numero 3/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
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Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro panorama per i giovani Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - POSTA TARGET CREATIVE Aut. n. S/SA0188/2008 valida dal 01/07/2008 - anno XLIV - n. 3 - settembre-dicembre 2011 GLOBALIZZAZIONE Una rivoluzione economica e antropologica BRIC L’opinione di Rosario Alessandrello 11 SETTEMBRE Un decennio dopo BRASILE, BRASILE, RUSSIA, RUSSIA, INDIA, INDIA, CINA CINA Nuovi protagonisti mondiali Sommario panorama giovani per i n. 3, settembre-dicembre 2011 Il National 9/11 Memorial sorge nel punto in cui si trovavano le Torri Gemelle e ricorda le vittime degli attentati dell’11 settembre (Foto: iStockphoto/ vivalapenler). PANORAMA PER I GIOVANI Nuovi protagonisti 28. The India Alliance Un investimento di 80 milioni di sterline per aiutare la ricerca scientifica. di Ponnari Gottipati e Megha 4. Mutazione globale La globalizzazione: standardizzazione di culture e stili di vita, ma anche attese per il futuro. di Selene Favuzzi 30. Roma e Nuova Delhi a scuola di cooperazione Intervista all’on. Sandro Gozi, presidente dell’Associazione Italia-India. a cura di Gabriele Rosana 7. Il Brasile, grande attore sulla piazza globale Il paese si prepara ai grandi eventi dei prossimi anni: Giornata mondiale della gioventù, Campionati mondiali di calcio e Olimpiadi. di Serena Berenato e Martina Ratto 32. Spazio al Brasile! Dal 1994 il paese sudamericano ha investito nella ricerca spaziale e ora stanno arrivando i frutti. di Saverio Cambioni 3. Editoriale di Stefano Semplici 11. La veste economica della globalizzazione Gli aspetti economici di una grande trasformazione. di Giovanni Liberatoscioli e Ruggero Pileri 13. Red finance La Cina gioca ormai un ruolo centrale nell’economia mondiale. Quali sono gli effetti su Europa e Stati Uniti? di Fabrizio Core e Aleksandra Arsova 16. I mutati scenari della politica internazionale L’ascesa dei Bric, i nuovi assetti geopolitici e il Consiglio di sicurezza dell’Onu. di Nicola Galvani ed Elena Martini 20. La Russia di Putin alla prova del futuro Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e l’epoca di Eltsin, Vladimir Putin ha dato la sua impronta al paese. di Giovanni Benvenuto 22. Sovrappopolazione e risorse Nel 2050 la Terra avrà 9 miliardi di abitanti. Malthus aveva torto, ma come dobbiamo prepararci? di Sara Centola e Viviana Spotorno 25. Verso un unico modello sanitario L’India fra promesse, prospettive e sfide. di Gianmarco Lugli 34. L’inglese come lingua globale Le ragioni e le prospettive di una lingua franca. di Valentina Pudano 35. Il mercato globale Considerazioni sui Bric di Rosario Alessandrello, Presidente del Gruppo Lombardo dei Cavalieri del Lavoro. di Rosario Alessandrello Primo Piano 40. 9/11. Un decennio che non può essere ignorato Dieci anni fa l’attentato alle Torri Gemelle. di Davide Brambilla Periodico della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro - Roma Anno XLIV - n. 3 - settembre-dicembre 2011 Direttore responsabile Mario Sarcinelli Direttore editoriale Stefano Semplici Segretario di redazione Piero Polidoro Redazione: Carmelo Di Natale, Selene Favuzzi, Elisa Giacalone, Nicola Lattanzi, Claudia Macaluso, Francesca Parlati, Gabriele Rosana, Donato Andrea Sambugaro, Sara Simone, Andrea Traficante. Direzione: presso il Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 00173 Roma, tel. 0672.971.322 - fax 0672.971.326 Internet: www.collegiocavalieri.it E-mail: [email protected] Agli autori spetta la responsabilità degli articoli, alla direzione l’orientamento scientifico e culturale della Rivista. Né gli uni, né l’altra impegnano la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro. Potete leggere tutti gli articoli della rivista sul sito: www.collegiocavalieri.it 42. La globalizzazione delle sette note Le contaminazioni fra tradizioni musicali diverse hanno creato nuovi generi. di Livio Ghilardi 44. L’India in mostra: Indian Highway Un’esposizione al Maxxi di Roma dedicata alla nuova arte indiana. di Francesca Parlati 46. Il soft power di Bollywood La più grande industria cinematografica del mondo? È in India! di Selene Favuzzi Dal Collegio 48. Incontri L’inaugurazione dell’anno accademico 2011/2012 e gli altri incontri. Autorizzazione: Tribunale di Roma n. 361/2008 del 13/10/2008. Scriveteci Per commenti o per contattare gli autori degli articoli, potete inviare una e-mail all’indirizzo: [email protected] #OLLEG OLLEGIO5NIVE O5NIVERSITARIOh,AMA RS RO0OZZA OZZANIv& &EDERAZIONE.A NE.AZIONALEDEI#AVALIERIDE VA EL,A ,AVORO Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro pano pa ano nora r ma per i gi giov iovan anii #OLLEGIO5NIVERSITARIOh,AMARO0OZZANIv6IA3AREDO2OMA1UADRIMESTRALE4ARIFFA2/#h0OSTEITALIANESPA3PEDIZIONEIN!BBONAMENTOPOSTALE$,CONVIN,.ARTCOMMA$#"-ODENAvANNO888)8NSETTEMBREDICEMBRE INTEG EGRAZIONE INTEGRAZIONE Interviste idi di erviste a Marcella Lu Lucid Lucidi cidi e Alfredo Ma t ano Mantovano ntova INDUSTRIA D DUSTRIA L storia La ll’I ntata storia de dell dell’Iri Irii rraccontata raccontat acconta contata a da Anton tonio Antonio oniio Zurzolo Z SCIENZA A Daii m i tterii d ll matematica tica misteri della ella mat ... ll a pent t ola l a pressione i one ...alla ...all ..all pentola p pr IMMIGRAZIONE IMMIGRAZIONE I MMIGRAZIONE IGRA L La a c città it à di tutti ittà panorama per i giovani Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - Tariffa R.O.C.: “Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N° 46) art. 1 comma 1, DCB Modena” - anno XLII - n. 3 - settembre-dicembre 2009 ECONOMIA Il mercato elettrico in Italia ECOLOGIA Cosa fare per consumare meno MARCONI L’inventore imprenditore AMBIENTE AMBIENTE Energia da risparmiare panorama per i giovani #OLLEGIO5NIVERSITARIOh,AMARO0OZZANIv6IA3AREDO2OMA1UADRIMESTRALE4ARIFFA2/#h0OSTEITALIANESPA3PEDIZIONEIN!BBONAMENTOPOSTALE$,CONVIN,.ARTCOMMA$#"-ODENAvANNO888)8NGENNAIOAPRILE AIOAPRILE INTERVISTE Bucciarelli, G tili Bu Gent Gentili, ntili, n ili, Morcellini, orcellini,, Masini sini ni e Pescia a CONFRONTI CONFR NFRONTI ONTI L’istruzi truzion ruzione L’istruzione ruzion uz zione superiore superiore nei europei e in Cina eii paesii eur euro DATI, 2” DATI, DUBBI DUBBI UBBI E E DIBATTITI DIBATTITI S DIBATTI SUL S L “3+ SUL “3+2” “3+ +2” L i La a riforma rii forma ma universit univers universitaria universi versitaria taria Sul sito del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” puoi leggere e scaricare tutti i numeri e gli articoli di Panorama per i giovani www.collegiocavalieri.it Editoriale L e litanie della globalizzazione si sono ormai imposte stanno producendo. Forse, alla resa dei conti, non è neppure in come il mantra della politica, dell’economia e della discussione la consapevolezza che, pur fra tante contraddizioni, cultura del nostro tempo. Non tutti gli studiosi condi- questa dinamica è un potenziale motore di riscatto proprio per i vidono in realtà questa semplificazione. David Held e continenti e i popoli più sfortunati. E vale allora la pena di metAnthony McGrew, nel loro volume su Globalismo e antigloba- tere alla prova questa tesi proprio in un momento come quello lismo, riassumono in tre punti la posizione degli scettici che si che stiamo vivendo, di fronte alle faglie di disuguaglianza ultesono allineati a una battuta del premio Nobel per l’economia Jo- riormente approfondite dalla crisi finanziaria e alle tante declinaseph Stiglitz, secondo il quale “la globalizzazione oggi è stata zioni della logica – non sempre e non necessariamente espressa troppo gonfiata”. L’esagerazione riguarderebbe prima di tutto il dalla forza militare – dell’antico adagio per il quale, almeno sulla valore descrittivo di questa idea-guida: concetti come quelli di scena internazionale, might is right e non c’è altro da aggiungeinternazionalizzazione o regionalizzazione sarebbero per molti re. Può e deve esserci altro, appunto perché la globalizzazione più adeguati a cogliere le tendenze dominanti sui mercati e la può e deve funzionare. stessa insistenza sulla novità “epocale” del fenomeno sarebbe Abbiamo scelto di parlare di globalizzazione parlando dei paridimensionata dalla rivisitazione di quanto già accaduto in al- esi Bric. Perché sono passati dieci anni da quando questo acronitri periodi storici. Anche sotto il profilo esplicativo la cosiddetta mo è stato introdotto per sottolineare il ruolo crescente di Brasile, “svolta globalistica” potrebbe essere alla resa dei conti una for- Russia, India e Cina (e un anno da quando il gruppo è diventato zatura: è la logica espansionistica delle società capitaliste la vera Brics, con l’aggiunta del Sudafrica). Ma anche e soprattutto percausa delle trasformazioni in atto e rispetto a essa le parole e le ché ci sembra il modo più efficace per richiamare una duplice figure della globalizzazione dovrebbero essere considerate come consapevolezza. La prima è quella che la fine degli Stati e della una sorta di ridondanza epifenomenica. In termini di progetto loro sovranità è lontana e che tuttavia la cornice istituzionale delpolitico, infine, si dovrebbe parlare di un’idea le relazioni internazionali uscita dalla Seconda finora smentita alla prova dei fatti: gli Stati guerra mondiale è ormai irrimediabilmente lorimangono i protagonisti indiscussi delle rela- L’alternativa gora. Non si tratta semplicemente di stabilire zioni e dei rapporti di forza fra i popoli, anche al bipolarismo se Brasile e India hanno il diritto di affiancarsi se la loro sovranità risulta qua e là erosa da della guerra fredda a Giappone e Germania nella pretesa di un segtentativi di integrazione come quello in atto da gio permanente nel Consiglio di sicurezza delè una condivisione ormai mezzo secolo in Europa. la Nazioni Unite. Si tratta di prendere atto che È difficile, tuttavia, negare che qualcosa di policentrica l’alternativa al bipolarismo della guerra fredda radicalmente nuovo stia accadendo. Il sociolo- della responsabilità va cercata nella direzione di una condivisione go Ulrich Beck, pur riconoscendo l’importan- (del potere) della policentrica della responsabilità (del potere) za dello sguardo economico sul mercato e di politica. della politica, liberandosi una volta per tutte quello politico sulle nuove dinamiche transnadalla pigrizia interessata che ha fatto di una zionali, preferisce parlare di una dimensione contingenza storica, per quanto importante, di globalità, nella quale questi fattori si sovrappongono ad altri una sorta di armatura eterna della storia. Usare la lente d’ingranvettori di legame fra loro sempre più variamente intrecciati: la dimento dei Bric per cercare di capire come stanno cambiando a rivoluzione delle tecnologie dell’informazione; l’impegno per i livello mondiale i linguaggi e le pratiche della politica, dell’ecodiritti umani, anche da parte di organizzazioni non governative nomia, della cultura, del rispetto dei diritti universali dell’uomo che rendono progressivamente meno astratta l’ipotesi di una so- è però anche un modo per capire come alla pluralità dei protagocietà civile post-nazionale; i flussi di musica, immagini e model- nisti corrisponda necessariamente una pluralità di strategie e di li di vita diffusi dall’industria culturale; le sfide della povertà e priorità. Siamo di fronte a sfide che si declinano nella concretezza dello sviluppo sostenibile, che pongono rischi, a partire da quelli di diverse condizioni, tradizioni, modelli di sviluppo. Per queambientali, che non possono essere vinte con lo sforzo solo di sto abbiamo puntato a evidenziare, fra le molte possibili, alcune alcuni Stati. La Conferenza sul clima di Durban si è conclusa questioni specifiche cruciali per ciascun paese. Non siamo e non l’11 dicembre con l’impegno a un accordo appunto globale entro diventeremo uguali. Possiamo però imparare a convivere meglio il 2015, perché ciò che non vale per tutti e con il consenso di tutti e in modo più giusto. Può darsi che gli italiani abbiano bisogno rischia in questo caso di essere semplicemente inutile. Lo stesso più di altri di essere richiamati al dovere del rigore. La globalizzaStiglitz ha pubblicato nel 2006 un volume su La globalizzazio- zione ci impegna a sottolineare – non a dimenticare – che crescita ne che funziona e, dunque, c’è. Non sono allora in discussione ed equità, cioè sviluppo, sono un diritto per tutti. l’estensione, la qualità e il carattere duraturo degli effetti che si Stefano Semplici panorama per i giovani • 3 Mutazione globale Not only is globalisation a standardisation of cultures and ways of living... but it involves a deep change in perspectives and expectations for all humankind. Borders and barriers crumble in this “liquid modernity” – the result is a new society. An uncontrolled broadening of the gap between upper and lower social classes is one of the main risks of globalisation, along with the loss of a previously shared and common set of values or means of legitimacy. A look into the topic, through lenses of philosophical and sociological analysis, is warranted. di Selene Favuzzi Tentare di definire in termini precisi e indiscutibili la globalizzazione sarebbe ti malleabili e versatili della filosofia che ci si può avvicinare all’argomento, senza pretese di verità assoluta e La globalizzazione ha rovesciato con l’umiltà del le categorie della modernità: dubbio. Delimil’ordine politico, la razionalità, il tare le dimensioni d’un oggetto senso di uno spazio. di studio che nacome cercare di rappresentare il globo sce senza barriere d’alcuna sorta (tanto terrestre sulla superficie piana di una da essere incapace di percepire o addicarta geografica. È allora col linguag- rittura concepire un limite) è una sfida gio della sociologia e con gli strumen- affascinante per il pensiero umano. Il 4 • n. 3, settembre-dicembre 2011 fenomeno è di grande complessità e investe quasi tutte le sfere dell’agire umano: dalla cultura, al diritto, alla politica; dall’economia all’antropologia. Gli orizzonti sono cangianti come i colori d’un caleidoscopio e sfuggenti come acqua fra le dita di chi cerchi di afferrare il volatile termine modernità. Non a caso Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che vi ha a lungo riflettuto, per parlare del nostro tempo ha scritto di modernità liquida. La miriade di gocce che compone l’umanità è in perenne ricerca d’una forma, un contenitore cui adattarsi, affidare la vita e ricevere in cambio una parvenza di stabilità; in cui riconoscersi come gruppo. L’attanagliante sensazione di vuoto dell’uomo moderno è suscitata dal suo essersi trasformato in Homo consumens: il passaggio da produttore a instancabile consumatore, uno che compra per sentirsi parte della modernità. Una galassia di pensiero dal grande spessore filosofico si è riversata sulla globalizzazione, approfondendo oltre ogni limite una tematica che per mol- Foto: iStockphoto/exi5 Nuovi protagonisti Nuovi protagonisti ti rimane superficialmente confinata a stereotipi e banalità. L’immaginario collettivo, infatti, spesso la associa solo alla diffusione del modo di vita occidentale o alle logiche di profitto e ai marchi delle multinazionali. Essa incarna invece un processo, tuttora in atto, di mutazione antropologica, sociale e culturale. È un cambiamento di aspettative, valori, orizzonti cognitivi; di coscienza e percezione della realtà. Un nuovo Lebenswelt (mondo della vita). Bauman, Habermas, Beck, Harvey, Augé, Ritzer, Robertson, Giddens… sono solo alcuni dei nomi che hanno provato a guardare nella sfera nebulosa e incerta dei nostri giorni. Bisogna abbandonare ogni linearità di pensiero per accostarsi al multiverso instabile in cui siamo immersi. La globalizzazione pare, infatti, aver rovesciato l’insieme delle categorie classiche prodotte dalla modernità: l’ordine politico, una razionalità dominante, il preciso senso dello spazio incarnato in un territorio. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, nel suo libro Che cos’è la globalizzazione? Rischi e prospet- tive della società planetaria (Carocci, categorie tradizionali di spazio e temRoma 1999, pagg. 130), ha scritto che po risultano sconvolte, nell’epoca dei essa è una “evidente perdita di confi- voli transcontinentali e delle e-mail. Il ni dell’agire quotidiano nelle diverse sistema economico ha “ucciso” le didimensioni dell’economia, dell’infor- stanze. I capitali sono smaterializzati mazione, dell’ecologia, della tecnica, e svincolati da un luogo fisico; il condei conflitti transculturali e della so- trollo sui loro movimenti sempre più cietà civile, cioè, in fondo qualcosa di rapidi e convulsi sfugge agli strumenti familiare e nello stesso tempo incon- di razionalizzazione dei singoli Stacepibile, difficile da afferrare, ma che ti. Tutto accade simultaneamente e la trasforma radicalmente la vita quoti- rete cattura le notizie ancor prima dei diana, con una forza ben percepibile, servizi d’informazione. Notte e giorno costringendo tutti ad adeguarsi, a tro- sono attraversati da un flusso continuo e senza fine di informazioni, preziosa vare risposte”. L’individuo nella società globale merce dei nostri giorni. Lo spazio disi sente sperso, frammentato, sosti- sponibile è ormai quasi del tutto satutuibile, marginale: problemi globali, rato e l’altrove, da sempre propellente irrisolvibili coi tradizionali struNei nonluoghi lo spazio è menti locali, urorientato al consumo o al gono soluzioni passaggio rapido di individualità che non possono essere rinviate. che vengono azzerate. Le operazioni finanziarie, ad esempio, sono inserite per le fantasie, i desideri e i fondativi in un quadro normativo in cui, essendo miti di scoperta dell’uomo, è scomparassente un diritto globale, vigono so- so, indicizzato nei numeri d’un algoritlamente sistemi giuridici nazionali. Le mo su Google Maps. panorama per i giovani • 5 Nuovi protagonisti rifugio nella de- biamento, in balia di scelte altrui (reriva dell’identità, ietti, avrebbe scritto Verga, lasciati abbonda di ter- sulla riva dalla fiumana del progresmini quali “co- so). È possibile trovare un punto di munità”, “con- equilibrio fra due masse che scorrotatti”, “pubbli- no a velocità differenti e con diverse ca”, “condividi”, densità? Le possibilità, che gli orizzonti “amici”. Le disugua- forse senza barriere della globalizzaglianze fra i red- zione pongono all’umanità, non sono diti e le condizioni di vita non sono però da sottovalutare: nuovi spazi di diminuite, mentre si è venuta sem- convivenza e confronto politico e una pre più chiaramente delineando una maggiore libertà d’informazione… per stratificazione sociale planetaria, che una società civile solidale, cosmopolivede contrapposta una classe L’odierna caduta degli ordini alta globalizzasociali, dei valori condivisi e degli ta, che può coorizzonti fisici ricorda la mutazione gliere a piene mani le enorantropologica del 1600. mi potenzialità date dall’abbattimento dei confini ta e dall’alto potere emancipativo, che geografici, a una classe sociale bas- trasformi la “comunanza di destino” in sa estremamente localizzata, che si saldi valori condivisi, fondativi d’una ritrova esclusa spettatrice del cam- società nuova. Glocal (agg. e s.m. e f. inv.) “Che opera per la tutela e la valorizzazione di identità, tradizioni e realtà locali, pur all’interno dell’orizzonte della globalizzazione” (Dizionario Hoepli). Il motto di chi agisce seguendo i dettami del glocale è “think globally, act locally” (pensa in modo globale, agisci in modo locale), per integrare le culture con una politica di nonviolenza. Il glocal è una patina unificante, distesa e modellata volta per volta sulle irregolarità d’un sottosuolo diversificato; una strategia – uno schermo che interfaccia due realtà altrimenti inavvicinabili. In una società liquida le scosse si trasmettono rapide come un’onda di tsunami. La leva della paura è infatti una delle più potenti per muovere le masse, essendosi “smaterializzato” il senso di sicurezza personale. Beck parla del rischio come “comunanza di destino” e Bauman sostiene che la paura sia ormai divenuta “paura secondaria”: una condizione di smarrimento permanente, angoscia freudiana senza oggetto, uno stato di allerta ontologico; una crisi di fiducia che arriva paradossalmente nel momento in cui il livello di benessere materiale è al massimo storico nel mondo occidentale, e non solo. L’odierna caduta degli ordini sociali, dei valori condivisi e degli orizzonti fisici ricorda quella della mutazione antropologica dovuta al crollo di certezze del 1600. La linea di demarcazione fra pubblico e privato si assottiglia sempre più lungo le pagine aperte dei social network e l’identificazione di sé si complica con l’aggiunta del proprio alter ego virtuale di un mondo avatar. L’etnologo francese Marc Augé ha definito i nonluoghi, in contrapposizione ai luoghi antropologici, come spazi che non sono identitari, relazionali o storici; ma necessari alla circolazione accelerata di beni o persone in un mondo che gira sempre più veloce. Ne sono esempi aeroporti, autostrade, stazioni, ma anche centri commerciali o campi profughi. Nei nonluoghi lo spazio è orientato al consumo o comunque al passaggio rapido e vuoto d’individualità che vengono azzerate, transitando in continuo senza mai entrare in relazione. A questa perdita di potere relazionale (fondativo dell’agire umano), si contrappone una forte richiesta, talvolta violenta, di appartenenza a una comunità etnica, religiosa o culturale che sia. Non a caso il lessico dei social network, ponendosi come inaspettato 6 • n. 3, settembre-dicembre 2011 La globalizzazione in libreria Anche se il lemma globalizzazione risulta in uso già dal lontano 1944, il primo a utilizzarlo con coerenza è stato l’illustre economista statunitense e accademico del marketing Theodore Levitt – coordinatore dell’Harvard Business Review – nell’articolo “The globalization of markets” nel numero di maggio/giugno 1983 della rivista. Sin d’allora il termine ha goduto d’una fama sempre più vasta, diffondendosi nella società di massa sino a divenire parola d’uso comune. L’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) definisce la globalizzazione “un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia”. Per avere una rapida idea complessiva del fenomeno sarebbe utile leggere Globalizzazione. Una mappa dei problemi di Danilo Zolo (Laterza, 2004), testo che tratta le varie interpretazioni del fenomeno, accompagnandole con una valutazione critica e partendo dall’assunto fondamentale che “nessuna teoria della globalizzazione ha acquisito un’autorevolezza indiscussa”. Altri testi fondamentali per approfondire la tematica sono Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone di Zygmunt Bauman (Laterza, 1999), che ruota attorno allo spaesamento prodotto dal crollo di certezze e valori condivisi nell’uomo moderno; Globalizzazione e libertà, nove brevi interventi sul tema del premio Nobel per l’economia Amartya Sen (Mondadori, 2002); Globalizzazione: un mondo migliore di Jesus Villagrasa (Logos, 2003), che affronta gli aspetti e le conseguenze della globalizzazione nel mondo dell’economia; L’occidentalizzazione del mondo. Saggio sul significato, la portata e i limiti dell’uniformazione planetaria (Bollati Boringhieri, 2002), in cui Serge Latouche analizza responsabilità e prospettive dell’Occidente in un mondo sempre più privo di frontiere; Globalizzazione contro democrazia di Antonio Baldassarre (Laterza, 2002), che si chiede se sia possibile un demos globale; I rischi della libertà (il Mulino, 2000), una sorta di appendice di Ulrich Beck al suo libro La società del rischio. Foto: iStockphoto/josemoraes Nuovi protagonisti Il Brasile, grande attore sulla piazza globale The XXVIII edition of the World Youth Day, the FIFA World Cup and the Olympic Games: these are the events assuring Brazil the world-stage limelight over the next five years. Spotlights will show how the Country is fast developing as regards the economy and democracy, trying to reconcile progress with lasting social disease. di Serena Berenato e Martina Ratto Nello scenario di un’emergente città globale, è il Brasile a essersi imposto come il mattatore di un’agorà che, da virtuale, diventerà più che mai reale nel prossimo quinquennio. La Giornata mondiale della gioventù, i Campionati mondiali di calcio e le Olimpiadi sono gli eventi che si susse- trinseca portata mondiale, ma perché rappresenteranno per un paese in pieno sviluppo, che ha accettato prontamente e con orgoglio la sfida dell’accoglienza e della mobilitazione, la possibilità di mettersi in mostra davanti a un pubblico che guarda con interesse e curiosità a questo debutto. La Chiesa cattolica brasiliana, La piaga della povertà, che può vantare dell’analfabetismo e della tra i suoi fedeli il criminalità organizzata affligge 67% della popolazione, ha colto al soprattutto i giovani. volo l’opportunità guiranno sul suolo brasiliano a un ritmo in- di un incontro più spirituale e focalizzato calzante (2013, 2014, 2016) e promettono con i giovani. I protagonisti della XXVIII di dare spettacolo. Non solo per la loro in- Gmg sono chiamati allo spirito missiona- La città di San Paolo è la più grande del Brasile e, con la sua area metropolitana, conta quasi 20 milioni di abitanti. rio e solidale, a entrare in contatto con i loro coetanei più sfortunati che, come tengono a sottolineare i prelati sud-americani, avranno l’opportunità di vedere il mondo a casa