attive,
infatti la loro formazione è legata a un particolare tipo di clima che è quello periglaciale
il quale ha interessato la Sardegna, a più riprese, durante le fasi fredde del Quaternario.
In questi climi i detriti trasportati dai corsi d’acqua vengono abbandonati sotto forma di
coni alluvionali, generalmente di grandi dimensioni, in conseguenza dell’abbondante
produzione di detriti e della scarsità della copertura vegetale. L’unione di più coni in
una larga superficie debolmente inclinata, al piede di un versante, determina la
formazione di un glacis alluvionale. I processi di ruscellamento, di geliflusso o di
dilavamento in massa trovano nell’ambiente periglaciale le condizioni favorevoli per il
modellamento dei glacis d’erosione e di accumulo (Panizza, 1973). Nella fascia
pedemontana del nostro settore si ritrovano tutti gli elementi morfologici descritti: i
glacis assumono di volta in volta l’aspetto di conoidi e di glacis misti. Un bell’esempio
di conoide, ancora reperibile sul topografico del 1966 e, in parte, del 1987, ma ben
visibile in quello del 1931, lo si può osservare nel settore NO dell’area indagata (a
Ovest di Villa S.Pietro).
Lo spessore dei glacis varia notevolmente da alcune decine di metri a pochi metri,
come accade in località Sa Perdera dove tali deposti poggiano sugli affioramenti terziari
della formazione del Cixerri; il contatto fra le due formazione dà origine a fenomeni di
erosione differenziale in quanto i depositi quaternari, più resistenti, proteggono la parte
superiore del deposito terziario evitandone l’asportazione completa. Il risultato
morfologico sono delle colline di forma allungata nella direzione dei corsi d’acqua che
hanno inciso le vallecole tra una collina e l’altra.
33
I depositi di versante attuali, posti ai piedi dei rilievi paleozoici, sono essenzialmente
delle falde di detrito legate ai processi gravitativi che agiscono sui materiali provenienti
dal disfacimento della roccia.
La fascia pedemontana è, dunque, caratterizzata da dinamiche di versante legate sia
alla gravità che alle acque di ruscellamento superficiale. La maggiore estensione dei
depositi più antichi rispetto a quelli attuali è legata al fatto che questa dinamica è stata
molto più attiva in passato: i depositi più antichi si sono formati in un clima di tipo
periglaciale con piogge più abbondanti, copertura vegetale ridotta e una gran mole di
detriti derivanti dal disfacimento meccanico dei rilievi paleozoici che hanno fornito il
materiale per la costruzione di questi depositi.
Fascia intermedia
La fascia intermedia è caratterizzata dalla presenza di depositi alluvionali
pleistocenici e olocenici. La morfologia di questa fascia è decisamente pianeggiante
interrotta solo dalle colline andesitiche che costituiscono gli alti morfologici. I depositi
alluvionali pleistocenici seguono l’andamento dei due fiumi principali (il Rio Mannu Rio Pula e il Rio S.Margherita) e sono fortemente terrazzati; quelli olocenici hanno una
distribuzione continua in tutta la piana; Per ciò che concerne il Rio Mannu – Rio Pula
esso presenta dei terrazzamenti sia nella sponda sinistra (due ordini di terrazzi) che in
quella destra (tre ordini di terrazzi se si considera anche l’incisione sui glacis). Si tratta
di terrazzi alluvionali incastrati, che denotano una importanza minore dei periodi di
erosione rispetto a quelli di deposizione. I terrazzi della sponda sinistra presentano
pareti subverticali con orli netti e altezze maggiori rispetto a quelli della sponda destra.
Tale conformazione ha origine nella topografia e dunque nell’erosione più marcata
subita dalla sponda destra e conferisce alla valle un aspetto asimmetrico. Nella parte
finale del corso d’acqua si conservano ancora delle alluvioni terrazzate, ma sono più
recenti, di età olocenica.
Il Rio S.Margherita è bordato da entrambi i lati da alluvioni pleistoceniche terrazzate
che si estendono dallo sbocco a valle dei versanti fino alla linea di costa dove formano
delle piccole ripe di erosione. La valle che ospita il Rio S.Margherita si è generata
durante l’ultimo glaciale per erosione fluviale interessando regressivamente i rilievi
34
paleozoici retrostanti in conseguenza dell’abbassamento del livello del mare. La risalita
del mare in stadi successivi ha catturato la valle dando luogo all’attuale piana
alluvionale, nella quale si individuano i terrazzi relativi ai vari momenti di colmata e di
erosione.
Tutti i terrazzi si sono sviluppati nel tratto medio dei fiumi, per questo motivo li si
considera dei terrazzi climatici.
Le alluvioni pleistoceniche si spingono fin sulla linea di costa dove il mare olocenico
in risalita le ha incise formando delle piccole ripe d’erosione (ora inattive).
La monotonia del paesaggio pianeggiante delle alluvioni è interrotta in maniera
abbastanza sporadica dalla colline andesitiche che costituiscono gli alti morfologici.
Tali colline si presentano isolate con forme tendenzialmente a cupola e quote non molto
elevate (tra i 10 e i 60 m); le loro dimensioni e la loro distribuzione diminuiscono mano
a mano che ci si spinge verso sud. Al contrario se ci si sposta verso Nord (soprattutto
nel confine tra il territorio comunale di Villa S.Pietro e il territorio comunale di Sarroch)
le quote e l’estensione di questi rilievi aumentano.
Fascia costiera
La costa è caratterizzata da baie sabbiose e ciottolose alternate a promontori
andesitici, la cui facies dominante è quella breccioso – agglomeratica; la penisola del
Coltellazzo rappresenta un’eccezione in quanto presenta una facies di tipo massivo. La
morfologia dei promontori è ben articolata e l’agente modellante principale è quello
marino: falesie, attive o stabilizzate, coste alte con ripe di erosione, archi, solchi di
battente ( cfr. foto 1, 2 e 4), piattaforme di abrasione (attuali o relitte).
Il confronto incrociato fra tavolette I.G.M. (dal 1897 al 1987) e foto aeree (dal 1955
al 1996) ha messo in evidenza che in questo arco di tempo si sono verificate delle
variazioni della linea di costa materializzate in avanzamenti o arretramenti. La forte
antropizzazione, dovuta allo sviluppo turistico, a partire dagli anni ’50-60 ha
determinato, in alcune zone, dei cambiamenti morfologici notevoli e dei processi di
erosione accelerata. L’esempio più evidente è dato dalla spiaggia di Porto Columbu
dove una concomitanza di cause di tipo antropico aveva innescato un lento processo di
35
arretramento della linea di costa13, tale processo ha subito un’accelerazione dopo la
costruzione del porticciolo turistico di Perd’e Sali (cfr. Tav. VI).
L’analisi incrociata di dati archeologici, geologici, cartografici e toponomastici ha
messo in evidenza una serie di modificazioni morfologiche relative alla foce del Rio
Pula e al suo letto di esondazione. Attualmente il Rio Pula si trova imbrigliato fra due
argini artificiali costruiti negli anni ’50; tali argini possiedono dei bracci a mare che
hanno determinato in questo lasso di tempo degli accumuli di materiale dovuti
all’interferenza dei bracci stessi con l’azione della corrente di deriva litorale.
Per quanto riguarda il letto di esondazione della parte finale del corso d’acqua si è
potuta stabilire una sua evoluzione partendo dal Pleistocene e arrivando fino all’attuale
sulla base di dati geologici, toponomastici e archeologici:
1.
Sono stati trovati lembi isolati di depositi alluvionali arrossati e cementati
relativi al Pleistocene in località P.ta Furcadizzo, sulla linea di costa dove
formano delle piccole ripe di erosione, e nel suo immediato entroterra;
2.
Tra P.ta Furcadizzo e la foce del Rio Pula sono presenti ben tre toponimi
indicanti la presenza di stagni o zone palustri (“Su Stangioni”) due dei quali
indicano inoltre la presenza di una foce (“Foxi”): Su Stangioni Perd’e Sali a
Nord di Furcadizzo, che ospita ancora un piccolo specchio d’acqua, Su
Stangioni Foxi Niedda a Nord della foce conserva ancora una certa umidità,
rilevabile dal tipo di vegetazione, e Su Stangioni Foxi Lino a Sud della foce
attuale, completamente colmato;
3.
La ricognizione archeologica sul territorio ha rivelato che in un’area di
dimensioni prossime a quelle del letto di piena registrato fino agli anni ’50,
non esistono testimonianze archeologiche di nessuna epoca storica (cfr. Tav.
II), ciò è abbastanza strano soprattutto per il periodo romano, per il quale la
stessa ricognizione ha rivelato un’occupazione sul territorio estesa
principalmente nelle aree alluvionali; questa assenza è stata messa in relazione
con il fatto che l’area fosse sede di piene ordinarie o straordinarie fino
13
Degli studi condotti sulla spiaggia di Porto Columbu alla fine degli anni ’50 hanno dimostrato che la
spiaggia era in arretramento. Le cause di questo arretramento furono individuate in cause di tipo antropico
come il prelevamento indiscriminato di materiale sabbioso dalla spiaggia sommersa al largo della
spiaggia emersa e il diminuito apporto di materiale di origine fluviale a causa degli sbarramenti sui corsi
d’acqua
36
all’epoca romana e dunque pericolosa per lo stanziamento di attività
antropiche di vario genere. I dati d’archivio dimostrano che fino a quando non
sono stati costruiti gli argini l’area di esondazione del Rio Pula aveva
dimensioni simili a quelle ipotizzate per il periodo romano.
L’integrazione e lo studio dei dati qui esposti ci porta a fare le seguenti ipotesi e
considerazioni: nel Pleistocene il Rio Pula aveva sicuramente portate maggiori rispetto a
quelle attuali, con un’area di esondazione che si spingeva fino a Nord di Punta
Furcadizzo, a tal proposito Seuffert ipotizza che il Rio Pula avesse una direzione di
scorrimento diversa rispetto all’attuale, spostata molto più a Nord, con una foce posta in
corrispondenza di Porto Columbu; questa ipotesi, però, non spiega la presenza di tanti
depositi alluvionali pleistocenici posti nella zona prossima al corso attuale, e,
soprattutto, non è supportata da dati di campagna, in quanto nell’area indicata non si
ritrova nessun lembo di affioramento alluvionale pleistocenico; la mia ipotesi, proposta
sulla base dei dati di campagna rilevati, è che nel Pleistocene l’area compresa tra Perda
Fitta e P.ta Furcadizzo si presentava come una vasta area di esondazione a rami
divaganti interessata, in tutta la sua superficie, da fenomeni di alluvionamento relativi a
tali rami . Questo spiegherebbe l’ampia ripartizione in tutta quest’area dei depositi
alluvionali e la conservazione in vari punti della costa di piccoli lembi di materiale
alluvionale dello stesso tipo. Il successivo sollevamento del mare fino al massimo
trasgressivo olocenico ha inciso questi depositi sia in corrispondenza dei letti fluviali,
che lungo la costa, formando le ripe di erosione che si rinvengono in tutta l’area.
Nell’Olocene il Rio Pula ha mantenuto le sue caratteristiche riducendo, a causa delle
diverse condizioni climatiche, la sua area di esondazione; tale area coincide con lo
spazio occupato dalle alluvioni oloceniche ai lati del Rio Pula e interno alle alluvioni
pleistoceniche.
L’area di piena del Rio Pula, relativa al periodo romano, è deducibile interpolando i
punti in cui sono stati trovati i siti più interni, si tratta di un’area nella quale non si
ritrova la minima testimonianza archeologica (cfr. Tav. II e III).
L’area di piena occupata nell’ultimo secolo è, invece, ricavata dallo studio dei dati
d’archivio e grazie anche alla toponomastica: tale area, nella zona a sud del Rio Pula, è
quasi coincidente con quella dedotta per l’epoca romana, mentre a Nord è più ridotta.
37
Le forme costiere più imponenti, che caratterizzano la linea di costa, sono delle
falesie con altezze variabili tra 15 e 30 metri. Le più caratteristiche si osservano a Perda
Fitta, nella parete sud dell’isola del Coltellazzo, nella parete sud del promontorio del
Coltellazzo (cfr. foto 1) e a Cala d’Ostia.
A Perda Fitta la falesia (promontorio di S.Vittoria) presenta una parte attiva e una
parte stabilizzata, è presente un solco di battente, corrispondente all’attuale livello del
mare, ed è l’unica località in cui è osservabile un arco, il quale è, in parte, originato
dall’attività antropica. La dinamica è di tipo prevalentemente erosivo, gli unici accumuli
di materiale sono quelli relativi ai blocchi crollati dalla falesia, i quali non presentano,
peraltro, nessun tipo di elaborazione.
Il promontorio e l’isola del Coltellazzo, presentano delle pareti a falesia. Il
promontorio, inoltre, conserva una piattaforma di abrasione e un solco di battente
relativi a un livello del mare più alto, rispetto a quello attuale, di circa 1 m (cfr. Tav. V
- foto 1).
In corrispondenza delle coste rocciose, si osservano delle piattaforme di abrasione in
formazione, talora molto estese.
38
CAPITOLO II
Inquadramento geologico e geomorfologico della baia di Nora
La “baia di Nora” (cfr. Tav. VII e allegato n. 1) è la zona da noi studiata nel dettaglio ed
è compresa tra i promontori di Punta Santa Vittoria e di Punta d’Agumu.
Il rilevamento relativo alla baia è stato eseguito al dettaglio utilizzando una scala di
1:5.000 (cfr. allegato n.1). Nel corso del lavoro ci si è resi conto che la laguna di
S.Efisio rappresentava una chiave di volta nell’ambito delle variazioni morfologiche
recenti, per questo motivo si è ritenuto opportuno dedicare un dettaglio maggiore al
rilevamento geomorfologico della zona nella quale la laguna è compresa e dunque è
stato fatto un rilevamento in scala 1:2.000 (cfr. allegato n. 2) corredato di analisi di tipo
sedimentologico e geofisico.
Caratteri geologici e strutturali
Nella zona indagata affiorano quasi esclusivamente le formazioni superficiali relative
al Quaternario; tali formazioni sono i depositi alluvionali, sciolti o cementati, i depositi
sabbiosi o ciottolosi di spiaggia, i limi argillosi delle aree palustri, i depositi di versante
delle colline e dei promontori andesitici. Il substrato è rappresentato dalle vulcaniti
andesitiche oligo-mioceniche che costituiscono le colline e i promontori lungo la costa.
Cenozoico
Il substrato è essenzialmente formato dalle rocce vulcaniche andesitiche oligomioceniche14. La loro distribuzione è limitata ai promontori (M.te S.Vittoria,
promontorio di Nora e P.ta d’Agumu) e alle colline dell’entroterra. La litofacies
dominante nell’area indagata è quella breccioso – agglomeratica, con un’unica
eccezione rappresentata dalla punta del Coltellazzo, dove prevale la facies massiva alla
quale si alterna, in maniera del tutto esigua, quella brecciosa. Tale differenza litologica è
ben evidente anche nella morfologia, infatti il Coltellazzo presenta delle pareti a falesia
piuttosto acclivi, cosa che non si rileva per gli altri promontori della baia.
14
Per ciò che concerne le caratteristiche litologiche e la formazione di queste rocce si rimanda al capitolo
I dove si descrivono le carattetristiche generali delle vulcaniti affioranti nella piana.
39
Le prime conoscenze relative alle caratteristiche geologiche dell’area le si devono al La
Marmora che, nel suo Voyage en Sardaigne, descrive in maniera precisa e dettagliata la
geologia della Sardegna compresi gli affioramenti vulcanici di questo settore.
Secondo tale autore le forme assunte da queste rocce sono quelle di “monticoli conici”
che “si dirigono secondo certe linee particolari”. Tale descrizione calza perfettamente ai
diversi rilievi dell’area di Nora quali per esempio l’isola di S.Macario, il M.te S.Vittoria
e, beninteso, il promontorio di Nora.
Le rocce più compatte, presenti nella punta e nell’isola del Coltellazzo e nella collina
che domina l’area degli scavi, presentano un sistema di fessurazioni subverticali e
oblique particolarmente evidenti nella falesia del Coltellazzo.
Il settore costiero, in particolare nella zona del Monte S.Vittoria, è caratterizzato dalla
presenza di filoncelli e piccoli geodi, con zeoliti, talvolta ben sviluppati fino a dare
luogo a cristalli molto ricercati dai collezionisti. La zona in cui la ricerca di tali minerali
è più attiva è quella dov’è stato rilevato l’arco che sarebbe, in parte, il risultato di queste
attività di ricerca.
Quaternario
Pleistocene
Sono presenti depositi pleistocenici sia continentali che marini i primi sono i depositi
alluvionali cementati15, affiorano nell’area SO della baia di Nora, e rappresentano un
lembo dei depositi alluvionali del Rio S.Margherita, sono terrazzati e incisi e formano
delle piccole ripe di erosione alla loro intersezione con la linea di costa; i secondi sono
esclusivamente le arenarie e i conglomerati marini fossiliferi di età tirreniana affioranti
sia lungo la costa che nella spiaggia sommersa in tutta la baia.
Il Pleistocene marino affiora in diversi punti della baia di Nora, quattro sono le
sezioni più significative: Nora, Fradis Minoris, su Guventeddu e P.ta d’Agumu (cfr. Tav
IV e foto).
I depositi affioranti a Nora e a Fradis Minoris rappresentano un riferimento
stratigrafico per il Tirreniano sardo, ma la loro importanza è anche di tipo archeologico
infatti a Nora vi è una necropoli di età punica completamente scavata in questi depositi
15
Per i caratteri generali relativi a questi depositi si veda la descrizione fatta nel capitolo I.
40
e a Fradis Minoris è stata rinvenuta una cava in cui l’analisi petrografica 16 ha dimostrato
il legame fra il materiale della cava e quello usato nella costruzione del teatro.
Tali depositi presentano le seguenti caratteristiche:
Fradis Minoris (cfr. Tav. IV)
La serie marina poggia su un deposito continentale pre-tirreniano rappresentato da un
limo giallastro al quale fanno seguito:
1.
Una unità sublitorale costituita da un conglomerato ricco di alghe calcaree;
2.
Una unità litorale costituita da arenarie con stratificazione obliqua e talvolta
incrociata;
3.
Un’altra unità litorale di arenarie ricche di organismi fossili. Tale unità
rappresenta una fase deposizionale in acqua più profonda, segnalante il clima
dell’ultimo interglaciale, con una “fauna calda” a Strombus bubonius, Conus
testudinaris, Patella ferruginea. Segue una superficie di erosione costituita da una
crosta carbonatica e sormontata da un paleosuolo (Ulzega & Hearty, 1986).
Nora (cfr. Tav. IV)
Il Tirreniano di Nora poggia direttamente sulle vulcaniti terziarie e si presenta
formato, dal basso verso l’alto, da:
1.
Una serie di depositi di spiaggia sabbiosi o conglomeratici a stratificazione
incrociata con Strombus;
2.
Superficie di erosione;
3.
