Diversamente saggi: quanto è saggio chi li cura?

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Diversamente saggi: quanto è saggio chi li cura?
Diversamente saggi: quanto è saggio chi li cura?
di Maria De Benedetti
Mi sia consentito un intermezzo in cui dirò non di diversamente saggi, ma di quanti
pretendono di curarli, e saggi non sono. Premetto tutto il mio rispetto e la mia ammirazione
per gli amici che - loro sì ! - hanno un rapporto attento e competente, oltre che tempestivo,
verso pazienti che perciò ormai pazienti non sono, ma cittadini esemplari, consapevoli
della responsabilità di curarsi. Sono sopraffatta dagli episodi che vedono in azione, a
imitazione dei terroristi, personaggi che distruggono vite in forme efferate e clamorose.
Non è una consolazione sapere che non sono terroristi (a questi è destinato un diverso
atteggiamento di orrore e disperazione) ma malati psichici, molto spesso già riconosciuti
come tali e in trattamento. Una domanda ingenua ma inevitabile: quale impedimento –
tecnico, giuridico, medico, istituzionale … - fa sì che non si riesca mai a prevenire l’agìto e
si riesca soltanto a spiegare l’accaduto? Sappiamo che esiste una tipologia di pazienti
soggetta al contagio sociale, che li induce a riprodurre eventi clamorosi, in una disperata e
insana ricerca della propria identità. E’ utopia, illusione, non conoscenza dei vincoli che la
società impone alla medicina, domandarsi se non sia possibile sollecitare un’attenzione, e
gli interventi necessari, per ridurre almeno la probabilità del dilagare di questa autentica
epidemia?
Chi controlla i segnali precursori?
Possibile che le gesta pericolose di qualcuno non siano mai sospettate da chi lo ha in cura
e da chi è vicino a lui? Ritorno sulla sorpresa che tutti esprimono a fattaccio avvenuto. Nei
commenti al fattaccio, si comincia a capire che il soggetto era in trattamento, che aveva
già dato segnali inquietanti, e non da pochi giorni ma da molto tempo. Nel difficile mondo
dei disturbi psichici si è giunti a risultati notevoli di terapia e di riscatto,ma sappiamo tutti
che ci sono casi non governabili con gli interventi attuali. Si tratta dunque di tutelare la
società dai loro agìti e, ovviamente, anche i pazienti che potrebbero anch’essi ricevere
danno. In questo momento si direbbe che malati orientati alla violenza abbiano trovato
legittimazioni irresponsabili in movimenti che forniscono loro occasioni per agire. Come se
non bastasse, l’emulazione spinge questo tipo di malati a ripetere le gesta altrui. Ora non
è più sufficiente, anche numericamente, il lavoro degli specialisti per tutelare in primo
luogo la società ma anche gli stessi pazienti. Soprattutto mi sembra che nel bagaglio di
competenze di molti addetti sia carente l’ attenzione metodica ai segnali precursori della
crisi. Di questo oggi voglio parlare. Il cambiamento di espressione di un malato, il
cambiamento del contenuto dei suoi deliri, la esasperazione di alcuni gesti tipici (sbattere
con violenza la porta, accendere sigarette una dietro l’altra schiacciandole poi a terra,
riempire le stanze di fazzoletti buttati a terra …), e poi: persiane sempre chiuse, mangiare
non consumato, abbigliamento anomalo e incoerente, affacciarsi con insistenza alla
stessa finestra, essere stranamente euforici o, al contrario, silenziosi e assenti, non
frequentare i soliti locali, dedicarsi esclusivamente ad alcune notizie …
Tutti coloro che vivono con un malato soggetto a crisi acute e drammatiche e tutti coloro
che lo hanno in cura conoscono questi comportamenti che si manifestano normalmente
prima dello scatenarsi della crisi. E’ in queste circostanze che si dovrebbe vigilare onde
prevenire azioni anticonservative o azioni violente verso nemici presunti o esibizioni
clamorose della propria forza e della propria violenza. Forse si dirà che è costante
l’attenzione a questi segnali precursori, ma non mi sembra che producano sempre azioni
di tutela e di controllo. Si ricordi l’aereo pilotato a schiantarsi contro la montagna, o,
recentemente, la vendetta di un soggetto meditata da un anno (se si sa questo, come mai
non si è provveduto di conseguenza?). Nel mio pessimismo ansioso proporrei di chiedere
ai familiari e ai terapisti di questi malati un’attenzione programmata ai segnali precursori
che caratterizzano in modo specifico ogni malato, al fine di organizzare interventi
tempestivi.
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