loro. Non bisogna dimenticare, infatti, che il Brasile presenta un variegato contesto sociale, caratterizzato da una fortemente diseguale distribuzione della ricchezza, che ben si esplicita nella coesistenza di una vigorosa crescita economica e del degrado ancora rappresentato dalle favelas. A fronte di un Pil ormai all’altezza di quello delle grandi potenze economiche, il Brasile sopporta ancora il peso di oltre 700 favelas nella sola Rio de Janeiro. Sono le abitazioni nelle quali vive un quinto della popolazione di Rio, con meno di 100 dollari al mese e poche prospettive per il futuro. La piaga della povertà, dell’analfabetismo e della criminalità organizzata, che trova nel degrado e nell’ignoranza gli alleati migliori, affligge soprattutto i giovani. Essi sono posti al centro di una campagna di evangelizzazione della chiesa brasiliana, che promette loro attenzioni e opportunità di scambi culturali, così come strategie di recupero che passano anche per interventi sociali ad ampio raggio in quelle che vengono adesso chiamate “comunità”. panorama per i giovani • 7 La risorsa agricoltura mento del Sud America unico nella storia delle Olimpiadi. All’immagine di un Brasile che racchiude i cinque cerchi olimpici nella sua popolazione ed è, quindi, naturalmente predisposto all’accoglienza di eventi mondiali, si è affiancata la certezza offerta da un paese che è tra le prime 10 economie mondiali e che sfrutterà gli eventi sportivi come opportunità per migliorarsi. Rinnovato interesse per l’assegnazione del Campionato mondiale si è avuto in seguito all’elezione di Dilma Rousseff alla presidenza, producendo non poche tensioni tra la Fifa e il paese ospitante per le competenze di gestione dell’evento. In occasione del sorteggio preliminare dei modiali, a Rio de Janeiro nel giugno scorso, Dilma Roussef nel suo discorso in qualità di anfitrione aveva chiarito che il governo brasiliano non intende essere un semplice esecutore delle richieste e delle esigenze della Fifa e del Comitato organizzatore locale. Data la reticenza del governo di Brasilia di derogare leggi quali il Secondo le stime, oltre venti di consumiliardi di euro verranno investiti divieto mare alcolici sugli per le strutture dei Mondiali di spalti e la riduzione del 50% del calcio e delle Olimpiadi. prezzo dei biglietcomitato del Cio a scegliere Rio tra una rosa ti per studenti e anziani in occasione dei di candidature importanti (Chicago, Madrid Mondiali, i rapporti con la Fifa sono tesi. e Tokyo). Con i suoi sapienti discorsi ha L’organizzazione non intende rinunciare a presentato al mondo una nazione impazien- un’ingente fetta di fatturato e ha pertanto te di mostrare le sue potenzialità, puntando cassato anche l’originale proposta del Braanche sulla suggestione di un coinvolgi- sile di offrire biglietti scontati a chi avesse 8 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Sopra e nella pagina seguente: le spiagge e le favelas di Rio de Janeiro illustrano bene le contraddizioni del Brasile di oggi. riconsegnato un’arma da fuoco. È comunque significativo il profondo sforzo che il governo brasiliano sta compiendo per modellare l’evento alla dimensione sociale del paese, a testimonianza dell’endogeno interesse da cui è motivato. La speranza rimane comunque nell’incessante lavoro diplomatico che tiene impegnati governo di Brasilia e presidenza della Fifa, per appianare le divergenze venutesi a creare. Si stima che saranno oltre 20 i miliardi di euro che verranno investiti per la creazione o l’ammodernamento delle strutture in vista della XX edizione del Mondiale di calcio, mentre Rio de Janeiro, che ospiterà i giochi olimpici, avrà a disposizione 13 miliardi. Dilma Rousseff, la presidente che raccoglie l’eredità di Lula, può comunque contare su investimenti ancora più consistenti a opera di aziende pubbliche e private, fra le quali ve ne sono anche di italiane. I fondi non saranno destinati esclusivamente alla costruzione di stadi, sebbene questi rappresentino il grande fermento che anima il Brasile, ma anche all’ampliamento e alla modernizzazione dei porti, degli aeroporti e delle attrezzature urbane, con l’inclusione di importanti opere nei settori dei trasporti, del turismo, delle comunicazioni e dell’energia. Una vera, qualificata convergenza di azioni settoriali, intesa a incrementare il vertigi- Foto: iStockphoto (celsopupo; luoman) Per le migliaia di giovani e di accompagnatori che si sono già mobilitati in preparazione del grande evento, la specificità della Giornata mondiale della gioventù 2013 risiederà anche nella possibilità di entrare in contatto con una popolazione la cui composizione richiama da vicino il melting pot americano, caratterizzato, come i brasiliani orgogliosamente sottolineano, da un elevato grado di integrazione e rispetto tra le diverse etnie. L’entusiasmo e l’attesa per l’evento non sono solo dei giovani che hanno già accolto la Croce e l’icona di Maria, simboli della Gmg, a San Paolo, prima tappa di un lungo pellegrinaggio che coinvolgerà oltre 200 diocesi sudamericane. Le autorità governative hanno assicurato sostegno e partecipazione, anche se il loro coinvolgimento sarà certo maggiore nell’organizzazione delle manifestazioni sportive. Notevole impegno era già stato profuso dal presidente Lula, il quale non si è risparmiato nel convincere il La risorsa agricoltura noso sviluppo che interessa il Brasile sin dal 1994, anno in cui, con il “Piano Real”, fu avviato un processo di stabilizzazione dell’economia. All’arrivo dei fondi si affiancherà, per la grande attenzione mediatica puntata sugli eventi, un puntuale controllo sul loro impiego, così da garantire alla giovane democrazia brasiliana la possibilità reale di investire nella costruzione delle infrastrutture di cui al momento essa è carente: il governo ha in mente di realizzare entro il 2014 un collegamento ferroviario ad alta velocità tra San Paolo e Rio de Janeiro. Il prezzo di questi ammodernamenti non è, tuttavia, esclusivamente economico: centinaia di famiglie delle zone più povere hanno subito sgomberi forzati per lasciare spazio a infrastrutture destinate a ospitare le Olimpiadi del 2016. Nonostante le autorità di Rio de Janeiro sostengano che tutte le famiglie hanno ricevuto un risarcimento appropriato per la perdita delle loro abitazioni, le organizzazioni locali e internazionali e lo stesso Ufficio del difensore pubblico di Rio sono di opposto parere. Il successo delle manifestazioni sportive rischia così di compromettere il futuro già precario della parte meno tutelata della popolazione, mettendo in dubbio il beneficio che può derivare dalla loro realizzazione. Lo sport è sempre stato un’espressione precipua dello spirito brasiliano: basti pensare alla lunga e gloriosa tradizione calcistica, che ha avuto l’apporto di grandi talenti e può vantare fantastici successi. In questo caso, però, il valore degli eventi sportivi supera l’aspetto ludico: il Brasile si esibirà sulla piazza globale, e dovrà farlo mettendo in luce i propri aspetti migliori e colmando le lacune di un paese ancora in corsa verso la modernità. La popolazione brasiliana, nel suo complesso, guarda con aspettativa, curiosità e favore al susseguirsi di Gmg, Mondiali di calcio e Olimpiadi, eventi che, insieme ai concerti, sembrano ormai rimasti gli unici capaci di muovere e coinvolgere senza riserve folle di giovani. L’entusiasmo per lo sport e per la fede (il tifo per la nazionale brasiliana e le allegre messe ricche di suoni e danze sono denominatori comuni di un modo d’essere e d’intendere la vita) si rivelano sollecitazioni irresistibili per lo spirito del pubblico brasiliano, che, certamente, offrirà uno spettacolo in cui si esprimerà ancora una volta la gioia di vivere... Nonostante le favelas e i ninhos de rua. panorama per i giovani • 9 La veste economica della globalizzazione The structure of the world economic system has been radically changed by the second wave of globalisation: it has knocked down barriers to world trade and investment flows, while outsourcing and offshoring have increasingly opened the way to the rise of emerging countries. In order to analyse the progressive integration of national economies across the world two indicators among others turn out to be particularly suitable: global exports as percentage of world’s Gdp and Fdi flows. di Giovanni Liberatoscioli e Ruggero Pileri La globalizzazione è un fenomeno complesso e il sistema di relazioni internazionali che si è consolidato negli ultimi de- lare su quelle commerciali stabilite dalle imprese a livello globale, sulla flessibilità del sistema di produzione interno alle aziende e sull’insieme di flussi La delocalizzazione consiste finanziari che la nel trasferimento di segmenti di globalizzazione produzione di beni o di servizi ha sviluppato. all’estero. Secondo l’analisi svolta da R. cenni interessa una moltitudine di aspetti Baldwin e P. Martin nell’opera Two wadella società. Ci soffermeremo su quello ves of globalisation si possono identificadelle relazioni economiche e in partico- re due diverse fasi di questo processo: la 10 • n. 3, settembre-dicembre 2011 prima, tra il 1870 e il 1914, fu inaugurata dalla politica di libero commercio adottata dall’Inghilterra e alimentata dalle innovazioni tecnologiche nel settore dei trasporti; la seconda affonda le sue radici nella costituzione del nuovo ordinamento politico globale a seguito della conclusione della Seconda guerra mondiale. Il premio Nobel per l’economia Paul Krugman condivide questa classificazione, riferendo che tra il 1850 e il 1913 le esportazioni mondiali di merci crebbero dal 5 al 12% del Pil mondiale, per poi contrarsi nel periodo dei conflitti (7% nel 1950) e infine ricominciare a crescere, attestandosi al 17% nei primi anni Novanta del secolo scorso. In entrambe le “ondate” di globalizzazione, come le definiscono Baldwin e Martin, il progresso tecnologico è considerato un elemento chiave nell’andamento dei flussi commerciali; tuttavia, secondo lo stesso Krugman, l’importanza del ruolo della tecnologia non si legge tanto nel volume del commercio quanto nell’emergere di nuovi modelli del commercio stesso, come la dispersione geografica delle fasi di un processo produttivo e la possibilità di realizzare un coordinamento tra di esse. L’affermazione dell’economista statunitense si riferisce in particolar modo ai Foto: iStockphoto (skegbydave; EdStock) Nuovi protagonisti Nuovi protagonisti processi di outsourcing e delocalizzazione che le aziende più dinamiche a livello globale hanno messo in atto negli ultimi decenni. Il primo processo consiste nella stabile assegnazione a fornitori esterni della gestione di una o più funzioni o attività in precedenza svolte all’interno; questa esternalizzazione è stata largamente favorita dalla rivoluzione dei sistemi di comunicazione e dalla crescente integrazione tra imprese operanti anche a grande distanza tra loro. Le scelte di outsourcing possono essere motivate dallo sfruttamento di differenziali di costo, dall’esigenza di far fronte a una capacità produttiva dell’azienda insufficiente oppure da una scelta di trasferire all’esterno fasi di produzione caratterizzate da bassa complessità. L’altro aspetto rilevante del cambiamento avvenuto nel mondo dell’impresa, che ha cambiato il sistema di relazioni internazionali, è la delocalizzazione. Questo fenomeno è in parte collegato all’outsourcing, poiché consiste nel trasferimento di segmenti della produzione (di beni o di servizi) all’estero, in modo da sfruttare le condizioni più favorevoli presenti in altri paesi. Un esempio tipico riguarda le imprese industriali che cercano manodopera a basso costo nelle realtà dell’Europa dell’Est oppure dell’Estremo Oriente. Le due strategie non devono tuttavia essere confuse. Ai fini della delocalizzazione di processi produttivi, un’impresa non necessariamente deve ricorrere all’outsourcing: essa, specialmente quando è caratterizzata da dimensioni mediograndi, può decidere anche di aprire una propria filiale nello Stato che le offre condizioni migliori. Il processo di delocalizzazione rientra tra le possibili modalità attraverso le quali un’impresa sceglie di internazionalizzarsi e nella pratica può avere la forma di joint venture, accordi di subfornitura, investimenti diretti all’estero (sui quali torneremo fra poco). La conseguenza ormai chiaramente visibile di questi fenomeni è la creazione di reti produttive internazionali. A queste ultime prendono parte anche quei paesi che in passato erano rimasti al margine della globalizzazione e che oggi sono detti “emergenti”: è il caso, ad esempio, di Messico, Turchia, Corea del Sud, Sudafrica, Brasile, Russia, India, Cina; gli ultimi quattro, in particolare, indicati con l’acronimo Bric (Brics, dopo l’inclusione del Sudafrica), hanno già dimostrato di avere dimensio- ni, ritmi di crescita demografica, risorse Sopra: un manifestante durante una e disponibilità di fattori produttivi tali da protesta contro il Wto a Hong Kong nel 2005. Nella pagina precedente: la poter influenzare gli equilibri economici e globalizzazione è strettamente legata di potere mondiali. Due fra tutti, l’India e alla velocizzazione dei trasporti e delle la Cina, ricoprono un ruolo di leadership comunicazioni su scala mondiale. nel gruppo; la loro entrata in scena è stata annunciata da un ventennio di sviluppo Accanto alla dinamica produttiva e impressionante culminato con la crisi del commerciale, un processo altrettanto rile2008, la quale ha messo in evidenza l’e- vante è quello della integrazione finanzialevata fragilità dei sistemi economici oc- ria globale. Per comprenderla è necessario cidentali in confronto alla dinamicità dei esaminare l’insieme dei flussi internaziopaesi asiatici. nali di capitale. Questi consistono essenLe trasformazioni subite dal contesto zialmente in investimenti diretti all’estero del commercio internazionale dagli anni (Ide) e in investimenti di portafoglio. Ottanta a oggi hanno indotto alcuni stuI primi seguono una logica di tipo indiosi a distinguere due momenti differen- dustriale: un’azienda decide di implementi nell’ultima ondata di globalizzazione, tare una strategia di lungo periodo effettanto da poter parlare di una terza globa- tuando un’operazione di acquisizione o di lizzazione. A tal proposito, è interessante fusione con un’azienda estera. Obiettivo l’analisi svolta dal professor Razeen Sally, dell’Ide è stabilire una relazione duratura il quale evidenzia l’evoluzione dei modelli nel paese straniero attraverso l’influenza economici di riferimento a livello globale: significativa sulla gestione di un’azienda nel 1980 il 20% della popolazione viveva localizzara nel paese stesso. in economie di libero mercato; oggi circa Gli investimenti di portafoglio seguoil 90% della popolazione vive in sistemi no una logica completamente diversa: un economici liberi o comunque ad alta re- soggetto decide di puntare sulla futura muneratività dell’iniziativa privata; nel crescita di un’azienda, la cui sede è situacorso di questo periodo di temOggi il 90% della popolazione po si segnalano vive in sistemi economici l’istituzione del liberi o ad alta remuneratività Wto (World Tradell’iniziativa privata. de Organisation, l’Organizzazione mondiale per il Commercio) nel 1994 e la ta in un altro Stato, e a tal fine acquista tiprogressiva liberalizzazione delle relazio- toli obbligazionari o azionari dell’azienda ni economiche e commerciali. stessa. È evidente come questo tipo d’in- panorama per i giovani • 11 Foto: iStockphoto/dan_prat Nuovi protagonisti vestimento abbia generalmente un orizzonte temporale molto limitato rispetto al primo; allo stesso tempo non mira a esercitare una forma di controllo su un’impresa, poiché è motivato esclusivamente dal ritorno economico che l’investimento iniziale può generare. Dagli inizi del XX secolo i flussi internazionali di capitale – e in particolare gli Ide – hanno costituito un motore del processo di sviluppo di regioni economicamente arretrate, grazie alla loro capacità di finanziare progetti ritenuti validi. Ciononostante, le regioni più avanzate sono da sempre le principali fonti e allo stesso tempo i principali destinatari a livello globale di tali flussi. È interessante notare come i paesi in via di sviluppo, nel passato quasi esclusivamente aree di sbocco, hanno aumentato in modo rilevante i loro flussi in uscita negli ultimi venticinque anni. Focalizzando l’attenzione sugli investimenti diretti all’estero, l’evoluzione seguita dal volume dei medesimi segue da una parte il ciclo economico globale e Sopra: una nave trasporta container carichi di merci. genti che offrivano interessanti opportunità (in particolare Cina, India, Brasile, oltre a Hong Kong, Messico, Singapore), allo stesso tempo alcune di queste realtà, a partire appunto dalla Cina, ma anche dal Brasile e dall’India, hanno intrapreso un’imponente strategia d’investimenti, rivolta sia verso regioni in via di sviluppo sia verso paesi industrialmente avanzati. Spostando l’attenzione sugli investimenti di portafoglio, l’evoluzione che tali flussi hanno avuto nel tempo segue in gran parte l’andamento degli Ide. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, gli investimenti di portafoglio presentano una volatilità molto superiore. Ci sono state due notevoli ondate di flussi di capitali in entrata nei paesi in via di sviluppo. La prima, dal 1976 al 1981, è consistita essenzialmente in prestiti bancari. La seconda (negli anni Novanta) è stata composta principalmente da investimenti privati di portafoglio ed è terminata con lo scoppio delle crisi finanziarie in Asia e in Russia. L’ultima fase di euforia finanziaria è stata quella dal 2003 al 2007, nella quale gli investimenti internazionali hanno raggiunto livelli incredibili; basti pensare che, secondo un’analisi svolta nel giugno del 2007 dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), nel decennio 1995-2005 il rapporto tra chiave nel processo di globalizzazione poiché, pur non andando esenti da fiumi di critiche sull’eticità del loro operato, hanno oggettivamente contribuito al processo di diffusione delle tecnologie essenziali nei paesi meno avanzati). Relativamente alla classificazione di Baldwin e Martin, citata in precedenza, si può in generale affermare che il periodo dal 1870 Nel decennio 1995-2005 al 1914 è stato doil rapporto tra movimenti minato da flussi di internazionali di capitali e Pil Ide dai paesi più sviluppati verso mondiale è triplicato. i paesi in via di sviluppo; nel periodo successivo al 1950 movimenti internazionali di capitali e Pil la maggior parte degli Ide ha avuto ori- mondiale è triplicato. gine nei paesi industrializzati ma è stata Gli eventi di natura economica avvediretta principalmente verso gli stessi pa- nuti negli ultimi quindici anni hanno poresi; infine, negli ultimi decenni, è tornata tato la comunità internazionale a rifletterilevante la quota di Ide in direzione dei re sulla necessità di un più alto livello di paesi in via di sviluppo, fino ad arrivare responsabilità condivisa. L’attuale fase di ad una situazione nella quale sono proprio globalizzazione finanziaria è infatti caratle nuove potenze terizzata da movimenti di capitale a semeconomiche a di- pre più breve termine, i quali hanno cauI flussi internazionali di capitale ventare protago- sato, in determinati momenti, un’elevata hanno costituito un motore niste assolute sui instabilità nel sistema globale. Si invoca per lo sviluppo di regioni mercati. un maggiore coordinamento, a livello inI Bric svolgo- ternazionale, riguardo alle normative che economicamente arretrate. no ormai un ruolo consentono di investire in paesi finanziadall’altra il susseguirsi di politiche di li- fondamentale nello scenario finanziario riamente “vantaggiosi” e che permettono, beralizzazione riguardanti i flussi di capi- internazionale. Se da un lato un ingente più in generale, di trasferire ingenti flussi tali e i margini di libertà delle multinazio- ammontare di capitali è stato diretto negli di risorse finanziarie da uno Stato all’alnali (queste ultime hanno svolto un ruolo ultimi decenni verso le economie emer- tro, ma è vox clamans in deserto. 12 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Nuovi protagonisti Red finance Contemporary China is very different from that of twenty years ago. Thus we are required to quit the idea of China as a peripheral reality at the margin of the Western World and to accept a new point of view, that of an emergent country playing an important role in the global economy. How did such a process take place? How does this situation affect the relationship between China and the other main economic actors such as the US and the EU? di Fabrizio Core e Aleksandra Arsova ne fecero il maggior centro finanziario dell’Oriente, nonché una raffinata città di bordelli e fumerie. In seguito la città divenne uno degli emblemi di quelIl gigante asiatico è diventato la che gli storici chiamano l’“Ea tutti gli effetti un investitore stetica del Tralicinternazionale e il suo ruolo è un ingarbucresciuto con la crisi economica. cio”, gliato ammasso di fabbriche e americani e inglesi, approfittando del- centrali elettriche. Ai giorni nostri la città la sua condizione di extraterritorialità, si presenta come il centro del capitalismo Foto: iStockphot/cuiphoto Shanghai è storicamente la città simbolo della Cina nell’immaginario degli occidentali. Nella prima metà del XX secolo cinese, con il suo futuristico skyline griffato dai più importanti archistar di fama mondiale. Nessuna città meglio di Shanghai può rappresentare dunque il passato, il presente e il futuro della Cina, un paese ormai saldamente entrato nell’empireo delle superpotenze economiche. Il gigante asiatico ha posto le basi della sua crescita su sistematici e cospicui avanzi della bilancia commerciale (esportando più di quanto non importi). Questi surplus sono sempre stati conseguiti prestandosi a ricoprire il ruolo di manifattura a buon mercato delle grandi industrie occidentali – il più grande opificio a cielo aperto del mondo – eseguendo la copia dei loro prodotti o ricorrendo direttamente alla loro contraffazione. Ci sono però alcuni segnali che impongono una certa attenzione. Gli ultimi dati macroeconomici dicono che la Cina ha un avanzo commerciale di circa 11 miliardi di dollari, a fronte di un deficit statunitense di oltre 48 miliardi di dollari. Tutto questo, per le leggi dell’economia monetaria, dovrebbe determinare l’apprezzamento della moneta cinese, lo yuan, che però è fortemente panorama per i giovani • 13 Nuovi protagonisti controllato dalle autorità cinesi. Perciò si inducono a sottoscrivere titoli del Tesoro americano e tollerano che l’inflazione “galoppi” a tassi del 10% (in Europa riteniamo eccessivo il 3%), con punte del 30% per beni come la frutta. Questo surriscaldamento dell’economia e la conseguente caduta del potere d’acquisto della moneta stanno trascinando alle stelle i livelli salariali, che appaiono destinati a salire di oltre il 20% su base annua sia in campagna sia nelle città. Ciò ha indotto molte imprese occidentali a rivedere i loro piani di delocalizzazione sul territorio del colosso asiatico, cancellando ambiziosi investimenti e dirottandoli su paesi come il Vietnam e la Thailandia. La crisi del capitalismo americano ed europeo ha accentuato questo fenomeno, portando molti analisti a parlare di “fine della delocalizzazione” in Cina. L’emergere di insidiosi vicini, come la Corea del Sud, recentemente diventata regina della cantieristica mondiale, ha così portato Pechino a rivedere il suo progetto di crescita. Il nuovo piano quinquennale varato in marzo ha alla base un imperativo del tutto nuovo: diffondere il consumismo tra la più grande popolazione del mondo. Insomma: d’ora in poi i cinesi dovranno andare incontro al Sol dell’Avvenire non più con falce e martello, ma con uno strapieno carrello della spesa. La strategia del Partito consiste nel soppiantare la domanda occidentale, ad oggi duramente provata dalla crisi, con quella interna, con il duplice intento di stabilizzare l’economia e di sedare le pulsioni libertarie con robuste iniezioni di benessere da consumo. I consolidati avanzi delle esportazioni sulle importazioni hanno però fatto sì che la Cina sia diventata nel tempo la principale detentrice di liquidità, denominata in dollari, del mondo. Migliaia di miliardi di valuta americana si sono miliardi di dollari in titoli di Stato americani, oltre l’8% dell’intero debito federale degli Usa. In parole povere: la Cina potrebbe far fallire la più grande potenza mondiale semplicemente non rinnovando a scadenza i titoli che ha in portafoglio. Questa alleanza tra “the Big Spender and the Big Saver”, per dirla alla Niall Ferguson, ha comunque permesso che la massiccia produzione di beni di consumo trovasse uno sfogo assicurato sugli scaffali di tutti i Walmart degli Stati Uniti. Inoltre questa grande mole di liquidità si genera per effetto di una politica del cambio, secondo molti economisti scorretta, volta a difendere l’attuale livello di competitività delle merci cinesi: Pechino compra massicce quantità di dollaL’incontro fra Europa e Cina, più ri per sostenere il che collaborazione strategica, valore della moè un dialogo vivace e talvolta neta statunitense contro quello scontroso. dello yuan. Ultiriversati nelle casse di Pechino, che li mamente, inoltre, la Cina ha cominciato ha reinvestiti in attività come i bond del una strategia di diversificazione delle