Conglomerato grossolano fossilifero con ciottoli di vulcaniti terziarie, rocce
paleozoiche e arenarie provenienti dalla formazione sottostante;
16
Melis S., Columbu S., 1998 – Matériaux de construction d’époque romaine et relation avec les
anciennes carrières: l’exemple du théâtre de Nora (Sardaigne SO – Italie) in atti del convegno: La
pierre dans la ville antique et medievale. Argenton-sur-Creuse (Francia), 30-31 Marzo 1998.
41
4.
Un’altra superficie di erosione;
5.
Un deposito colluviale recente contenente manufatti romani e punici.
Tra le formazioni 1 e 3 non si rileva nessun deposito continentale, ciò fa supporre
che queste due pulsazioni marine siano vicine nel tempo
Depositi olocenici
I depositi olocenici sono essenzialmente i depositi continentali sciolti quali depositi di
versante, depositi alluvionali, depositi di spiaggia e palustri. Viene fatta una distinzione
fra i depositi più o meno stabilizzati e quelli i cui processi di formazione sono ancora in
atto, indicando questi ultimi come attuali. Tali depositi sono ripartiti in quasi tutta l’area
interna della baia di Nora e si presentano nel modo seguente:
alluvioni
I depositi alluvionali olocenici coprono una vasta area di quella analizzata, essendo
distribuiti, abbastanza uniformemente, in tutta la piana: sono le alluvioni sciolte a
matrice argillosa bruna e ciottoli granitici 17. Tuttavia si trovano lembi isolati di questi
affioramenti, di dimensioni talmente ridotte che non è possibile cartografarli, all’interno
delle due aree palustri di S.Efisio e Cristallu, al passaggio dalla zona palustre al mare:
L’analisi delle foto aeree ci ha permesso di rilevare, in corrispondenza di questi piccoli
affioramenti, tracciati di alcuni corsi d’acqua ormai estinti e dei quali l’unica traccia sul
terreno sono questi lembi isolati di affioramento18.
L’interpretazione ambientale di questi affioramenti è stata fatta mediante l’integrazione
dei dati di campagna e dello studio bidimensionale delle foto aeree 19: abbiamo messo in
evidenza l’esistenza di un reticolo idrografico, ben sviluppato, soprattutto nella parte
settentrionale della laguna di S.Efisio tra il Rio Arrieras e il canale Saliu, che
corrisponde alla situazione relativa al periodo compreso tra la fine dell’800 e il primo
17
Per una descrizione più dettagliata si rimanda alla parte generale, capitolo I.
Si veda, al capitolo VII, una trattazione più approfondita.
19
L’analisi è stata fatta su foto aeree a scale diverse e relative a diversi anni. E’ stata fatta un’analisi
bidimensionale, evidenziando, mediante tecniche proprie della prospezione archeologica, le zone a
umidità residua maggiore rispetto, all’ambiente circostante, ad andamento lineare e sinuoso
paragonabili a corsi d’acqua.
42
18
cinquantennio del ‘900, prima degli interventi di bonifica e risistemazione idraulica
della laguna. L’integrazione di questo dato con quelli archeologici ci permette di
ritenere che in epoca romana la situazione fosse abbastanza simile a quella così
ricostruita, con la laguna di S.Efisio più estesa verso nord.
Colluvi
I depositi colluviali sono, perlopiù, associati alle colline e ai promontori di origine
vulcanica, ossia gli alti morfologici della baia. Tali depositi si presentano come delle
coltri detritiche di debole spessore (da qualche decina di centimetri a 1-1,5 metri), sotto
alle quali è sempre possibile rinvenire una sottile pellicola di roccia alterata in posto
(regolite20) prima di giungere alla roccia sana; talvolta la parte superiore del deposito
presenta una ulteriore alterazione che mostra una stabilizzazione con suoli in
formazione; nel complesso si tratta di depositi abbastanza recenti, sovente ancora in
formazione, risultato di una dinamica attiva del versante. Si presentano come delle
argille di colore bruno con, al loro interno, frammenti di vulcaniti, a spigoli vivi,
eterometrici.
Tali depositi sono associati ai rilievi andesitici più estesi e di quote maggiori e sono il
risultato di processi di versante lenti, ma costanti, che si producono in concomitanza di
piogge non necessariamente abbondanti: si tratta di processi legati ai fenomeni di
ruscellamento superficiale diffuso, talvolta incanalato (P.ta d’Agumu). Sugli
affioramenti vulcanici citati il fenomeno agisce abbastanza facilmente grazie alla
presenza, in situ, di una grossa porzione di roccia alterata e per la mancanza di una
copertura vegetale estesa.
I colluvi coprono i versanti delle colline sulle quali si trovano, giungendo, talvolta, fino
alla linea di costa. Gli affioramenti più importanti sono a M.te S.Vittoria e a P.ta
d’Agumu (cfr. Foto 5 e 6)
Depositi palustri
20
Il termine regolite in senso stretto indica una formazione superficiale risultante dalla
frammentazione della roccia non soggetta a trasporto. In senso largo è sinonimo di deposito
superficiale non consolidato. In questo caso viene usato con il primo significato
43
Le estensioni maggiori di tali depositi si rinvengono principalmente nei pressi del
Canale Su Cristallu e in tutto il bordo della laguna Su Stangioni S.Efisio; è presente
qualche altro piccolo deposito isolato, come per esempio quello di G.dia Mongiasa,
soprattutto nelle aree interne depresse (quota massima di 1 m s.l.m.).
Si tratta di limi argillosi e sabbiosi di colore grigio - nero tendente al verde. Sono
abbondantemente ricoperti da una vegetazione tipica di ambiente salmastro e umido.
Sono il risultato del riempimento di zone depresse operato dai corsi d’acqua in un
periodo piuttosto rapido: il confronto tra le foto aeree del 1955 e quelle del 1995
mostrano come in questo lasso di tempo, dopo la chiusura artificiale della laguna, si sia
realizzato un riempimento notevole della parte occidentale della stessa (cfr. Tav. IX e
X).
La parte posta a Nord della laguna si presenta particolarmente sabbiosa con una sabbia
piuttosto grossolana, contenente abbondanti ciottoletti di quarzo a spigoli vivi e con un
colore tendente al rosso-arancio.
Lo stesso tipo di deposito sabbioso, è stato rinvenuto sia nei pressi della spiaggia di
Agumu che della spiaggia di Nora (sotto alla chiesa di S.Efisio) sempre in prossimità
delle aree lagunari, al passaggio verso il mare.
L’analisi sedimentologica e quella stratigrafica mostrano che si tratta di depositi relativi
a piccole foci fluviali, e, comunque ad ambienti di transizione, associate a corsi d’acqua
piuttosto effimeri e di breve gittata ormai completamente obliterati da altri depositi. Tali
depositi si trovano, inoltre, associati a quelli alluvionali precedentemente illustrati e si
inseriscono bene nel contesto relativo alla paleoidrografia olocenica, rilevata per l’area
posta intorno alle aree umide di Cristallu e S.Efisio.
Depositi sabbiosi di spiaggia
Le sabbie occupano le due spiagge principali di Nora (tra il promontorio di Nora e
Punta S. Vittoria) e Agumu (tra Fradis Minoris e Punta d’Agumu), nonché alcune
“pocket beach” rilevate all’interno del promontorio di Nora. Attualmente non esistono
corsi d’acqua sfocianti direttamente nelle spiagge suddette, dunque gli apporti
sedimentari sono praticamente inesistenti. Il ripascimento della spiaggia di Nora si fa,
solo ed esclusivamente, grazie allo smantellamento dei depositi quaternari di spiaggia,
44
sommersi, posti parallelamente alla linea di costa attuale (cfr. Tav. VIII). La spiaggia di
P.to Agumu, anch’essa priva di qualsiasi apporto sedimentario attuale, riceve materiale
dallo smantellamento dei depositi continentali che si trovano nel retrospiaggia: l’analisi
sedimentologica dei
suoi sedimenti ha dimostrato che questi presentano le
caratteristiche di un deposito misto (marino/fluviale) e ciò, messo in relazione con la
mancanza di corsi d’acqua o foci lungo la spiaggia, significa che i depositi che
costituiscono la spiaggia derivano in parte dallo smantellamento dei depositi alluvionali
posti nel retrospiaggia, in parte sono legati a una spiaggia formatasi in condizioni
diverse da quelle attuali con una idrografia più complessa e articolata.
Neottettonica
La Sardegna meridionale è stata oggetto, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli
anni ’80, di una serie di indagini mirate ad appurare se fossero esistenti movimenti di
tipo neotettonico21. La ricerca è stata condotta mediante metodi geologico-stratigrafici
integrando dati di rilevamento, dati strutturali e biostratografici ai valori radiometrici
allora noti. I risultati ottenuti hanno dimostrato che, per i fogli 239-240 Teulada –
S.Efisio, si è avuta una certa instabilità tettonica perdurata per la prima parte del
Quaternario, mentre a partire dal Tirreniano il rilievo degli affioramenti corrispondenti
(cfr. Tav. IV) conferma una stabilità tettonica: i sedimenti tirreniani si ritrovano
indisturbati lungo tutta la costa con quote costanti e assenza di fenomeni di
basculamento.
Nell’ambito del nostro lavoro abbiamo provveduto, in fase di rilevamento geologico,
a prendere le quote e a rilevare in maniera dettagliata i depositi tirreniani. I risultati del
nostro rilevamento concordano con le conclusioni a cui sono giunti gli autori citati. Ci
riteniamo, dunque, d’accordo nel sostenere che la zona studiata si presenta
relativamente stabile a partire, almeno, dal Tirreniano.
21
Cherchi a., Marini A., Murru M., Ulzega A., 1978 - Movimenti neottettonici nella Sardegna
Meridionale, Mem. Soc. Geol. It. 19, 581-587, 1 f.
Cherchi A., Marini A., Murru M., 1978 – Dati preliminari sulla Neotettonica dei fogli 216-217
(Capo S.Marco – Oristano), 226 (Mandas), 234 – 240 (Cagliari – S.Efisio), 235 (Villassimius)
(Sardegna). Contr. Prelim. Realizz. Carta Neotett. It., Pubbl. n.155 P. F. Geodinamica, sottoprogetto
Neotettonica, 199 – 226.
Cherchi A., Marini A., Murru M., Salvadori I., 1980 – Dati preliminari sulla Neotettonica dei fogli
232 – 232 bis – 233 – 239 – 240 – Sardegna. Contr. Prelim. Realizz. Carta Neotett. It., Pubbl. n. 356
P. F. Geodinamica, sottoprogetto Neotettonica, 597-613.
45
Caratteri geomorfologici
La morfologia della baia di Nora è legata quasi esclusivamente alla dinamica
costiera, a quella fluviale, e, in misura minore, a quella di versante (limitata ai soli
affioramenti andesitici). L’attività marina è particolarmente evidente sui promontori
dove si manifesta essenzialmente con forme di tipo erosivo che, solo nel caso dei
promontori più articolati (qual’è per esempio quello di Nora) sono alternate a forme di
accumulo, quali “pocket beach”. L’entroterra, si presenta pianeggiante dipendendo, gli
aspetti morfologici, esclusivamente dalla dinamica fluviale e dai depositi alluvionali di
riempimento. Anche i promontori andesitici, che nel loro lato rivolto a mare si
presentano ben articolati e frastagliati con coste alte e diverse forme dovute al
modellamento marino, nel loro lato interno presentano morfologie tabulari (cfr. Tav.
VIII). I rilievi andesitici isolati, che si ritrovano sparsi nella piana hanno, invece, delle
caratteristiche forme a cupola. Di seguito verranno analizzati nel dettaglio gli elementi
che influiscono sul modellamento e sulla dinamica costiera, quali quelli meteomarini, le
forme costiere, le forme fluviali e, in misura minore, quelle legate alla dinamica di
versante.
Dati meteomarini
La conoscenza dei dati meteomarini è di fondamentale importanza nell’ambito di uno
studio costiero in quanto vi sono alcuni parametri quali la direzione e l’intensità del
vento e la direzione delle correnti di deriva litorale, che entrano direttamente in gioco
nell’attività morfodinamica di una costa.
In condizioni normali22 il vento, che trasmette all’acqua una parte della sua energia, è
responsabile della nascita e della propagazione delle onde. Le onde appaiono fra loro
parallele e perpendicolari alla direzione di propagazione. Una volta che si trovano in
vicinanza della costa subiscono delle modificazioni: cambiamenti di forma, direzione,
velocità e intensità, ciò è dovuto alla diminuzione della profondità e alla morfologia del
fondale: se si avvicinano alla spiaggia obliquamente, esse cominceranno a risentire del
rallentamento della loro propagazione solo da una parte, all’estremità di un fronte
d’onda, ne risulterà una rotazione dei fronti d’onda tendenti a diventare meno obliqui
22
Ossia quando non intervengono fattori quali vulcanismo o tettonica o attività sismica di vario genere.
46
rispetto alla linea di riva e alle isobate: è il fenomeno della rifrazione delle onde. Tale
fenomeno ha ripercussioni notevoli sull’evoluzione di una linea costiera in quanto dalla
rifrazione delle onde dipende poi la direzione che assume la deriva litorale, ossia la
corrente che trasporta, parallelamente alla costa, il materiale sedimentario. Da questa
corrente, dalla sua direzione, dalla sua intensità, dal fatto che incontri o no degli ostacoli
lungo il suo cammino dipende la deposizione e l’erosione dei materiali sciolti, come, ad
esempio, i depositi sabbiosi.
Solitamente si usa fare una distinzione tra venti dominanti e venti regnanti; i primi
sono quelli che soffiano con maggiore forza, i secondi sono quelli che soffiano con le
più lunghe durate, ossia con la maggiore frequenza. Ai fini del modellamento a lungo
termine di un tratto di costa, sono i venti regnanti che hanno la maggiore importanza,
mentre quelli dominanti entrano in gioco nei cambiamenti repentini.
I dati, relativi alla direzione dei venti nella baia di Nora, qui discussi, sono ricavati
da quelli della stazione anemometrica di Capo Spartivento: i venti più importanti nella
zona da noi esaminata provengono dal terzo e dal quarto quadrante, ossia sono venti
provenienti da sud. Ciò è dovuto al fatto che la zona è protetta a NO dai rilievi montuosi
del Sulcis, dunque anche quando soffia il maestrale, uno dei venti più intensi e più
frequenti di tutta la Sardegna, qui vi giunge come un vento proveniente da SO o da O a
causa della rotazione che è costretto a fare una volta incontrato l’ostacolo montuoso del
Sulcis. I venti regnanti nella baia di Nora sono quelli del terzo quadrante, aventi la
direzione media dello Scirocco, mentre quelli dominanti hanno la direzione media del
libeccio.
La corrente di deriva litorale è stata estrapolata integrando i dati relativi ai venti,
considerando solo quelli regnanti, le direzioni dei fronti d’onda (desunte dallo studio di
un gran numero di foto aeree relative a periodi diversi e a scale diverse), i risultati delle
analisi sedimentologiche (effettuate sulla spiaggia di Porto d’Agumu), e lo studio delle
forme costiere di accumulo della baia.
Considerando, dunque, che i venti provenienti da SE sono quelli più frequenti e
quindi i principali responsabili della corrente di deriva litorale, abbiamo esaminato i
fronti d’onda da essi generati e le rifrazioni subite da questi fronti d’onda al loro
47
incontro con i promontori. Da questa indagine segue che la deriva litorale principale ha
la direzione indicata nella tavola VII e nei due allegati.
Una ulteriore conferma ci viene data dalla forma della parte finale della spiaggia di
Porto d’Agumu (una freccia litorale allungata verso la penisola di Fradis Minoris), e dal
cordone litorale posto nella parte nord della laguna (formatosi nell’ultimo secolo):
entrambi i corpi sabbiosi citati si allungano in direzione della corrente di deriva. In
particolare per il cordone litorale è possibile seguire le tappe della sua formazione
grazie alle carte del XIX secolo. I dati relativi alla sedimentologia verranno discussi più
avanti e, come vedremo, anche questi dati confermano che la corrente di deriva litorale
principale ha la direzione indicata.
Forme costiere
La morfologia della costa è quella di baie alternate a promontori rocciosi. Le baie
sono perlopiù sabbiose, ma vi sono alcune spiagge ciottolose e ghiaiose e altre in cui
sabbie e ghiaie si alternano. I promontori presentano delle tipiche forme erosive
agevolate dalla facies affiorante che è molto spesso quella brecciosa, dunque facilmente
erodibile.
Il promontorio di M.te S.Vittoria chiude la baia a Nord; esso presenta delle coste alte,
con di ripe di erosione e, a Perda Fitta, una parete con una falesia stabilizzata, nella
quale è visibile l’incisione di un solco di battente a un livello più alto, di circa 1 metro,
rispetto al livello del mare attuale. Nello stesso punto si osserva la presenza di una arco,
originatosi in parte per cause antropiche, infatti questa è la zona nella quale è più facile
trovare dei filoni, all’interno dell’andesite, inglobanti minerali molto apprezzati dai
collezionisti; a tal fine venivano fatte saltare con dell’esplosivo di potenza molto ridotta,
parti della roccia, questa pratica ha causato il primo nucleo dell’arco che, grazie
all’azione erosiva marina, si è allargato raggiungendo le dimensioni osservabili
attualmente. Tutti i lati del promontorio presentano delle piattaforme di abrasione
marina in formazione; tali piattaforme hanno delle estensioni notevoli e indicano
un’azione demolitrice, da parte del mare, molto pronunciata. La parte sud è
caratterizzata, invece, da coste con quote più basse, ma nelle quali si osservano sempre
delle ripe di erosione fino al passaggio alle coste basse, sabbiose. In questo lato, che è
48
quello che si apre verso la spiaggia di Su Guventeddu, il passaggio alla spiaggia è
segnato dalla presenza di depositi colluviali anch’essi incisi a formare delle piccole ripe
di erosione, dell’altezza massima di circa 2 m, non più attive. L’entroterra è
caratterizzato da una morfologia dolce, tendenzialmente tabulare e poco articolata, che
contrasta con la morfologia ben articolata della costa.
Procedendo verso sud troviamo la spiaggia di Su Guventeddu - Nora la quale ha una
lunghezza complessiva di circa 1300 m e una larghezza massima di 40 m. La forma di
questa spiaggia è ad arco e si presenta divisa in due parti dalla presenza di una cuspide
che coincide con un affioramento di arenarie tirreniane (cfr. allegato n.1). la prima parte
è sabbiosa, presenta un retrospiaggia formato da una ripa di erosione, non più attiva,
incisa su dei depositi continentali fortemente arrossati (cfr. Tav. V, foto 3) che poggiano
sulle arenarie tirreniane, classificati come dei paleosuoli post-tirreniani. Su questi
depositi di retrospiaggia si imposta una vegetazione tipo macchia mediterranea
essenzialmente cespugliosa. In questo tratto di spiaggia non vi è nessuna foce fluviale,
dunque non vi sono apporti attuali di materiale, se si eccettua il materiale proveniente
dall’erosione dei depositi arenacei che si trovano nella spiaggia sommersa (cfr.allegato
n.1) e che sono i testimoni di una spiaggia relitta.
Procedendo, a sud della cuspide, la spiaggia assume dei caratteri morfologici diversi:
scompare la ripa di erosione che costituisce il retrospiaggia (si conserva solo in
prossimità della chiesa di S.Efisio, cfr. allegati), per lasciare spazio alla laguna (lo
Stangioni S.Efisio)23; la taglia del materiale che costituisce la spiaggia aumenta,
assumendo le dimensioni della ghiaia, e compare una tipica vegetazione bassa tipo
graminacea a stabilizzare i sedimenti. La parte finale di questa spiaggia forma un istmo
che collega il promontorio di Nora alla terra ferma. Da un punto di vista
geomorfologico il promontorio ha avuto origine da un’antica isola vulcanica che si è
saldata definitivamente alla terra ferma durante il Quaternario grazie alla formazione di
un tombolo rappresentato dai depositi tirreniani e che costituisce l’istmo che
attualmente conduce all’area archeologica. Ad Est e a Ovest di tale istmo si situano
rispettivamente la spiaggia e lo stagno di Nora.
23
I documenti storici esaminati rivelano che fino alla fine dell’800 l’area in cui si trovano la chiesetta e il
bar era caratterizzata da un sistema dunare, non molto esteso, che separava la spiaggia dalla laguna,
costituendo, così, il tipico sistema spiaggia - retrospiaggia dunare - laguna
49
La penisola di Nora presenta caratteristiche differenti a seconda che ci si trovi
nell’entroterra o che ci si sposti verso la linea di costa. Il primo si presenta piuttosto
piatto, con deboli pendenze salvo che per la zona relativa al Coltellazzo, la seconda, al
contrario, si presenta molto articolata rivelando tutte le forme di cui si è parlato in
precedenza in riferimento al M.te S.Vittoria.
La modesta estensione della penisola non permette lo sviluppo di un reticolo
idrografico e le forme e i depositi superficiali sono essenzialmente riconducibili alle
acque di ruscellamento le quali hanno prodotto dei depositi colluviali, spesso frammisti
a materiale di risulta, derivante dallo scavo archeologico. Meglio definiti sono, invece,
le forme e i depositi legati ai processi litorali. Il perimetro costiero si presenta, infatti,
abbastanza vario con falesie, ripe di erosione rocciose o detritiche e insenature con coste
basse sabbiose o ciottolose. La costa si presenta bassa, dapprima sabbiosa e poi, quasi
esclusivamente ciottolosa, con ciottoli prevalentemente di origine vulcanica, lungo tutto
l’istmo, dal suo inizio fino ad arrivare alla base del rilievo del Coltellazzo sul quale
sorge una torre spagnola. La caratteristica comune a tutto questo tratto di costa è la
presenza di una ripa di retrospiaggia incisa ora su materiale detritico continentale ora
sulle arenarie e i conglomerati di spiaggia tirreniani. La costa prosegue con il
promontorio del Coltellazzo il quale presenta una falesia che nel lato meridionale
raggiunge i 32 metri di altezza. In quest’ultimo settore la forza del moto ondoso ha
provocato evidenti fenomeni di crollo con accumulo di grossi blocchi ai piedi della
falesia e arretramento della stessa. Tale processo morfogenetico, tuttora attivo, è stato
favorito dalla presenza, alla base del promontorio, delle brecce, più facilmente erodibili,
e sulle quali è localmente evidente la presenza di un solco di battente.
Alla base del promontorio del Coltellazzo, sul lato meridionale, la costa rocciosa
presenta un terrazzo di abrasione marina situato al di sopra del livello del mare attuale e
al quale corrisponde un solco di battente (cfr. Tav. V foto 1).
Il promontorio presenta, in tutti i suoi punti, i segni di sistemazioni di vario genere
che le popolazioni che si sono succedute hanno operato ai fini del loro insediamento
(per es. cisterne, pozzi scavati nella roccia, opere urbanistiche varie).
Tra il promontorio del Coltellazzo e il Capo di Pula esiste una piccola spiaggia
ciottolosa (pocket beach), costituita prevalentemente da materiale di origine vulcanica,
50
sulla quale si ritrovano lembi di affioramenti arenacei e evidenze dello smantellamento,
operato dal moto ondoso, di resti archeologici dei quali, peraltro, non si individuano le
strutture. Questo è uno dei tratti di costa del promontorio a più alta energia.
Il Capo di Pula presenta una costa rocciosa con una piattaforma di abrasione attuale.
Questa zona si è particolarmente esposta al fenomeno erosivo in quanto costituita da
brecce vulcaniche.
Dal Capo di Pula, proseguendo verso Nord, si trova una costa bassa,
alternativamente sabbiosa e ciottolosa, che si spinge fino alla laguna e dove i segni
dell’arretramento costiero sono materializzati dalla presenza delle Terme a Mare e della
Basilica, progressivamente smantellate dall’azione del moto ondoso (cfr. Tav. XVI).
A Nord si trova la laguna (Stangioni S.Efisio) chiusa e canalizzata artificialmente nel
1957 allo scopo di creare una peschiera.
La chiusura naturale, verso mare, della peschiera è rappresentata dalla penisola di
Fradis Minoris e dalla parte finale della spiaggia di Porto d’Agumu. Nella penisola di
Fradis Minoris è stata individuata una grossa area di cava, sulle arenarie e i
conglomerati marini, mentre un’altra area di cava, di dimensioni molto modeste, si
rinviene nelle arenarie affioranti sul lato a mare dell’ingresso dell’area archeologica. In
entrambi i casi sono evidenti i segni di estrazione del materiale, rappresentati da
canalette, scavate per agevolare l’inserimento degli strumenti utilizzati per l’estrazione,
e dalle superfici di distacco dei blocchi. La penisola di Fradis Minoris presenta in tutta
la sua lunghezza una ripa di erosione attiva, incisa sulle arenarie e sui conglomerati, che
interessa anche la parte della penisola occupata dalla cava. L’attività erosiva del moto
ondoso si manifesta con lo scalzamento dei limi che affiorano alla base delle arenarie e
dei conglomerati e con il successivo crollo di questi, per la mancanza dell’appoggio
sottostante.
La spiaggia di Porto d’Agumu è una spiaggia in parte sabbiosa, in alcuni punti
ciottolosa e, nella sua parte finale, con delle cuspidi di spiaggia ghiaiose, che si estende
fino al promontorio di Punta d’Agumu. Tale spiaggia ha dimensioni molto ridotte e una
forma ad arco; il retrospiaggia è formato dalla laguna Stangioni S.Efisio e dai depositi di
un’altra area lagunare, bonificata negli anni ’50, e che corrisponde all’area limitrofa al
Canale Su Cristallu. Nella parte centrale della spiaggia affiora un deposito continentale
51
che forma una ripa di erosione non più attiva, dunque una forma relitta, legata
probabilmente al funzionamento congiunto della laguna e di corsi d’acqua ormai estinti.
In vari punti della spiaggia si ritrovano posidonie spiaggiate. La parte finale, verso la
penisola di Fradis Minoris, assume la forma allungata di una freccia litorale: la sua
formazione è legata alle correnti di deriva litorale, che in questo punto perdono energia
e depositano il materiale che hanno in carico, urtando sulla penisola di Fradis Minoris
che funge, così, da ostacolo rispetto alle suddette correnti. Lungo questa spiaggia non
esistono foci fluviali se si eccettua il Canale Cristallu il quale è una canalizzazione
artificiale legata agli interventi di bonifica operati nel settore negli anni ’50; sono
comunque evidenti i segni di piccole foci legate a corsi d’acqua estinti: le si riconosce
dalla morfologia, dal tipo di materiale che si ritrova intorno e che si presenta sempre
ben circoscritto e dall’esame delle foto aeree integrato dai dati sedimentologici relativi
alla spiaggia. Sono state individuate in questo modo due piccole foci: la prima
nell’estremità a sud della spiaggia, al passaggio dalla spiaggia al promontorio,
corrispondente con un’area posta ai lati del Canale Cristallu; la seconda più a nord, in
corrispondenza del punto in cui la spiaggia assume la larghezza maggiore, poco prima
del passaggio alla freccia litorale24.
Il promontorio di Punta d’Agumu presenta le caratteristiche già esposte per gli altri
promontori: morfologia piuttosto dolce dei versanti, depositi di versante dovuti
esclusivamente alle acque di ruscellamento superficiale fin sulla costa, dove vengono
incisi dalla dinamica costiera. La costa è molto articolata con ripe di erosione rocciose,
il litotipo affiorante è la breccia vulcanica, dove sono conservati dei solchi di battente ad
altezze differenti rispetto a quello attuale (cfr. foto 4), oltreché piattaforme di abrasione
in formazione, talora piuttosto estese.
24
Per una descrizione più approfondita si veda il capitolo VII.
52
Dati geomorfologici
Dati meteomarini
Venti regnanti:
direzioni ESE – SE – SSE,
direzione media dello SCIROCCO
Venti dominanti:
direzioni S-SSO, direzione media
del LIBECCIO
Morfologia della costa: baie con promontori rocciosi
Spiaggia di Nora
(S.Efisio-Su Guventeddu)
Caratteristiche morfometriche
spiaggia:
- lunghezza: 1,3 Km
- Larghezza mass.: 40 m
Forma della spiaggia: ad arco
Correnti locali relative alla deriva
della litorale principale (legate ai venti
più frequenti):
- Punta d’Agumu: SE-NO
- Nora: SE-NO
Le correnti di deriva litorale sono
soggette a dei cambiamenti di
direzione dovuti alla rifrazione sui
promontori
Presenza di retrospiaggia con:
- laguna
- vegetazione arborea
- ripe di erosione non attive
Tipo di spiaggia:
- spiaggia emersa: sabbia, ciottoli,
ghiaia
- spiaggia sommersa: roccia, sedimenti
sciolti, posidonie
Caratteristiche morfometriche della
spiaggia:
lunghezza: 0,7 Km
larghezza mass.: 20 m
Forma della spiaggia: ad arco con
freccia litorale nella parte finale
Presenza di retrospiaggia con:
- laguna
Spiaggia di Porto Agumu
- vegetazione arborea
Tipo di spiaggia:
- spiaggia emersa: sabbia, ciottoli,
ghiaia; cunei di spiaggia ghiaiosi.
- spiaggia sommersa: sabbia, ciottoli,
ghiaia
Corsi d’acqua:
canalizzazioni artificiali
(Canale Su Cristallu)
Andamento generale delle correnti
marine:
- mese di agosto: direzione SO-NE
- mese di febbraio: direzione NESO
Tabella riassuntiva dei principali dati geomorfologici e meteomarini della baia di Nora.
53
Forme fluviali e di versante
Le forme fluviali caratterizzano tutto l’entroterra della baia di Nora, mentre quelle di
versante sono limitate ai rilievi andesitici più estesi e alla parte rivolta verso terra dei
promontori. Si tratta essenzialmente di depositi alluvionali olocenici e pleistocenici
terrazzati o semplicemente incisi a formare delle piccole ripe di erosione.
Il reticolo idrografico attuale della piana di Pula presenta un andamento subparallelo
caratteristico delle aree a debole pendenza quali quelle costiere pianeggianti. Tuttavia
tale reticolo non si presenta ben sviluppato, soprattutto in corrispondenza degli
affioramenti vulcanici più estesi (Sarroch), dove sono sviluppati solo dei piccoli corsi
d’acqua, effimeri, che in molti casi non riescono nemmeno ad arrivare alla linea di
costa. Nei promontori non si sviluppa nessun tipo di reticolo idrografico, le uniche
incisioni presenti sono quelle relative a ruscellamento superficiale incanalato, ma anche
questo è un caso che si verifica molto raramente.
Nella baia di Nora l’unico sistema fluviale di una certa importanza è quello relativo al
Rio Arrieras che sfocia nella laguna di Nora (Stangioni S.Efisio), tale corso d’acqua
attraversa tutta la piana, provenendo dai rilievi paleozoici, prima di immettersi nella
laguna e presenta, nella parte finale del suo corso, un andamento sinuoso, quasi
meandriforme. Questo andamento è in realtà una forma relitta relativa a prima della
chiusura della laguna: infatti quella che attualmente rappresenta l’ultima parte del corso
d’acqua, fino al 1954 era un’area di divagazione. Quest’ultimo tratto rappresentava il
passaggio da un’area continentale ad un’area lagunare (con bassi fondali e un’apertura
verso il mare di dimensioni abbastanza ridotte). Dall’osservazione attenta della foto
aerea relativa al 1954 e dal confronto con la foto del 1995 si deduce che:
1. la chiusura della laguna si sarebbe prodotta naturalmente per la saldatura del
cordone litorale, posto a nord dello specchio d’acqua, con la penisola di Fradis
Minoris;
2. l’area, che attualmente ospita i canali artificiali della peschiera, era un’area di
deposizione e divagazione del Rio Arrieras (cfr. Tav. IX e Tav. X).
54
L’andamento del Rio Arrieras fa pensare che esso possieda portate importanti, in realtà
tale corso d’acqua presenta dimensioni ridottissime, con una larghezza massima di 6 - 7
metri e delle sponde che formano delle ripe di erosione alte non più di 2 metri. Come la
maggior parte dei corsi d’acqua sardi è a carattere torrentizio: praticamente secco
durante la stagione estiva (resistono piccole pozze di acqua stagnante) e con portate un
po’ più abbondanti durante la stagione invernale. I dati di campagna e l’interpretazione
fatta delle foto aeree più recenti evidenziano che i cambiamenti di direzione subiti dalla
parte finale del Rio Arrieras sono ben identificabili e ricostruibili. Tali direzioni così
estrapolate corrispondono solo in parte a quelle riportate sul topografico del 1897 (cfr.
Tav. XI), ma sono compatibili con la situazione che si rileva dalle foto aeree analizzate
relative agli anni ’50. Probabilmente il fatto che nel topografico tutti questi particolari
non siano leggibili è da imputare al fatto che esso è a una scala troppo piccola
(1:25.000) perché si possano leggere tali particolari. Le foto aeree invece sono in scala
1:10.000 e 1:4.000 e dunque sono evidenziabili anche le più piccole anomalie.
55
PARTE SECONDA
VARIAZIONI
RECENTI DEL LIVELLO DEL MARE NEL MEDITERRANEO: DATI
GEOLOGICI, BIOLOGICI E ARCHEOLOGICI
56
CAPITOLO III
Le oscillazioni del livello del mare cause e metodi di studio
Variazioni del livello del mare
L’espressione “livello del mare” è assai vaga, ma molto utilizzata per indicare la
superficie di intersezione tra il mare e la linea di riva. Questa superficie non è fissa, ma
varia continuamente, con le maree, gli agenti meteorici e le onde. Per questo motivo si è
stabilita la
convenzione di designare un livello medio del mare, ossia il livello
intermedio tra cui oscilla la variazione di marea 25. Una variazione del livello medio a
carattere mondiale, viene indicata come una variazione eustatica.
Il rapporto tra le aree ricoperte dalle acque e quelle emerse è variato e varia ancora in
tutto il globo terrestre e, in particolare, nel bacino del Mediterraneo, dove sono evidenti
anche le variazioni molto recenti, materializzate dalla presenza di resti archeologici
sommersi o erosi e, comunque, in posizione diversa da quella di vita. Le variazioni del
livello marino in un dato luogo dipendono dal sovrapporsi di un insieme di cause locali,
regionali e globali, che agiscono ciascuna a scale spaziali e temporali diverse. Per
quanto riguarda le variazioni assolute del livello medio del mare le cause possono
ricondursi a due generali: variazioni della forma del fondo del mare 26, variazione del
volume d’acqua27. Questi ultimi movimenti sono quelli che, più propriamente, si dicono
eustatici.
Gli studi relativi alle variazioni del livello del mare nascono dalla necessità di
comprenderne conseguenze di impatto ambientale e le ricadute socio-economiche nei
confronti degli insediamenti umani, sempre più abbondanti nelle aree costiere. Le
25
Nel Mediterraneo l’escursione di marea è inferiore a 0,6 m.
La tettonica globale muta a lungo termine la forma dei bacini oceanici e crea continuamente nuova
crosta terrestre. Ciò comporta una lenta risalita apparente del livello relativo del mare nelle isole
oceaniche e, in misura minore, lungo i margini continentali passivi. Vi sono variazioni dovute sempre a
tettonica, ma che si manifestano solo a scala regionale o locale (vi sono degli esempi nel Mediterraneo
orientale: Creta, Rodi, coste Levantine)
27
I cambiamenti di massa dell’acqua marina dipendono dalla formazione o dallo scioglimento in massa di
calotte polari (glacio-eustatismo). Tali cambiamenti sono caratteristici del Quaternario e hanno
comportato notevoli variazioni del livello marino su scala globale. I cambiamenti di livello del mare
provocati dalla fusione di una calotta polare non sono, però uniformi dovunque, a causa di assestamenti
isostatici (o glacio-isostatici e idro-isostatici) che cambiano da un posto all’altro, in funzione della
distanza dalla calotta e dalla morfologia del litorale.
57
26
variazioni del livello del mare generano sempre delle modificazioni morfologiche lungo
la costa, che si traducono o in arretramenti della linea costiera o in progradazioni e,
dunque, in avanzamenti della stessa. Appare evidente che una costa fortemente
antropizzata, con attività antropiche di una certa intensità non può che risentire di
fenomeni simili.
In generale le coste stabili da un punto di vista tettonico sono quelle che offrono le
migliori condizioni di studio. Questa caratteristica, indispensabile, si può appurare
realizzando degli studi preliminari con lo scopo di stabilire, appunto, la stabilità della
costa.
Indicatori della variazione del livello del mare
Nel Mediterraneo, dove a causa del clima temperato non si possono formare dei reef
corallini, utilizzati in altre parti del globo per studiare le variazioni del livello del mare,
gli indicatori28 più sovente utilizzati sono di tre tipi:
1.
Geologici (speleotemi sommersi e beach-rock);
2.
biologici (reef a vermetidi);
3.
archeologici (reperti sommersi).
Speleotemi sommersi
Si tratta di depositi di Carbonato di Calcio, dovuti a precipitazione chimica, che si
formano all’interno di cavità carsiche (le morfologie più tipiche sono le stalattiti e
stalagmiti). Sono noti speleotemi, formatisi in ambiente continentale e poi sommersi
dal mare, colonizzati da organismi marini che vi hanno costruito delle concrezioni di
carbonato di calcio molto spesse. L’alternanza, in questi depositi, di una parte
formatasi in ambiente continentale e di una, formatasi in ambiente marino, ha fornito
un buon metodo di studio delle variazioni del livello del mare e ha permesso di
creare delle curve di risalita del livello del mare negli ultimi 10.000 anni (Alessio et
al., 1998), molto dettagliate (cfr. Tav. XII).
28
Il termine indicatore indica un reperto archeologico o un reperto geologico fossile in grado di essere
datato con precisione e che abbia una connessione diretta con la linea di riva. Ci sono degli organismi
marini (Patelle, Balani o Vermetidi) che vivono in un habitat molto ristretto che si trova a non più di ±50
cm dal livello del mare: questi sono dei buoni indicatori. I reperti archeologici devono essere chiaramente
riconosciuti come strutture che funzionavano in relazione a un livello del mare preciso (strutture portuali,
peschiere ecc.).