sue governo americano, finanziando le spese riserve valutarie acquistando euro. Tutche gli americani non si potevano per- to questo ha portato il paese asiatico a mettere. Ad oggi la Cina detiene 1.160 diventare a tutti gli effetti un investitore 14 • n. 3, settembre-dicembre 2011 internazionale, il cui ruolo è ancora cresciuto con la crisi economica. Quest’ultima sta dando a Pechino la possibilità di acquistare assets industriali e tecnologici a “prezzo di saldo”, permettendogli non solo di acquisire knowhow occidentale, ma anche di cominciare a limitare quella montagna di dollari che rischia di diventare una spada di Damocle se continueranno i timori sul debito sovrano americano. Resta vero, comunque, che gli investimenti diretti esteri cinesi non sono diretti per la maggior parte in Occidente. Analizzando i dati, emerge che le mete preferite dello “shopping cinese” sono l’Africa e l’Australia, destinatarie rispettivamente di 5 e 3,3 miliardi di dollari nel 2009 (per confronto l’Unione Europea è stata in grado di attrarre “solamente” poco più di 2 miliardi di dollari; 2,3 gli Usa). La ragione di questa scelta è che Pechino preferisce dirottare i propri capitali laddove possono essere usati per mettere le mani su sostanziosi giacimenti di materie prime, non solo petrolio ma anche metalli. Insomma, mentre in Occidente negli ultimi anni si è molto parlato di no global, in Cina si è imparato il go Nuovi protagonisti Foto: iStockphoto/fototrav A sinistra: lo stadio progettato dagli architetti Jacques Herzog e Pierre De Meuron è stato il simbolo delle Olimpiadi di Pechino del 2008. Nella pagina precedente: la città di Shangai è uno dei centri della Cina contemporanea. global, realizzato in via preferenziale attraverso le grandi imprese statali, araldi del Partito. La Cina, peraltro, non investe in paesi in via di sviluppo solo per conquistare posizioni economiche che le permettano di esercitare un controllo politico e strategico su di essi, ma soprattutto, come si è detto, per soddisfare le sue colossali esigenze di materie prime. Pechino, in altre parole, non investe all’estero per indebolire la supremazia commerciale dell’Occidente, anche se un’ombra si profila all’orizzonte: la Cina sembra puntare a trasformare lo yuan nella moneta dominante nei commerci regionali dell’area asiatica, in luogo del dollaro. La situazione sembra paragonabile a quella degli anni Trenta, quando la formazione di blocchi monetari fu un’avvisaglia della futura formazione di blocchi politici concorrenti, che distrussero la precedente Pax Britannica. A questo punto, cerchiamo di capire come la rinascita della Cina ci riguardi più da vicino, ovvero quali rapporti intercorrano fra questa potenza emergente e l’Unione Europea. Le relazioni fra Europa e Cina vengono abitualmente inquadrate nella ca- e di comune interesse, restano così antiche e nuove divergenze: citiamo in primis la situazione in Tibet e la questione del rispetto dei diritti umani, ma anche la rivalutazione dello yuan, lo sbilancio commerciale bilaterale, la sicurezza dei prodotti importati dalla Cina, le dispute commerciali di fronte al Wto (World Trade Organisation) o il problema dello status di economia di mercato ricercato da Pechino. È inevitabile anche un accenno alla crisi economica che ci ha colpiti recentemente e i cui effetti hanno avuto un’influenza non indifferente negli equilibri internazionali. La Cina non ha esitato a esprimere la propria disponibilità a correre in aiuto dei paesi messi in ginocchio dalla crisi, sia pure a certe condizioni. Non è detto che questa scelta vada letta nei termini della mera volontà di affermarsi come nuova superpotenza. Probabilmente è all’opera anche la consapevolezza della necessità di limitare i danni alla propria economia e di mantenere stabili certi equilibri che tengono in piedi il commercio cinese. L’Europa rimane il principale destinatario dell’export cinese: investendo riserve valutarie in Europa, di conseguenza, la Cina intende evitare che nel Vecchio Continente si freni ancor più la crescita e, di conseguenza, il consumo di merce importata. Acquistare il debito pubblico dell’Europa meridionale significa inoltre aumentare il rendimento delle proprie riserve, diversificare gli investimenti delle medesime, mettere queste ultime al sicuro dall’inflazione americana, secondo una strategia di minore esposizione al dollaro. Si può affermare, in conclusione, che un futuro di cooperazione strategica fra Cina e Occidente sia non solo auspicabile ma anche necessario per mantenere gli equilibri dei mercati e dell’economia tegoria della cosiddetta partnership strategica. Tale caratterizzazione, però, può risultare alquanto ambigua e forviante, dal momento che le diversità fra questi due mondi politico-economici sono troppe e troppo rilevanti per poter definire semplicemente in questi termini la loro interazione. In primo luogo, il clima politico, economico e culturale in cui queste due realtà si sono sviluppate è quasi agli antipodi: la Cina, secondo la logica della “ragion di Stato” e del bene comune, cioè della Nazione, punta allo sviluppo economico per rafforzare il proprio potere politico e militare, col principale fine di riconquistare una posizione privilegiata all’interno delle dinamiche internazionali e di uscire finalmente dal cono d’ombra dell’egemonia occidentale; l’Unione Europea, al contrario, non nasce dall’esigenza di creare un nuovo potere politico, bensì dal bisogno di creare un sistema di cooperazione che eviti di ricadere in un inutile quanto pericoloso nazionalismo e, quindi, nel protezionismo ecoLa collaborazione fra Europa nomico. Venendo e Occidente è necessaria per da contesti così mantenere gli equilibri dei differenti, è facile comprendere mercati e dell’economia globale. che l’incontro fra Europa e Cina, più che come collabora- globale. Quella che si presenta oggi è una zione strategica, si configuri come un situazione di win-win cooperation, in cui dialogo vivace e talvolta anche scontro- il benessere di un singolo paese è stretso. Per quanto da entrambe le parti ci sia tamente connesso con quello di tutti gli la volontà di trovare elementi di accordo altri. panorama per i giovani • 15 La Nuovi salute protagonisti nel mondo I mutati scenari della politica internazionale Global geopolitics underwent sweeping changes over the last decades. Following the break-up of the soviet bloc and the end of the Cold War, the need for a new model of global governance found various answers. All of these, though, proved ineffective. Today, the astonishing demographic and economic growth of emerging countries gives birth to Bric. Countries like Brazil and India, besides Russia and China, may be the next world leaders, and this entails the urgent need of reforming UN Security Council membership. Foto: iStockphoto/andrearoad di Nicola Galvani ed Elena Martini 26 giugno 1945. Gli stati fondatori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite firmano a San Francisco la Carta dell’Onu – garante e governante dell’ordine mondiale. L’idea delle Nazioni Unite, che riprende la Società delle Nazioni prebellica, era nata già da 16 • n. 3, settembre-dicembre 2011 qualche anno nell’ambito delle conferenze al vertice delle potenze alleate; si ispira al desiderio di fondare le relazioni internazionali su basi più stabili e di mutarne le regole a seguito della catastrofe bellica della seconda guerra mondiale. Lo Statuto dell’Onu reca tuttavia l’impronta di due diverse concezioni: quella dell’utopia democratica wilsoniana e quella invece rooseveltiana della necessità di un direttorio delle grandi potenze come unico efficace strumento di governo degli affari mondiali. La prima si rispecchia in un’Assemblea generale priva di poteri vincolanti; la seconda in un Consiglio di sicurezza dominato da cinque membri permanenti e titolari di diritto di veto. Stati Uniti, Unione Sovietica, Cina, Gran Bretagna e Francia: questi sono i cinque grandi del mondo alla vigilia della guerra fredda. L’idea di riconoscere particolari poteri e compiti a queste potenze nelle rispettive aree geografiche si avvicina molto al concetto di informali sfere di influenza e su questo tronco direttoriale l’Onu deve svilupparsi lentamente per divenire una nuova organizzazione internazionale aperta e universalistica. Nuovi protagonisti Il crollo del muro di Berlino (a sinistra uno degli ultimi tratti rimasti) è stato il simbolo della fine del blocco sovietico e di una fase che ha portato a un nuovo assetto politico mondiale. Dopo oltre cinquant’anni di contrapposizione bipolare, il rapido e inatteso collasso del blocco sovietico simboleggiato dal crollo del muro di Berlino stravolge gli equilibri internazionali nati dalla seconda guerra mondiale e lascia un vuoto politico e ideologico sul quale è necessario ricostruire un modello di governance mondiale. Su questa base si sviluppa una serie di contributi teorici i cui estremi sono rappresentati dalla “fine della storia” di Francis Fukuyama (La fine della storia e l’ultimo uomo, Mondadori, Milano 1993) e dallo “scontro di civiltà” di Samuel Huntington (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997). Nell’ottica del Consiglio di sicurezza, la fine della guerra fredda significa la fine del blocco operativo determinato di fatto fino a quel momento dai veti incrociati dei membri permanenti. La successione della Federazione Russa all’Unione Sovietica nel suo seggio viene accettata dagli Stati membri, ma resta e anzi si accentua l’incertezza su un nuovo equilibrio di poteri che va comunque ricercato. Già all’inizio degli anni Novanta ci si rende conto che il mantenimento dello status quo nella composizione del Consiglio rappresenterebbe la perpetuazione di una distorsione che, già presente alla nascita dell’organizzazione, si fa sempre più evidente rispetto ai nuovi scenari geopolitici ed economici che iniziano a emergere. All’indomani della fine della guerra fredda l’unica superpotenza superstite, gli Stati Uniti, si sente chiamata ad agire e intervenire in tutto il mondo come garante di un ordine nel quale debbono essere diffusi i suoi valori. Nel frattempo, la Russia post-comunista si muove sulla via delle riforme in senso liberistico ma rimane a lungo intrappolata in infiniti rivolgimenti economici e sociali interni che impediscono l’elaborazione di un’efficace politica di affermazione sul piano internazionale. Dopo un decennio di unipolarismo incentrato sull’iperpotenza americana e sul modello del Washington consensus, emergono in maniera prepotente potenze regionali vecchie e nuove: oltre alla stessa Russia, Cina, India e Brasile. La Cina, come la Russia membro permanente del Consiglio di sicurezza, nella seconda metà del Novecento aveva assistito al fallimento delle politiche di stampo comunista della repubblica di Mao. Puntando su politiche capitalistiche, la Cina si è oggi affermata come seconda potenza economica mondiale e presenta da anni un tasso di sviluppo elevatissimo. Anche l’India, dopo aver raggiunto l’indipendenza nel 1947, ha basato la propria economia su un modello fortemente statalistico. Dal 1991 il paese ha però cominciato a operare una politica di riforme finalizzata a potenziare il commercio con l’estero. Grazie a queste manovre, le riserve dell’India in dollari americani sono quasi centuplicate negli ultimi venti anni. Il Pil indiano occupa oggi il dodicesimo posto nella classifica mondiale e ha un tasso di crescita vicino al 10%. Il Brasile, infine, ha cominciato ad assumere un ruolo di spessore nello scenario economico internazionale dalla seconda metà del ventesimo secolo. Sfruttando finanziamenti esteri il paese ha potuto incrementare notevolmente il volume della propria produzione industriale e, di conseguenza, quello delle proprie esportazioni. La crescita economica brasiliana nell’ultimo quinquennio è compresa tra i sette e gli otto punti percentuali e il Pil del paese è il settimo del mondo. Le analogie sono evidenti: tutti e quattro i paesi sono in netta ascesa e presentano ampi margini di miglioramento, dal momento che possono vantare grandi potenzialità demografiche (Cina e India superano il miliardo di abitanti), vasti territori ricchi di risorse naturali e tassi di crescita economica elevatissimi. Nuovo membro del gruppo è il Sudafrica, che nell’ultimo decennio ha accresciuto notevolmente la propria produzione industria- Il boom dei Bric Brasile, Russia, India e Cina sono accomunati da un sempre maggiore rilievo dal punto di vista politico ed economico, ragion per cui i Bric – acronimo utilizzato per fare riferimento ai quattro paesi – si ritagliano nello scenario internazionale un ruolo costantemente crescente. I russi, che potevano già vanIl mantenimento dello status tare un contributo quo nel Consiglio di sicurezza importante nella rappresenterebbe una distorsione determinazione del nuovo assetto rispetto ai nuovi scenari. mondiale all’indomani del secondo conflitto mondiale, le. Tuttavia, nonostante i cittadini sudafrinon a caso godono di un seggio perma- cani godano di un benessere superiore rinente nel Consiglio di sicurezza. Dopo lo spetto a quello dei paesi Bric, il paese non stallo dell’era sovietica e della transizione rientra nemmeno tra le venti economie a un modello di stampo capitalista, l’eco- più sviluppate a livello mondiale. Il senso nomia russa è risorta sotto la presidenza della sua ammissione nel novero dei paesi Putin. emergenti è dunque di natura esclusiva- panorama per i giovani • 17 La Nuovi salute protagonisti nel mondo mente politica: con un referente africano, il gruppo diventa Brics e può divenire un vero e proprio “club mondiale”. Un club che rafforza i propri legami attraverso riunioni al vertice: i summit interessi rivendicati sono molto diversi a seconda dello Stato che se ne fa portavoce: la Cina esige la fine delle pressioni per la rivalutazione dello yuan; la Russia ha ottenuto l’ammissione nell’Omc; il Brasile pretende la revisione delle poliI paesi Bric vogliono svolgere tiche economiche politiche condivise rispetto alle statunitensi verso istituzioni economico-finanziarie il Sud del mondo. Questa diverinternazionali. sità di esigenze di Yekaterinenburg del 2009, di Brasilia rispecchia la profonda diversità che in redel 2010 e di Sanya del 2011. In queste altà esiste fra i membri del Bric. Su tutti, occasioni è emersa in modo chiaro la vo- il fatto che la Cina produca da sola più lontà dei paesi Bric di svolgere politiche valore di tutti gli altri messi insieme, che condivise rispetto alle istituzioni econo- abbia relazioni intense e frequenti con gli mico-finanziarie internazionali al fine di Stati Uniti e una popolazione superiore al tutelare e promuovere a livello globale le miliardo di abitanti. La relazione tra quecondizioni che rendono possibile il loro sto paese e gli altri appare dunque fortesviluppo economico e industriale. mente asimmetrica e la vera ragione per la Il peso dei paesi emergenti si sta fa- quale la Cina accetta di buon grado di far cendo sentire in modo particolare negli parte del gruppo è probabilmente la voultimi anni, in virtù della crisi globale: i lontà di affermarsi a livello internazionale paesi Bric non solo non sono stati colpiti come stato civile e democratico. Questo dalla tempesta che sta mettendo in ginoc- può avvenire solo mettendosi sullo stesso chio l’Europa, ma ne hanno addirittura piano di paesi relativamente più avanzati tratto giovamento. Essi si presentano ora dal punto di vista del rispetto dei diritti come possibile ancora di salvezza per gli umani. Stati del vecchio continente, in una situaUn’ulteriore spaccatura esiste tra paezione quasi paradossale nella quale al pri- si asiatici e non: la popolazione di India e mo mondo verrebbe in aiuto il terzo. Cina è infatti oltre dieci volte più numeL’eventualità di usare i surplus finan- rosa di quella di Brasile e Russia e i due ziari per comprare euro e risollevare la colossi asiatici hanno maggiore peso in situazione europea è sotto esame da parte termini di produzione energetica. dei Bric, che tuttavia chiedono in cambio Previsioni sull’evoluzione del fel’attribuzione di un maggiore potere deci- nomeno Bric sono dunque difficili da sionale a livello globale. Per la verità, gli fare, anche in virtù del fatto che, men- Bric Storia di una sigla di successo 30 novembre 2001. Il dirigente di Goldman Sachs Jim O’Neill prevede la rapida ascesa di Brasile, Russia, India e Cina e scrive: “sarà necessario modificare la rappresentanza ai vertici della politica economica globale”. 20 settembre 2006. I ministri degli esteri dei paesi Bric si riuniscono a New York a margine di una seduta dell’Assemblea Generale ed esprimono interesse a istituzionalizzare la propria collaborazione. 16 giugno 2009. Primo summit dei leader dei paesi Bric a Yekaterinenburg, che lancia un appello per “un ordine mondiale più democratico basato su processi decisionali che includano tutti gli stati”. 25 settembre 2009. I Bric ottengono una favorevole ridistribuzione delle quote e dei diritti di voto nel Fmi e nella Banca Mondiale. 15 aprile 2010. Secondo summit di Brasilia: i leader dei Bric chiedono una riforma dell’Onu. Dicembre 2010. La Cina invita il Sud Africa ad aderire al gruppo, che diventa Brics. 14 aprile 2011. Terzo summit dei Brics a Sanya: la Cina dichiara il proprio sostegno alle aspirazioni a un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza di India, Brasile e Sud Africa. 2018. Secondo Goldman Sachs, in quest’anno le economie Brics dovrebbero sorpassare quella degli Stati Uniti. tre l’egemonia economica degli Stati Uniti e delle potenze europee si basava su una forma di globalizzazione di stampo liberista, quella dei paesi Bric è una “globalizzazione statuale”, che sottopone l’apertura al commercio internazionale a residui indirizzi statalistici. Brasilia ha ospitato nel 2010 il summit dei paesi Bric (a sinistra il Palazzo del Congresso). Nella pagina seguente: il Palazzo di Vetro, sede dell’Onu a New York. 18 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Nuovi protagonisti Foto: iStockphoto (josemoraes; SVLumagraphica) Una nuova governance mondiale? Tenendo conto del ruolo trainante assunto dai Bric e della riluttanza dimostrata dalla Cina alla proposta, avanzata da più parti, di una governance globale basata sul cosiddetto G2 (Usa–Cina), è possibile oggi pensare la politica internazionale come dialogo obbligato fra vecchi e nuovi gruppi di Stati. La soluzione sembra quindi passare per un concerto delle potenze che si smarchi dal modello elaborato al termine della seconda guerra mondiale (peraltro rivelatosi in più occasioni estremamente inefficace). Un effettivo riconoscimento della crescente importanza internazionale degli emergenti è già dato dalla partecipazione al G20 dei paesi Bric e dal ruolo che il gruppo ha assunto in quest’ambito, specie l’ascesa dei Bric rappresenta un fattore di equilibrio (non ancora raggiunto) tra l’impeto dei paesi emergenti e l’egemonia del G8. L’evoluzione dello scenario internazionale, tuttavia, richiede che temi delicati di stampo più prettamente politico vengano affrontati, magari anche in altre sedi. In particolare, questa evoluzione ha reso non più rinviabile una riforma del Consiglio di sicurezza che ne accresca la rappresentatività e ne garantisca l’efficienza Per i paesi Bric, una riforma del Consiglio di sicurezza costituirebbe l’opportunità di rafforzare ulteriormente il proprio status internazionale. I nuovi centri di potere chiedono dunque di essere rappresentati nel Consiglio, ma le opinioni sulle modalità dell’allargamenGli interessi rivendicati dai to sono molte e Bric sono molto diversi a divergenti. Un seconda dello Stato che se ne fa altro aspetto proportavoce. blematico è rappresentato dalle in occasione degli ultimi summit e dell’e- norme procedurali sulla revisione della laborazione di ipotesi di reazione alla Carta delle Nazioni Unite, che richiedocrisi finanziaria mondiale. Tale consesso no l’approvazione a maggioranza dei due sembra però, per sua stessa natura, desti- terzi dei membri, compresi i membri pernato a focalizzarsi appunto su una riforma manenti del Consiglio di Sicurezza, che del sistema globale dal punto di vista eco- hanno così diritto di veto su qualsiasi monomico. Limitatamente a questo aspetto, difica alla composizione dell’organo. Il primo concreto progetto di riforma venne presentato all’Assemblea generale nel 1992, non a caso da un gruppo di paesi guidato dall’India. Da questo momento, la questione viene posta all’ordine del giorno e diverse proposte sono state avanzate dai paesi membri. I quattro paesi che aspirano a occupare un seggio permanente (Giappone, Germania, India e Brasile), hanno sponsorizzato l’aggiunta di sei seggi permanenti e quattro non permanenti. I paesi sottorappresentati, India e Brasile in particolare, possono naturalmente contare sull’appoggio di Cina e Russia, anche se obiettivi primari di queste due potenze restano il mantenimento dell’efficienza e un consenso diffuso in seno al Consiglio di sicurezza. Un altro punto su cui le bozze di riforma si concentrano è la creazione di una rappresentanza migliore per l’Europa, i cui membri non permanenti sono attualmente eletti in base a un’anacronistica divisione tra Est e Ovest europeo. È stata proposta (e caldeggiata da parte italiana) la creazione di un seggio permanente per l’Unione Europea, ma l’idea appare irrealizzabile stanti i persistenti contrasti di interessi nazionali tra paesi membri e la scarsa efficacia della diplomazia comunitaria. In ogni caso, riformare il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per includervi India e Brasile farebbe sì che esso rifletta con maggiore fedeltà il reale equilibrio globale dei poteri. Questo darebbe maggiore rilievo al consiglio stesso e all’Onu come forum delle grandi potenze del ventunesimo secolo, i Bric in prima linea. BIBLIO G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari 2010. G. Formigoni, Storia della politica internazionale nell’età contemporanea, Il Mulino, Bologna 2006. B. Conforti, Diritto internazionale, Editoriale Scientifica, Napoli 2010. P. Preschern, La riforma del Consiglio di Sicurezza dagli anni ’90 ad oggi: problemi e prospettive, Documenti IAI (IAI0911). P. Quercia, P. Magri (a cura di), I BRICs e noi, ISPI 2011 (www. farefuturofondazione.it). panorama per i giovani • 19 Nuovi protagonisti Foto: iStockphoto (EdStock; sborisov) A sinistra: Vladimir Putin, ex presidente e attuale premier russo. Nella pagina seguente: il Cremlino di Mosca. La Russia di Putin alla prova del futuro The Russian people, in spite of high economic growth, are losing confidence in the perspectives, both realistic and imaginary, of their society. More and more Russians wish to leave the country. Nevertheless, Moscow is collecting significant successes in the international field, as the admission to the Wto and the project for a Eurasian Union show. di Giovanni Benvenuto A vent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica uno dei temi che gli storici russofili e i sociologi della politica hanno indagato con maggiore profondità critica è quello delle azioni intraprese dalla Russia dopo l’abbandono del modello di sviluppo socialista e il rinnegamento di quell’apparato ideologico che ha alimentato l’immaginazione, poi la disillusione, di molti pensatori e uomini comuni, europei e non. Se il regime sovietico era, nel solco della tradizione collettivista, minato da un centralismo che acuiva il senso di impotenza del cittadino dinanzi a un moloch inavvicinabile ma onnipervasivo (l’apparato pubblico), l’amministrazione post-sovietica è ancora ipertrofica e minata dalla corruzione. La missione di Vladimir Putin, finalizzata all’arresto dello stato di anarchia ereditato da Eltsin e del collasso dei fondamentali economici, è stata condotta all’insegna di un 20 • n. 3, settembre-dicembre 2011 ritorno alla centralizzazione statale, ma non è riuscita a opporsi alla tendenza alla spartizione del potere da parte delle nuove oligarchie. Ai fini di una corretta ricostruzione storica va detto, tuttavia, che il centralismo burocratico sovietico e poi russo affonda le sue radici nello Stato zarista di Pietro il Grande che soppiantò l’apparato amministrativo forgiato in base al diritto consuetudinario proprio della Russia prepietrina. Tra stagnazione e rassegnazione Il vocabolario giornalistico nella Russia del duo Putin-Medvedev (l’ordine, a dispetto delle cariche ricoperte, non è casuale) sta rispolverando un’espressione evocativa di un’epoca triste e grigia: vremia zastoia, che, nel gergo gorbacioviano, indicava l’era della stagnazione brezneviana. Ora, bisogna intendersi sul senso del termine “stagnazione”: a noi italia- ni vengono alla mente le scarse performance della nostra economia nell’ultimo decennio e quindi siamo indotti a ricondurlo all’universo semantico della scienza triste. La Russia, viceversa, conosce una crescita del Pil pari al 4% annuo a cui va aggiunto un rigore formidabile delle finanze pubbliche che minimizza il deficit di bilancio. La “stagnazione”, nell’accezione russa, si riferisce a un ambito forse più nobile: quello delle prospettive sociali e del potere immaginifico del popolo. E non potrebbe essere diversamente in un paese affetto dai virus della corruzione, del privilegio e dell’immobilismo politico. La condizione di uno Stato e di un partito (Russia Unita) ipertrofici, le promesse di modernizzazione disattese dal presidente Medvedev e la prospettiva