58
Il carbonato di calcio che forma gli speleotemi deriva dalle acque che circolano,
provenendo dall’ambiente esterno, all’interno delle cavità carsiche. Una volta che
l’acqua, ricca in CO2, penetra nella grotta subisce un degassamento, dovuto al
cambiamento delle caratteristiche chimico-fisiche (pressione e temperatura) cui è
sottoposta; il biossido di carbonio, che si trovava in soluzione, passa allo stato gassoso e
viene ceduto all’atmosfera della grotta. L’acqua, a questo punto, si trova sovrassatura
rispetto al carbonato di calcio, che, quindi, precipita. Il carbonato che precipita comincia
a costruire quelli che indichiamo come speleotemi. La formazione di questi depositi è
legata al clima esterno alla grotta, in quanto legata al contenuto di CO 2 disciolto
nell’acqua: i climi caldo – umidi, con vegetazione abbondante, rapida degradazione
della stessa e alto contenuto di CO2 nel suolo, sono quelli in assoluto più favorevoli alla
formazione degli speleotemi
Nel caso in cui una grotta marina venga sommersa dal mare, gli speleotemi cessano
di accrescersi, in pratica si “fossilizzano” se, per un caso fortunato, essi vengono
colonizzati dai serpulidi29, organismi marini viventi in ambiente di grotta: sugli
speleotemi, ormai privi di vita, si crea un nuovo concrezionamento, sempre calcareo,
costituito da questi organismi, che continuerà ad accrescersi finché l’antica grotta sarà
invasa dal mare. La punta dello speleotema rappresenterà l’ultimo momento in cui la
grotta si trovava sopra il livello del mare, mentre il primo concrezionamento a serpulidi
ci indicherà il momento di arrivo del mare.
Beach-rocks
Il termine beach – rock viene utilizzato per indicare dei particolari sedimenti, il cui
ambiente di formazione si situa nell’area intertidale, e dove la cementazione avviene
quasi contemporaneamente alla deposizione, grazie all’azione dell’acqua di mare. La
cementazione è talmente rapida che nei sedimenti di questo tipo, formatisi in aree del
Mediterraneo a clima caldo – umido, sono stati ritrovati, ben cementati al loro interno,
oggetti quali lattine di birra o di Coca-Cola.
29
E’ stato osservato che il concrezionamento biogenico marino avviene solo in alcune particolari
condizioni fisiche. E’ stato infatti accertato in un campione di circa 80 grotte sommerse del mare Tirreno
che la condizione principale per la formazione di tali livelli biogenici sia la quasi assenza di
idrodinamismo e la presenza di molti nutrienti che favoriscano la crescita e lo sviluppo dei Serpulidi, che
rappresentano la specie colonizzatrice preponderante.
59
L’aspetto macroscopico è molto simile a quello di depositi detritici marini, ciò che
cambia è l’aspetto microscopico, in particolare il tipo di cemento (in quanto le modalità
di cementazione sono totalmente diverse) e l’aspetto dei granuli di quarzo, che possono
presentare caratteristiche diverse, variando dall’aspetto lucido arrotondato, di ambiente
tipicamente marino, a quello opaco e arrotondato di trasporto eolico.
Da un punto di vista dei granuli di quarzo vi è, infatti, una grande variabilità tra le
diverse beach-rocks. Tale variabilità si manifesta non solo nella forma, ma anche nella
taglia dei granuli. Vi sono, inoltre, spesso delle differenze tra i sedimenti attuali della
spiaggia analizzata e quelli che formano le beach-rocks. Ciò porta a concludere che il
termine beach-rock va utilizzato per indicare dei sedimenti che si sono formati in
ambiente intertidale, ma non sempre si tratta di sedimenti presentanti delle
caratteristiche spiccatamente marine. In questo sta l’importanza dell’utilizzo delle
beach-rock nell’ambito dello studio delle antiche linee di riva: tali depositi si formano
proprio nella battigia e, in particolare, nell’area compresa tra la bassa e l’alta marea; ciò
significa che, una volta identificata e datata una beach-rock, si ha in mano uno
strumento per poter identificare la paleo linea di riva.
In Sardegna si ritrovano beach-rocks, sia sommerse che emerse (per esempio quelle
legate alla trasgrssione Versiliana) lungo tutte le sue coste; quelle molto recenti,
oloceniche riferibili a circa 2000 anni fa, sono state identificate come tali grazie al
rinvenimento, al loro interno, di resti ceramici punico – romani.
Reef a Vermetidi
I Vermetidi sono dei gasteropodi (Dendropoma Petreum) che vivono su gran parte
delle coste del Mediterraneo, formando delle vere e proprie scogliere, associandosi in
forma coloniale, in maniera molto simile a quella delle scogliere coralline. In Italia si
ritrovano solamente in Sicilia e sulle coste della Sardegna meridionale. La peculiarità di
questi organismi sta nel loro ambiente di vita, che coincide esattamente con il livello del
mare (tra 0 e – 40 cm). Per questo motivo, il loro utilizzo nello studio delle variazioni
del livello del mare è particolarmente efficace.
Le colonie a vermetidi si presentano come dei “marciapiedi”, larghi fino a 2 metri, ed
è stato appurato che nelle colonie attualmente viventi nelle coste nord – occidentali
60
della Sicilia, vi è una porzione fossile che presenta un’età massima di 500 anni. La loro
datazione e la loro posizione, tra 0 e – 40 cm, hanno consentito di ricostruire in maniera
molto dettagliata la risalita del mare negli ultimi 500 anni.
Variazioni del livello del mare dai dati archeologici
Anche i resti archeologici sommersi hanno un larghissimo uso in questo tipo di studi,
in quanto li si ritrova in tutto il Mediterraneo. I dati archeologici possono, inoltre, essere
correlati e integrati con informazioni deducibili da testi di geografi, storici e viaggiatori,
da carte geografiche e topografiche dei quali si dispone in abbondanza per diverse aree
del Mediterraneo.
E’ possibile, inoltre, datare, con buona approssimazione, tali resti archeologici siti in
riva al mare, ciò permette, dunque, da un lato di avere delle informazioni circa le
antiche linee di riva, dall’altro di inserire queste informazioni in un contesto
cronologico molto preciso.
Per lungo tempo sono stati considerati, quali indicatori privilegiati della variazione
del livello del mare, i porti e le peschiere in quanto trattasi di strutture in diretta
relazione col livello del mare relativo al momento della loro costruzione; in realtà
facendo alcune considerazioni geomorfologiche, si possono utilizzare molti altri reperti
archeologici, quali indicatori, a patto che siano perfettamente datati e che abbiano una
relazione con il livello marino; ne sono un esempio graffiti e pitture che raffigurano
pesci o erbivori di grande taglia inseriti in contesti geomorfologici attuali, diversi,
oppure cave, tombe e varie altre strutture, oggi sommerse, possono dare informazioni
preziose, se correttamente interpretate.
Il primo problema da porsi, quando si vuole determinare la quota di un certo reperto,
è che esso sia veramente in situ, ossia che non siano subentrati altri fattori quali un
abbassamento delle fondamenta a causa dell’erosione marina (che viene, ovviamente,
incrementata dal sollevamento del livello del mare), oppure che non vi sia stata una
compattazione e una subsidenza del substrato sul quale il reperto si trova. Bisogna,
inoltre, considerare l’eventualità che avvenga anche il fenomeno inverso, ossia che il
reperto si trovi in un’area deltaica o comunque un’area in cui vi è un grosso apporto di
materiali e quindi un accrescimento tale che un reperto, che in fase di vita si trovava a
61
livello del mare, si trova attualmente sulla terra ferma. In entrambi i casi è necessario un
lavoro interdisciplinare portato avanti, in stretta collaborazione tra archeologi e geologi,
al fine di eliminare gli errori più grossolani.
Una precisazione necessaria, quando si parla di indicatori archeologici, riguarda la
loro funzione in fase di vita e, in base a questa, la loro posizione rispetto al livello del
mare antico. Tali indicatori rappresentano dei cosiddetti indicatori “a senso unico” in
quanto la loro posizione rispetto al livello del mare antico poteva essere o di emersione
o di sommersione: un oggetto sempre emerso lo si può definire un indicatore di
massimo, ma solo se la sua quota originaria superava quella massima delle Grandi
Maree. In modo analogo si può definire un indicatore di minimo: un oggetto sempre
sommerso tale che fosse al di sotto del livello minimo delle Grandi Maree30.
Altri indicatori utili molto diffusi sono i piani di lavoro di antiche cave litoranee.
Infatti nell’antichità era abbastanza comune aprire delle cave proprio in riva al mare, in
quanto, questo permetteva un più rapido e agevole trasporto del materiale cavato.
Per i porti, l’interpretazione del livello del mare deve essere fatta in relazione anche
alle tecniche di costruzione adottate.
Le fondamenta delle strutture sommerse erano generalmente formate da accumuli
caotici di pietrame di vario taglio gettati sul fondale, possibilmente in corrispondenza di
rilievi marini come secche sabbiose o banchi di materiale roccioso.
I Romani, già a partire dal II sec a. C., utilizzavano una tecnica costruttiva che
potrebbe definirsi di ingegneria idraulica: le opere sommerse si ottenevano mescolando
sabbia, malta pozzolanica e ciottoli ed erigendo i muri in acqua per mezzo di paratie
lignee piantate nel fondale tramite pali verticali.
Un altro dato di cui è importante tenere conto, quando si analizzano strutture che
potrebbero essere portuarie, riguarda il pescaggio delle navi: stando alle dimensioni
delle navi romane e di quelle etrusche i piani di banchina dovevano trovarsi a circa 2 m
s.l.m.m., mentre il pescaggio delle navi maggiori richiedeva profondità di 4 o 5 metri.
Lungo i moli si trovavano bitte e anelli per l’ormeggio, in ferro o ricavati in blocchi
monolitici incassati nella muratura.
30
Attualmente, nel Tirreno, il franco di marea relativo alle Grandi Maree è di 20 cm s.l.m.m., utilizzare
questo valore per definire degli indicatori di massimo e di minimo risponde all’ipotesi più realistica
secondo la quale le strutture marittime erano progettate per funzionare anche nelle peggiori condizioni di
marea.
62
Dati archeologici sulla variazione del livello del mare nel Mediterraneo
Sul bacino del Mediterraneo e sul mare Tirreno vi sono innumerevoli studi mirati alla
ricostruzione del livello del mare in epoca antica, mediante lo studio e l’interpretazione
dei dati archeologici. I primi studi di questo tipo risalgono alla fine degli anni ‘60 inizio
anni ’70.
Flemming nel 1969 porta a termine un’indagine sul Mediterraneo occidentale al fine
di ricavare dati utili sulla ricostruzione del livello del mare negli ultimi 2000 anni. Le
sue ricerche lo portano, però, a concludere che la sommersione dei resti sia dovuta a un
abbassamento del suolo anziché a una risalita eustatica.
A scala regionale una delle ricerche più ricche di dati è quella condotta da Schmiedt
(1972) il quale, coordinando una équipe composta da geologi, archeologi e geofisici,
porta a termine un lavoro di rilievo e interpretazione di dati relativi al mare Tirreno,
integrando dati geologico-stratigrafici, geomorfologici e archeologici. Il risultato di
questo lavoro è l’acquisizione di una serie di dati originali molto interessanti che
portano gli autori a ipotizzare una risalita eustatica di 1,7 mm/anno per l’epoca romana.
Nel 1976 Pirazzoli porta a termine uno studio sul Mediterraneo nord - occidentale
indicando una risalita eustatica, in epoca romana, compresa tra 0,77 e 0,74 mm/anno, in
questa sede egli distingue, inoltre, indicatori di minimo e di massimo livello del mare
antico a seconda della funzionalità del reperto. In seguito ad altri lavori sul
Mediterraneo, Pirazzoli giunge alla conclusione che i resti archeologici testimoniano
una leggera risalita eustatica per il Mediterraneo occidentale, mentre per il Mediterraneo
orientale i dati rimangono contrastanti, in quanto i movimenti verticali della terra
prevalgono su quelli eustatici. I lavori condotti da Paskoff et alii (1981) e da Paskoff &
Oueslati (1991) sulla Tunisia mostrano che in epoca romana il livello del mare era più
basso di 0,50 m rispetto all’attuale.
Innumerevoli altri lavori condotti su siti archeologici Greci, israeliani, ma anche su
altri siti italiani, francesi e spagnoli concordano nel definire, per tutte quelle regioni
tettonicamente stabili, non subsidenti e non interessate da fenomeni di alluvionamento
molto spinti, una risalita del livello del mare, dall’epoca romana, di circa 0,50 m (cfr.
63
Tav. XII). Ciò che è interessante mettere in evidenza è che questo dato concorda con
quelli ricavati utilizzando altri indicatori quali speleotemi (cfr. Tav. XIII) o reef a
vermetidi.
64
CAPITOLO IV
Analisi dei resti archeologici sommersi del sito di Nora
A Nora sono stati rilevati dei resti archeologici (cfr. Tav. XIV e XV) che mettono,
inequivocabilmente, in evidenza una variazione dell’andamento della linea di costa: si
presentano sommersi o troncati da fenomeni erosivi, testimoniando, in tal modo, un
arretramento della linea di riva. Tali resti, osservabili lungo le coste del promontorio di
Nora, sono:
a.
Il “Molo Schmiedt”;
b.
Le Terme a Mare;
c.
La Basilica;
d.
La cinta muraria della cala di NE;
e.
Le tombe puniche;
f.
La cava di Fradis Minoris;
Alcune delle ipotesi, fatte in passato, sulla causa della sommersione di queste
strutture, facevano riferimento alla tettonica (terremoti o bradisismi). Il rilevamento di
campagna, da noi portato a termine, ha messo in evidenza come non vi siano evidenze
geologiche che confermino un’attività tettonica recente della zona indagata; questo in
accordo, oltretutto, con i risultati ottenuti dagli studi sulla neotettonica condotti nella
zona. Ciò ci porta a prendere in considerazione un sollevamento eustatico, quale causa
scatenante di una serie di fenomeni che hanno avuto come risultato quello della
sommersione delle strutture: 1. il sollevamento del livello del mare favorisce e accelera
lo scalzamento al piede dei sedimenti sui quali sono costruite le strutture, ne deriva un
fenomeno erosivo rapido con arretramento della linea di costa; 2. i fenomeni erosivi si
possono combinare, inoltre ai fenomeni di subsidenza, dovuti alla compattazione dei
sedimenti fini (limosi) affioranti, in alcuni casi, alla base dei depositi sui quali si trovano
le strutture; tenendo conto, inoltre, che i dati rilevati nell’ambito del bacino del
Mediterraneo hanno evidenziato un sollevamento del livello del mare continuo,
nell’Olocene recente, non possiamo che ritenere questa ipotesi la più attendibile.
L’analisi dettagliata delle strutture sommerse ci fornisce una ulteriore conferma.
65
Molo Schmiedt (cfr. Tav. XIV e XV, foto 7 e 8)
Il “Molo Schmiedt” è l’unica vera struttura sommersa presente a Nora. Si tratta di
una struttura allungata, con direzione grossomodo NO-SE, lunga all’incirca 250 m (in
realtà tale struttura è ben individuabile sulle foto aeree, mentre sott’acqua presenta
notevoli difficoltà ad essere reperita); è costituita da grossi blocchi di materiale
conglomeratico che la vegetazione marina impedisce di riconoscere con esattezza, ma
che potrebbe essere la facies più grossolana del conglomerato tirreniano. In molti punti i
blocchi sono crollati e disposti in ammassi caotici con dimensioni di 1,20 m x 0,60 m.
La profondità a cui si trova questa struttura è compresa tra – 0,50 e –1 m.
L’interpretazione funzionale che è stata data a questa struttura è che si tratti di un molo
dell’antico porto punico prima, romano poi: in nessuno dei blocchi rinvenuti sono state,
però, trovate bitte per l’ormeggio di nessuna genere. Non presenta né fratture né segni di
basculamento.
L’autore della scoperta è il Generale Schmiedt (da cui il nome dato alla struttura) il
quale, nel 1965, realizzò uno studio mirato all’individuazione e ricostruzione degli
antichi porti d’Italia, grazie all’analisi di foto aeree.
Terme a Mare
Le Terme a mare (o Grandi Terme) sono il più grande dei tre edifici termali presenti
a Nora. Sono posizionate nel lato nord - occidentale del promontorio, sulla costa,
esattamente nello spazio antistante il “Molo Schmiedt”; la datazione che ne è stata fatta
le colloca tra la fine del II e l’inizio del III sec. d.C. e rappresentano uno degli edifici
più imponenti di tutta l’area archeologica. Attualmente quello che era il corridoio
anteriore delle terme si trova sulla battigia esposto ai frangenti, eroso e, in gran parte
sommerso. La base si trova a una profondità compresa tra – 0,50 m e – 0,80 m e
conserva la posizione che aveva quando si trovava in fase di vita senza presentare segni
di fratture o di basculamento. Sia le foto che la pianta (riportate in tav. XVI) mostrano,
inoltre, come il muro relativo al corridoio suddetto, agisca attualmente da ostacolo
66
rispetto alla deriva litorale creando, nella parte sottocorrente, un ulteriore fenomeno di
arretramento della linea di costa.
Lo scavo di questo edificio fu intrapreso nel 1977 dalla Soprintendenza ai
Archeologici di Cagliari e proprio il fatto che una parte dell’edificio si trovasse eroso
per opera del mare impose di utilizzare determinate tecniche31 al fine di portare a buon
fine lo scavo. Ciò che appare evidente, nell’osservare questo tratto di costa, è che
l’azione erosiva è particolarmente forte, in realtà ci troviamo in un punto in cui le
correnti di deriva acquistano energia per effetto della rifrazione e l’unico riparo
all’azione erosiva potrebbe essere dato da una barriera frangiflutti posta esattamente
nella stessa posizione del “Molo Schmiedt”.
Basilica
La Basilica si trova sullo stesso lato del promontorio delle Terme a Mare a poche
decine di metri di distanza da queste ultime. Com’è possibile osservare sulla pianta,
riportata nella tavola XVI, la Basilica occupava in origine una parte della costa che è
stata completamente erosa e dove in origine poggiava l’abside, come si evince dalla
ricostruzione che ne è stata fatta. In realtà alcuni elementi dell’abside sono ancora
presenti e, come si vede dal confronto delle due tavole (situazione attuale e
ricostruzione), questi elementi sono ancora in posizione di vita. Tali elementi
presentano la base sommersa e le profondità rilevate sono comprese tra – 0,50 m e –
0,80 m. L’età di questo edificio non si conosce con precisione, ma stando all’ultimo
saggio, risalente a qualche anno fa, si suppone che esso sia stato costruito più o meno
contemporaneamente alle Terme a Mare. L’elemento interessante relativo alla Basilica
risiede, appunto, nel fatto che questa è sommersa trovandosi, però, ancora in “posizione
di vita”, non vi sono segni di basculamento ed è evidente l’arretramento della linea di
31
“Il crollo dei muri e delle grandi volte rendeva il lavoro di scavo lungo e difficile. Pertanto furono
liberati solo gli ambulacri esterni e parte di due vani orientali, sul lato occidentale l’avanzata del mare era
giunta a lambire gli ambienti che vi si affacciavano, dopo averne degradati altri. Lo scavo fu impostato
mediante accurati rilievi della situazione, con l’individuazione delle parti di crollo e delle murature ancora
in situ”.
“Il lato occidentale è, come detto, eroso dall’azione del mare; si può ricostruire, comunque la presenza di
un corridoio di servizio deve si trovavano i forni per il riscaldamento degli ambienti che vi si
affacciavano; di questo dato siamo fatti certi dall’esistenza dello sbocco dei praefurnia nelle pareti
occidentali di detti vani, e dall’individuazione di un tratto di muro nella parte sommersa, adesso ricoperta
dalla banchina artificiale di terra, creata per consentire i lavori e proteggere l’edificio dalle mareggiate”.
[C. Tronchetti Le Terme a Mare, estr. da “Nora, recenti studi e scoperte”, Amm. Com. Di Pula, 1985].
67
costa. Inoltre il rilevamento geologico ha messo in evidenza che la Basilica poggia su
un substrato costituito essenzialmente da sabbie e limi: questo lascia supporre che
contemporaneamente alla erosione per scalzamento, legata al sollevamento del livello
del mare, siano intervenuti dei fenomeni di subsidenza legati alla compattazione del
sedimento e questo spiegherebbe la posizione che la Basilica occupa attualmente.
Cinta muraria della cala di NE (cfr. TAV. XIV e XV)
Si tratta di una struttura di una certa importanza descritta in maniera molto precisa da
Patroni32 nel 1904.
I dati da noi rilevati per questa cinta muraria ci hanno dato i seguenti risultati:
presenta una parte interamente sommersa e una parte in cui solo la base è sommersa
mentre l’alzato è emerso; per la sua costruzione sono stati usati dei blocchi squadrati di
arenarie grossolane e di conglomerati le cui dimensioni sono di 1m x 0,50 m, in alcuni
casi sono presenti i segni della cavatura quali canalette di estrazione; le modalità di
costruzione hanno portato gli archeologi a considerarla come una cinta muraria di età
punica.
La sua lunghezza è di 13,20 m, la parte sommersa si presenta a profondità variabili tra
– 0,50 e – 0,20 m s.l.m.m. attuale e in alcuni punti presenta dei blocchi crollati a
testimoniare un’altezza maggiore in passato, mentre la parte emersa si trova, nella sua
parte più alta a circa 1,5 m s.l.m.m. (la foto 9 mostra la parte del muro sommersa); in
quest’ultima parte sono visibili delle forme di abrasione marina quali piccoli solchi di
battente che si approfondiscono verso l’interno formando delle piccole superfici di
abrasione; tali forme sono in connessione con il l.m.m. attuale e si trovano, rispetto alla
base del muro, a un’altezza di circa 10 cm.
32
“Nella fronte Nord del promontorio, verso la rada di S.Efisio e a mezza costa, trovammo bensì gli
avanzi di un muro che si poté seguire per 11 metri di lunghezza, dello spessore di m 0,70 in fondazione,
ove è costituito da massi informi, e m 0,50 in elevazione, dove si conserva un filare di massi squadrati
messi in opera senza cemento. Ma se non è impossibile che questo muro abbia relazione con opere che
potevano essere difensive non è da ammettersi che possa rappresentare un avanzo di cinta o cortina, ma
piuttosto, per le condizioni di livello deve riconoscersi in esso un muro di sostegno a qualche terrazza o
spianata superiore che doveva stare a sua volta in rapporto con opere costruttive interamente scomparse”.
Patroni G., 1904 – Nora colonia fenicia in Sardegna, estr. da “Monumenti antichi” pubblicati per cura
della Regia Acc. Dei Lincei, Vol. XIV, 1904.
68
Tombe puniche
Di queste tombe e della loro posizione rispetto alla linea di costa ne comunicava già
notizia Patroni nel 190433, il quale, metteva, inoltre, in evidenza che questo stato di cose
doveva esistere già nel 1871 quando si ebbe notizia dello “svuotamento” delle tombe.
Lo scavo di quelle poste ad oriente dell’istmo è opera del Nissardi. Tale scavo è stato
eseguito negli anni 1891-1892. Patroni ci dà, inoltre, notizia circa la profondità dei
pozzi34.
Pesce nel 1972 scrive : “Nella balza rocciosa, formante il litorale, che guarda a NE,
là dove la pista che adduce agli scavi, fiancheggia il reticolato di recinzione della
33
Egli scrive: “ Tombe a ipogeo scavate nella roccia. Esse si trovano sul margine della spianata che si
eleva oltre il primo istmo basso e sabbioso, sul qual margine è costruita l’attuale casa della Guardiana, e
sono divise in 2 gruppi, uno a destra di chi oltrepassa quell’istmo, ovvero ad occidente, l’altro a sinistra o
ad oriente entrambi presso il mare. Quelle del gruppo occidentale sono violate da tempo antico e frante in
parte nel mare che le va distruggendo e pone allo scoperto il fondo o le pareti degli ipogei” . Patroni 1904,
Ibidem.
34
“La profondità dei pozzi è di circa tre metri, poiché inferiormente s’incontra un sabbione infiltrato di
acqua marina, trovandosi la bocca dei pozzi a poco più di quattro metri sul livello del mare. Ibidem.
69
stazione radio della Marina Militare, erano scavate le tombe più cospicue, varianti di un
medesimo tipo di sepoltura, ch’era uno dei più antichi usati dai fenici, e che corrisponde
anche alle immagini bibliche: un pozzo, che si allarga, nella sua parte inferiore in forma
di cella”. E continua con: “Le mareggiate hanno fatto franare la parete esterna del
ciglione roccioso ed oggi chi vada giù e cammini sulla spiaggia può vedere queste celle
sepolcrali, tagliate in sezione come in un grafico. Un’altra serie d’ipogei (cioè per
l’appunto tombe a pozzo o a camera scavate nel masso roccioso) si trovava nell’opposto
litorale, prospiciente il SO, in linea con la casa della Guardiana, ma erano state violate
nei tempi antichi, poi anche queste erano franate parzialmente in mare lasciando allo
scoperto il loro interno”.
La descrizione precisa di queste strutture viene data anche da Bartoloni 35 che le
descrive costituite da “un breve pozzo a pianta rettangolare che conduceva alla camera
ipogeica, parimenti rettangolare, che si apriva sovente sul lato breve del pozzo stesso.
L’apertura dei pozzi era occlusa da lastroni d’arenaria, alloggiati talvolta in appositi
incassi praticati lungo il perimetro dell’apertura. Il pozzo stesso era talvolta privo di
camera ipogeica, ma presentava unicamente, in prossimità del fondo, un ampliamento
utilizzato per la deposizione del cadavere. Aderente al portello della camera funeraria
era talvolta una lastra d’arenaria, ricavata probabilmente dallo stesso scavo della tomba.
Le tombe del versante nord orientale del promontorio sono inoltre segnalate dai
ricercatori impegnati nel progetto di ricognizione archeologica sul territorio intrapresa
nel 1992 (Botto - Rendeli, 1993). Tali tombe si presentano attualmente come descritte
dal Pesce: l’erosione al piede della roccia, nella quale sono state scavate, ha determinato
dei crolli per scalzamento, tali crolli sono stati favoriti dalla presenza dei vuoti delle
tombe che hanno agevolato le forze di taglio verticali determinando un distacco della
roccia. Ciò permette di vedere le tombe sezionate a metà (cfr. foto 10 e 11). Una
situazione per molti versi simile si è presentata a Tharros, dove si hanno delle tombe
ipogeiche tagliate nello stesso modo di quelle di Nora a causa di erosione e scalzamento
al piede della roccia e successivo crollo della roccia senza più appoggio alla base.
Cava di Fradis Minoris
35
Cfr.. BARTOLONI P., 1985 – La necropoli punica estr. da “Nora. recenti studi e scoperte”, edizione a cura
dell’amministrazione comunale di Pula
70
La cava di Fradis Minoris presenta il piede sommerso a una profondità compresa tra
– 0,50 m e – 0,80 m s.l.m.m. (cfr. Foto 12 e 13), in tutto l’affioramento non si rilevano
evidenze di fratture o basculamenti, eccezion fatta per i blocchi crollati a causa
dell’erosione
dovuta
all’azione
di
scalzamento
alla
base
dell’affioramento.
Sull’affioramento tirreniano di Fradis Minori,s in corrispondenza della cava sono state
fatte delle analisi petrografiche36 di campioni in sezione sottile che hanno dimostrato
che il materiale arenaceo utilizzato per costruire il teatro proviene dalla cava di Fradis
Minoris, dunque la cava era ancora in funzione nel periodo in cui il teatro è stato
costruito, a meno che il materiale del teatro non sia materiale di reimpiego, ma se anche
così fosse potremmo, comunque, fornire un intervallo cronologico di attività della cava
che è compreso tra il VI sec. a.C. (periodo relativo alle prime costruzioni puniche in
blocchi di arenarie) e il II sec. d.C. (data della costruzione del teatro). Ciò che è
importante mettere in evidenza in questo contesto è il fatto che la cava è stata
effettivamente utilizzata per prelevare del materiale da costruzione da impiegare a Nora,
ciò significa che quando la cava era in uso, la parte che oggi è sommersa (che
comprende anche delle parti nelle quali si vedono tracce della lavorazione dei blocchi),
si trovava, invece, emersa ed era un’area di attività lavorativa. Segue, dunque, che la
sommersione della cava si è avuta quando questa già non era più in uso; possiamo
supporre dopo il II sec. d.C., visto che questo è il dato cronologico che abbiamo
dell’utilizzo più recente del materiale proveniente da Fradis Minoris.
36
Cfr. Cap. VI.
71
Dati archeologici
Molo Schmiedt
Terme a Mare
Materiale usato per la
costruzione
Profondità
Dimensioni
s.l.m.m.
della
attuale
struttura
Blocchi squadrati di max 0,50 m Lunghezza di
dimensioni di 1,20m x
circa 250 m
0,60 m di conglomerati
min 1 m
(Tirre
niani?)
57 m (N - S)
Mattoni
max 0,80 m
min 0,50 m
max 0,80 m
Basilica
Mattoni
x
41 m (E -O)
21 m (N-S)
x
min 0,50 m
Caratteristiche
particolari
La sua posizione è tale che
esso si oppone ai venti di
libeccio e alle correnti di
deriva litorale principali
Le profondità indicate
rappresentano la base delle
fondamenta della parte più
esterna della struttura
L’abside presenta la base
sommersa mantenendo la
forma originaria
28 m (E-O)
dimensioni di 1m x max 0,53 m Presenta una
0,50m di arenarie e
lunghezza di
conglomerati
di
13,20 m
min 0,18 m
spiaggia tirreniani.
La parte emersa presenta,
alla base, delle forme di
Cinta muraria
modellamento marino in
miniatura, quali solchi di
battente e abrasioni.
Tombe puniche
Tombe
a
ipogeo
Le tombe sono erose alla
scavate nelle arenarie
base e tagliate in sezione a
tirreniane
causa dell’indebolimento
dovuto alla mancanza del
sostegno alla base e
all’azione delle forze di
taglio in corrispondenza
dei vuoti materializzati
dalla camera dell’ipogeo.
Cava di Fradis Arenarie
e Piede
della Circa 250 m Sono ben conservati i segni
Minoris
conglomerati tirreniani cava
dell’attività di estrazione
di lunghezza
sommerso
quali canalette per il
passaggio dell’acqua e i
max 0,80 m
segni
dei
punteruoli
min 0,50 m
utilizzati (cfr. Foto 14 e
15)
Tabella riassuntiva dei dati relativi ai resti archeologici sommersi o erosi
Discussione dei dati presentati
I dati fin qui esposti mostrano che tutti gli indicatori archeologici posti nel lato NO del
promontorio si trovano a una profondità massima di circa - 1 m e a una profondità
minima ci circa - 0,50 m; mentre nell’altro lato la profondità massima è risultata essere
di – 0,50 m circa. La posizione degli indicatori rispetto alla linea di riva, l’assenza di
basculamenti o di fratture nelle strutture considerate, nonché il fatto che tutte le strutture
siano in posizione di vita, ci portano a concludere che la causa principale
72
dell’arretramento della linea di costa e dell’erosione dei resti archeologici è da ricercarsi
nel sollevamento del livello del mare, intercorso in questo intervallo di tempo, al quale
si sono sommati vari altri fenomeni quali scalzamento alla base e compattazione e
subsidenza delle fondamenta sui quali le strutture si trovavano costruite.
Le Terme a Mare, la Basilica, le tombe puniche e la cava possono considerarsi come
degli indicatori di massimo, ossia degli indicatori che si trovavano sempre emersi anche
in condizioni di alta marea estrema; mentre per il “molo Schmiedt” e la cinta muraria è
difficile trovare una collocazione precisa perché non si conosce la loro esatta funzione,
tuttavia, almeno per il molo, in questa sede daremo, come si vedrà più avanti, una
interpretazione desunta dai dati di campagna integrati a quelli archeologici; tale
interpretazione è che non si tratta del molo di un porto, ma bensì di una barriera
frangiflutti costruita a protezione dell’area delle terme e della basilica, in questo caso il
molo rappresenterebbe un indicatore di minimo, cioè un indicatore che si trova sempre
sommerso.
I dati qui presentati sono in accordo con quelli esistenti per il Mediterraneo
occidentale, concordi nel ritenere che ci sia stata, negli ultimi 2000 anni una risalita
eustatica di circa 0,50 m. Possiamo, dunque, affermare, in guisa di conclusione, che
l’area archeologica di Nora presenta delle strutture sommerse o erose e che la causa di
questo fenomeno è da ricercarsi in un sollevamento eustatico, la cui entità è di circa
0,50 m negli ultimi 2000 anni.
73
PARTE TERZA
LA LAGUNA DI S.EFISIO
74
CAPITOLO V
Aspetti storici e geografici
Caratteristiche geografiche
La laguna di S.Efisio (la cui denominazione esatta è Stangioni S. Efisio) è uno stagno
artificiale, ad occidente del promontorio di Nora, reso tale nel 1957 grazie alla
costruzione di un argine a sud, che ne costituisce lo sbarramento verso il mare. La
trasformazione, effettuata ad opera del demanio regionale per la pesca, aveva lo scopo
di adattare lo specchio d’acqua in peschiera.
La sua origine è legata all’emersione del cordone litorale Tirreniano (penisola di
Fradis Minoris) sul quale poggia una stretta lingua sabbiosa (la spiaggia di Porto
d’Agumu) formatasi nell’Olocene.
L’esame delle carte topografiche I.G.M. 1: 25.000 del 1897, del 1931, del 1968 e del
1987 conferma che le modificazioni subite dall’area riguardano soprattutto la zona
settentrionale, interessata da una serie di canalizzazioni artificiali facenti parte
integrante della peschiera; fatta eccezione per tali interventi antropici si può affermare
che, nel complesso, la laguna conserva i tratti morfologici che aveva all’inizio del
secolo. All’interno della laguna sfociano due piccoli corsi d’acqua: il Rio Arrieras e il
canale Saliu, un canale di bonifica che, però, era naturalmente presente alla fine
dell’800, com’è possibile osservare nella carta topografica del 1897, e che, dunque, ha
subito un interramento nel periodo compreso tra il 1897 e il 1957.
L’analisi delle foto aeree permette di evidenziare i cambiamenti indotti dalla chiusura
e canalizzazione artificiale del ’57. Innanzitutto (cfr. Tav. IX, X e XIV) appare evidente
come il corso del Rio Arrieras abbia divagato prima di assumere quello attuale: i dati di
campagna confermano questa divagazione, grazie al rinvenimento di vari depositi
alluvionali in corrispondenza del corso seguito sulle foto. Dalle stesse si osserva una
differenza di profondità notevole tra la parte orientale e quella occidentale della laguna
con valori minimi di 30 cm (nella parte occidentale) e massimi di 3,5 m (nella parte
orientale). Il confronto tra le foto aeree relative al 1954 e al 1995 mostra che il
riempimento della zona occidentale della laguna si è prodotto in questo arco di tempo
per effetto degli apporti detritici provenenti dai due rii.
75
La laguna si trova nelle immediate vicinanze del promontorio sul quale sorge la città
fenicia, punica e romana di Nora37 ed è con questa in stretto contatto, come appare dagli
studi da noi condotti.
Ipotesi circa l’ubicazione del porto di Nora
Uno degli aspetti di maggior interesse archeologico e topografico, riguardanti la città,
concerne la sommersione di alcune strutture urbane, di altre considerate di carattere
“portuale” e l’ubicazione stessa del porto, non ancora rilevabile con certezza.
Quest’ultimo è stato oggetto di molte attenzioni da parte di diversi studiosi.
Ipotesi esistenti
Un primo studio è stato condotto da G. Schmiedt nel 1965 38, il quale, grazie alla
lettura delle fotografie aeree ha potuto individuare numerose strutture sommerse,
posizionando il porto nella cala nord-occidentale, evidentemente provvista di opere
foranee, ma inadatta ad ospitare imbarcazioni alla fonda ed incapace di assicurare un
servizio di alaggio e di attracco in banchina; il lungo molo con direzione NO-SE,
portato a sostegno di tale ipotesi, non presenta infatti bitte per l’ormeggio.
Il secondo studio è di E. Macnamara – W. G. St. J. Wilkes del 1967 39, i quali,
ignorando completamente le strutture sommerse relative al “molo Schmiedt” e
interpretandone altre erroneamente, realizzano una carta batimetrica della penisola, ma
non apportano alcuna ipotesi sulla localizzazione del porto, anzi non considerano
neanche quella già esistente. Una grave lacuna nello studio della équipe britannica è
l’assenza di una qualsiasi analisi di carattere morfologico delle aree circostanti la
penisola di Nora: nella prospezione archeologica subacquea non si sono mai tenuti in
considerazione gli apporti fluviali.
L’unico vero esame archeologico e topografico dell’area si ha nel 1979 con Bartoloni
40
, al quale si deve per la prima volta l’ipotesi della localizzazione del porto nell’attuale
peschiera di Nora e la considerazione che le cale disposte simmetricamente attorno alla
37
Patroni 1904, coll. 109-268; Pesce 1972; Chiera 1978; Bartoloni-Tronchetti 1981; un puntuale riesame
delle attestazioni fenicie e puniche della città è in Moscati 1986, pp. 208-225.
38
Cfr.. Schmiedt 1965, pp. 234-238.
39
Macnamara – Wilkes 1967, pp. 4-11.
40
Bartoloni 1979, pp. 57-61.
76
penisola, fossero esclusivamente cale di buon tempo (summer anchorages), essendo
troppo esposte ai venti di scirocco e di greco.