di una perpetuazione dell’apparato di potere putiniano, che beneficerà della candidatura dell’ex-agente del Kgb alle presidenziali di marzo 2012, provocano uno scoramento tangibile tra i russi non organici a questa parte politica. Alcuni numeri ci danno la portata del fenomeno: l’istituto Vtsiom stima che più di un russo su cinque vorrebbe lasciare il paese e il numero cresce fortemente, toccando il 39%, se si considera la fascia di età 18-24 anni. A ciò bisogna aggiungere che il 29% dei laureati sarebbe disposto a cercare impiego fuori dalla Federazione. Sono dati emblematici del deterioramento delle aspettative che i cittadini nutrono rispetto alla possibilità che la società russa possa liberarsi da varie ingessature: la percentuale dei cittadini che vogliono emigrare è la più alta dal crollo dell’Unione Sovietica, immensamente più alta del modesto 7% di quattro anni fa. L’insofferenza per una macchina burocratica avvezza alle lungaggini e alle mazzette ha determinato una fuga di capitali dal paese pari a 34 miliardi di dollari nel 2010 e si stima che nell’anno in corso la cifra raddoppierà. Se possibile ancor più negativi sono i dati sulla fuga dei cervelli: l’Unesco stima che fra il 1989 e il 2000 più di 20.000 ricercatori hanno abbandonato la Russia e che tra il 1990 e il 2008 il numero dei ricercatori sia crollato a 760.000. Nuovi protagonisti L’ingresso nel Wto Se si sposta l’analisi sull’economia russa, bisogna riconoscere che i mesi appena trascorsi hanno segnato una svolta epocale per Mosca. Il 10 novembre il direttore dell’Organizzazione mondiale del Commercio (World Trade Organization), Pascal Lamy, ha posto fine a diciotto anni di negoziati e voltafaccia sancendo l’ingresso della Russia nel Wto. Il veto georgiano è venuto meno dopo l’assegnazione a una società indipendente del monitoraggio del commercio fra le due nazioni e la Russia sarà pienamente organica all’Omc con l’entrata in vigore dell’accordo, cioè trenta giorni dopo la sua ratifica. Gli impegni presi dal governo constano di un abbassamento delle tariffe sulle importazioni, di una riduzione progressiva dei sussidi alle esportazioni e di una seria lotta contro gli abusi sulla proprietà intellettuale. L’ingresso del paese non solo comporterà un incremento dei livelli di crescita della sua economia del 3,3% nel breve e dell’11% nel lungo periodo, ma segna anche la sua apertura al sistema liberalizzato e regolato degli scambi internazionali. I vantaggi in termini di diversificazione dell’economia, oggi fondata sulle rendite del gas e del petrolio, e di un più severo rispetto delle regole, associato a un’auspicabile sburocratizzazione, dovrebbero comportare maggiori certezze commerciali e incidere sull’a- malgama politico-affaristico che tanto nuoce alla moralità pubblica. Il risveglio dell’orso? Parallelamente all’ammissione nell’Omc Putin potrebbe mettere a segno un colpo che avrebbe effetti sorprendenti sull’assetto geopolitico tanto asiatico quanto europeo. Non si tratta di riproporre in salsa moderna l’esperienza dell’Unione Sovietica, che peraltro troverebbe ben pochi consensi fra i partner, quanto piuttosto di creare un’Unione Euroasiatica. Sulla scorta dell’esperienza dell’Unione Europea il progetto, annunciato da Putin il 4 ottobre scorso, prevederebbe uno spazio economico comune composto dai mercati delle ex-repubbliche sovietiche che volessero aderire. Non si può certamente escludere che un giorno il blocco così creatosi possa dotarsi di una moneta comune. La prima fase di tale progetto si concretizzerà con la creazione, a gennaio, di un’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, ai quali si aggiungerà, non appena i tempi tecnici lo permetteranno, il Kirghizistan. Obiettivo di Putin è quello di coinvolgere nel progetto le restanti repubbliche centroasiatiche e caucasiche e, soprattutto, l’Ucraina, paese che, all’indomani della sentenza contro Julia Timoshenko, ha visto montare nei suoi riguardi la crescente diffidenza dell’Unione Europea. Scontate saranno le defezioni dei paesi baltici, sempre più Le elezioni del 2011 Il 4 novembre i cittadini russi hanno ridimensionato, almeno sul piano della pura contabilità parlamentare, Russia Unita, la formazione di Putin e Medvedev. Sceso dal 67% del 2007 al 49,5%, il partito ha considerato questo risultato come inevitabile per chi ha da più anni la responsabilità del potere. Putin godrà comunque della maggioranza assoluta alla Duma, grazie alla spartizione dei voti dei partiti che non hanno superato lo sbarramento del 7%; non avendo raggiunto i tre quarti dei consensi, però, non potrà apportare modifiche alla Costituzione. integrati culturalmente in Europa e, quasi certamente, della Georgia. Questa, già in conflitto con la Russia nel 2008 per il controllo dell’Ossezia del Sud, nel 2009 ha abbandonato la Csi (Confederazione di Stati Indipendenti) e si presenta, nel panorama caucasico, come lo stato filoamericano per antonomasia. Appare semplice prevedere che Tbilisi manterrà la propria posizione di terzietà rispetto al progetto di Unione Euroasiatica, anche se ciò potrebbe determinare una condizione di isolamento geografico e un acuirsi della crisi economica che sta investendo la Georgia, soprattutto dopo i tagli delle sovvenzioni ai regimi amici da parte delle fondazioni americane. panorama per i giovani • 21 La Nuovi salute protagonisti nel mondo Sovrappopolazione e risorse The growth of population collides with the scarcity of natural resources. There is a strong debate about the possible effects of overpopulation, which started in the eighteenth century. To find a solution, many global Conferences were held. Nowadays, the situation is very complex, because the world is shorter and shorter of all the primary resources (water, food and energy) and at the same time consumption keeps increasing. di Sara Centola e Viviana Spotorno Lunedì 31 ottobre l’organizzazione per i diritti umani Plan International ha annunciato che a portare la popolazione mondiale al traguardo di 7 miliardi di abitanti sarebbe stata una bambina dell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India. È un numero impressionante se paragonato ad appena 60 anni fa, quando la Terra contava solo 2 miliardi e mezzo di persone. Ancora più sconvolgenti sono i numeri previsti per il futuro: nel 2050 si prospetta di arrivare a circa 9 miliardi. Oltre il 95% di questa crescita tumultuosa e incontrollata avverrà nei paesi cosiddetti in via di sviluppo. La domanda che sempre risorge è: esiste un limite al carico umano del pianeta? I dati previsti per il futuro fanno dubitare molti scienziati sulla possibilità che la Terra sia ancora in grado di offrire energia e materie prime per così tanti individui, se non cambieranno i ritmi attuali di consumo. La situazione potrebbe anche portare allo scoppio di nuovi conflitti armati per l’accesso all’acqua e ad altre risorse necessarie alla vita umana. Eppure il problema della sovrappopolazione non è affatto nuovo e in proposito gli studiosi, nel tempo, hanno elaborato teorie contrastanti. Il primo a sollevare la questione fu Thomas Robert Malthus, il quale, nel 1798, affermò: “il potere della popolazione è infinitamente maggiore del pote- geometrica, mentre la produzione alimentare aumentava secondo una non altrettanto rapida progressione aritmetica. Per risolvere la situazione, Malthus suggeriva così di ricorrere a una severa politica di controllo delle nascite. Il suo errore fu presto manifesto: egli aveva completamente trascurato il fattore dell’innovazione e dello sviluppo industriale, che hanno permesso all’uomo di avere accesso a risorse prima non disponibili e di raggiungere livelli impensabili di produttività, a partire proprio dall’agricoltura. Nonostante ciò, il problema di Malthus si è riaffacciato dopo la Seconda guerra mondiale e si è sviluppata una corrente di studiosi, chiamati neomalthusiani, i quali hanno riproposto le sue teorie. In particolare Paul R. Ehrlich, professore di biologia riproduttiva alla Stanford University, ha pubblicato nel 1968 un libro intitolato The Population Bomb, in cui ha previsto carestie, impoverimento e guerre nel futuro del nostro pianeta, a causa della mancanza di risorse. Anch’egli tuttavia non aveva considerato l’impatto positivo della rivoluzione verde, che ha permesso un notevole aumento della produttività agricola. Esiste d’altro canto anche una visione ottimista, il cui principale esponente è Julian Simon, economista e scrittore dell’Università del Maryland. Egli sostiene che il problema dell’esaurimento delle risorse non sussiste: infatti, ogni L’unica alternativa possibile qual volta ci si per migliorare la situazione trovi in situazioni alimentare sembra essere il di bisogno dovute alla crescita delricorso alle biotecnologie. la popolazione, il re della terra di produrre sussistenza per genere umano riesce a farvi fronte grazie l’uomo”. Secondo lui, infatti, la popola- ad avanzamenti nella tecnologia che auzione cresceva secondo una progressione mentano la disponibilità di risorse. 22 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Con il tempo il problema del sovrappopolamento è diventato oggetto di congressi e conferenze internazionali. Il Club di Roma pubblicò nel 1972 il Rapporto sui limiti dello sviluppo, nel quale si affermava che i ritmi di crescita della popolazione non potevano essere sostenuti per molti anni dal nostro pianeta e che alla fine si sarebbe arrivati all’esaurimento delle risorse; prospettava perciò la realizzazione di un equilibrio in cui fossero soddisfatte in maniera egualitaria le necessità di ciascun individuo. Nei successivi aggiornamenti si è affermato che il pianeta ha superato la sua “capacità di carico” (già nel 1992) e si è fatto sempre più largo uso del concetto di sviluppo sostenibile, formulato per la prima volta nel 1987 nel Rapporto Brundtland che ha fatto luce sulla necessità di uno sviluppo che miri alla rigenerazione delle risorse naturali come chiave per garantire la sopravvivenza delle generazioni future. I dati reali sulla crescita della popolazione e dei consumi pro capite erano ormai incontrovertibili e sotto gli occhi di tutti. Per questo gli Stati Uniti e molti paesi occidentali hanno promosso alle Nazioni Unite la realizzazione di un Piano mondiale di regolazione delle nascite. Tale richiesta e la gravità delle questioni demografiche ha indotto l’Onu a farsi promotrice di conferenze mondiali sulla popolazione con cadenza decennale. La prima è stata la Conferenza di Bucarest sulla popolazione, nel 1974. In quegli anni il problema demografico risultava già assai preoccupante, in quanto investiva ampie aree del Sud, le quali avevano visto raddoppiare il loro peso demografico rispetto all’Europa, sempre più vecchia e meno abitata. Nonostante questo, non tutti i paesi erano favorevoli alla pianificazione del- le nascite, in particolare la Cina, l’Algeria, il Brasile e l’Argentina. La situazione si è modificata nella Conferenza di Città del Messico del 1984, che ha visto la convergenza sulla necessità di ricorrere a politiche demografiche ad hoc. Tuttavia né nella prima né nella seconda conferenza si sono approvate misure coercitive, che sono state anzi condannate in quanto contrarie al diritto delle persone a regolare il proprio comportamento riproduttivo. Inoltre, è stato evidenziato che il sostegno a favore dei paesi in via di sviluppo poteva indurre una limitazione spontanea della fecondità. La Conferenza internazionale sulla popolazione e sullo sviluppo, tenutasi al Cairo nel 1994, ha sottolineato l’importanza di guardare allo sviluppo sotto diversi punti di vista complementari, a partire per esempio dalla parità tra i sessi ed in particolare dalla possibilità per le donne di avere accesso all’istruzione ed ai servizi sanitari; Sopra: si prevede che nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a 9 miliardi di abitanti. Nella pagina seguente: la sfida del XXI secolo sarà la scarsità di acqua. inoltre sono stati ribaditi i concetti di lotta alla povertà, di difesa dell’ambiente e di tutela dei diritti umani nell’ottica di uno sviluppo sostenibile e duraturo. Per capire il cambiamento di tendenza che tale conferenza ha portato basta ricordare che per la prima volta non si sono fissati obiettivi demografici ma di sviluppo sociale da raggiungere entro il 2015. Essi sono la riduzione della mortalità infantile e materna, l’accesso universale alla salute e all’istruzione e il diritto alla pianificazione familiare nel rispetto della qualità della vita di tutti gli individui. Quali sono, però, i rischi a cui stiamo andando incontro e che anzi si stanno già manifestando al giorno d’oggi? panorama per i giovani • 23 Foto: iStockphoto/AndreasKermann La Guerra di Secessione Foto: iStockphoto/ aristotooaristotoo Nuovi protagonisti Tra le risorse che faranno presto sentire la loro mancanza vi è l’acqua. L’acqua dolce è disponibile in quantità limitata e fissa sul nostro pianeta; pertanto ogni incremento demografico comporta una contrazione della disponibilità media pro capite di acqua potabile. Inoltre dal 1900 al 1995 i consumi di acqua sono sestuplicati, più del doppio del tasso di crescita della popolazione nello stesso periodo. Considerando che già un terzo della popolazione vive in paesi con emergenza idrica, non esagera chi sostie- Strettamente collegato al sovrappopolamento è il problema alimentare. Crescita demografica e domanda di generi alimentari sono due variabili direttamente proporzionali. Teoricamente si potrebbe far fronte a questa domanda in crescita mettendo a coltura nuove terre, se non fosse che è proprio l’aumento demografico, nonché lo sviluppo industriale e urbano, a sottrarre gli spazi coltivabili. Inoltre, la pressione demografica unita alle erronee tecniche utilizzate nello sfruttamento delle risorse naturali stanno incrementando la desertificazione. Rimane È inevitabile ricorrere a nuove la strada del pofonti di energia, perché quelle tenziamento del attuali non riusciranno a coprire progresso tecnico, che ha però il fabbisogno. anch’essa i suoi ne che la scarsità d’acqua sarà la sfida limiti: le innovazioni non sono in grado del secolo. Non ne possiamo fare a meno di stravolgere i ritmi dell’agricoltura e la perché è essenziale per la vita e perché scarsità d’acqua rappresenta un ostacolo senz’acqua non possiamo produrre né insormontabile. Per migliorare la situaalimentarci. Occorre pertanto protegge- zione alimentare – e migliorare dunque re le risorse idriche di cui disponiamo le condizioni di vita di milioni di persone razionalizzandone l’utilizzo, al fine di al mondo – l’unica alternativa sembra esevitare gli sprechi e, in particolare, l’in- sere quella di ricorrere alle biotecnologie, quinamento delle acque potabili. Sono evitando al contempo gli sprechi dei paesi necessarie politiche e interventi interna- industrializzati. zionali coordinati per salvaguardare queNon bisogna infine dimenticare il prosta risorsa così preziosa. blema delle risorse energetiche. Attual24 • n. 3, settembre-dicembre 2011 mente il fabbisogno mondiale è coperto quasi interamente da combustibili fossili, destinati a esaurirsi, mentre i consumi stanno aumentando sia a causa dell’aumento demografico, sia per le crescenti richieste dei paesi emergenti. A ciò bisogna aggiungere che, come per le altre risorse, i consumi sono molto disomogenei tra i vari paesi: vi è infatti ancora circa un terzo della popolazione mondiale priva di energia elettrica. Gli Obiettivi di sviluppo del Millennio prevedono di raggiungere un’elettrificazione globale entro il 2050, cosa che secondo le stime porterebbe la quadruplicazione dei consumi di energia attuali, incompatibile con le riserve di combustibili fossili ancora disponibili. La necessità del ricorso a nuove fonti di energia appare scontata, ma ancora non è altrettanto ovvia la strada da percorrere, come ben dimostra l’aspro confronto tra i favorevoli e i contrari al nucleare. I problemi che ci prepariamo ad affrontare sono dunque molteplici e di non facile soluzione. Per questo resta importante il contributo individuale, a partire, per tornare alla questione demografica, da una cultura della paternità e maternità responsabile. A livello globale sono invece fondamentali una pianificazione territoriale e una gestione efficiente delle risorse naturali, soprattutto dei paesi emergenti, insieme a politiche che consentano a tutti l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione, la tutela dei fondamentali diritti umani, la riduzione della povertà e la protezione dell’ambiente. Tuttavia sembra arrivato per l’uomo il momento di chiedersi se può continuare a vivere nell’illusione di un continuo progresso e nella fiducia cieca nella scienza. Infatti questa da sola non può risolvere il problema della scarsità delle risorse e dell’aumento della popolazione, continuando nel contempo a garantirci l’attuale – se non più elevato – livello di consumi. Dobbiamo perciò renderci consapevoli dei limiti dello sviluppo umano e della capacità di carico della Terra, constatando la nostra piccolezza nei confronti della forza della natura. Il nostro pianeta si evolve naturalmente e realizza nuovi equilibri da sempre attraverso piccoli o grandi fenomeni meteorologici e naturali, cioè veri e propri capovolgimenti. La questione fondamentale è: quale sarebbe il destino dell’uomo se si verificasse uno di questi “fenomeni di riassestamento” della Terra? Nuovi protagonisti Verso un unico modello sanitario L’India fra promesse, prospettive e sfide The Indian health system is characterized by a strong discrepancy. On the one hand there are private clinics in big cities: thanks to a high standard of quality and to relatively low prices they attract hundreds of thousands of foreign patients. On the other hand, there is the distressing state of the public health system unable to take care by itself for the needs of a billion people. Foto: iStockphoto/ TerryJ di Gianmarco Lugli L’India è un paese incredibile. Oltre mezzo secolo di enormi trasformazioni politiche, economiche e culturali l’hanno resa una grande forza geopolitica. L’Occidente ha accolto con favore la crescita vertiginosa del “gigante indiano”: ne è testimonianza lo sforzo del presidente americano Barack Obama per l’ingresso dell’India nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma il rafforzamento globale dell’India maschera situazioni problematiche e urgenti al suo interno, come quella del suo sistema sanitario. Quando si parla di India, ci si riferisce alla più grande democrazia del mondo: durante le ultime elezioni, nel 2009, ben 700 milioni di persone si sono recate alle urne. Tuttavia, di fronte a una tale platea, la salute non è mai entrata in modo decisivo nel dibattito politico. Questa assenza è ancora più significativa se si osserva l’enorme sviluppo tecnologico indiano dell’ultimo decennio. L’India è ormai uno dei principali protagonisti di comunità scientifiche e tecniche altamente qualificate, che le consentiranno per esempio, nel 2015, di entrare nell’olimpo delle potenze aerospaziali insieme a Stati Uniti, Russia e Cina; le pubblicazioni scientifiche made in India aumentano esponenzialmente, a dimostrazione della capacità del sistema della ricerca di dare risposte ai quesiti della scienza e della società. Eppure, tutto ciò sta avvenendo in una cornice desolante, che vede l’India, nel suo complesso, tra gli stati più poveri del mondo (421 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà, in base al nuovo Indice di povertà multidimensionale). Già nel 1946 il Bhore Committee (un comitato istituito per migliorare la sanità pubblica in India) si esprimeva, in un suo rapporto, per la necessità di un sistema sanitario unico. Esso doveva essere gestito dal governo federale coadiuvato dalle singole rappresentanze locali ed essere finanziato con fondi pubblici, in modo da garantire a tutti i cittadini una copertura medica adeguata. Il modello previsto si scontrò tuttavia ben presto con la realtà effettiva della nazione indiana neoindipendente. La situazione politica, economica e sociale del tempo non ha garantito un adeguato sviluppo delle infrastrutture necessarie e una rapida formazione del capitale umano. L’India ha dovuto affrontare una povertà imperante in tutte le zone del paese e questa situazione si è rispecchiata nella gestio- panorama per i giovani • 25 Nuovi protagonisti conseguenza di un ulteriore impoverimento per tutte le fasce. Non solo: l’assenza di un sistema centralizzato e forte di gestione medica ha favorito il proliferare di strutture private, per lo più gestite da corporation internazionali. La logica del profitto ha causato poi una distribuzione ineguale delle risorse: nei maggiori centri urbani il settore sanitario è sempre più gestito da un numero via via decrescente di aziende, che inglobano le imprese più piccole e creano larghi monopoli; nelle vastissime aree rurali e nei piccoli centri, invece, il settore è composto da tecnici non qualificati o da pochi medici che lottano giorno per giorno per portare avanti la loro opera in un contesto difficilissimo. Le corporation tendono a impedire ogni iniziativa di integrazione tra pubblico e privato, L’India è un gigante economico minando di fatto e la più grande democrazia del alla base le posmondo, ma l’assistenza sanitaria sibilità di sviluppo delle strutture è rimasta molto indietro. pubbliche, mentre milioni di dollari. Tuttavia, i fondi pubbli- le grandi holding internazionali, anche ci erano solo il 19,67% della somma tota- approfittando della povertà di gran parte le, mentre il 78,05% della spesa proveni- della popolazione, favoriscono fenomeni va da privati. In un paese come l’Italia la legati al cosiddetto turismo medico, come spesa per la sanità si attesta sul 9,6% del l’affitto di uteri o il commercio di gameti. Il potere delle aziende private non si prodotto interno lordo, con una quota di spesa proveniente da privati pari al 21% limita alla gestione delle infrastrutture, ma nel 2007. A causa della spesa pubblica si estende anche al settore farmaceutico. insufficiente, le famiglie indiane spendo- L’India è attualmente il quarto Stato al no molto per l’assistenza sanitaria, con la mondo per volume di produzione di far- Foto: iStockphoto (VasukiRao; BDphoto) ne della salute pubblica: gli unici presidi ospedalieri di rilievo erano presenti nelle grandi aree urbane e la speranza di vita alla nascita si aggirava intorno ai 37 anni. Dopo sessant’anni, nonostante la qualità della vita sia generalmente migliorata e la speranza di vita sia salita adesso a 65 anni, l’India continua a essere classificata tra i paesi meno efficienti per quanto riguarda le performance in ambito sanitario. Il cuore del problema è la spesa pubblica per la sanità. In base a quanto riportato sul National Health Account dello Stato indiano (un rapporto stilato dall’Organizzazione mondiale della Sanità), per il biennio 2004-2005 la spesa sanitaria ammontava al 4,25% del prodotto interno lordo, pari a circa un miliardo e trecento 26 • n. 3, settembre-dicembre 2011 maci: fino al 2007 il mercato era notevolmente frammentato, con circa diecimila aziende che controllavano il 70% del volume di affari. Inoltre, si era andata sviluppando una fiorente industria di farmaci generici, grazie all’assenza, fino al 2005, di tutela brevettuale per la quasi totalità dei farmaci in commercio. Lo stimolo alla libera concorrenza fornito da questo tipo di politica ha prodotto un notevole abbattimento dei prezzi, consentendo campagne a basso costo contro varie patologie, prima tra tutte l’Aids. L’adeguamento agli standard internazionali, con la complicità e la pressione delle compagnie farmaceutiche, ha però scoraggiato il commercio dei generici; inoltre, sei grandi aziende indiane sono state acquistate da imprese con sede straniera. Tali acquisti sono motivo di grande preoccupazione per la ridotta concorrenza che potrebbe conseguirne, mentre l’aumento dei prezzi causato dall’introduzione di farmaci non generici peserà ulteriormente sulle tasche dei consumatori. L’India ha l’obbligo nazionale e internazionale di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto alla salute dei suoi cittadini, senza distinzioni di genere. Tuttavia, stando a quanto riporta Anita Raj in un articolo su TheLancet.com, le donne indiane hanno meno probabilità di ricevere un’istruzione soddisfacente, partecipare alla forza lavoro, entrare in politica e, infine, ricevere un’assistenza sanitaria adeguata. Tali dati vanno letti anche in un’ottica di Nuovi protagonisti Nonostante la crescita economica, la popolazione indiana è ancora in gran parte povera e vive in condizioni igieniche critiche (a sinistra: un mercato a Bangalore; a destra: un uomo si fa pulire le orecchie per la strada). A pag. 25: un medico indiano. disparità economica tra ceto medio e famiglie rurali: se da un lato nelle città è possibile ricevere una quantità (e una qualità) maggiore di servizi, nelle campagne è ancora diffuso il parto in casa, proprio a causa dell’assenza di strutture adeguate e soprattutto gratuite. La scarsezza di igiene di queste pratiche provoca la diffusione di una vasta gamma di patologie e un tasso di mortalità materna tra i più alti al mondo. A ciò si aggiunge la scarsa informazione in materia di contraccezione e la quasi totale assenza di campagne di sensibilizzazione in favore delle più comuni pratiche igieniche: le donne pagano un prezzo più alto degli uomini. Non mancano però segnali incoraggianti, sui quali investire con speranza per il futuro. E l’India potrebbe davvero diventare un banco di prova e forse un esempio per tutti quei paesi che puntano a vincere la sfida dello sviluppo coniugando democrazia politica e rispetto dei diritti umani fondamentali. Con riferimento alla stessa maternità, gli sforzi e l’entusiasmo del governo e della popolazione stanno lentamente migliorando la situazione di disagio che ho descritto, attraverso iniziative come il Janani Suraksha Yojana, un programma di trasferimento di denaro contante per incoraggiare le donne a partorire in una struttura sanitaria. Ad esso si aggiungono altri programmi, tra i quali la Missione nazionale di salute rurale – che prevede un decentramento dell’assistenza sanitaria – e varie iniziative di copertura della ospedalizzazione per persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Si moltiplicano anche gli esempi di corretta governance in materia di sanità. Uno di questi è rappresentato dallo Stato del Karnataka. La Lokayukta, un’organizzazione interna alla pubblica amministrazione con funzioni di controllo e prevenzione, ha evidenziato che in Karnataka il 25% dei fondi per la sanità venivano persi a causa della corruzione. In particolare, vi era un gran numero di lavoratori sottopagati, le strutture non erano adeguatamente rifornite e imperava un radicato favoritismo tra i gestori dei servizi. Il vigilance director della Lokayukta, Hanumappa pal Rao, che ha seguito il progetto sin dalle Sudarshan, ha intrapreso una lotta contro sue prime fasi, ha annunciato che il suo cola corruzione attraverso riforme mirate. sto dovrebbe essere di 100 rupie, ossia di Introducendo organi di vigilanza a tutti i circa un euro e settanta centesimi. livelli gestionali e promovendo iniziative Ancor più rivoluzionario è l’approccio di e-governance, si è riusciti nel duplice del dottor Devi Shetty, importante cardiointento di controllare la tracciabilità dei chirurgo indiano, il quale è convinto che farmaci e di favorire una migliore traspa- la specializzazione dei settori e le econorenza nei confronti dei cittadini. Al giorno mie di scala possono ridurre al minimo i d’oggi il Karnataka è una realtà in cre- costi necessari. L’ospedale dove opera è scente miglioramento dal punto di vista il Narayana Hrudayalaya di Bangalore, sanitario, con un evidente aumento del be- parte dell’omonimo gruppo di cui è prenessere di tutte le fasce della popolazione. sidente. Il centro ha un migliaio di posti L’India deve prepararsi a una sfida letto e ogni settimana Shetty e il suo team enorme: più gente chiederà accesso alle di quaranta cardiochirurghi effettuano circure mediche e più gente ne avrà bisogno, ca seimila interventi: operarsi al cuore al visto che insieme alla ricchezza in India si Narayana di Bangalore costa circa 2.000 stanno rapidamente diffondendo malattie dollari contro i 20-100.000 degli Stati del benessere come il diabete (che potrebbe Uniti. Questo perché tutte le pratiche amcolpire quasi 70 milioni di indiani entro il ministrative sono demandate all’esterno, 2025) o le patologie cardiache, che potreb- permettendo ai medici di concentrarsi solbero causare perdite pari a un quinto Il basso livello di spesa pubblica del Pil. È proprio impone forti oneri alle famiglie perché l’India è un per la salute, ma si moltiplicano paese enorme, con persistenti e diffugli esempi di buona governance. se sacche di povertà e un sistema sanitario pagato per lo più tanto sul paziente: “Le società giapponesi dai cittadini, che medici, manager ospeda- hanno reinventato il modo di fare le auto. lieri e centri di ricerca dovranno inventare Noi stiamo facendo lo stesso con la saniprodotti e modelli organizzativi poco costo- tà” ha dichiarato Shetty. “La sanità non ha si in attesa di una vasta riforma della sanità bisogno di innovazione di prodotto, ma pubblica. Per citare un esempio, l’Istituto di processo”. Un obiettivo che deve valeindiano di tecnologia di Mumbai ha di re- re anche per il settore pubblico e a cui si cente completato i test su un kit in grado di dovrebbe puntare al fine di risolvere, una trovare nel sangue i segnali di un malfun- volta per tutte, uno dei problemi più grazionamento cardiaco. Il professor Ramgo- vosi della nazione indiana. panorama per i giovani • 27 The India Alliance 28 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Foto: iStockphoto/TerryJ Foto: iStockphoto/YarOman La risorsa agricoltura Nuovi protagonisti Fellowships for Biomedical Research in India: The India Alliance is five year, £80 million investment created to build capacity in biomedical research in India and stop the “brain drain” of young researchers. Ponnari Gottipati*, PhD and Megha, PhD (The Wellcome Trust/Dbt India Alliance; Hyderabad, India) To improve scientific education and research, the Government of India has taken several initiatives in the past decade. The creation of new institutions, significant increase in funding of research grants, and schemes to attract researchers based overseas are some of the mechanisms that have been introduced. While funding in developed economies for research is either stagnant or declining, science funding in India has been growing: the Department of Biotechnology, one of the major government departments supporting biological research has seen an increase of 20-30% of its budget per annum since 2003. A key paradigm underlying these initiatives is to retain quality while increasing the number of opportunities available to young researchers. One mechanism being pursued to ensure global standard quality is via partnerships with leading international funding agencies. The Wellcome Trust/ Dbt India Alliance (India Alliance) is one such partnership. The India Alliance is a five year, £80 million investment by The Wellcome Trust, UK and the Department of Biotechnology which began operations in 2009. It is registered as an independent charitable trust in India with the man- laboratory to any non-profit research institution within India, and nucleate a centre of scientific excellence. By providing Fellows with generous funds and the flexibility to spend according to the demands of their science, these scientists have every chance to be at par with their peers anywhere in the world. As the mandate is to fund quality researchers, a robust grant-giving process modelled on the Fellowship programmes of The Wellcome Trust has been developed. Expert peer-reviews are sought on each application from the international community based on the science selected. These applications are then evaluated by the India Alliance’s Selection Com- Like many emerging economies, India loses a large proportion of highly trained and skilled young people to developed economies. In the sciences, this “brain drain” typically manifests as migration of students with masters or PhD degrees, mainly to the US and Europe, in pursuit of higher training; postdoctoral opportunities are rarely pursued in India. In recognition of this In the sciences, the brain drain phenomenon, a typically manifests as migration conscious effort of students with masters or PhD has been made to introduce many degrees, mainly to US and Europe. complementary schemes to encourage young research- mittee which consists of an internationers. The India Alliance’s response is the al, well-known panel of scientists, and Early Career Fellowship (Ecf) scheme. awards are based on an interview with This scheme is for newly qualified PhDs the Committee. to pursue an independent research proOther features have been added to the gram. In addition to mandatory mentor- schemes to attract bright research minds ship by a supervisor of their choice, the to India. Fellowships do not have an agescheme includes a provision for candi- limit, eligibility being tied instead to the dates to train and work in a laboratory number of years of research experience; anywhere in the world for up to two it is not required for applicants to hold years. Inclusion of subsistence and re- Indian nationality or be of Indian-origin; search funds to work overseas not only a PhD in life sciences is not essential, provides international exposure, but indeed, 18% of India Alliance awardees also fosters collaborations and helps thus far have a PhD in non-biological young scientists build networks from sciences; flexibility in eligibility and rean early stage sources is provided to clinicians, public in their career. health researchers and veterinarians to The Department of The next levels encourage this cohort of researchers. Biotechnology has seen an of Fellowships At present, there are 63 applicants increase of 20-30% of its budget are for scientists who have been awarded an India Alliwith a proven ance Fellowship with an average amount per annum since 2003. track record, to of funding of £215,000 (Ecf), £450,000 date to build capacity in biomedical re- return and establish a high-quality re- (If) and £600,000 (Sf). A core belief of search in India. The primary means is search program in India. The Intermedi- the India Alliance is that people are the through generously funded fellowships ate Fellowships (If) are for postdoctoral drivers of change. This modest but high for scientists at different stages of their researchers wishing to establish their quality pool of researchers funded by research career. The full spectrum of independent laboratory, while the Sen- the India Alliance, it is hoped, will help biomedical sciences, from fundamen- ior Fellowships (Sf) are for independent develop the human resource capacity to tal biology to clinical and public health investigators who have recently started justify the expected outlay of 2.5% of research, is covered in the India Alli- their laboratory and wish to expand India’s GDP in science and technology ance’s remit. their research program with an ambi- by 2020. tious idea. The Margdarshi Fellowship is aimed at established scientific lead- * Correspondence should be addressed to Ponnari On the left: a young Indian college student using a microscope. ers in India or overseas, to relocate their Gottipati at [email protected] panorama per i giovani • 29 Nuovi protagonisti A sinistra: Sandro Gozi e Meira Kumar, speaker della Lok Sabha, la Camera bassa del Parlamento indiano. Nella pagina seguente: alcuni studenti escono da un college of engineering a Bangalore; ogni anno dalle oltre 2.300 facoltà di ingegneria indiane escono circa 6 milioni di laureati. Roma e Nuova Delhi a scuola di cooperazione An interview with Sandro Gozi, member of Italian Parliament and President of the Italia-India Association. di Gabriele Rosana Sandro Gozi è un fiume in piena quando parla della sua India. Romagnolo, quarantadue anni, da sei siede a Montecitorio, dopo una parentesi a Bruxelles, dove ha lavorato come membro del corpo diplomatico a fianco degli ultimi due presidenti della Commissione europea, Romano Prodi e José Manuel Barroso. Uomo delle istituzioni e della cooperazione internazionale, Gozi è anche un recordman, tra i palazzi della politica nostrana: 3 ore e 38 minuti per correre i 42 chilometri della maratona di New York; un appuntamento divenuto tradizione, una continua sfida sul filo del cronometro con il collega Maurizio Lupi. E c’è tutta l’energia irrefrenabile da vero globetrotter negli itinerari di Gozi, dalle avenues di New York alle baraccopoli di Nuova Delhi. Da quando l’associazione Italia-India ha assunto il nuovo assetto, Sandro Gozi ne è il presidente. “A fare il mio nome fu l’attuale giudice della Corte costituzionale Sergio Mattarella, alla guida del sodalizio sino a quel momento”, ricorda oggi. Ma allora, prima del 2007, l’associazione Italia-India si proponeva principalmente attività di studio e di ricerca accademica. “Bisognava 30 • n. 3, settembre-dicembre 2011 andare oltre; serviva non solo un think tank, ma anche una formazione, avente, come scopo sociale, l’agevolazione della conoscenza reciproca, e a tutto tondo, tra Italia e India”. Una collaborazione tra le due nazioni capace di muoversi su tre distinti piani: il dialogo istituzionale, la cooperazione economica e la promozione culturale, “sul modello di quanto già fatto dagli inglesi, per ovvie ragioni legate al loro passato coloniale nel subcontinente, ma anche da olandesi, belgi, tedeschi e francesi”. È in questi anni e con questi obiettivi che prende forma l’associazione Italia-India, “un’organizzazione apolitica e senza fini di lucro che mette a confronto imprenditori, studiosi, politici e appassionati amici dei due paesi”, come si legge dalla presentazione sul sito www.italyindia.org. Un confronto che ha delle solide basi: “Abbiamo avuto il patrocinio sia dell’ambasciata indiana a Roma, sia di quella italiana a Nuova Delhi, e siamo stati riconosciuti dal governo indiano come soggetto che porta la conoscenza del loro paese nel mondo – spiega Gozi –, ma i rapporti coinvolgono anche i rispettivi Ministeri per gli Affari esteri e Parlamenti”. I parlamentari italiani del Gruppo di amicizia presieduto dall’on. Gozi hanno accolto il ministro dell’Industria indiano in visita in Italia; lo scorso novembre è stata la volta della tappa indiana per il gruppo parlamentare, che ha avuto una serie di incontri ai massimi livelli, dopo che nel 2010 una missione del sistema delle Regioni italiane aveva già sondato il terreno, interessata allo sviluppo economico nel subcontinente. Insomma, i soggetti coinvolti nel network italo-indiano, che Gozi tiene a definire non-partisan, sono i più vari: c’è Confindustria, Unacoma (l’Unione nazionale dei costruttori di macchine agricole), ma sono presenti anche numerosi esponenti della società civile, del mondo politico, studi legali, imprese, agenzie di stampa. “Tutti decision-makers dei due paesi, che puntiamo ad avvicinare in un’ottica di crescita comune”, ottica sintetizzata dal profilo del vicepresidente dell’associazione, Roney Simon, strategic advisor e presidente della Federation of Indian Chambers of Commerce and Industry (Ficci). Tra le priorità dell’associazione c’è proprio l’interfaccia con il mondo imprenditoriale: “Con gli industriali italiani e indiani stiamo lavorando a cooperazioni strategiche, soprattutto in campo agroalimentare. Non siamo consulenti, ma mettiamo a disposizione le nostre conoscenze nel dare indicazioni agli investitori italiani interessati al mercato indiano. Anzi, proprio in quest’ambito abbiamo promosso un premio che conferiamo agli imprenditori provenienti dai due paesi che si sono distinti in Italia e in India”. Ma il dialogo non si arresta al campo economico, incalza il presidente Gozi, e, anzi, il fronte culturale è ricco di appuntamenti per approfondire la conoscenza reciproca: “Promoviamo mostre fotografiche o di pittura di artisti indiani in Italia. Di grande prestigio sono state la partecipazione al Festival dei due mondi di Spoleto e, due anni fa, la partnership con il governo indiano, ospite d’onore al Salone internazionale del libro di Torino, nell’ambito del quale, il Nuovi protagonisti Foto: iStockphoto/VasukiRao prossimo maggio, il fotografo napoletano Cesare Naldi, vincitore del primo premio del National Geographic per un servizio proprio sull’India, esporrà i suoi scatti”. Le attrazioni culturali e paesaggistiche sono uno dei piatti forti su cui punta l’Italia nello sponsorizzare la sua immagine nel mondo: una strategia che spiega il coinvolgimento nelle attività associative della compagnia indiana Agt Airways, interessata a favorire gli scambi business tra i due paesi, ma anche a promuovere il turismo in entrambe le direzioni. “Il mio auspicio è che Alitalia ripristini presto i collegamenti diretti con Nuova Delhi – confessa Gozi –. Certo, per il momento il turismo indiano nel Belpaese ha ancora tanto da scoprire. Il profilo del viaggiatore indiano che viene in Italia non si distanzia troppo dallo standard medio, in termini di potere d’acquisto; è molto interessato alle città d’arte, ma ci sono ancora vaste aree sconosciute e su cui si potrebbe lavorare, come la zona dei laghi, le realtà collinariappenniniche, le Alpi”. Oltre alla promozione del territorio, c’è un altro versante su cui l’Associazione Italia-India punta, per un confronto a tutto tondo con gli omologhi indiani, e per uno scatto di qualità nella formazione dei due paesi: l’università. “In occasione dell’incontro di novembre, con il Ministro della Cultura e i responsabili delle politiche universitarie abbiamo affrontato il tema di una maggiore collaborazione tra gli atenei dei due paesi. Fondamentale è, su questo fronte, incentivare i programmi di scambio di professori e studenti e rafforzare progetti universitari condivisi: e, per quel che ha detto, anche il Ministro Francesco Profumo è molto interessato alla promozione della cooperazione internazionale. Un primo passo in questa direzione si fece negli scorsi anni, con la Luiss Guido Carli di Roma, nell’ambito del progetto ‘Invest your talent in Italy’, promosso dalla Farnesina, da Unioncamere e dall’Istituto commercio estero”. Dal suo punto di osservazione privilegiato, Sandro Gozi non rinuncia a tracciare un quadro del recente passato di una nazione che si affaccia con vigore sulla scena mondiale e, quindi, a prevedere l’evoluzione del boom del gigante asiatico. “L’India ha vissuto una grande stagione di riforme, con l’ondata di liberalizzazione degli anni Novanta portata avanti dall’attuale primo ministro Manmohan Singh. Si tratta di politiche che hanno permesso al paese di aprirsi un po’ al mercato internazionale; un piano ambizioso che, però, ad oggi risulta ancora incompiuto. Come confermano Bangalore e dintorni, la scommessa ha riguardato anzitutto le information technologies e la formazione di soggetti capaci di coniugare due punti di forza: una solida preparazione ingegneristica e la conoscenza dell’inglese. Di certo, c’è ancora molto da fare in campo agricolo, settore strategico che impiega il 70% circa degli indiani e che ha bisogno di innovazione, a cominciare da una ristrutturazione della food processing industry. Il paese – prosegue l’analisi di Gozi – ha bisogno di superare le inevitabili contraddizioni che esistono al suo in- terno tra aspirazione globale e cieca chiusura. Le questioni aperte non mancano, come decidere se aprire o meno il settore della distribuzione agli investimenti diretti esteri”. Ma il 2012 che comincia, sotto il sole di Nuova Delhi, porta già il sapore della competizione elettorale dei prossimi mesi, “che si svolgerà con una crescita economica pari al 7%. Una cifra che noi ci sogniamo, certo, ma che è appena sufficientemente rassicurante, dovendo pur sempre tener conto dell’inflazione e del recupero dell’alto livello di povertà”. È sulla politica estera, però, che vengono in luce le maggiori prese di distanza dalla strategia di Nuova Delhi. E Gozi non ne fa mistero: “Le nostre posizioni sono chiaramente diverse. L’India ha tutte le carte in regola per entrare a far parte come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma non intende rivederne la politica di fondo. Ritengo sia ancora attuale la battuta con cui l’allora ministro degli Esteri Susanna Agnelli liquidò la questione dell’allargamento del Consiglio di sicurezza: “Perché solo Germania e Giappone? Anche noi abbiamo perso la guerra!”. Non si può metter mano al consesso dei membri con diritto di veto senza mettere in discussione la logica post-seconda guerra mondiale e dar vita a un Consiglio di sicurezza che rifletta una realtà globale flessibile. A cominciare da un coinvolgimento delle realtà regionali: penso ovviamente all’Unione Europea”. All’obiezione giuridico-formalista di una Onu aperta agli Stati e non alle organizzazioni sovranazionali, Gozi, fervente europeista e tra i promotori del Gruppo Spinelli a Bruxelles, risponde con la “necessità di una riforma dello Statuto del Palazzo di Vetro. Il vero problema non sta nei meccanismi giuridici, ma nella resistenza di Parigi e Londra”. Ed è proprio dalle istituzioni dell’Unione che prende le mosse la speranza di un rapporto ravvicinato con l’India che nei mesi a venire potrebbe conoscere un possente sviluppo. “Siamo alla fine di un lungo negoziato tra la Ue e l’India: l’accordo di libero scambio dovrebbe essere aperto alla firma già nel primo semestre dell’anno, sotto presidenza danese”. E il canale privilegiato con l’Italia non può essere che un motore propulsore per intessere una forte rete capace di unire Bruxelles e Nuova Delhi. panorama per i giovani • 31 Nuovi protagonisti Spazio al Brasile! Brazil believes in the “space dream”. The government has supported the Brazilian Space Agency (Aeb) since 1994. The agency works with industrial firms and universities that implement the national space program. This “race to the space” has greatly improved the national economy and has given Brazil the opportunity to create partnerships with the most important space agencies, like Nasa and Esa. Il Brasile, negli ultimi anni, si è prepotentemente guadagnato un posto nel cosiddetto Bric (Brasile, Russia, India, Cina), il gruppo dei grandi paesi che stanno vivendo uno sviluppo senza precedenti. La crescita brasiliana è stata favorita anche dal Programma spaziale nazionale e dall’aumento delle competenze in questo settore. Nel campo chimico, per esempio, l’industria locale ha dovuto specializzarsi nella produzione di manufatti che fino a quarant’anni fa non esistevano nel paese. È il caso della ricerca e conseguente produzione di nuovi propellenti compositi e di resine liquide, che hanno dato impulso anche ad altri settori, come quelli delle vernici, degli adesivi, delle suole per le scarpe e delle schiume. Nel settore metallurgico le aziende brasiliane sono diventate così competitive da essere oggi fra i principali fornitori di acciaio per la Boeing. Inoltre la brasiliana Embraer è la terza azienda mondiale nel settore aerospaziale e aereonautico. 