Topograficamente la laguna di Nora presenta tutte le caratteristiche di un porto
naturale: riparata dai venti settentrionali e occidentali, bloccati dal complesso sulcitano,
sicura in caso di libeccio per la protezione offerta da Punta d’Agumu e in caso di
scirocco per la copertura data dalla stessa penisola di Nora, nonché protetta dai flutti
grazie alla penisola di Fradis Minoris. Bartoloni sottolineava l’importanza della
peschiera e del suo probabile sfruttamento come zona portuale, che fino ad allora era
considerata dalla letteratura archeologica come una laguna morta e fortemente interrata
41
.
Aspetti geografici a sostegno dell’ipotesi della laguna quale area portuale
L’ipotesi di uno sfruttamento portuale dell’area trova il conforto nella lettura delle
fotografie aeree dalle quali si evince come tra il 1954 e il 1995 (anni in cui vennero
effettuate le riprese fotografiche) questa insenatura abbia subito un processo di colmata
e di interramento dovuto agli accumuli fangosi depositati dal Canale Saliu e dal Rio
Arrieras accelerato dalla costruzione del molo che elimina ogni sbocco a mare della
laguna. Poiché l’interramento di aree palustri generato dai depositi limoso - argillosi è
un’attività naturale e costante in un ambiente lagunare, segue che i detriti trasportati dai
corsi d’acqua dall’età storica ad oggi potrebbero aver completamente colmato lo
specchio d’acqua che in età antica aveva profondità tali da garantire ormeggi: di fatto
essi erano ancora possibili nel 1897, quando la cartografia I.G.M. identifica il toponimo
con il nome Cala di Nora (cfr. Tav. XI). Tale area era utilizzata come porticciolo per
piccoli natanti.
A conferma della localizzazione dell’antico porto di Nora nella laguna giungono,
inoltre, i risultati di una serie d’indagini con scandaglio, interne alla peschiera, e delle
ricognizioni subacquee nello specchio d’acqua antistante la penisola di Fradis
Minoris42. Alle prime si deve l’individuazione di una depressione quadrangolare
41
Bartoloni 1979, p. 61.
Abbiamo avuto la possibilità di condurre prospezioni subacquee nell’area grazie alla disponibilità del
centro di educazione ambientale della “Cooperativa Ittica” che si occupa della gestione della laguna. Ci
sia concesso di ringraziare tutto il personale della struttura detta e, in modo particolare, il dott. Luca
Zizula che ha reso più agevole i continui sopralluoghi sia sott’acqua che in superficie con la sua
amichevole disponibilità.
77
42
(cfr.allegato n.2) di circa 100 m di lato, di cui non è stato possibile accertarne con
precisione la natura, in quanto impossibile, a causa delle pessime condizioni di
visibilità, eseguire un’indagine subacquea diretta, in tale depressione si raggiunge la
profondità massima dell’attuale peschiera. Le prospezioni subacquee hanno permesso di
individuare nella parte esterna alla peschiera, un canale, con andamento N-S, la cui
profondità varia fra i 2 e i 3,5 metri e la larghezza massima è di 3 metri, che si immette
nella depressione appena menzionata. Tale canale presenta delle pareti subverticali ed è
scavato nelle arenarie tirreniane affioranti sott’acqua. Vi sono, inoltre, le condizioni
meteomarine relative in particolare ai venti: come già detto quelli principali provengono
da sud e sono fondamentalmente libeccio e scirocco; la cala di Nora, all’interno della
laguna, si presenta protetta verso entrambi.
Allo stato attuale delle ricerche una grave lacuna è costituita dall’assenza, intorno
alla peschiera, di opere portuali; tuttavia il rinvenimento in questa stessa area di alcuni
siti che potrebbero essere ipoteticamente connessi a delle eventuali attività portuali
permette di colmare, almeno in parte, tali mancanze.
Aspetti archeologici a sostegno dell’ipotesi del porto all’interno della laguna
Le località sono state individuate nel corso della prospezione topografica nel
territorio di Nora intrapresa nel 1992 come parte integrante di un più ampio progetto, di
definizione della fisionomia urbanistica e abitativa della città antica, portato avanti dalla
Missione Archeologica di Nora43. Si tratta, infatti, di rinvenimenti che chiariscono il
processo insediativo e l’assetto topografico nelle zone immediatamente circostanti la
città e gravitanti attorno alla laguna stessa (cfr. Tav. II). Essi offrono una
documentazione materiale che si estende, ininterrottamente, dalla seconda metà
dell’VIII sec. a.C. sino alla tarda età imperiale, con periodo di massima occorrenza tra il
IV e il II sec. a.C. Il rinvenimento di una grande quantità di materiale anforico, di grandi
contenitori da trasporto e di scarti di fusione (spugne) e di lavorazione induce ad
ipotizzare la presenza nell’area di un “quartiere industriale” correlato alle possibili
attività portuali. Del resto anche Pesce porta notizie dei seguenti ritrovamenti nell’area
dell’istmo tra la chiesetta di S.Efisio e la casa della Guardiana: “avanzi di costruzioni, di
43
La Missione archeologica di Nora comprende le Università di Genova, Pisa, Padova e Viterbo in
collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Archeologici per le province di Cagliari e Oristano.
78
un forno per fondere i metalli, di una macina per il grano” dei quali non c’era già più
traccia all’epoca in cui Pesce scriveva, ma ciò non rappresenterebbe un problema in
quanto i resti da noi individuati sono sicuramente venuti alla luce a seguito degli
interventi di scasso del terreno occorsi nell’ultimo decennio.
Il primo sito di particolare interesse è situato nel settore nord-orientale della laguna
(NR92-R 1/9: S. Efisio44), tra la piccola strada sterrata che la costeggia, ormai
completamente abbandonata, e, solo per brevi tratti ancora leggibile sul terreno, e la
nuova strada che conduce alla città di Nora. La zona è stata oggetto d’interventi di
scasso per la messa in opera della rete elettrica e idraulica. L’area potrebbe inoltre
essere stata interessata dalle terre di riporto dello scavo delle necropoli e del tophet45:
tutto questo fa sorgere diversi dubbi sulla giacitura primaria dei materiali recuperati.
Inoltre, gli interventi di “dragaggio”, volti al recupero dei sopracitati materiali, utilizzati
a fini edilizi, potrebbero aver intaccato la stratigrafia archeologica dell’area, ma le
ricerche d’archivio effettuate dimostrano che interventi massicci di questo tipo
interessarono solo il settore orientale, né rimangono tracce evidenti di terre riportate o di
stratificazioni e accumuli tali da far considerare secondaria la natura del terreno.
L’osservazione macroscopica dei depositi superficiali rinvenuti in quest’area (limi e
argille di origine palustre e lacustre) conduce a ritenere che la zona in esame non è mai
stata oggetto di profondi interventi antropici. Possiamo di conseguenza considerare i
materiali recuperati in giacitura primaria, o, se in giacitura secondaria, provenienti da
un’area non interessata da attività di “scavo (dragaggio)” e circoscritta ad un raggio di
poche decine di metri.
Il secondo sito meritorio d’attenzione è situato nel versante settentrionale della
laguna (NR92-R 2/3: Peschiera di Nora)46. Esso occupa una lieve altura (2-4 m s.l.m.)
circondata da un’ampia zona paludosa e separata dalla “Peschiera di Nora” da una
lingua sabbiosa. L’area di rinvenimento dei reperti copre un’estensione di circa un
ettaro, con concentrazione massime in prossimità della laguna, inoltre la qualità dei
44
La sigla dei siti contiene la sigla generale della ricognizione a Nora seguita dall’anno – NR 92, la R di
ricognizione, e due numeri -1/9- che indicano rispettivamente il quadrato e il sito di rinvenimento e il
toponimo della località scelto sulla base della cartografia I.G.M.I. utilizzata per la prospezione; Botto –
Rendeli 1993, pp. 156-157.
45
Vivanet 1891, pp. 299-302; quelle vicende sono state recentemente ricordate in MOSCATI 1981, pp.
157-161.
46
Botto – Rendeli 1993, p. 159.
79
frammenti raccolti non sembra affatto discordante da quella rinvenuta nel sito analizzato
in precedenza. Possiamo, verosimilmente, considerare tali insediamenti come
stanziamenti “produttivi” in funzione in età fenicia e con periodo di massimo sviluppo
nel corso del IV sec. a.C., come dimostrano i numerosi frammenti diagnostici di anfore.
Un altro dato importante a favore dell’ipotesi del porto all’interno della laguna
consiste nel dato relativo alla cava di Fradis Minoris; poiché quando la cava era attiva
la baia era aperta, appare evidente che il solo modo di trasportare il materiale cavato era
via mare; ciò significa che nei pressi della cava, e dunque, nella laguna, c’era la
possibilità di far attraccare delle imbarcazioni. Inoltre la presenza della cava si situa in
maniera perfetta all’interno del quadro di un’area produttiva e commerciale intorno alla
laguna. Integrando i dati archeologici con quelli morfologici e quelli meteomarini
vediamo che tutto converge verso questa ipotesi. La mancanza di strutture per
l’ormeggio potrebbe essere spiegata o con il fatto che queste erano in legno e dunque si
sono degradate, oppure sono state completamente obliterate dai depositi della laguna e,
dunque, invisibili ai nostri occhi.
80
CAPITOLO VI
Analisi e sintesi dei dati
Analisi petrografiche sulla cava di Fradis Minoris
La cava di Fradis Minoris è stata rinvenuta nel corso del rilevamento geologico
operato nella zona; ci si è subito resi conto che la penisola di Fradis Minori, come del
resto tutta l’area della laguna rappresentava una chiave di volta per la comprensione del
paesaggio antico della baia di Nora, per via dei dati di tipo geomorfologico e
archeologico che in essa sono conservati. Tale penisola, infatti, è costituita da arenarie e
conglomerati di spiaggia di età tirreniana; la cava si estende per metà della sua
lunghezza interessando sia il lato a mare che quello verso la laguna, la sua importanza
risiede, innanzitutto, nel fatto che si tratta della più grande cava rinvenuta nell’area
limitrofa a Nora, in un contesto che il proseguire delle ricerche mostra sempre più
interessante e importante, per quel che concerne le attività umane in epoca punico romana.
Gran parte degli edifici di età punica e di età romana risultano costruiti con questo
tipo di arenaria: l’analisi petrografica e sedimentologica sulle arenarie della cava e del
teatro ha accertato che le arenarie del teatro provengono da Fradis Minoris; altre analisi
sono in corso nell’ambito di un progetto mirato alla conoscenza della provenienza delle
materie prime utilizzate a Nora per accertare che le arenarie utilizzate nella costruzione
degli edifici di età punica provengano anch’esse dalla cava di Fradis Minoris.
Si tratta di una cava a cielo aperto, sfruttata con il metodo della coltivazione a giorno,
in cui la massa rocciosa è completamente messa a nudo. La conservazione dei fronti di
cava permette una buona lettura della tecnica utilizzata per scalzare i blocchi: questi
sono stati prima disegnati, tramite delle incisioni nella roccia (le cosiddette canalette), e
poi estratti, inserendo cunei metallici o lignei e facendo leva, in modo tale che i blocchi
avessero forma e dimensioni prossime a quelle previste nel momento della messa in
opera. La coltivazione della cava è realizzata a gradini e segue l’andamento della roccia
sino a giungere al livello più basso, il quale, essendo costituito da un conglomerato di
maggiori dimensioni, non sempre fu sfruttato per fornire blocchi da costruzione.
81
Considerata la probabile durata dell’uso della cava, le tracce delle più antiche
coltivazioni in superficie sono indistinguibili, soltanto un’accurata osservazione
metrologica sulle tracce di coltivazione permetterebbe di accertare uno sfruttamento in
epoca punica: ossia se accanto alle dimensioni del piede romano (29,57 cm) o dei suoi
multipli riuscissimo ad isolare tracce d’estrazione rapportabili a standard metrici punici
(cubito=52 cm). Le misure finora rilevate sulla cava, mostrano la presenza dello
standard metrico romano.
Metodologia utilizzata
In primo luogo si è effettuata un’analisi macroscopica dei materiali impiegati nella
costruzione del teatro, sono stati distinti tre tipi principali di materiali: 1. arenarie grigie
della formazione del Cixerri (di cui si è rinvenuta una cava in località Sa Perdera nella
fascia pedemontana); 2. rocce vulcaniche andesitiche; 3. arenarie e conglomerati di
spiaggia tirreniani. Le arenarie grigie e le vulcaniti sono state usate per la cavea, mentre
le arenarie e i conglomerati sono stati impiegati per la costruzione dell’emiciclo esterno,
del porticus post-scaenam e per la scaena.
Delle ricerche bibliografiche su testi e carte del XIX secolo ci hanno permesso di
appurare che entrambe le cave (Fradis Minoris e Sa Perdera) erano conosciute: della
cava di Fradis Minoris ci da notizia Alberto Ferrero De La Marmora47 parlando, nel suo
Voyage, di un “grès quaternario... in cui appariscono le tracce dello sfruttamento antico
di questa pietra, usata nella costruzione della città di Nora, ora distrutta, la cui origine
risale all’epoca fenicia”. La cava di Sa Perdera è, invece, riportata sulle tavolette IGM
del 1897 e del 1931, ma già a partire dalle tavolette IGM del 1968 non vi è più nessun
riferimento alla cava in questione.
La cava di Fradis Minoris è stata oggetto di un campionamento accurato effettuato
su diverse sezioni verticali (cfr. foto 16). I campioni prelevati dalla cava sono stati
ridotti in sezione sottile al fine di essere studiati e confrontati con campioni analoghi
prelevati dal teatro, il quale a sua volta, è stato campionato prelevando delle schegge di
materiale delle dimensioni di una moneta, facendo bene attenzione a campionare in
zone non troppo esposte dei blocchi e, soprattutto, quanto più possibile sane. Al fine di
47
(De) La Marmora F.A., 1840 – Voyage e Sardaigne. Troisième partie. Dèscription géologique. 3ème
ed., Turin, 1840.
82
poter avere un quadro più vasto per operare il confronto si è campionata anche una
sezione verticale dell’affioramento tirreniano del promontorio di Nora in prossimità
della necropoli punica. I campioni, ridotti in sezione sottile sono stati osservati e studiati
al microscopio ottico.
Discussione e interpretazione dei dati
La maggior parte del teatro di Nora è costruita con arenarie e conglomerati di
spiaggia tirreniani. I blocchi usati sono o costituiti interamente da arenarie o da
conglomerati, oppure mostrano il passaggio dall’una all’altra facies. I blocchi del teatro
presentano le stesse strutture sedimentarie e lo stesso contenuto macrofossilifero
rinvenuti nell’affioramento di Fradis Minoris. Infatti il conglomerato basale di tale
affioramento si presenta come una biocostruzione a Lithothamnium, di dimensioni
decisamente elevate; tale bicostruzione non si ritrova in nessuno degli altri affioramenti
tirreniani della zona.
L’analisi microscopica dei campioni ha rivelato le seguenti caratteristiche per i
campioni provenienti dal teatro: il contenuto fossilifero è abbondante ed è costituito
essenzialmente da foraminiferi (Miliolidi), da alghe rosse e spine di echinidi; il cemento
83
è carbonatico e il contenuto clastico e mineralogico è rappresentato quasi
esclusivamente da quarzo, con granuli ben arrotondati e ben selezionati. Prevale il
contenuto fossilifero su quello clastico.
I campioni provenienti dalla cava di Fradis Minoris presentano esattamente le stesse
caratteristiche, mentre i campioni provenienti dall’affioramento di Nora, campionati in
una sezione in corrispondenza delle tombe puniche, sono completamente diversi per
quanto riguarda i rapporti tra contenuto fossilifero e clastico: al contrario del caso
precedente prevale il contenuto clastico, con granuli più spigolosi e una cementazione
ben più spinta.
Concludendo possiamo affermare che l’analisi petrografica conferma l’ipotesi di
partenza secondo cui i blocchi usati per la costruzione del teatro di Nora provengono
dalla cava di Fradis Minoris; l’analisi metrologica realizzata sulla cava mostra che la
dimensione dei blocchi estratti corrisponde a quella dei blocchi usati per la costruzione
del teatro. Considerando che la sua datazione si situa nel II sec. d.C. e che blocchi di
arenarie macroscopicamente simili a quelli rinvenuti nel teatro sono stati utilizzati nella
costruzione di edifici punici datati VI sec. a.C. è lecito affermare che la cava sia stata in
uso tra il VI sec. a.C. e il II sec. d.C. e se anche i blocchi del teatro fossero di reimpiego
essi non potrebbero che provenire da strutture puniche, dunque rimarrebbe comunque
un termine post quem di attività della cava che è il VI sec. a.C.
84
Analisi sedimentologiche condotte sulla spiaggia di Agumu
La spiaggia di Porto Agumu è situata tra il promontorio di Punta d’Agumu e la
penisola di Fradis Minoris. Si è intrapresa l’analisi sedimentologica della spiaggia in
quanto i dati provenienti dal rilevamento di campagna e dall’osservazione delle foto
aeree hanno messo in evidenza la presenza di un paleoreticolo idrografico; poiché una
parte dei corsi d’acqua di cui si è ricostruito l’andamento da foto aerea, sfociavano
proprio in questa spiaggia si è ritenuto opportuno analizzarne i sedimenti, al fine di
cercare una ulteriore conferma alla nostra ipotesi. Inoltre i dati provenienti dallo studio
dei paremetri granulometrici ricavati dall’analisi sedimentologica sono serviti, integrati
a quelli estrapolati dai dati anemometrici e delle foto aeree, per ricostruire la direzione
della deriva litorale principale.
Il campionamento della spiaggia è stato fatto in due volte: una prima volta nel
Giugno del 1998 e una seconda nel Gennaio 1999. Si è adottata questa tecnica per poter
rilevare le caratteristiche generali prescindendo dai cambiamenti stagionali.
Campionamento relativo al mese di giugno:
I campioni provenienti dalla spiaggia sono stati prelevati lungo i profili trasversali
1,2,3,4,5 (cfr. Tav. XVII) nell’ordine seguente: battigia, berma ordinaria e berma di
tempesta. Non sempre è stato possibile prelevare i campioni lungo tutte le parti del
profilo per la presenza abbondante di posidonie spiaggiate, soprattutto nella parte
iniziale e in quella finale della spiaggia. Oltre a campioni di sabbie, provenienti dalla
spiaggia, sono stati analizzati dei campioni provenienti dai depositi continentali del
retrospiaggia, in quanto si ritiene che questi depositi siano in relazione con il
paleoreticolo idrografico identificato in foto aerea: Il campione S4 proviene dalla
matrice di un deposito alluvionale arrossato, contenente grossi ciottoli granitici ben
smussati, affiorante in prossimità del canale Su Cristallu; le sue dimensioni sono molto
ridotte per cui non è stato possibile cartografarlo, resta, comunque, una testimonianza
geologica importante del passaggio di un corso d’acqua di cui non si trova traccia
neanche nella cartografia della fine dell’800, ma che appare abbastanza evidente nelle
foto aeree. Il campione S8, invece, proviene dal deposito continentale, affiorante per un
85
breve tratto sul retrospiaggia, dove forma una ripa di erosione. Tale deposito presenta
un alto grado di arrossamento, è piuttosto grossolano, con grossi frammenti di quarzo a
spigoli vivi; le caratteristiche di questo affioramento fanno supporre una sua origine
continentale probabilmente in un ambiente di transizione.