32 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Il Brasile crede nel “sogno spaziale”; le sue istituzioni credono nel loro diritto di partecipare alle operazioni spaziali internazionali; il paese vuole far valere le proprie capacità tecnologiche e organizzative anche al di fuori dei suoi confini. La corsa brasiliana allo spazio è cominciata più di 40 anni fa, ma è solo nel febbraio del 1994 che nasce l’Aeb (Agência Espacial Brasileira). Per comprendere quanto sia forte la spinta istituzionale nel settore aerospaziale, basti pensare che l’organigramma dell’Aeb presenta al suo vertice il Presidente della Repubblica. L’agenzia, responsabile della formulazione e della coordinazione della politica spaziale brasiliana, è un’autorità federale legata al Ministero della Scienza e della tecnologia (Mct). In questi anni il Brasile ha raggiunto obiettivi molto importanti nel campo aerospaziale. Primo fra tutti, il decollo di un astronauta brasiliano a bordo di una sonda russa Soyuz Tma-8 diretta alla stazione spaziale internazionale (Iss). Il tenente colonnello Marcos Pontes, classe 1963, è partito alla volta della stazione il 29 marzo 2006, alle 23:30 (ora brasiliana), da Baikonur, in Kazakistan, accompagnato dal cosmonauta russo Pavel Vinogradov e dall’astronauta americano Jeffrey Williams. La sua permanenza nell’Iss è stata un successo sia scientifico (Pontes ha realizzato ben otto esperimenti sfruttando le condizioni di microgravità peculiari della base) sia patriottico. La missione è servita anche a cancellare le ombre calate sull’attività spaziale brasiliana a seguito del “disastro di Alcântara”, una delle più grandi tragedie astronautiche di sempre. Nell’agosto del 2003, infatti, si stava preparando il Foto: Aeb/Edson Aruki; Aeb/Ricardo Labastier; Aeb Arquivo; Aeb/Ricardo Labastier di Saverio Cambioni Nuovi protagonisti A sinistra e sopra il titolo: una torre di lancio e la partenza di un razzo vettore dalla base aerospaziale di Alcântara, la più importante del Brasile. Sopra e in basso: la base di lancio di Barreira do Inferno e uno dei suoi potenti radar. lancio del vettore spaziale Vls-1; all’improvviso il razzo esplose all’interno dell’hangar in cui era stato costruito, causando la morte di più di 20 persone. Il grave incidente avrebbe potuto mettere in forse il futuro del programma spaziale brasiliano, ma si decise di continuare e la missione del 2006 confermò il grande apprezzamento internazionale per il lavoro dell’Aeb, oltre a consolidare il rapporto fra Russia e Brasile nel campo aerospaziale. Altro obiettivo strategico raggiunto dall’Aeb è stata la messa in orbita di satelliti. Date le dimensioni territoriali del Brasile, il supporto satellitare è necessario per una serie di attività come il monitoraggio di grandi aree (soprattutto agricole) e del progressivo disboscamento dell’Amazzonia, la raccolta di dati relativi a zone di difficile accesso (come ad esempio il Rio delle Amazzoni), il rilevamento di eventi imprevedibili come cicloni e terremoti, le telecomunicazioni a distanza e il controllo del traffico aereo e dei confini. I satelliti hanno inoltre altri tre compiti fondamentali: rendono possibile la comunicazione fra città o villaggi distanti e isolati, diffondono la Tv in ogni parte del Brasile e permettono di creare una rete di comunicazione strategica per aziende e banche. Anche in questo caso la grande sinergia fra governo e industria ha permesso al paese di raggiungere risultati eccellenti, rendendosi per certi aspetti indipendente dai servizi satellitari degli altri paesi. Oggi il Brasile sta puntando molto sul miglioramento dei suoi centri di lancio che, per la loro posizione privilegiata, sono ambiti da molte agenzie del settore. La base più importante è il già citato “Centro de Lançamento de Alcântara”, che si trova a 2°18’ al di sotto della linea dell’equatore: ciò permette di risparmiare il 30 % di carburante, perché all’equatore la forza centrifuga terrestre è maggiore e quindi la velocità di fuga dalla Terra è minore. Il sito è vicino al mare, è poco popolato, permette di eseguire lanci di vettori o razzi anche di grande potenza, nonché la costruzione di più siti di lancio. Il Brasile vuole sfruttare le caratteristiche di questo centro per attirare utenti dall’estero e aumentare la sua partnership con paesi come Usa, Francia, Russia, Cina e con agenzie come l’Esa (European Space Agency). L’Aeb ha dedicato infatti particolare attenzione a rafforzare la cooperazione internazionale. Finora sono stati firmati accordi di carattere intergovernativo con nove paesi sull’uso congiunto di basi spaziali e sulla cooperazione per usi pacifici dello spazio esterno. Il segreto del successo brasiliano sta anche nel rapporto stretto che esiste fra l’Aeb e l’università, in cui si fa ricerca e si scoprono tecnologie che possono risultare utili al settore aerospaziale: non si parla solo di innovazioni tecnologiche, ma anche di scoperte mediche e della possibilità di compiere preziosi esperimenti durante i voli spaziali. Attraverso il progetto Aeb Escola, inoltre, l’agenzia spaziale brasiliana coinvolge le scuole superiori con seminari e lezioni di approfondimento. Sia gli industriali sia i membri del mondo universitario possiedono una rappresentanza nel consiglio superiore dell’Aeb, a indicare ancora una volta il ruolo chiave dell’agenzia nella società brasiliana. Uno degli effetti più importanti delle attività aerospaziali brasiliane sul tessuto sociale del paese rimane comunque l’impulso alla formazione di capitale umano. La corsa allo spazio ha creato personale altamente qualificato, oggi richiesto da molte agenzie spaziali, e un miglioramento delle competenze delle aziende del settore che, in uno spirito di concorrenza, affinano progressivamente le loro capacità tecnologiche attingendo dal mondo delle università. Il programma ha portato grandi giovamenti all’industria, all’università, all’economia; ma non ha certo migliorato le condizioni di vita reale. Lo space dream non prevede vere case per gli abitanti delle favelas, né razzi per fuggire da una situazione di povertà estrema in cui si trovano moltissime persone, poveri che di dreams, ogni giorno, se ne possono permettere ben pochi. Una situazione che ha del paradossale, se comparata allo sviluppo tecnologico che il paese sta avendo negli ultimi anni. panorama per i giovani • 33 La Nuovi salute protagonisti nel mondo L’inglese come lingua globale International contacts grew up amazingly in the last decades thanks to easier ways to travel, both physically and electronically, and they turned the world into a “global village”. In the same way, the need for a global language came to be really urgent and English soon became the world’s number one “lingua franca”, a language shared by people who speak different native languages. di Valentina Pudano Foto: iStockphoto (photo75; LucaZola) La globalizzazione da un lato e la necessità di mantenere un’identità culturale dall’altro hanno da subito sollevato interessanti questioni dal punto di vista linguistico. Diversi studiosi si sono occupati del problema e fra questi si è distinto nel panorama inglese David Crystal. Nel suo saggio English as a global language, egli ci presenta un resoconto dell’ascesa dell’inglese come lingua globale attraverso un’analisi storica che si addentra sino all’esplorazione delle future potenzialità di questa lingua. Lo studioso paragona la diffusione della lingua inglese nel mondo di oggi a quella del latino nell’impero romano. Il latino, osserva Crystal, è diventato una lingua internazionale non perché i madrelingua latini fossero in numero superiore rispetto ai popoli che soggiogarono, né perché la lingua fosse caratterizzata da una facilità di comprensione o apprendimento. In realtà, i latini erano semplicemente più potenti. E perso il potere militare, il latino rimase per un millennio la lingua internazionale dell’istruzione, grazie a un altro tipo di potere, quello della Chiesa. Sulla base di questi presupposti, Crystal rigetta quindi i luoghi comuni che giustificano l’affermazione dell’inglese in quanto lingua “facile da apprendere” zionale, come ad esempio la frequente familiarità del lessico, derivante dal fatto che ha importato migliaia di parole dalle lingue con cui è entrato in contatto. Dall’altro lato ci sono aspetti decisamente meno semplici, come il sistema ortografico e fonetico. La ragione principale di questa affermazione consiste allora nel potere che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno progressivamente conquistato a livello mondiale. Partendo dall’analisi di fenomeni quali il colonialismo, la rivoluzione industriale o la centralità conquistata sul piano economico, l’autore descrive l’eredità culturale che tutto questo ha prodotto, soprattutto a livello dei media, dell’istruzione e sulla rete Internet. Per il futuro lo studioso ipotizza che l’inglese potrebbe frammentarsi in dialetti regionali, rendendo necessaria la creazione di un “inglese di riferimento”, che egli chiama World Standard Spoken English. Col passare degli anni, l’utilità della conoscenza della lingua inglese è aumentata (e tuttora aumenta) con il crescere del numero delle persone che la parlano. È lo stesso fenomeno che ha contribuito alla diffusione del telefono e del computer ieri, di Facebook e di Twitter oggi: l’utilità per ognuno aumenta al crescere della diffusione del mezzo o dello strumento. Tale “utilità” Non è escluso che consiste nel fatto in futuro l’inglese si frantumi che gradualmente e richieda una versione di il valore econoriferimento. mico dell’inglese è aumentato pero “con un minor numero di regole gram- ché permette di trovare lavori meglio maticali”: infatti, come è deducibile dal retribuiti: è per questo che spesso si confronto con l’analoga situazione del impara l’inglese spinti da ragioni prettalatino, non è la semplicità di una lingua a mente funzionali, dato che esso permetgarantirne la diffusione. L’inglese possie- te di realizzare determinati obiettivi con de certamente determinate proprietà che una facilità relativamente maggiore. Un lo rendono accattivante a livello interna- esempio di questo fenomeno è rintrac34 • n. 3, settembre-dicembre 2011 ciabile in India, connesso con la pratica dell’outsourcing: molti indiani hanno imparato l’inglese con lo scopo di essere più competitivi sul mercato mondiale. Sono sempre più comuni agenzie indiane che offrono una “neutralizzazione” dell’accento originario, in modo da acquisire una perfetta pronuncia inglese o perfino “locale”, dato che alcune di esse sono specializzane nell’accento scozzese o gallese. Ma il successo dell’inglese non è privo di problemi, soprattutto nel rapporto con le altre lingue. Si è accusato spesso l’inglese di aver provocato la scomparsa di varie lingue minori a causa di un chiaro “imperialismo linguistico”, come viene chiamato dai linguisti Pennycook e Phillipson. Nel suo saggio, Crystal entra chiaramente in polemica con la loro posizione; egli non vede un contrasto tra la comprensibilità a livello globale e l’identità, le quali sono per lui piuttosto funzioni complementari: la lingua globale fornisce accesso alla comunità mondiale, quelle locali alle comunità locali. Per di più, Crystal considera una risorsa le influenze reciproche tra la lingua dominante e le altre, poiché esse arricchiscono le lingue ampliando la scelta nel lessico. Egli critica la visione purista, che interpreta la diffusione di parole provenienti da altre lingue come un declino della lingua stessa e cita in modo piuttosto provocatorio il caso del corrispettivo francese di computer, ovvero ordinateur: una chiusura di questo tipo (che corrisponderebbe all’ostinazione di chi, in italiano, volesse usare un termine come elaboratore) è per lui insensata, considerando oltretutto che il termine computer deriva proprio dal latino, la lingua madre del francese. L’inglese è la lingua globale, ma questa constatazione non elimina e anzi rafforza molti interrogativi. Soprattutto se l’inglese non è la nostra lingua madre, potremmo comunque percepire quest’affermazione come una minaccia all’integrità della nostra lingua. È una reazione in fondo del tutto naturale, senza che si debba per questo cedere al sentimento di paura e di rivalità con il quale spesso, nella storia, si è reagito a questa particolare forma di “potere”. Anche perché queste paure e queste rivalità hanno contribuito, purtroppo, a molti conflitti. La risorsa agricoltura Il mercato globale Considerazioni sui Bric Brazil, Russia, India and China are new emerging actors in the economic and political world, but there are many important differences among them. Foto: iStockphoto/sborisov di Rosario Alessandrello Propongo in questo testo alcune osservazioni e considerazioni sui Bric (Brasile, Russia, India e Cina), il cui acronimo è stato inventato per sottolineare il ruolo crescente di questi paesi non solo nell’economia mondiale globalizzata ma anche nella mutazione antropologica dovuta al crollo delle certezze acquisite nel mondo cosiddetto occidentale (Ue e Usa) fino a qualche decina di anni fa. Ritengo inoltre di dover precisare che la globalizzazione, così come viene generalmente definita, non è la causa, ma l’effetto che lo sviluppo tumultuoso delle nuove tecnologie prodotte e applicate ha creato nella trasformazione radicale della vita quotidiana, costringendoci ad adeguarci. D’accordo con Selene Favuzzi quando dice che “l’individuo nella società globale si sente sperso, frammentato, sostituibile, marginale; le categorie tradizionali di spazio e tempo risultano sconvolte; i capitali sono smaterializzati e svincolati da un luogo fisico. Tutto accade simulta- neamente e la rete cattura le notizie ancor prima dei servizi d’informazione”. Brasile Il giornale Guardian di Londra del 26 dicembre 2011 ha annunciato che il Brasile ha superato la Gran Bretagna nella graduatoria mondiale del Pil; è cioè al sesto posto preceduto appena da Usa, Cina, Giappone, Germania e Francia, che sarà presto superata (2013). La stima del Pil 2011, in anticipo sulle rilevazioni ufficiali, arriva dal centro studi inglese Cebr. Naturalmente il peso della popolazione ha un valore decisivo, poiché i redditi pro capite tra l’Europa e il Brasile sono ancora assai lontani; inoltre le classifiche si muovono anche influenzate dal cambio che favorisce l’ascesa dei paesi con monete sopravvalutate. L’economia brasiliana cresce da un decennio quasi ininterrotto. La spinta iniziale è arrivata dall’esportazione di materie prime, tra cui soia, minerali e zucchero, alla quale è seguita negli ultimi anni la crescita dei consumi interni. Nel frattempo il Brasile ha seguito politiche ortodosse nel controllo dell’inflazione e dei conti pubblici. Giuste le considerazioni che la crescita brasiliana è stata favorita anche dal programma spaziale nazionale e dall’aumento delle competenze in questo settore. Ha sviluppato anche il settore delle autostrade ma ha ignorato di creare una rete ferroviaria degna di tal nome, anche se si prevede di realizzare entro il 2014 un collegamento ferroviario ad alta velocità tra San Paolo e Rio De Janeiro. Non esiste in alcuna università brasiliana la possibilità di laurearsi o specializzarsi come “ingegnere” ferroviario. Nonostante la piaga della povertà e dell’analfabetismo e della criminalità organizzata che governa le centinaia di favelas presenti a Rio De Janeiro, il governo ha scelto come strategia di crescita e modernizzazione del paese l’organizzazione di eventi mondiali nei prossimi cinque anni quali: la Giornata mondiale della gioventù (2013), i Campionati mondiali di calcio (2014) e le Olimpiadi (2016); in sostanza la sfida dell’infrastrutturazione del paese con reti materiali e immateriali. Da quanto detto sopra, la Borsa valori di San Paolo ha segnato la migliore performance al mondo negli ultimi cinque anni. Si ritiene che il Brasile sarà il paese trainante per lo sviluppo e l’integrazione panorama per i giovani • 35 Nuovi protagonisti dell’America Latina nel prossimo futuro; cioè potrà diventare realtà l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) che inizia come un ambizioso progetto di cooperazione infrastrutturale (trasporti, logistica ed energia) e, in prospettiva, di integrazione politica, a cui partecipano 12 paesi sudamericani (i membri del Mercosur e del Patto Andino con l’aggiunta di Cile, Guyana e Suriname). Se ciò si avvera la fine della “Dottrina Monroe” diventa realtà. Russia Non è possibile parlare della Federazione Russa (FR) di oggi, cioè della Russia di Vladimir Putin, paese ricco di contraddizioni, passato in pochi anni dalla pianificazione centralizzata ai meccanismi di mercato e con un’economia in rapida e costante espansione, se non si considera che nel 1991 non solo si è dissolto il Partito comunista sovietico ma è avvenuta la disunione dell’ultimo degli imperi europei, che il Partito aveva ereditato da secoli di storia degli zar. L’impopolarità in Russia di Michail Gorbaciov e poi di Boris Eltsin deriva proprio dall’aver dissolto e svenduto agli Usa un impero senza alcuna ricompensa e anzi avendo creato degli Stati confinanti che si sono dimostrati subito politicamente ostili agli interessi della FR con dei rancori verso i russi visti come ex-colonizzatori. Si ricorda che dopo il 2001 più di 3,5 milioni di russi presenti nei vari paesi della Comunità degli stati indipendenti (Csi) sono ritornati nella FR come immigrati. La FR è una repubblica presidenziale secondo la Costituzione del 1993. Altra considerazione che è necessario fare è che Vladimir Putin è arrivato al potere dopo che la FR era andata in default nell’agosto del 1998 e l’82% del patrimonio industriale del paese era in mano a 21 oligarchi. Vladimir Putin lega perciò la sua figura all’azione portata avanti con successo che ha permesso al paese di assicurarsi stabilità sul piano interno e prestigio su quello internazionale. Partendo dal rango di agente di secondo livello dei servizi di sicurezza (Kgb), la sua ascesa ai vertici del Cremlino è stata portata avanti combinando determinazione e pragmatismo fino a farne l’“uomo forte” del sistema a conferma delle sue indubbie qualità di leadership. L’ambi36 • n. 3, settembre-dicembre 2011 zione di proporsi come il leader garante di un ritorno della Russia alla “grandezza” che le è ritenuta propria, mediante un processo di modernizzazione dall’alto, è esplicita. I valori ispiratori della sua azione sono quelli della tradizione russa: nazionalismo, patriottismo, compattezza sociale e, soprattutto, priorità al ruolo dello Stato. Il 4 dicembre scorso nella FR hanno avuto luogo le elezioni per il rinnovo della GosDuma (Camera Bassa) con una partecipazione elevata degli elettori aventi diritto (oltre 60%), confermando la composizione politica immutata della precedente Duma; saranno cioè presenti gli stessi quattro partiti della legislatura precedente: Russia Unita, Comunisti, Liberal Democratici e Russia Giusta, con la differenza che Russia Unita, disponendo di 238 deputati su 450, passa dalla maggioranza qualificata di prima a quella assoluta e i Comunisti sono raddoppiati. La perdita della maggioranza qualificata non allarma il potere più di tanto perché le riforme della Costituzione che interessavano sono già state fatte e le forze minori che hanno superato lo sbarramento, sinora, non si sono rivelate antagoniste preoccupanti. Va aggiunto che alle presidenziali del 4 marzo 2012 il fronte delle opposizioni non sembra possa esprimere una candidatura unitaria e credibile contro Vladimir Putin. Infine il quadro politico “normalizza” la for- Dall’alto, in senso orario: un fiume attraversa la foresta amazzonica, una delle grandi risorse del Brasile; un complesso industriale a Chongqing; operai a Nuova Delhi durante i lavori per i Giochi del Commonwealth del 2010. A pag. 35: i grattacieli sono il volto della nuova Mosca. za della maggioranza rendendola, sulla carta, meno lontana da una democrazia “classica”. Se la nuova Duma non promette molto di inedito, più interessante è il quadro che emerge da alcuni tratti della società russa. In particolare stanno assumendo un ruolo significativo gruppi che utilizzano le nuove tecnologie con intelligenza e fantasia, ingaggiando battaglie politiche che si avvalgono di tutti gli strumenti che il web mette a disposizione. Per quanto riguarda lo sviluppo futuro dell’economia della FR bisogna tener conto della strategia scelta in questi ultimi anni dal duo Putin-Medvedev: 1) La realizzazione di eventi internazionali nel territorio russo quali le Universiadi a Kazan (2013), le Olimpiadi invernali a Sochi (2014), i Campionati mondiali di calcio (2018), cinque gare di Formula Uno per cinque anni consecutivi a partire dal 2015 nella zona di Sochi, ecc. In sostanza la sfida dell’infrastrutturazione del paese con reti materiali e immateriali; 2) La creazione di una città della scienza a Skolkovo, con centri di ricerca aperti al mondo sulle tecnologie innovative nel campo di farmaci, biotecnologie, alimen- Nuovi protagonisti Foto: iStockphoto (thobo; prill; EdStock) vantaggi non dall’eliminazione dei limiti di esportazione a 750 posizioni merceologiche, ma dalle riforme interne, se e quando le industrie di trasformazione e quelle del settore agroindustriale sapranno elevare la loro efficienza sotto la pressione della concorrenza più serrata nel mercato interno per la maggior importazione di prodotti esteri. Comunque vale la pena ricordare la celebre definizione dell’allora premier britannico Winston Churchill: “La Russia è un rebus, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma”. tare, nucleare, spaziale e delle nanotecnologie; 3) La creazione di un’area (euroasiatica) economica comune senza dogane (2012), tra FR, Kazakistan e Bielorussia e appena possibile Kirghizistan e altri 8 paesi della Csi che sono pronti a prendere in esame la loro partecipazione appena ce ne siano le condizioni. In questo processo, dopo l’unione doganale, si prevede l’adozione di una moneta unica. 4) La rivoluzione in Russia si chiama Wto: un’analisi delle conseguenze dell’adesione della FR alla Wto è una condizione necessaria per creare in Russia un’economia innovativa, se il paese lo vuole realmente, ed è una netta sconfitta nel caso in cui di tale economia solamente si parlerà. La FR potrà trarre i principali India Il sistema economico indiano sta cambiando forma. L’economia indiana, secondo la Banca mondiale, è al decimo posto nella scala internazionale del Pil, ma al secondo posto per il livello più rapido di crescita, dopo la Cina. L’India rappresenta dunque una realtà o un’alternativa regionale in Asia, dominata finora dalla concentrazione dell’interesse commerciale e promozionale su Cina e Giappone. Secondo le stime di alcuni esperti, nel 2020 l’India sarà popolata come la Cina e con una popolazione più equilibrata fra maschi e femmine rispetto alla Cina. Per allora si prevede che il paese sarà ancora più forte di oggi dal punto di vista economico (al quinto posto nella scala del Pil). I politici indiani, però, hanno più volte mostrato di non volere aspettare quel momento per vedere riconosciuto il ruolo del proprio paese quale potenza politica ed economica globale. Negli ultimi anni i dirigenti indiani hanno iniziato a chiedere maggiore visibi- lità internazionale ma soprattutto maggiore soddisfazione alle loro richieste nelle sedi politico-economiche appropriate. Durante le riunioni del Wto, per esempio, i responsabili indiani hanno preteso che fossero introdotti nella legislazione internazionale alcuni elementi protezionistici, allo scopo di tutelare particolari comparti produttivi nazionali. La situazione geografica indiana è quella di una potenza marittima, costeggiata dalla catena dell’Himalaya che la separa a nord dalla Cina, con ai suoi margini Pakistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka e, a ovest, il Passo di Kyber che collega il bacino dell’Indo alla pianura del Gange e Calcutta (oggi Kolkata). Per questo motivo l’India costituisce un nodo vitale tra l’Asia delle steppe e l’Asia dei monsoni. Di fatto, essa occupa una posizione centrale in Asia, all’incrocio tra il Medio Oriente, l’Asia centrale e l’Asia del Sud-Est, collocandosi alla sommità di un arco di cerchio che va dall’Oceano Indiano al Sud dell’Africa e dell’Australia. In questo arco l’India si inserisce con il suo elevato peso demografico, le sue capacità economiche, solo in parte sbocciate, le sue competenze tecnologiche e scientifiche nel campo dell’Ict, dell’industria medicale e nucleare e un apparato militare non trascurabile. Tutte caratteristiche che fanno dell’India la potenza regionale in ascesa dell’Asia. Questo significa che l’Asia, per la prima volta nella storia, non è più dominata da una sola delle nazioni che la compongono o da potenze estere, ma divisa nelle sfere di influenza di tre grandi paesi (Cina, Giappone e India) ciascuno con interessi e ambizioni che spaziano su tutto il continente e oltre, fino all’Africa e al Golfo Persico. Il futuro economico e politico del pianeta deve tener conto nei prossimi anni della lotta di potere tra Cina, Giappone e India, impegnati a conquistare con ogni mezzo risorse e posizioni strategiche. Le opportunità di investimento, l’abbondanza di capitali, la vivacità imprenditoriale, garantiscono loro un’indipendenza senza precedenti dalle fortune dell’Europa e dell’America. Secondo Bill Emmott l’India è “moltitudini”, “confusione”, “slancio”. Chiunque abbia modo di vivere o visitare l’India non può nutrire dei dubbi sul panorama per i giovani • 37 Nuovi protagonisti fatto che questo paese contenga “moltitudini”, cosa che è anche fonte di frustrazione e perplessità per chi cerca di capirlo. È una “confusione” su molteplici livelli. Il progresso è impossibile. O forse no? La cosa curiosa riguardo alla politica pubblica indiana, che si parli di affari esteri oppure di economia, è la continuità di indirizzo che si è di fatto registrata negli ultimi 18 anni, indipendentemente da quale coalizione di partiti fosse al governo. Nel 1994 è stato lanciato il più grande ciclo di riforme economiche, dando il via a un processo che è stato portato avanti da ogni governo che è venuto dopo. Ci sono state delle variazioni nella velocità di implementazione di queste riforme; ma la direzione di marcia è rimasta invariata. Il risultato è che, malgrado questa “confusione”, l’India è riuscita ad acquistare un notevole “slancio”. L’India ha aumentato il suo interscambio commerciale con il resto del mondo; però segnando sempre un disavanzo della bilancia commerciale. Si assiste negli ultimi anni a un costante incremento degli investimenti diretti dall’estero, dovuto alle prospettive di crescita del paese e al processo di graduale liberalizzazione dell’economia, anche se nel 2009 hanno subito un rallentamento per effetto della recessione globale. L’India ha migliorato la propria competitività in maniera considerevole a partire dal 1991: si è assistito a una rivoluzione nelle telecomunicazioni, sono diminuiti i tassi di interesse, il capitale è abbondante (benché i manager di banche statali, restii nei confronti del rischio, si rifiutino di concedere prestiti ai piccoli imprenditori), sono stati migliorati autostrade e porti e il mercato delle proprietà immobiliari sta diventando trasparente. Più di 100 società indiane hanno una capitalizzazione di mercato superiore a un bilione di dollari e alcune di queste, comprese Bharat Forge, Jet Airways, Infosys Technologies, Reliance Infocomm, Tata Motors e Wipro Technologies stanno diventando brand competitivi a livello globale. In borsa gli stranieri hanno fatto investimenti in più di 1.000 società indiane. L’industria high tech è decollata e tutti questi mutamenti hanno trasformato il settore bancario. I prestiti svantaggiosi 38 • n. 3, settembre-dicembre 2011 ora rappresentano meno del 2% del totale dei prestiti (in Cina è il 20%) anche se le mediocri banche statali sono lontane dall’essere state privatizzate. Attualmente la crescita viene guidata dai servizi e dai consumi interni. I consumi possono essere un ostacolo vantaggioso per molti indiani – con la loro disposizione ascetica – ma nei termini espressi dall’economista Stephen Roach di Morgan Stanley: “In India l’approccio alla crescita ai consumi può essere meglio bilanciato rispetto al modello cinese basato sulla mobilizzazione delle risorse”. Il contrasto tra la crescita indiana guidata dall’imprenditore e il modello cinese stato-centrico è notevole. Il successo cinese è ampiamente basato sull’export delle società statali o private. Pechino nutre sempre molta diffidenza nei confronti degli imprenditori; solo il 10% dei crediti in Cina è destinato al settore privato, benché questo dia impiego al 40% della forza lavoro cinese. In India agli imprenditori va più dell’80% del totale dei prestiti; mentre Jet Airways, in servizio dal 1993, è diventato leader indiscusso nei cieli indiani, la prima compagnia aerea cinese privata la Okay Airways, ha iniziato a operare solo nel febbraio del 2005. Ciò che ha caratterizzato lo sviluppo indiano è il fatto che l’enorme sviluppo non è stato accompagnato da una forte rivoluzione industriale sul piano del lavoro in grado di trasformare la vita dei 100 milioni di indiani ancora confinati nella povertà rurale. Molti indiani guardano ipnotizzati alla Cina, perché questo paese sembra creare nell’industria un flusso senza fine di occupazioni di basso livello, grazie all’export di beni quali i giocattoli e l’abbigliamento, mentre i loro connazionali più istruiti esportano in tutto il mondo servizi basati sul “sapere”. Essi si chiedono con timore se l’India stia saltando completamente una rivoluzione industriale, passando direttamente da un’economia rurale a una del terziario. Le restanti economie mondiali si sono trasformate da economie di tipo rurale a industriale e quindi a economie del terziario. L’India sembra avere un passaggio intermedio debole. Il settore dei servizi rappresenta attualmente più del 50% del Pil dell’India, mentre l’agricoltura il 22% e l’industria solo il 27% (contro il 50% della Cina). In ambito industriale la forza dell’India è rappresentata dall’high tech, un comparto industriale altamente specializzato. La convergenza di interessi geopolitici tra Stati Uniti e India nella regione asiatica, principalmente in chiave di contenimento dell’espansionismo cinese, potrebbe essere il punto di svolta per la definitiva affermazione del paese tra le grandi potenze mondiali nel prossimo futuro. La comunanza di valori politici e culturali ha favorito un processo di riavvicinamento avviato da Clinton nel 2000, consolidato dall’amministrazione Bush e proseguito da Obama con la visita ufficiale a Nuova Delhi nel novembre del 2010 e con la seconda sessione del US-India Strategic Dialogue del luglio scorso. L’India si trova ad affrontare in questi anni sfide decisive che verosimilmente ne segneranno il percorso negli anni a venire. Internamente, il paese è costretto ad affrontare minacce alla sicurezza che generano tensioni e instabilità aggravate dalle precarie condizioni economiche in cui si trovano vaste regioni e che riguardano circa un terzo degli abitanti. Il movimento armato dei Naxcaliti, in particolare, incontra il consenso di strati sempre più ampi della popolazione. Altrettanto significative le tensioni con gli Stati Uniti seguite alla mancata presa di posizione rispetto ai recenti sollevamenti popolari nel Nord Africa e alle vaghe posizioni espresse di fronte al tentativo della diplomazia americana di isolare l’Iran e il Myanmar. La mancanza di solidità e coerenza dell’azione diplomatica indiana, infine, è confermata dallo stallo sull’annosa questione del Kashmir. In questo contesto, l’India rischia di vedere compromesse le aspirazioni di affermazione politica ed economica su scala globale, finendo per restare costretta al ruolo di potenza regionale con un ruolo subalterno a quello della Cina. Cina Della Cina abbiamo già parlato nel raffronto con l’India, di cui è riuscita a divenire il primo partner commerciale, scalzando una lunga supremazia statunitense. Come abbiamo visto, le strutture economiche dei due paesi sono complementari: la Cina può assicurare una immensa base produttiva e l’India una valida piattaforma ingegneristica e progettuale. In realtà, le tensioni politiche fra i due paesi ancora prevalgono e bloc- Nuovi protagonisti cano una maggiore integrazione economica. La Cina controlla alcune zone del Kashmir e rivendica il territorio indiano del Tibet meridionale. È nell’Oceano indiano che l’India teme di perdere il controllo di acque che ritiene siano sotto la sua sfera di influenza. La Cina ha infatti stretto una serie di alleanze che gli permettono di costruire con i suoi capitali porti per navi cinesi in Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh e Myanmar. In Afghanistan, parallelamente alle missioni internazionali egemonizzate dagli Usa, una partita a tre è in corso fra India, Cina e Pakistan. In questa partita tutti hanno interessi: la Cina per l’influenza politica nella regione e il reperimento delle materie prime; il Pakistan per interessi più strettamente politico-strategici legati alla sua sicurezza; l’India è in difficoltà perché deve confrontarsi con entrambi. La risposta indiana alla politica considerata aggressiva della Cina si concretizza principalmente negli accordi con l’Iran per la realizzazione di una base navale nel Golfo d’Oman, utile per sorvegliare lo Stretto di Hormuz, e nel progetto per la realizzazione di un porto militare nelle Isole Nicobare per rinforzare la sorveglianza indiana sullo Stretto di Malacca. Anche Russia e Cina usano l’Iran per i loro strategie mediorientali. Ho iniziato a parlare della Cina sottolineando gli aspetti di politica estera perché è di questi giorni la notizia che Cina e Giappone lavorano a un cordone sanitario anti-eurodollaro operando nell’interscambio fra loro senza passare dal dollaro Usa; si scambieranno cioè merci, servizi e finanza (340 miliardi di dollari Usa) senza avvalersi perciò della valuta Usa. Inoltre il Giappone investirà parte delle sue riserve valutarie (1.300 miliardi di dollari Usa), seconde al mondo solo a quelle cinesi (3.200 miliardi di dollari Usa), in titoli di Stato cinesi. La Cina è già il primo compratore straniero di obbligazioni di Stato giapponesi. I giganti d’oriente hanno preferito superare le loro rivalità storiche piuttosto che aumentare gli investimenti nelle obbligazioni dei paesi europei e Usa; con ciò lo yuan si è rivalutato rispetto al dollaro Usa e avanza verso il rango di moneta di riserva. La leadership di Pechino è consapevole che la crisi dell’Occidente minaccia gli equilibri della sua economia fortemente orientata all’export in un momento delicato in cui si moltiplicano le proteste. Infatti contemporaneamente si cerca di favorire i consumi interni. La Cina si era detta disposta ad aumentare i contributi al Fmi in cambio di maggiori quote nel fondo stesso; ma non intende aiutare i paesi europei comprandone i titoli di Stato; sembra invece intenzionata a rilevare le aziende europee più profittevoli. La Cina vuole acquisire partecipazioni che garantiscano un ritorno stabile nel lungo termine e consentano di diversificare gli investimenti dalla finanza verso asset reali, offrendo così una protezione contro l’inflazione futura che i cinesi ritengono ormai inevitabile. Può darsi che tutto questo rientri in una strategia di largo respiro messa a punto da Pechino per sostenere finanziariamente l’Ue, cercando di sfruttare a proprio vantaggio la crisi debitoria europea. Nessuno può ragionevolmente immaginare che la Cina possa disinteressarsi del mondo; anche questo paese è esposto ai venti internazionali e come tutti è sottoposto all’andamento del cambio, ai movimenti del capitale, alle decisioni delle multinazionali e ai tassi di interesse. La crescita economica non sarà più la valvola di sfogo di ogni dissenso, lo ricordano giornalmente gli scioperi nelle fabbriche, le proteste per le requisizioni forzate della terra e l’insoddisfazione che emerge dai social network. È ormai da qualche tempo che cominciano ad apparire sulla superficie scintillante della locomotiva economica cinese alcune venature che potrebbero diventare crepe se la situazione dovesse ulteriormente peggiorare, soprattutto nel caso dovesse avverarsi (cosa inimmaginabile fino a qualche mese fa) lo scenario di una Cina in deficit commerciale nel 2012. Tra le diverse “venature” (e possibili crepe), ve ne sono tre che consentono di cogliere in modo immediato la portata dei problemi: indebitamento dei governi locali, bolla immobiliare ed esposizione bancaria e la situazione debitoria di alcune imprese di Stato. In aggiunta a quelle appena descritte, potrebbero essere citate diverse altre “venature”: inflazione, perdita di competitività del settore manifatturiero, aumento della disparità di reddito, difficoltà nel soddisfare il fabbisogno energetico nazionale e altro ancora. Negli scorsi trent’anni la Cina ha però affrontato e superato con successo sfide ancora più difficili di queste. Le autorità possiedono gli strumenti e le risorse per farvi fronte. Non si comprende però lo stupore, o il disappunto, di molti osservatori in Occidente per il mancato intervento della Cina a sostegno dell’economia europea, il cui futuro assetto peraltro resta avvolto in una nebbia fitta. Il treno dell’Europa in panne non può attendersi di essere rimesso in moto da una locomotiva che potrebbe avere presto bisogno di importanti interventi di manutenzione. In conclusione le cose in comune dei paesi detti Bric sono poche, escluso il fatto che hanno un’economia in crescita; perché per il Brasile la sfida è risparmiare e investire di più; per la Cina favorire i consumi interni anche per gestire le crescenti tensioni sociali; Cina e India sono ancora affamate di materie prime; mentre Brasile e Russia hanno uno sviluppo economico che dipende dall’export di materie prime; infine, nel passato, solo la Russia non è mai stato un paese colonizzato. Allora Europa e Usa non si confronteranno a breve con un blocco omogeneo di nuovi potenti ma con una complessa e mutevole coalizione di paesi le cui contraddizioni potrebbero accentuarsi con la maturità economica. L’AUTORE Ingegnere chimico, Rosario Alessandrello è stato amministratore delegato e presidente di Tecnimont Spa e presidente di Maire Tecnimont. Attualmente è presidente della Camera di Commercio Italo-Russa, della Camera di Commercio Italo-Iraniana e dell’Associazione Brazil Planet per la promozione delle relazioni ItaliaBrasile. Nel 2001 è stato insignito dell’“Ordine dell’Amicizia” dal presidente della Federazione Russa Vladimir Putin. È stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 1997 ed è presidente del Gruppo Lombardo della Federazione. panorama per i giovani • 39 Primo piano 9/11. Un decennio che non può essere ignorato The Bible tells us: “weeping may endure for a night, but joy cometh in the morning.” So President Obama has opened his speech, ten years later the dreadful morning, in which the unespected happened. Today, after the loss of three thousand lives, we can just remember the fire brigade heroism, the soldiers’ praise-worthiness and the American freedom. di Davide Brambilla Se memoria, incontri ed esperienze caratterizzano la vita di un uomo, l’11 settembre è per tutti noi qualcosa di speciale. Parlo alla generazione di Facebook, di Twitter e degli smartphone che non ha vissuto il Vietnam crudele, né il crollo del muro di Berlino, ma la nostra infanzia passa necessariamente da quei quattro aerei di linea. All’improvviso, al posto della Melevisione o dei Pokemòn, compaiono due torri fumanti; persino un bambino, al suo primo giorno di scuola, capisce che è successo qualcosa di terribile. Sono le Torri Gemelle, che di lì a poco collasseranno, portandosi via 2983 persone: madri e padri che non rivedranno più i propri figli, italiani che non vedranno più la patria. Né possiamo dimenticare la facciata del Pentagono, sfregiata dal terzo Boeing, o lo United Airline 93, finito, per la rivolta eroica dei passeggeri, in un campo della Pennsylvania (e non sulla Casa Bianca, probabile obiettivo). D’altro canto, non posso negare che da quel giorno maledetto si sia definitivamente aperta l’epoca del dolore in diretta, distaccato, del “è successo ma non qui… meno male”, delle immagini forti. Bambini che imbracciano fucili, inneggiando al dittatore o alla sua fine, bombe che cadono, urla strazianti di madri che corrono. Il tutto spesso si imbriglia nel tubo catodico, confinato ai cristalli liquidi (per i più tecnologici), senza scalfire l’ordinaria routine quotidiana; dai gialli irrisolti fino al lucro mediatico sulla cronaca nera. Foto: iStockphoto.com (khyim; Pferd) Un duro colpo Gli attacchi verranno presto rivendicati da terroristi islamici, che col vero Islam hanno ben poco da spartire. Oltre all’inasprimento dell’odio religioso, che ha spesso identificato il malvagio nel musulmano, non sono tardati gli effetti economici: una pesante crisi finanziaria e reale ha rallentato l’Occidente, rimessosi in moto nel 2005/2006, per poi ripiombare nella crisi attuale. Né sono mancati quelli militari. Colpiti da un nemico sfuggente – sta qui una delle differenze con la guerra fredda, in cui l’Urss era ben identificabile – gli Stati Uniti rispondono, con la categoria dei cosiddetti “Stati canaglia”, accusati di ospitare e addestrare terroristi. A meno di un mese dall’attentato, il 7 ottobre 2001, inizia l’operazione Enduring freedom, che ribalterà il regime talebano in Afganistan, con la conquista di Kabul e delle princi40 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Primo piano pali città. Il 20 marzo 2003 si torna in Iraq, dopo un lungo dibattito nazionale e internazionale sui pro e contro della “seconda guerra del golfo”. Il movente è Saddam Hussein, sospettato di possedere armi di distruzione di massa (fatto poi smentito dalla Cia stessa, al termine del conflitto). La rapidità delle operazioni, determinata dalla debolezza degli eserciti avversari, stride coi tempi della successiva stabilizzazione e dei costi umani, che hanno superato i numeri dell’11 settembre: 6.210 soldati americani, ai quali se ne aggiungono 1.200 della coalizione (ricordiamo 41 italiani in Afganistan e 33 in Iraq) per un totale di oltre 225.000 morti (studio della Brown University di Rhode Island), considerando anche i civili, spesso dimenticati dalle stime. Così, il decennio che doveva esser votato al contenimento della straripante Cina ha visto gli Usa impegnati su vari fronti, disperdendo parecchie energie (monetariamente si parla di una cifra a dodici zeri, costantemente aggiornata sul sito www.costofwar.com). Il giorno della memoria “Oggi l’America è più forte, perché non ha ceduto alla paura […] i nostri stadi sono pieni di tifosi e i parchi pieni di bambini che giocano. Il corpo dei pompieri, che perse tanti uomini, ha continuato a salvare vite fino ad oggi”. E dalle parole del presidente Obama, pronunciate al Kennedy Center di Washington, si vuole ripartire. Il sogno americano è anche questo: avere sempre una seconda opportunità, rialzarsi dopo una caduta, ricucire tutte Due milioni di soldati americani mobilitati dal 2001, ma vediamo nel dettaglio l’impiego attuale. Afganistan Guidata dalla Nato, l’Isaf (International Security Assistance Force) è composta da ben 48 nazioni, con 130.638 effettivi, appoggiati da oltre 250.000 tra poliziotti e soldati afghani. Iraq Dopo un impiego di 300 mila unità, durante l’invasione, l’Us Army è stato affiancato da curdi, mercenari e dal nuovo esercito iracheno (400.000 unità, con la polizia) che oggi ha il completo controllo, dopo il ritiro della coalition of the willing. le ferite, anche se le cicatrici resteranno indelebili. E così, nel giorno della memoria, nel primo decennale, tutti si fermano. si quietano le teorie complottistiche (che sollevano questioni nodose, bisognose di chiarificazioni), si toglie lo sguardo dalle borse, dalla recessione e ci si rivolge alle vittime, si ascolta il loro muto lamento salire da Ground Zero. Un messaggio forte arriva dalla presenza comune di Bush e Obama. Passato e presente, chi ha fronteggiato l’emergenza a muso duro e chi deve gestire la contemporanea, onerosa presenza in Afganistan e Iraq, in un momento così alto si ritrovano per stringersi vicino ai parenti delle vittime, per ascoltarne i nomi e soprattutto per dire che l’America è unita. E l’America ha anche voluto ricordare le vittime con un monumento concreto, evitando di costruire un nuovo grattacielo sulle macerie. Così è sorto – o meglio è stato scavato – il National September 11 Memorial: due enormi vasche, profonde quattro metri, a simboleggiare il solco lasciato nella coscienza dei cittadini. La continua, sommessa, cascata d’acqua le rende discrete nel loro mormorio, dando, con quel sottofondo, voce alle mute preghiere, che sembrano chiedere incessantemente la fine di ogni guerra e rancore. Le due vasche, rivestite in marmo, con incisi sul bordo tutti i nomi delle vittime, si inseriscono nella Memorial Plaza, resa verde da 400 alberi. Sopra: le Twin Towers. Nella pagina precedente: i fasci di luce di due potenti proiettori ricordano le vittime dell’11 settembre. Concludiamo tornando al discorso di Barack Obama, il quale ammette che la guerra, in sé, non è mai gloriosa: troppi non torneranno a casa. Ammette che ora si è più vigilanti, senza però cadere nel sospetto e nella sfiducia. Ma la punta d’orgoglio sta nella forza interiore, poiché le generazioni future “che ci giudicheranno, sapranno che nulla può spezzare la volontà degli Stati Uniti”. Essi hanno vinto la schiavitù e la guerra civile, il fascismo, il comunismo e persino il terrorismo. La democrazia è imperfetta, ma durevole e imperitura. La nazione a stelle e strisce è intrinsecamente legata al concetto di libertà e ad essa va il merito di non aver “mai ceduto alla tentazione di sacrificare la libertà sull’altare della sicurezza: se così fosse – parole del presidente del Parlamento europeo, Jerzy Buzek – si svuoterebbe di valore ciò che si cerca di difendere”. Ora che Cia e Fbi hanno quasi ultimato la collezione del famoso mazzo di carte (ucciso anche Bin Laden il 1° maggio 2011), all’America e a Obama spetta la sfida più difficile: lasciare i paesi occupati e affidarli a persone libere, in grado di governare stati sovrani. Speranza necessaria per alimentare una pace fondata, capace di allargarsi alle novelle nazioni della primavera araba. panorama per i giovani • 41 La globalizzazione delle sette note Music can be considered the most globalised among the arts. Various genres from different parts of the Earth have become famous worldwide, creating an original melting pot of languages, styles and cultures. Not only is music a universal means of communication able to reach everybody, it can also overcome geographical distances and cultural prejudices. Blues, jazz, heavy metal, rap and other styles showed this in a wonderful history of sound, people, messages. di Livio Ghilardi Globalizzazione dei mercati, ma non solo. Il termine “globalizzazione” può sintetizzare al meglio gli ultimi trent’anni di storia, racchiudendo in sé non solo un significato economico ma anche e soprattutto una valenza sociale, culturale e tecnologica. Se, da una parte, ci si continua a confrontare con il “villaggio globale” cercando di valutarne i pro e i contro di natura politica e socioeconomi- cinema e della letteratura per accorgersi di come lo scambio culturale tra orizzonti diversi abbia anticipato addirittura di decenni la nascita delle prime teorie sulla globalizzazione. Ed è soprattutto nel mondo della musica che è possibile evidenziare un intrecciarsi senza sosta di generi, lingue, influenze, il quale ha contribuito ad incrementare ancor più il fascino che le sette note esercitano su centinaia di milioni Nel mondo della musica si di ascoltatori. Già nei primisassiste a un intrecciarsi simi decenni del senza sosta di generi, lingue e Novecento si paleinfluenze. sano le prime contaminazioni muca, dall’altra è doveroso anche considerare sicali. Dopo secoli segnati dallo strapotere come globalizzazione e arti abbiano intera- della musica classica, nelle Americhe si afgito. Basta dare uno sguardo alla storia del fermano il jazz e il blues, i primi generi che 42 • n. 3, settembre-dicembre 2011 vedono la confluenza di esperienze europee e afroamericane in un unico “spartito”. Musicisti bianchi e neri riescono ad abbattere l’odio razziale, “armati” di strumenti a fiato, contrabbasso, pianoforte, chitarra e batteria. La nascita di standard destinati a essere risuonati nei luoghi più disparati del mondo dimostra come la musica fosse già allora un linguaggio destinato ad abbattere barriere e confini. Il continente europeo non ne fu immune e anche in Italia, fatto salvo l’embargo culturale del periodo fascista, vari pionieri, tra i quali il pugliese Vito Morea, cominciarono a diffondere il jazz nelle città italiane. Nacquero festival, club, etichette discografiche e riviste dedicate alle nuove forme musicali, la cui portata innovativa influenzò addirittura la lingua e in particolare alcuni dialetti (in quello barese, ad esempio, il termine “uazzaband”, storpiatura di jazz band, significa confusione). Dagli anni Cinquanta, accanto a jazz e blues si afferma il rock’n’roll. Il mito di Elvis Presley, le schitarrate di Chuck Berry e i ritmi travolgenti di Jerry Lee Lewis conquistano tutto l’Occidente e si affacciano timidamente nel resto del mondo, sia a Oriente sia nel Sud. È con gli anni Sessanta, tuttavia, che la musica comincia ad acquistare davvero una prima, vera dimensione globale. Il successo di band come i Beatles e i Rolling Stones è inarrestabile, così come la diffusione delle prime radio libere (fenomeno testimoniato dal simpatico film I love radio rock dell’inglese Richard Curtis). Woodstock e l’isola di Wight diventano punti di raccolta per tanti giovani, grazie anche alla diffusione dei movimenti hippy e mod. E mentre il messicano Carlos Santana diventa uno dei chitarristi più originali dell’epoca, Garota de Ipanema di Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim diventa non solo il brano più rappresentativo della nascente bossa nova brasiliana, ma anche uno dei pezzi più eseguiti nella storia della musica (basti citare, tra le tante, le reinterpretazioni in inglese di Stan Getz ed Ella Fitzgerald o la versione in italiano di Bruno Martino). L’Italia, ancora periferica nel panorama musicale dell’epoca, vede la nascita di molti complessi beat, spesso alle prese con cover in italiano di grandi hit d’oltremanica (una su tutte, Senza Luce dei Dik Dik, rifacimento di A Whiter Shade Of Pale degli inglesi Procol Harum). Gli anni Settanta sono il vero e proprio momento di svolta. Nel 1973 l’etnomusico- Foto: iStockphoto.com (sumbul; DWithers) Primo piano Primo piano logo Robert E. Brown, della University of California, fonda il Center of World Music e diffonde suoni del tutto nuovi provenienti dall’Africa e dall’India. I Beatles sdoganano Ravi Shankar, uno dei più formidabili suonatori di sitar indiano, mentre i Led Zeppelin si divertono a giocare con influenze arabe e le grandi band progressive (anche e soprattutto in Italia) fondono il rock con la musica classica, senza tralasciare l’influenza della tradizione folk. Il nigeriano Fela Kuti propone il suo afrobeat, mentre dalla calda Giamaica provengono i ritmi in levare dello ska e del rock steady, la base ideale per la nascita del reggae, affermato a livello mondiale da Bob Marley, il primo grande artista proveniente dal Terzo Mondo (il suo show a Milano nel 1980 rappresenta il primo grande concerto-evento nella storia del Bel Paese). Grandi pionieri del rock blues come Eric Clapton e Paul Simon cominciano a confrontarsi con la nuova gamma di suoni proveniente dal resto del mondo, così come i Clash, astri del punk inglese. Peter Gabriel dei Genesis è certamente la figura che dà il maggiore apporto alla diffusione del grande calderone della world music, creando il movimento Womad (World of Music, Arts and Dance) e fondando la seminale Real World Records. Negli anni Ottanta è ormai prassi incontrare nelle classifiche artisti africani, su tutti il senegalese Youssou N’Dour e Cheb Khaled, il più grande artista pop raï algerino. Si afferma, inoltre, il rap, uno dei generi destinati a trovar maggior successo nei decenni a venire. snobbato dalla critica musicale mainstream, Sopra: la copertina di Sgt. Pepper’s Lonely è probabilmente il genere che avrà maggior Hearts Club Band, uno dei più celebri album dei Beatles. Nella pagina precedente: il diffusione su scala globale fino ai posti più jazz è il primo genere in cui confluiscono impensabili (persino in Mongolia o sotto esperienze europee e afroamericane. alcune dittature), grazie alla passione incrollabile dei metallari sparsi per il mondo e alla nienti dal resto del mondo. Meritano di essere sua capacità di legarsi con le influenze mu- citati Jovanotti, il quale, a partire da L’albero, sicali più disparate, ingloba nei suoi pezzi elementi di musica etdalla humppa fin- nica, e il lombardo Davide Van De Sfroos. I generi musicali più lontani landese per Finn- Nello Stivale si affermano anche generi di tra loro riescono a mescolarsi troll e Korpiklaani origine lontana, come il rap e il reggae, spesin un melting pot sonoro alla musica tribale so cantati in dialetto, come fanno i napoletabrasiliana per i Se- ni 99 Posse e Almamegretta, i salentini Sud stupefacente. pultura di Roots. Sound System o i veneti Pitura Freska. Così in più di un secolo la musica ha È sorprendente come i generi musica- Gruppi come i Rammstein o i Brujeria hanli più lontani tra loro, sia stilisticamente no successo anche per la scelta insolita ma saputo unire luoghi e culture lontani grasia per origini, riescano a mescolarsi in efficace di cantare nella propria madrelingua zie al suo essere multiforme, rompendo gli schemi e dimostrando che, al di là di un melting pot sonoro stupefacente. Basti (rispettivamente tedesco e spagnolo). Lo scenario musicale italiano non è dis- ogni barriera, può esservi un mondo nuovo citare, tra gli altri, l’unione tra hardcore e reggae dei Bad Brains, tra i primi punk di simile. Grazie al colore o i Beastie Boys, i primi bianchi ad ruolo da apripista In Italia si affermano anche aver successo con l’hip-hop grazie al semi- svolto dagli Area generi di origine lontana, come il di Demetrio Stranale Licensed to Ill del 1986. rap e il reggae, spesso cantati in L’incontro tra hard rock/heavy metal e tos e al lavoro di rap è proficuo, grazie a singoli come Walk Fabrizio De André dialetto. this way (Aerosmith e Run DMC) e Bring su Crêuza de Mä, the noise (Anthrax e Public Enemy), vera in tanti sperimentano con tradizioni musicali ammaliante, che supera confini nazionali e e propria base per l’avvento del nu metal a diverse e con strumenti inconsueti, filtrando continentali in pochi istanti, in un viaggio metà degli anni Novanta. Il metal, spesso il tutto con i nuovi linguaggi musicali prove- incessante e ricco di sorprese. panorama per i giovani • 43 Primo piano L’India in mostra: Indian Highway Indian Highway at Maxxi Museum: a bridge from the past to the future; the consequences of urban sprawling; an interpretation and renewing of tradition. di Francesca Parlati Foto: NS Harsha/Victoria Miro Gallery Dal 22 settembre 2011 al 29 gennaio 2012 si entra al museo Maxxi di Roma calpestando un’opera d’arte. Sulla piazza di cemento di fronte al museo si trova una delle installazioni pensate appositamente per l’arrivo della mostra Indian Highway a Roma: 700 miniature, raffiguranti i volti di più di 700 persone diverse. L’artista NS Harsha ha realizzato l’opera, intitolata Strands, in diretta, qualche giorno prima dell’inaugurazione della mostra. Indian Highway è un progetto di mostra itinerante: prima tappa la Serpentine Gallery di Londra nel 2009, con esposizioni nelle più prestigiose sedi museali, come all’Astrup Fearney Museum di Oslo (che ha partecipato alla creazione del progetto) e al Museo di arte contemporanea di Lione. Il viaggio di questa esposizione si concluderà nel 2013 a Nuova Dehli. I 30 artisti partecipanti al progetto hanno acutamente interpretato il “miracolo economico” indiano, analizzandone vari aspetti. “Indian Highway al Maxxi – ha dichiarato Anna Mattirolo, direttore Maxxi Arte – partendo dall’idea dell’autostrada come elemento di connessione tra i flussi migratori che si spostano dalla periferia alla città, testimonia attraverso il percorso espositivo la crescente centralità mondiale della civiltà indiana, anche dal punto di vista artistico, a partire dagli anni Novanta fino ai nostri giorni”. 