Profilo
1
2
3
4
Sigla campione
S1
Unità fisiografica
Berma in prossimità del canale
“Su Cristallu”
I/S2
Battigia
I/S3
Berma ordinaria
S4
Zona di retrospiaggia
II/S5
Battigia
II/S6
Berma ordinaria
II/S7
Berma di tempesta
S8
Scarpatina di retrospiaggia
III/S9
Battigia
III/S10
Berma ordinaria
III/S11
Berma di tempesta
IV/S12
Berma di transizione
IV/S13
Battigia
IV/S14
Berma ordinaria
IV/S15
Berma di tempesta
V/S16
Battigia
V/S17
Berma ordinaria
V/S18
Berma di tempesta
Tipo di deposito
Sabbie
Sabbie
Deposito
sabbioso-argilloso
arrossato, di natura alluvionale (matrice
inglobante ciottoli arrotondati di
granito)
Sabbie
Deposito sabbioso - argilloso,
arrossato di natura continentale.
Contiene al suo interno frammenti
piuttosto grossolani, di quarzo a spigoli
vivi.
Sabbie
Sabbie
5
Sabbie
Tabella riassuntiva del campionamento di giugno ‘98
86
Campionamento relativo al mese di Gennaio:
Nel mese di gennaio ’99 è stato realizzato un nuovo campionamento della spiaggia,
lungo gli stessi profili trasversali campionati a giugno seguendo gli stessi criteri e nelle
stesse unità fisiografiche. Il campionamento è stato eseguito solo sulla spiaggia in
quanto soggetta a cambiamenti stagionali, mentre i depositi continentali non sono stati
ricampionati. Mancano i campioni relativi al primo profilo poiché questo risultava
completamente obliterato dalla presenza di posidonie spiaggiate
Profilo
2
3
4
5
Sigla del campione
Unità fisiografica
IISb
Battigia
IISbo
Berma ordinaria
IISbt
Berma di tempesta
IIISb
Battigia
IIISbo
Berma ordinaria
IIISbt
Berma di tempesta
IVSb
Battigia
IVSbo
Berma ordinaria
IVSbt
Berma di tempesta
VSb
Battigia
VSbo
Berma ordinaria
VSbt
Berma di tempesta
Tipo di deposito
Sabbie
Sabbie
Sabbie
Sabbie
Tabella riassuntiva campionamento di gennaio 1999
Metodo impiegato
Per prima cosa i campioni sono stati lavati per eliminare i cristalli di sale che
avrebbero falsato i risultati dell’analisi. In seguito è stata separata la frazione fine (<62.5
µ), quasi sempre assente fatta eccezione per i campioni di ambiente continentale (S4 e
S8). Il campione rimasto rientrava completamente nella classe granulometrica delle
sabbie (2mm ÷ 62.5 µ/-1φ÷4φ) ed è stato analizzato utilizzando una serie di setacci
aventi fra loro uno scarto di ¼ φ. I risultati ottenuti con la setacciatura sono stati
87
utilizzati per costruire le curve granulometriche (di frequenza e cumulate) dalle quali
sono stati determinati, poi, i parametri granulometrici che sono stati analizzati al fine di
estrapolare le principali caratteristiche della spiaggia.
Rappresentazione grafica dei dati
I dati ottenuti con l’analisi granulometrica sono stati rappresentati mediante grafici,
mentre i parametri granulometrici sono rappresentati mediante tabelle (vedi confronto
curve pagine seguenti)
I parametri granulometrici calcolati sono:
-
Mediana (Md): è il diametro corrispondente al 50% della curva cumulata
-
Grado di selezionamento o sorting (σ): indica il grado di elaborazione cui è stato
sottoposto un sedimento ed è in stretto rapporto con le modalità di trasporto (i sedimenti
eolici e quelli di spiaggia sono tra i più selezionati esistenti in natura). Lo studio
sperimentale di un grosso numero di campioni ha permesso di schematizzare la seguente
classificazione del selezionamento espresso in φ:
-
< 0,35 φ
-
Molto ben selezionato
-
Ben selezionato
-
Moderatamente ben selezionato 0,50 φ ÷ 0,80 φ
-
Moderatamente selezionato
0,80 φ ÷ 1,40 φ
-
Poco selezionato
1,40 φ ÷ 2,00 φ
-
Molto poco selezionato
2,00 φ ÷ 4,00 φ
-
Estremamente poco selezionato > 4,00 φ
0,35 φ ÷ 0,50 φ
Skewness (Sk): E’ l’indice di asimmetria e ci dice se i valori sono equamente
distribuiti da una parte e dall’altra della posizione centrale della curva. Un’asimmetria
positiva indica che vi è una prevalenza di diametri piccoli, un’asimmetria negativa
indica una prevalenza di diametri grossi.
-
Diametro medio (Mz): indica la dimensione del diametro medio del campione.
Discussione e interpretazione dei dati
88
L’analisi dei parametri relativi al campionamento estivo e a quello invernale ci ha
fornito i seguenti risultati:
Per il campionamento estivo la maggior parte dei campioni rientrano nella classe del
“moderatamente selezionato” con un sorting compreso tra 0,80 φ ÷ 1,40 φ, seguono dei
campioni “moderatamente ben selezionati” con un sorting compreso tra 0,50 φ ÷ 0,80 φ,
solo due campioni si presentano ben selezionati. I campioni, pur provenendo in massima
parte da una spiaggia, non sono ben selezionati; essi presentano le caratteristiche di
depositi misti, cosa, tra l’altro evidente, anche dalle curve di frequenza che si presentano
tutte, o quasi, polimodali. I campioni meno selezionati in assoluto provengono dai
depositi continentali, mentre fra quelli della spiaggia i meno selezionati provengono dai
profili prossimi al canale Cristallu. Questo risultato si spiega facilmente ammettendo
che la zona del canale Cristallu ospitava, prima della bonifica degli anni ’50, una o più
piccole foci fluviali la cui presenza è testimoniata attualmente dalla presenza di lembi di
depositi alluvionali e il cui tracciato si può seguire su foto aeree a grande scala, grazie a
un’analisi bidimensionale che metta in evidenza le differenze di umidità nel terreno.
Attualmente sulla spiaggia non vi sono sbocchi fluviali, dunque il nostro risultato deve
essere riferito necessariamente alla situazione precedente alla bonifica.
L’analisi dell’Mz ci mostra che non c’è nessun trend particolare spostandoci lungo la
spiaggia e ciò è in parte spiegabile con il cattivo selezionamento del deposito.
E’, invece importante sottolineare che la parte finale della spiaggia (quella che
chiude verso Sud la laguna) presenta delle cuspidi di spiaggia ben pronunciate (cfr foto
17 e 18); tali cuspidi sono “punte di sedimenti grossolani rivolte verso mare e
ugualmente distanziate, separate da leggere depressioni a cucchiaio occupate da
materiale più fine. Si formano perlopiù durante il ritiro delle tempeste, con onde quasi
perpendicolari alla costa; assimilando le onde a cilindri, questi sono strozzati ad
intervalli regolari, di lunghezza uguale alla distanza tra due cuspidi, da una
perturbazione ritmica detta edge wave” (Mutti, Bosellini, Ricci Lucchi, 1989).
Per il campionamento invernale: i campioni si dividono tra moderatamente ben
selezionati e moderatamente selezionati con la maggioranza dei campioni compresi
nella classe del “moderatamente selezionato” anche in questo caso siamo di fronte a dei
campioni che evidenziano una provenienza “mista” dei sedimenti ossia la componente
89
fluviale è ancora molto forte, ma rispetto ai campioni estivi vi è una maggiore coerenza.
L’analisi dell’Mz in questo caso mostra la presenza di un trend: vi è una diminuzione
del grano medio spostandoci dal canale Cristallu verso la penisola di Fradis Minoris.
Questo dato si interpreta come la risposta sedimentaria alla diminuzione dell’energia di
trasporto andando dal canale verso la parte della spiaggia che chiude la laguna; ciò è in
perfetto accordo con la direzione della corrente di deriva litorale da noi estrapolata.
Anche nel periodo invernale l’ultima parte della spiaggia è interessata dalla presenza
di cuspidi litorali.
Le curve granulometriche si presentano anche in questo caso molto varie, quelle di
frequenza sono sempre polimodali e l’andamento delle curve varia completamente
anche quando ci si trova all’interno della stessa unità fisiografica.
L’asimmetria è quasi sempre positiva, ciò in netto contrasto con la norma secondo
cui le sabbie di spiaggia generalmente hanno un’asimmetria negativa, mentre quelle
fluviali e di duna hanno un’asimmetria positiva.
Concludendo possiamo dunque affermare che l’analisi granulometrica fatta sulla
spiaggia di Agumu ci ha fornito le seguenti indicazioni:
1. Si tratta di una spiaggia abbastanza recente i cui sedimenti presentano una
componente fluviale importante legata al fatto che, anche se attualmente non vi è nessun
apporto fluviale significativo, fino agli anni ’50, vi erano dei corsi d’acqua che
sfociavano in quest’area;
2. Il trasporto del materiale avviene con una direzione che va da canale Cristallu verso
Fradis Minoris; la parte finale della spiaggia è quella che subisce maggiormente gli
effetti delle tempeste (estive e invernali) ed è quella formatasi più di recente, la sua
forma allungata (freccia litorale) verso la penisola di Fradis Minoris, segue,
effettivamente, la direzione della corrente di deriva litorale e la penisola di Fradis
Minoris si pone come un ostacolo nei confronti della direzione di trasporto.
90
Geofisica lungo i bordi della laguna
Nell’ambito dello studio dettagliato di cui si è fatta oggetto la laguna di Nora si è
intrapresa la realizzazione di due profili sismici con il duplice scopo (1) di evidenziare
lo spessore48 e la natura dei sedimenti posti nel lato Nord della laguna e (2) di indagare
circa la eventuale presenza di strutture antiche poste sotto i sedimenti.
I due profili sismici sono stati realizzati il primo in data 4/12/1998 e il secondo in
data 22/01/1999. Il primo profilo è situato in una zona quasi completamente artificiale
(formata quasi completamente da terra di riporto) ed è stato realizzato in condizioni
meteoriche avverse a causa di un forte temporale, scatenatosi in fase di acquisizione; le
registrazioni di questo profilo erano, dunque, di scarsa qualità e difficili da interpretare.
Le registrazioni relative al secondo profilo si sono rivelate migliori ai fini della lettura e
dell’interpretazione; per tali motivi si sono analizzati e interpretati solo i dati relativi al
secondo profilo, consapevoli del fatto che questi dati fossero validi per una buona parte
del cordone litoraneo sul quale i profili sono stati realizzati.
Metodo utilizzato e geometria dello stendimento
Il metodo scelto è quello della sismica a rifrazione in quanto il nostro scopo era quello
di indagare gli strati superficiali del sedimento per ricavarne dati circa gli spessori e la
morfologia degli strati e informazioni indirette quali il tipo di materiale attraversato, dati
ricavabili mediante le velocità di propagazione delle onde.
I record sismici sono stati ottenuti con la tecnica degli scoppi coniugati effettuando,
inoltre, nel caso del secondo profilo due scoppi esterni allo stendimento (cfr. Tav.
XVIII); in entrambi i casi si è utilizzato un offset 49 di 20 m. Lo stendimento era
composto di 24 geofoni posti a una distanza di cinque metri l’uno dall’altro e, poiché ad
ogni geofono corrisponde un canale di acquisizione, il nostro stendimento si componeva
48
Il nostro progetto di ricerca prevedeva la realizzazione di uno o più carotaggi all’interno della laguna.
Lo scopo era quello di studiarne i sedimenti per capire le fasi del riempimento e ricostruirne la
morfologia per risalire all’aspetto e alla profondità dello specchio d’acqua in epoca punico – romana. I
dati storici relativi all’ultimo secolo, dal canto loro, ci hanno permesso di appurare che in questo arco di
tempo vi sono stati dei cambiamenti importanti sia nella morfologia che nel bilancio sedimentario della
laguna. Purtroppo per dei motivi di ordine tecnico – finanziario non si sono potuti realizzare i suddetti
carotaggi.
49
Si chiama offset la distanza che intercorre tra il punto di scoppio esterno e il primo geofono.
91
di 24 canali di acquisizione (nella tabella sono riportati gli schemi di acquisizione
relativi ai due profili oltreché l’esatto posizionamento dei profili sulla carta).
L’energizzazione del terreno è stata eseguita con il minibang, in quanto l’area
indagata occupava una superficie molto ristretta sottoposta, inoltre, a vincoli di tutela
ambientale50. Una volta partito lo scoppio, il sismografo, da noi sistemato al centro dello
stendimento, ha permesso di registrare simultaneamente sui 24 canali di acquisizione i
tempi di arrivo delle onde rifratte; in questo modo si sono ottenuti i record sismici51.
Nel record sismico è possibile leggere i tempi di arrivo per ciascun geofono, nel
nostro caso ogni tacca rappresenta 5 ms. Dalla lettura di queste registrazioni si sono
ricavati i grafici s/t (o grafici delle dromocrone) ottenuti riportando in ordinata i tempi
di arrivo delle onde rifratte ai geofoni e in ascissa le distanze fra i geofoni (cfr. Tav.
XIX), tali grafici, in sostanza, rappresentano i rifrattori. Su questi dati è stato applicato
un metodo di correzione statica chiamato Plus-Minus al fine di ricavare la morfologia,
la profondità e le velocità reali di propagazione delle onde dei rifrattori.
Dai tempi minus si ricavano le velocità reali, utilizzate per trovare la profondità dei
rifrattori. Dei tempi plus ci siamo serviti per ricavare la morfologia degli stessi.
Discussione e interpretazione dei dati
Alla prima fase del lavoro, consistita nella lettura dei tempi registrati da ciascun
geofono, è seguita la costruzione delle dromocrone, relative a ciascuno scoppio. Le
prime considerazioni che si possono fare nell’osservare le dromocrone riguardano il
numero dei rifrattori e l’inclinazione degli stessi.
La rappresentazione grafica evidenzia la presenza di due rifrattori 52 al di sotto dello
strato superficiale (l’aerato), dalle dromocrone abbiamo calcolato le velocità apparenti
relative ai due rifrattori e con il metodo di correzione siamo risaliti alle velocità reali dei
50
L’area della laguna di Nora è un’area di nidificazione per alcune specie di avifauna che si trovano nel
Mediterraneo; la Cooperativa che gestisce la peschiera si occupa della salvaguardia, della tutela e della
divulgazione, mediante visite guidate, del patrimonio che quest’area costituisce.
51
Il record sismico è un insieme di tracce sismiche ognuna delle quali rappresenta la registrazione
effettuata ad ogni singolo geofono.
52
La presenza di un terzo rifrattore visibile nella dromocrona relativa allo scoppio in prossimità del primo
geofono, e ancora visibile nella dromocrona relativa allo scoppio centrale, resta abbastanza dubbiosa. Le
dromocrone relative agli scoppi esterni non sono state d’aiuto all’accertamento della presenza di tale
rifrattore, essendo l’offset di 20 m insufficiente alla captazione di orizzonti più profondi, tali scoppi hanno
intercettato solo il secondo rifrattore.
92
rifrattori e dell’aerato. I dati ricavati concordavano con l’ipotesi iniziale : un primo
strato (l’aerato) con velocità di propagazione molto basse (circa 700 m/s), compatibili
con l’ipotesi della presenza di un terreno non consolidato riferibile sia ai dragaggi e ai
riporti di materiale fatti negli anni ‘50 per realizzare la peschiera, sia alla possibilità che
si trattasse di materiale sabbioso sciolto dovuto all’accumulo per opera della deriva
litorale o una miscela di entrambi; sotto a quello, il primo rifrattore presenta una
velocità media di circa 2300 m/s il che potrebbe corrispondere a un corpo arenaceo
abbastanza compatto, ma non ben cementato (come sono per esempio le arenarie
grossolane della formazione marina tirreniana); il secondo rifrattore
presenta una
velocità di 3600 m/s che sarebbe compatibile con la presenza di un affioramento
roccioso abbastanza compatto come potrebbero essere per esempio le brecce
andesitiche.
93
CONCLUSIONI
L’obiettivo principale di questa tesi consisteva nella ricostruzione del paleopaesaggio
della città punico-romana di Nora, mediante uno studio, integrato, di dati
geomorfologici e archeologici. La ricostruzione del paleopaesaggio aveva, nelle nostre
intenzioni, un significato abbastanza ampio comprendendo sia gli aspetti fisicogeografici che quelli economici e antropici legati ad esso, ossia le interazioni intercorse
tra l’uomo e l’ambiente dall’epoca punico – romana fino a giungere alla situazione
attuale.
Il nostro scopo aveva una carattere essenzialmente epistemologico essendoci
domandati, fin dall’inizio, se e come fosse possibile studiare un sito archeologico da un
punto di vista geomorfologico, integrando i dati ottenuti dall’una e dall’altra delle due
discipline, per giungere ad una disciplina del tutto autonoma, quale la geoarcheologia.
Ricordandoci che per geoarcheologia si intende la disciplina che si occupa dello
studio di problemi archeologici servendosi di metodi propri alla geomorfologia e alla
sedimentologia, definiamo il geoarcheologo colui che, attraverso lo studio di terreno e le
analisi di laboratorio elabora e ricostruisce l’ambiente del sito realizzando modelli
dell’attività umana nel tempo e nello spazio.
Per raggiungere tale obiettivo è fondamentale il lavoro d’équipe portato avanti con
gli archeologi, quindi una parte del lavoro si deve svolgere sul terreno rilevando
contemporaneamente sia il dato geomorfologico che quello archeologico. Ed è quello
che abbiamo fatto partecipando regolarmente allo scavo di Nora e alla Ricognizione
archeologica sul territorio.
Per ciò che concerne la metodologia utilizzata vogliamo mettere in evidenza che essa
è stata messa a punto nel corso del lavoro tenendo conto delle caratteristiche peculiari
della baia di Nora e del territorio circostante.
L’utilizzo soprattutto di foto aeree, di dati storici d’archivio, della cartografia storica
e l’analisi diretta sul terreno, si è reso necessario in quanto la zona ha subito grosse
trasformazioni,
legate
all’antropizzazione,
soprattutto
cinquantennio, obliterando, in taluni casi, qualsiasi
nel
corso
dell’ultimo
evidenza della situazione
precedente.
94
I risultati raggiunti ci permettono di affermare che i grossi cambiamenti del
paesaggio, indotti dalla presenza umana, sono molto recenti, possiamo farli risalire alla
seconda metà del ‘900 fin ad oggi. In epoca antica, viceversa, è stata la conformazione
del territorio, le sue caratteristiche morfologiche, geologiche, la posizione geografica,
che hanno determinato le attività umane e la loro distribuzione nel territorio.
Partendo dall’insediamento più antico, quello Neolitico, possiamo evidenziare che il
materiale archeologico trovato testimonia un tipo di economia misto (agricoltura/caccia)
in perfetta sintonia con la posizione geografica: esso si trova in una zona pianeggiante,
abbastanza vasta, in cui affiorano le alluvioni oloceniche, l’approvvigionamento idrico
era assicurato dalla presenza di due piccoli corsi d’acqua, oggi completamente asciutti,
ma che ancora negli anni ’50 avevano delle buone portate liquide; la zona montuosa,
non troppo lontana poteva, inoltre, essere un buon terreno di caccia.
Gli insediamenti nuragici occupano, invece, delle aree molto circoscritte e ben
determinate: si rinvengono solo su colline o promontori andesitici. La particolarità è
che, soprattutto nell’area di Villa S.Pietro, tra queste colline vi sono delle vallecole nelle
quali ancora oggi è praticata l’agricoltura; si tratta di un’agricoltura di tipo intensivo,
ma, viste le dimensioni ridotte degli insediamenti nuragici, sicuramente sufficienti al
fabbisogno di chi vi abitava. L’apporto idrico proveniva, senza dubbio, dallo scavo di
pozzi nella roccia53. La posizione sulle colline e sui promontori permetteva, inoltre un
controllo di tutta l’area costiera: una posizione strategica importante. Anche in questo
caso il territorio e la sua morfologia hanno giocato un ruolo fondamentale nella scelta
dell’insediamento antropici.
I siti punici, come abbiamo visto, sono stati trovati nelle immediate vicinanze della
città, concentrati nell’area della laguna, testimonianza del fatto che vi era ancora uno
stretto legame con la città di Nora e che la vocazione economica era di tipo
fondamentalmente commerciale. La concentrazione dei siti indicanti attività artigianali e
commerciali di vario genere, posti intorno alla laguna, testimoniano quanto appena
detto.
53
Lo scavo archeologico dell’area di Nora ha evidenziato la presenza di numerosi pozzi di questo tipo
interamente scavati nelle andesiti; le analisi condotte sull’acqua di uno di questi pozzi hanno accertato che
si tratta di acqua dolce.
95
Gli insediamenti di epoca romana sono sparsi in tutto il territorio, con una
percentuale dominante sulle alluvioni sia oloceniche che pleistoceniche. Il tipo di
formazioni superficiali occupate e il tipo di siti ritrovati (ville isolate, vere e proprie
fattorie) ci induce a sostenere che il tipo di economia adottato era prevalentemente
agricolo, probabilmente estensivo: si ha un momento di occupazione del territorio, di
tipo quasi latifondiario, che denota una maggiore indipendenza dei siti rispetto alla città.
La baia di Nora in epoca punico – romana (cfr. Tav. XX)
Per ciò che concerne in maniera più dettagliata la baia di Nora si può affermare
quanto segue: siamo partiti dal fatto che a Nora esistono alcune strutture archeologiche
che testimoniano inequivocabilmente un arretramento della linea di costa negli ultimi
2000 anni e, dunque, una variazione della morfologia del promontorio. Lo studio dei
dati geomorfologici e la loro integrazione con quelli archeologici ha dimostrato che
l’ipotesi avanzata, circa una sommersione dovuta a fenomeni eustatici, è stata
confermata. Infatti non ci sono evidenze che dimostrino che la zona studiata sia stata
interessata da fenomeni tettonici nell’Olocene.
La presenza delle strutture archeologiche rappresenta, in questo contesto, un
elemento utile a valutare l’entità del sollevamento. L’analisi e il rilevamento dettagliato
delle profondità alle quali esse si trovano nonché il confronto di questi dati con le curve
di risalita del mare olocenico e con i dati geoarcheologici rilevati, in studi precedenti,
per il bacino del Mediterraneo, ci portano a sostenere che la baia di Nora si inserisce nel
quadro della risalita eustatica determinata per il Mediterraneo occidentale, con un
sollevamento medio del livello del mare, negli ultimi 2000, anni di circa 0,50 m.
Questo sollevamento si traduce, praticamente, con un arretramento della linea di
costa: le strutture che si trovavano in prossimità della linea di riva hanno cominciato a
farne le spese, esattamente com’è successo recentemente nella zona di Porto Columbu,
con la differenza che il sollevamento del livello del mare è un processo naturale al quale
l’uomo non può porre rimedio. Attualmente a Porto Columbu, per cercare di arrestare
l’avanzata del mare, sono state costruite una serie di barriere frangiflutti parallelamente
alla linea di costa. Analogamente in epoca romana, quando sulle Terme e sulla Basilica,
cominciarono a farsi sentire i contraccolpi dell’azione erosiva del mare in sollevamento,
96
si presero dei provvedimenti, costruendo una barriera frangflutti (il “Molo Schmiedt”)
posto in maniera tale da opporsi alla corrente di deriva litorale e dunque, in modo da
proteggere queste due importanti strutture romane. Quando poi la città cominciò a
decadere cessarono anche le opere di manutenzione cui era sottoposta questa barriera,
essa cominciò a demolirsi e la sua azione di protezione cessò: a quel punto incominciò il
vero processo erosivo sulla costa che ha portato all’arretramento e all’erosione della
basilica e delle Terme. L’analisi incrociata tra dati archeologici e geomorfologici ci ha
permesso, inoltre, di ipotizzare che il porto attrezzato di Nora punica e di quella romana
fosse all’interno della laguna; dunque la posizione di un molo nella cala NO, non ha
nessun significato salvo considerarlo, come abbiamo detto, una barriera frangiflutti.
Sintetizzando tutti i dati sin qui esposti possiamo concludere che in epoca punica
l’occupazione del territorio non si spostava oltre la baia di Nora estendendosi
principalmente verso la laguna. I dati archeologici e quelli geomorfologici testimoniano
un’intensa attività economica e artigianale nei bordi della laguna: da Fradis Minoris
proveniva parte del materiale lapideo impiegato nella costruzione degli edifici; nella
parte nord della laguna erano presenti dei siti di tipo artigianale (confermati dal
ritrovamento di scarti di lavorazione quali spugne e resti di forni) e anche la parte est.
era occupata da insediamenti di tipo produttivo.
In epoca romana si ha una occupazione del territorio circostante a scala molto più
larga, i siti romani si trovano indifferentemente e costantemente in tutta l’area coperta
dalla ricognizione. Per quanto riguarda Nora, in questo periodo si ha la costruzione
degli edifici più monumentali quali il Teatro, le Terme a Mare e la Basilica: la cava è
ancora attiva, in quanto si usano blocchi provenienti da qui per la costruzione del teatro,
il porto attrezzato è sempre posto all’interno della laguna. Un grosso problema che si
presenta alla città è quello dell’erosione delle strutture poste in prossimità della linea di
riva: per ovviare a questo inconveniente viene costruita una barriera frangiflutti.
Segue un periodo di abbandono totale del territorio per diversi secoli, dovuto sia ai
problemi legati a invasioni di ogni genere, cui erano sottoposte le coste, sia a problemi
legati all’insalubrità del territorio, paludoso, e dunque altamente malarico.
Il nuovo nucleo abitativo si insedia verso la fine del XVIII secolo e da allora si è
sviluppato per raggiungere le proporzioni attuali.
97
A partire dagli anni ’50 la situazione è molto cambiata e la presenza umana ha
veramente influito sui cambiamenti del paesaggio, innescando spesso dei processi di
erosione accelerata (com’è il caso di Porto Columbu), deviando o bloccando i corsi
d’acqua, eliminando le zone paludose
Cambiamenti del territorio nell’ultimo secolo
La ricostruzione morfologica del paesaggio relativo all’ultimo secolo è il frutto
dell’integrazione di dati di tre tipi: 1. Materiale cartografico storico e attuale (partendo
da carte del 1839 fino a carte del 1989); 2. dati di archivio relativi agli interventi di
bonifica operati dall’ ERLAAS54 nell’ambito della lotta antianofelica e dall’ETFAS
nell’ambito della riforma agraria degli anni ’50; 3. Fotografie aeree relative a periodi
diversi (a partire dal 1954).
La carta più antica da noi presa in considerazione risale al 1839. Si tratta dalla carta
rilevata da Alberto Ferrero de La Marmora e da Carlo de Candia. In questa carta si nota
che l’unico cambiamento di rilievo è relativo alla laguna di Nora. La zona umida che
ancora caratterizza questo tratto di costa (lo “Stangioni S.Efisio”) si presenta molto più
estesa verso Nord rispetto alla situazione attuale, con un’apertura verso il mare
coincidente con il molo artificiale, che attualmente chiude la laguna, e con i depositi
sabbiosi attualmente visibili all’interno della laguna, ancora in corso di formazione. In
questa carta è evidente che anche l’area intorno a Canale Cristallu sia paludosa. Ciò ci
porta a supporre che l’attuale spiaggia di Agumu, fosse, ancora nella prima metà
dell’800, sede di deposizione da parte di piccoli corsi d’acqua attualmente estinti.
Questo spiegherebbe la presenza lungo tutta la spiaggia, e in modo particolare nel tratto
54
La battaglia antianofelica si è svolta in Sardegna tra il novembre 1946 e il dicembre 1950 tramite l’uso
di Ddt, tale lotta debellò la malaria in Sardegna. L’ERLAAS (Ente Regionale Lotta Anti Anofelica….),
l’ente appositamente creato nell’aprile del 1946, fu l’esecutore materiale di questa battagli voluto dalla
“Rockfeller Foundation” la quale scelse la Sardegna come campo sperimentale per combattere il morbo a
livello mondale. Il “Progetto Sardegna” fu deciso dagli americani il 2 ottobre 1945. Obiettivo: eliminare
la zanzara dalla Sardegna. Già negli anni trenta l’assalto delle anofele era stato frenato introducendo
contromisure quali bonifiche: un gran numero di paludi, pantani e raccolte d’acqua fu drenato sia
scavando nuovi canali, sia allargando o migliorando quelli esistenti. I nuovi scavavano in profondità da
un solco di aratro, spesso sufficiente per eliminare pozzanghere, fino a profondi canali permanenti o
semipermanenti, in grado di smaltire una notevole quantità d’acqua. Alcune paludi costiere furono
facilmente drenate scavando brevi canaletti fino al mare.
98
che la chiude a Est verso la penisola di Fradis Minoris, di materiale ciottoloso sciolto
nonché quella di una piccola foce fluviale ormai praticamente inattiva.
Le altre carte topografiche ottocentesche che abbiamo ritenuto opportuno prendere in
considerazione sono quelle rilevate da Jean Pierre Jurien Lagravière nel 1842 e
pubblicate nel 1846. In particolare abbiamo tenuto conto della Carte particulière de la
côte meridionale de la Sardaigne depuis la tour de Pula jusqu’à Cap S.Elie e della
Carte particulière de la côte meridionale de la Sardaigne de Cap Teulada jusqu’à la
tour de Pula; Baie de l’île Rousse.
I dati fisico-geografici ricavabili dalle due carte, si discostano pochissimo da quelli
riportati sulla carta di La Marmora. L’unico particolare di interesse per la nostra ricerca
storica è relativo ai toponimi infatti nel tratto relativo alla baia di Nora compare il
toponimo Port de Pula ossia Porto di Pula proprio nell’area in cui ipotizziamo
l’ubicazione dell’antico porto di Nora. La presenza, inoltre del toponimo Aiguade
(acquazzone, acquata) nell’area corrispondente a quella indicata come paludosa e
lagunare nelle altre carte lascia supporre che a distanza di qualche anno sussistesse
l’area lagunare indicata da della Marmora.
La carta storica più recente analizzata, risale al 1897 e anche qui (cfr. Tav. XXI) i
dati di interesse riguardano la maggiore estensione della zona paludosa (ancora presente
anche a Canale Cristallu) rispetto quella attuale, la presenza del toponimo Cala di Nora
nell’area da noi ipotizzata come quella di ubicazione del porto e la presenza di una
idrografia in parte differente rispetto a quella attuale. Il confronto tra questa carta e le
foto aeree del 1954 ci mostrano che questa situazione si è mantenuta, quasi inalterata,
almeno fino a quella data. Nel 1957, la chiusura della laguna di Nora ha conferito alla
zona palustre retrostante l’aspetto attuale, determinando, inoltre l’accelerazione del
processo di colmata relativo alla laguna stessa.
I primi segni di una “nuova colonizzazione” si sono rivelati a partire dagli anni ’50
quando, subito dopo la seconda guerra mondiale, l’ETFAS (oggi ERSAT) operò una
riforma agraria assegnando diversi appezzamenti di terreno, soprattutto a S. Margherita,
nell’area posta a sud di quella da noi studiata.
Questa risistemazione determinò un tale afflusso di popolazione che nacque la
“borgata” di S.Margherita, facente parte del comune di Pula. In questo ambito nacquero
99
le aziende agricole, che ancora oggi costituiscono parte dell’economia portante
dell’area; la nascita delle aziende agricole ebbe un primo impatto sull’ambiente, del
quale oggi si riconoscono le conseguenze: l’attività agricola per poter funzionare, ha
bisogno soprattutto, di acqua; poiché questa zona della Sardegna non è sicuramente una
delle più piovose, il problema acqua venne risolto creando degli sbarramenti dei corsi
d’acqua per quelle aziende poste a monte e scavando dei pozzi per quelle più prossime
alla linea di spiaggia. I risultati si risentono attualmente: il minimo disequilibrio sulla
linea di costa si trasforma in conseguenze catastrofiche per la stessa; ne abbiamo un
esempio lampante Porto Columbu, dove già negli anni ’50 la spiaggia veniva segnalata
in arretramento, in quanto parte del materiale usato per la costruzione delle aziende
poste nelle zone limitrofe, proveniva dalla spiaggia sommersa antistante Perd’e Sali,
inoltre gli sbarramenti a monte dei corsi d’acqua avevano creato un deficit negli apporti
sedimentari della spiaggia. Quando nel 1987, sul piccolo promontorio posto nella parte
nord di Perd’e Sali venne costruito un porticciolo turistico, le conseguenze sono state
disastrose: nel giro di pochi anni la linea di costa è arretrata di qualche decina di metri
coinvolgendo le ville costruite nel retrospiaggia, che hanno perso recinzioni, parti delle
case, e non si è riusciti a fare niente per arrestare il processo erosivo innescato da questo
intervento. Il sovrapporsi degli elementi suindicati ha reso la spiaggia molto fragile e
non appena qualcosa è intervenuto a turbare questo equilibrio precario, la risposta è
stata un’erosione accelerata della linea di costa.
Ancora oggi l’agricoltura è uno dei pilastri portanti dell’economia della zona, e gli
effetti di questo intenso sfruttamento agricolo, si registrano soprattutto nella
diminuzione delle portate dei corsi d’acqua, quasi sempre sbarrati, nella zona a monte.
Questi sbarramenti oltre a trattenere la parte liquida trasportata dai corsi d’acqua,
trattengono una buona parte dei materiali detritici che, così, giungono nella costa in
quantità ridottissima. Questo ha conseguenze gravissime sugli equilibri delle spiagge
corrispondenti. Lo studio delle foto aeree ha evidenziato come il reticolo idrografico si
sia ridotto notevolmente negli ultimi cinquant’anni.
Alla fine degli anni ’40 inizio anni ’50 appartengono gli interventi di bonifica operati
dall’ERLAAS, nell’ambito della lotta all’anofelica condotta in Sardegna subito dopo la
seconda guerra mondiale. Un gran numero di aree paludose o acquitrinose sono state
100
bonificate, poiché questa zona aveva un’alta densità di zone umide, l’intervento è stato
abbastanza stravolgente da un punto di vista del paesaggio in quanto sono state riempite
e prosciugate oltre alle grandi zone paludose anche tutte le più piccole pozze o qualsiasi
tipo di bacino che conservasse acqua stagnante; in alcuni casi la vegetazione stessa è
stata eliminata totalmente. Si può affermare che da un punto di vista dello sviluppo
economico della Sardegna questo intervento ha determinato la rinascita, liberando
l’isola dalla piaga che più di ogni altra ne ha determinato l’arretratezza per tanto tempo.
Si può affermare che nel corso dell’ultimo secolo, in particolare negli ultimi
cinquant’anni, i cambiamenti occorsi nella zona esaminata sono tali e tanti da indurci a
ritenere che l’antropizzazione recente è stata la causa delle modificazioni più evidenti
del paesaggio. Si è passati da un sistema in cui l’uomo dipendeva dal paesaggio e le sue
scelte erano dettate da ciò che il paesaggio poteva offrirgli, a un sistema in cui l’uomo
fa le sue scelte indipendentemente, agendo lui stesso sul paesaggio, il quale è costretto
ad adeguarsi ai cambiamenti, talvolta rispondendo, però, in maniera catastrofica per chi
queste trasformazioni le ha prodotte.
101
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
102
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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TAVOLA DELLE CARTE
E
DELLE FOTOGRAFIE AEREE
CARTOGRAFIA
-
Carta a stampa in B/N incisione in rame. Alberto Ferrero della Marmora – Carlo
de Candia . Carta dell’isola e Regno di Sardegna (dedicata alla Maestà del Re
Carlo Alberto Primo). La data di pubblicazione è il 1845, ma i lavori
trigonometrici e geodetici sono iniziati nel 1824 e proseguiti senza interruzione
sino al 1838 per i quali l’autore rimanda alla notice inserita nel I volume II
edizione (1839) del Voyage en Sardaigne.
-
Carta a stampa in B/N incisione in rame. J.P. Jurien-Lagravière Carte
particulière de la côte meridionale de la Sardaigne depuis la tour de Pula jusqu’à
Cap St.Elie…
- IGM 1897
- IGM 1931
 Scala 1:25.000
- IGM 1968
- IGM 1987
- C.T.R. (Carta Tecnica della Sardegna) anno 1968 scala 1:10.000, F. N. 573 Teulada sez.A4 (S.Margherita); F. N. 573A - Teulada sez.A1 (Nora); F.N. 566 Sarroch sez.D1 ( Pula); F. N.565 - Pula sez.D4 (Villa S.Pietro).
- Atlante delle spiagge Italiane, foglio 239-240 (Teulada-S.Efisio), progetto
strategico Clima, Ambiente e Territorio nel Mezzogiorno, C.N.R. – MURST,
1996
FOTO AEREE
- Foto Aeree in scala 1:33.000 del 1955, F. 239 strisciate n. 59 e n.60
114
- Foto Aeree in scala 1:23.000 anno 1965, F. 239-240 strisciate n. 96 e n.97, F.234
strisciate n. 160 e n. 161;
- Foto Aeree in scala 1:33.000 anno 1987: F. 239-240 strisciate n. LXXII,
LXXIII, LXXVI, LXXXVII; F. 234 strisciata n. XL;
- Foto Aeree R.A.S. (Ass. EE. L. Fin. e Urb. Servizio Informativo e
Cartografico Regionale in scala 1: 4.000 anno 1987 : Strisciate n. 2, 3, 5, 6, 7,
8, 9;
- Ortofotocarte R.A.S. 1:10.000
115