44 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Una mostra che prova a fermare immagini di una società in perenne mutamento, ma che muta insieme a essa. Si pensi anche che dal suo esordio la mostra ha raddoppiato le sue dimensioni e che vengono create installazioni site specific, che variano a seconda del museo che ospita la mostra in quel momento. Per completare la mostra sono previsti anche vari spettacoli, che avranno una vita propria, indipendentemente dall’esposizione; è il caso del Nineteen mantras, realizzato in collaborazione con l’Accademia della Scala di Milano. La mostra è quindi un corpo multiforme, volto a evidenziare e raccontare tre grandi aspetti di questa moderna India perennemente in divenire. Il primo è di raccordo col passato, un’indagine e un racconto di quella che è l’identità indiana e delle sue storie. Protagonisti di questa area sono temi politici, sociali, religiosi. Tra le opere di maggiore impatto abbiamo il video The Lighting Testimonies di Amar Kanwar, che racconta, attraverso le testimonianze di donne violentate, la guerra tra India e Pakistan. Sempre legata al conflitto 100 Hand Drawn Maps of India, di Shilpa Gupta, una riflessione sulla labilità dei confini regionali e nazionali. Della stessa artista l’inquietante opera Untitled – Skewers, con 185 lance che incombono dal soffitto e incutono un senso di terrore. Secondo aspetto affrontato dalla mostra è l’espandersi incontrollato delle metropoli, del loro caos e dell’abbandono delle periferie. Questa nuova realtà è raccontata per contrasti, come per esempio il confronto tra le sculture Transit di Valay Shende e Autosaurus Tripous di Jitish Kallat, rispettivamente un grande camion in alluminio e l’ossatura di un tipico risciò in resina. Fa parte di quest’area anche l’opera simbolo della mostra, il gigantesco Wallpaper Dream Villa 11 di Dayanita Singh. Questa gigantesca insegna luminosa è appesa nel corridoio a vetri del primo piano del museo, in modo che anche da fuori si possa vedere; essa rappresenta una città tentacolare vista dall’alto, circonfusa di luce blu e attraversata da grandi strade arancioni fiammeggianti, come dei fiumi di fuoco – le highway del titolo della mostra, appunto. Non viene ignorata anche la componente umana della metropoli, rappresentata attraverso i suoi utensili e oggetti come nell’installazione di Subodh Gupta lunga 27 metri, che con pentole e stoviglie allude al pranzo degli operai. L’ultimo tema è la rielaborazione di arti tipiche indiane, realizzate nel presente e reinterpretate: ci sono così rivisitazioni Foto: Gallery Yvon Lambert (Paris)/Gallery Continua (San Gimignano); Jitish Kallat/ARNDT Gallery (Berlin); Raffaele Morsella Primo piano di miniature, ceramiche e pitture a inchiostro. Fra le opere più monumentali vanno ricordate le grandi tavole smaltate di Nalini Malani, che alludono ai racconti mitici, o anche la già citata installazione site specific che accoglie all’ingresso del museo. La mostra coinvolge, oltre la vista anche gli altri sensi: altre due particolari installazioni site specific, infatti, giocano con gli odori e i suoni. Al primo piano, l’opera realizzata con una grande pioggia di incensi sospesi e intrecciati manualmente creata da Hemali Bhuta e intitolata Growing, fa respirare al visitatore gli odori dell’India, mentre l’installazione sonora interattiva Trespasser will (not) be prosecuted dei Desire Machine Collective riproduce i rumori della foresta sacra di Law Kintang. Composta di sensori e casse distribuite per la stanza, i suoni avvolgono e per essere trasportati in un altro mondo basta Da sinistra, in ordine orario: Shilpa Gupta, The skewers (2010); Jitish Kallat, Baggage Claim (2010); un’immagine del Maxxi di Roma. Nella pagina precedente: NS Harsha, Strands (2011). chiudere gli occhi: la foresta sacra è tutt’attorno al visitatore. La mostra coinvolge pienamente e anche lo spazio espositivo del Maxxi ben si presta a rapire chi la visita, con un gioco di sale, salette e scale, intricato ma non caotico, che gioca con richiami all’India e all’Italia: basti pensare all’installazione di Sumaksi Singh, Circumference forming, che ricrea una campana gotica in una perfetta sintesi indiana-italiana. Non si può non restare impressionati dalla ricchezza di questa mostra, ricchezza non solo di opere, ma anche di contenuti: la modernità indiana viene analizzata in ogni suo aspetto e riproposta al pubblico occidentale, perché possa essere osservata e possibilmente capita. panorama per i giovani • 45 Primo piano The mingling process of globalisation involves blending of far away traditions and cultures. The movie business sees no boundaries in its spreading around the world: it can be a powerful mean of attraction and influence in foreign politics, when rooted on a mighty emotional ground. Its most relevant challenge is to collect dreams and passions by more than a billion people and give them life on the screen. di Selene Favuzzi Nel 1929, sebbene fosse l’anno iniziale della crisi economica, l’85% dei prodotti dell’industria cinematografica mondiale era americano. E quello era solo l’inizio della golden age di Hollywood: la nascita del cinema classico e dei suoi film girati per commuovere i cuori, esaltare le menti e vincere al botteghino. Oggi questo primato è stato superato dalla macchina produttiva di Bollywood, che sforna oltre 1.000 titoli tradotti spesso in 30 lingue ed esportati in 70 paesi per soddisfare la fame di entertainment di oltre 70 milioni di spettatori a settimana. Con 12.000 Gli attori di Bollywood sono i più famosi del mondo, visto l’ampio pubblico a cui si rivolgono (sopra, una giovane attrice in abiti tipici). to della Federation of Indian Chambers of Commerce and Industry afferma che il ramo esportazioni è cresciuto del 60% negli ultimi anni e si stima che nel prossimo quinquennio l’intera industria cinematografica indiana possa registrare una crescita pari al 19%. Il soft power di Mumbai Soft power è un termine utilizzato nella teoria delle relazioni internazioCon 12.000 sale e 750 riviste nali e si riferisce specializzate il cinema indiano alla capacità d’un dà lavoro stabile a 6 milioni di paese di attrarre e convincere, perpersone. suadere e affascisale e 750 riviste specializzate, il cinema nare, senza ricorrere ai mezzi dell’hard in India, che dà lavoro stabile a 6 milioni power (popolazione, armi ed esercito, di persone, è fra le arti quella che gode peso del Pil nazionale), ma contando di maggior riconoscimento. Un rappor- unicamente su risorse intangibili quali 46 • n. 3, settembre-dicembre 2011 cultura, valori e istituzioni politiche. La macchina produttiva di Bollywood viene da molti vista come infrastruttura invisibile, eppure pervasiva, dell’etere culturale globale: un palcoscenico capace di attrarre e conquistare i cuori; uno strumento di egemonia emozionale facilmente traducibile in ponte per ulteriori scambi. L’India è patria di valori millenari e di una cultura senza tempo, ma, soprattutto, dalle caratteristiche inconfondibili: arte, moda, danza, musica e cucina tradizionali costituiscono una preziosa eredità che il corpo politico ha tutto l’interesse a reinvestire fruttuosamente. Nel 2008 il primo ministro indiano Manmohan Singh ha dichiarato che “il soft power dell’India può in qualche modo essere uno strumento molto importante di diplomazia. Le relazioni culturali, l’industria cinematografica indiana, Bollywood... ovunque io vada, nel Medio Oriente, in Africa, le persone parlano dei film indiani e dell’industria cinematografica indiana. Questo è quindi un nuovo modo di influenzare il mondo sulla crescente importanza dell’India”. L’immaginario Il cinema popolare indiano è un luogo di grande evasione, dove i sentimenti (specie quelli amorosi) sono spesso sovraesposti mediante l’uso d’una gestualità estrema, che enfatizza e carica i movimenti dell’animo. Le storie non hanno perso l’ingenuità e la prevalente bontà dei sentimenti di fondo che caratterizzavano il primo cinema hollywoodiano: molti lo amano per l’universalità del linguaggio e la pulizia dei sentimenti. La fruizione del prodotto culturale in India è, infatti, di massa – una dimensione collettiva che contribuisce a creare l’identità d’un popolo sconfinato (in modo così dissimile dall’ormai imperante individualismo che vige in Occidente: la “nostra” Fabbrica dei Sogni è sempre più spesso fruita da una moltitudine di singoli – attraverso internet, pay-per-view e tv on-demand, etc.). I valori sono semplici e immediati, la trama è spesso simile e prevedibile; il confine fra bene e male è netto e preciso e l’ambiguità è ridotta al minimo. Sono film per famiglie... per un popolo che adora farsi stupire, che davanti allo schermo si vuole meravigliare; per chi vuole il piacere d’uno sguardo annegato da mille colori e numerosissime danze che sublimano la forte carica di sensualità – non altrimenti esprimibile in molte Foto: iStockphoto.com/AtomicSparkle Il soft power di Bollywood Primo piano pellicole, dato che solamente da qualche anno sono ammesse scene di baci nei film ad ampia distribuzione. Il termine Bollywood nasce dall’unione fra Hollywood e Bombay (antico nome di Mumbai) e allude alla fusione di elementi tipici delle due culture per crearne una nuova, un misto di entrambe. Il genere prevalente del cinema hindi è infatti un non-genere, o genere contenitore chiamato masala, dal nome della caratteristica miscela di spezie indiana. Azione, commedia musicale, romanticismo, balli e canti, si fondono in film che spesso sforano le tre ore di proiezione, in cui c’è qualcosa per tutti i gusti. Le coreografie non sono mai attaccate tramite post-produzione in modo posticcio; la musica nasce col soggetto (la colonna sonora è una delle principali fonti d’incasso) e i costumi, sgargianti e curati nei minimi dettagli, lo rivestono; le parole delle canzoni contano spesso più delle frasi isolate; lo spettacolo è una forma d’arte totale studiata per travolgere ed emozionare. Il pubblico popolare è alla ricerca del territorio dei sogni, che compensi le miserie di gran parte della vita quotidiana con buoni sentimenti e soprattutto col finale trionfo del bene. È vero che il cinema di Bollywood è spesso di evasione – molte storie sono ambientate in palazzi lussuosi e fra mura dorate e macchine di lusso – ma non sempre è così: il cinema d’autore di Raj Kapoor, Mira Nair e Guru Dutt, ad esempio, è riuscito a portare sulla pellicola l’India reale per un pubblico in maggioranza analfabeta... il regista Manmohan Desai ha inoltre dichiarato: “Il mio pubblico non finisce alla periferia di Bombay. Comincia lì.” Shah Rukh Khan e Slumdog Millionaire Raj Kapoor, Kareena Kapoor, Freida Pinto, Aishwarya Rai, sono nomi che forse parlano poco a un orecchio occidentale, ma generano interi universi di significato, sogni, passioni, immagini e colori per oltre un miliardo di persone. Il salario degli attori arriva talvolta al 50% del budget dell’intero film. L’India ha una tradizione millenaria di venerazione dei miti del popolo: i guru, gli idoli, gli eroi. Già nel 1999 un sondaggio online della Bbc per capire chi fosse, all’alba del Duemila, l’attore più popolare al mondo, aveva dato come risposta “l’indiano Amitabh Bachchan”, presente in oltre 180 film. Ora che l’India ha iniziato a giocare la sua partita sul campo della globalizzazione, l’attore più slums, le infinite periferie dalla povertà conosciuto al mondo non è Brad Pitt, né estrema che inghiottono milioni e milioni Al Pacino o Leonardo Di Caprio... bensì di vite, s’intreccia con dolori e speranze Shah Rukh Khan, “Viso di Re”, detto il tradite, sentimenti accennati e repressi, Re di Bollywood e solitamente abbrevia- odio e amore; per sfociare infine in un rito in Srk. Attore, conduttore televisivo, scatto dal sapore di trionfo per un intero showman, performer e proprietario di due popolo. Orrori e meraviglie coesistono fra case di produzione e una squadra di cri- strade dissestate e ville miliardarie; colori cket. Membro dell’elite globale, con un e spezie si fondono per impastarsi col fanpubblico che si conta in miliardi di perso- go e col sudiciume... ma se “dai diamanti ne, è secondo Newsweek una delle 50 per- non nasce niente”, come cantava De Ansone più influenti al mondo. Musulmano, drè, allora l’esperimento di Boyle è ben educato dai gesuiti e sposato a una don- riuscito: mischiarsi con una cultura così na di fede Hindu, è un monumento alla radicalmente differente sporca sempre l’itolleranza religiosa e forse ha anche per dentità originaria, non restituisce di certo questo un bacino di pubblico tanto ampio. un ritratto pulito e confonde le pennellate C’è chi, come Vishal Singh, di mezz’età, con chiaroscuri potenti. Mai nessuna taproprietario d’una farmacia omeopatica, volozza potrebbe contenere infatti tutti i ha voluto legare oltre ogni misura la sua colori da versare su quell’immensa tela vita a quella del divo. La casa di Singh chiamata India. è infatti un “tempio” dedicato a Sharukh, con oltre Bollywood fra i trulli di Livio Ghilardi 22.000 immagini dell’attore che tapA chi conosce il cinema di Bollywood o ne ha sentito parlare pezzano le pareti, sommariamente, la prima immagine che viene alla mente foderano i cuscini è certamente quella di danze variopinte accompagnate da e ricoprono il sofsfrenate (e talora pacchiane) musiche indiane, il tutto in una fitto e i mobili. cornice esotica e lontana dalla realtà quotidiana dell’Italia. Sono svariati i Lascerà quindi sorpresi scoprire che alcune delle produzioni film indiani che si più recenti della scena cinematografica orientale hanno sono imposti a un visto come set inedito il Bel Paese. I registi e i produttori bollywoodiani, infatti, hanno scoperto il fascino delle pubblico di non bellezze architettoniche e naturali dello Stivale e qui hanno habitué in tutto il deciso di ambientare alcune delle storie narrate negli ultimi mondo, da Kuch blockbuster di successo indiani. Non solo città note e dal Kuch Hota Hai fascino universalmente riconosciuto, quali Roma, Venezia (Qualcosa è accae Capri, ma anche scenari meno conosciuti fuori dai confini duto), a Monsoon italici. In particolare, grazie anche alla collaborazione con Wedding o Bride l’attivissima Apulia Film Commission, la Puglia ha offerto and Prejudice. location adatte per le ultime produzioni indiane, prima È forse però con fra tutte Bachna Ae Haseeno (Salvarsi è facile). Il film di Siddharth Anand, che ha riscosso un notevole successo, Slumdog Millionvede i protagonisti recitare nella cornice mozzafiato dei aire che il mondo trulli di Alberobello, in uno scenario ovviamente esotico per ha consacrato il i cinefili indiani. La Puglia, insieme al Piemonte, è riuscita cinema di temaad attirare l’attenzione del cinema indiano e a promuovere tica e ambientauna solida intesa con i produttori orientali. Non a caso, forti zione indiana (il del successo della prima opera, recentemente altri registi soggetto è nato da sono tornati nel Tacco d’Italia. HouseFull di Sajid Khan è un romanzo di Vistato girato tra Mattinata e Vieste, nella provincia di Foggia, kas Swarup). Le e ha sullo sfondo della locandina i bellissimi faraglioni della Baia delle Zagare. Anche alcune località di mare salentine, ben otto statuette come Santa Cesarea Terme, sono state protagoniste di d’oro degli Oscar recenti produzioni cinematografiche bollywoodiane. E, per hanno rappresendi più, in concomitanza con l’uscita dei film, in India è stata tato il definitivo organizzata una campagna di promozione del turismo sigillo. La storia indiano in Puglia, che ha riscosso notevole successo, di Jamal, Salim e a dimostrazione di come il cinema possa far conoscere Latika origina da bellezze locali anche nei luoghi più impensabili. un’infanzia nelle panorama per i giovani • 47 Il futuro Daldella Collegio terza età Inaugurazione dell’a.a. 2011/2012 The opening ceremony of the academic year of the University College “Lamaro Pozzani” took place on the16th November, in the presence of Benito Benedini, President of Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, and of professor Gian Luigi Tosato, Chairman of the Committee for the Educational Programs of the Federation. The presentation of the College freshmen followed at the end of the ceremony. di Elena Francesca Gambaro Sopra: una delle nuove matricole del Collegio fra il Presidente della Federazione Benito Benedini e il Cavaliere Gian Luigi Tosato. Alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2011/2012 del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani”, svoltasi il 16 novembre, hanno partecipato Benito Benedini, Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, e Gian Luigi Tosato, Presidente della Commissione per le attività di formazione della Federazione. Non è potuto intervenire, come era stato inizialmente previsto, Francesco Profumo, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e già Rettore del Politecnico di Torino, nominato durante la stessa mattinata Ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca. Il Presidente Benedini ha sottolineato l’impegno dei Cavalieri del Lavoro nei confronti del Collegio “Lamaro Pozzani”, impegno iniziato ormai quarant’anni fa e confermato in quest’ultimo periodo anche attraverso la riqualificazione degli ambienti comuni. Il Presidente ha proseguito presentando le nuove iniziative per favorire lo sviluppo delle relazioni internazionali del Collegio, tra le quali l’allargamento del progetto “Ponte” a giovani italobrasiliani e il consolidamento della collaborazione con altri collegi universitari, come il Collegio Borromeo di Pavia e il Collegio Superiore di Bologna. A conclusione del suo intervento, il Presidente ha fatto riferimento alla difficile situazione italiana, nella quale egli vede una debolezza più politica che economica. 48 • n. 3, settembre-dicembre 2011 Il Professor Tosato ha esordito commentando una citazione di Benedetto Croce, che auspicava un comune sentire nei confronti dell’Europa, divenuta la nostra nuova casa comune: “a quel modo che un napoletano dell’antico regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani […], così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri s’innalzeranno a europei e i loro cuori batteranno per lei come prima per le patrie più piccole”. Tosato ha affermato che l’Europa svolge tuttora un ruolo fondamentale per tutti gli Stati membri e, ricordando l’iniziativa dell’imprenditore italiano che ha comprato un’intera pagina del “Corriere della Sera” per invitare gli italiani a comprare i titoli di Stato e aiutare il paese, ha sostenuto la necessità per l’Italia di affrontare la sfida del rigore e della crescita anche indipendentemente dai vincoli europei. Secondo Tosato è necessario riscoprire i risultati e la passione dell’eccellenza anche nel nostro paese e il Collegio, con le sue solide basi, i suoi comuni valori e la sua storia di successo rientra senz’altro in questo obiettivo. Sulla scorta delle considerazioni in merito alla situazione italiana, il Direttore scientifico del Collegio, il professor Stefano Semplici, ha citato il filosofo Ronald Dworkin per sostenere la necessità che la trama, lo “spartito” delle nostre istituzioni politiche e civili si svolga in una prospettiva più “densa” di responsabilità realmente condivisa. All’augurio a studenti e docenti per il nuovo anno accademico è seguita la presentazione delle matricole, con la consegna del simbolo di appartenenza alla comunità collegiale. incontri Tutti gli incontri del Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” di questo periodo. www.collegiocavalieri.it 6.10.11. Incontro con il Cav. Ruggeri Il Cavaliere del Lavoro Salvatore Ruggeri ha condiviso con gli studenti le tappe della sua esperienza lavorativa, vissuta con impegno e passione. 13.10.11. Problemi globali, risposte locali Incontro con il prof. Sebastiano Maffettone, direttore del Dipartimento di Scienze politiche presso la Luiss Guido Carli di Roma. 17.10.11. Come uscire dalla crisi dell’euro Intervento del prof. Marcello Messori, ordinario di Economia dei mercati monetari e finanziari presso l’Università Tor Vergata. 24.10.11. Guerra e Costituzione Il prof. Paolo Carnevale, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università di Roma Tre, ha parlato del rapporto fra la guerra e la nostra Costituzione. 7.11.11. Il dibattito sul gender La prof.ssa Laura Palazzani, ordinario di Filosofia del diritto presso la Lumsa e vicepresidente del Comitato nazionale per la Bioetica, ha trattato trasversalmente il tema del gender. 14.11.11. La scrittura creativa La dott.ssa Francesca Serafini, storica della lingua italiana e sceneggiatrice di successo, ha condiviso con gli studenti del Collegio la sua esperienza della scrittura creativa. 28.11.11. Le frontiere della fisica contemporanea L’ing. Gioacchino Ranucci, ricercatore presso l’Istituto nazionale di Fisica nucleare, ha parlato delle frontiere della fisica contemporanea e dei progetti dei Laboratori nazionali del Gran Sasso. 1.12.11. Incontro con il rabbino capo di Roma Le molte sfaccettature della storia e della cultura ebraica sono state trattate nell’incontro con il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni. 5.12.11. Un modello di crisi fiduciaria sul sistema bancario Il prof. Leo Ferraris, laureato del Collegio, docente all’università “Carlos III” di Madrid e all’università di Roma “Tor Vergata”, ha illustrato attraverso un semplice modello la potenziale fragilità del sistema bancario. 12.12.11. La propagazione della crisi Con il prof. Alessandro Gaetano, ordinario di Economia aziendale all’Università di Roma Tor Vergata, prosegue la serie di incontri dedicati all’analisi della crisi economicofinanziaria e delle sue possibili soluzioni. www.cavalieridellavoro.it Notizie e informazioni aggiornate settimanalmente I Cavalieri Un archivio con l’elenco di tutti i Cavalieri del Lavoro nominati dal 1901 a oggi e più di 550 schede biografiche costantemente aggiornate La Federazione Che cos’è la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, la composizione degli organi, lo statuto e le schede di tutti i presidenti I Gruppi Le pagine dei Gruppi regionali, con news, eventi e tutte le informazioni più richieste Le attività Gli obiettivi della Federazione, la tutela dell’ordine, i premi per gli studenti e i convegni Il Collegio Il Collegio Universitario “Lamaro-Pozzani” di Roma e i nostri studenti di eccellenza Le pubblicazioni I volumi e le collane pubblicati dalla Federazione, la rivista “Panorama per i Giovani” e tutti gli indici di “Civiltà del Lavoro” L’onorificenza La nascita e l’evoluzione dell’Ordine al Merito del Lavoro, le leggi e le procedure di selezione La Storia Tutte le informazioni su più di cento anni di storia ...e inoltre news e gallerie fotografiche sulla vita della Federazione. È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE. A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione ed è in questo che noi crediamo. Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola produzione. È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa, ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura. Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza. L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande. È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato. Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.