numero 3/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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numero 3/2011 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro
panorama
per i giovani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - POSTA TARGET CREATIVE Aut. n. S/SA0188/2008 valida dal 01/07/2008 - anno XLIV - n. 3 - settembre-dicembre 2011
GLOBALIZZAZIONE
Una rivoluzione economica
e antropologica
BRIC
L’opinione di
Rosario Alessandrello
11 SETTEMBRE
Un decennio dopo
BRASILE,
BRASILE, RUSSIA,
RUSSIA, INDIA,
INDIA, CINA
CINA
Nuovi protagonisti mondiali
Sommario
panorama
giovani
per i
n. 3, settembre-dicembre 2011
Il National 9/11
Memorial sorge
nel punto in cui
si trovavano le
Torri Gemelle e
ricorda le vittime
degli attentati
dell’11 settembre
(Foto: iStockphoto/
vivalapenler).
PANORAMA PER I GIOVANI
Nuovi protagonisti
28. The India Alliance
Un investimento di 80 milioni di sterline
per aiutare la ricerca scientifica.
di Ponnari Gottipati e Megha
4. Mutazione globale
La globalizzazione: standardizzazione di
culture e stili di vita, ma anche attese per
il futuro.
di Selene Favuzzi
30. Roma e Nuova Delhi a scuola di
cooperazione
Intervista all’on. Sandro Gozi, presidente
dell’Associazione Italia-India.
a cura di Gabriele Rosana
7. Il Brasile, grande attore sulla piazza
globale
Il paese si prepara ai grandi eventi dei
prossimi anni: Giornata mondiale della
gioventù, Campionati mondiali di calcio e
Olimpiadi.
di Serena Berenato e Martina Ratto
32. Spazio al Brasile!
Dal 1994 il paese sudamericano ha
investito nella ricerca spaziale e ora
stanno arrivando i frutti.
di Saverio Cambioni
3. Editoriale
di Stefano Semplici
11. La veste economica della
globalizzazione
Gli aspetti economici di una grande
trasformazione.
di Giovanni Liberatoscioli e Ruggero Pileri
13. Red finance
La Cina gioca ormai un ruolo centrale
nell’economia mondiale. Quali sono gli
effetti su Europa e Stati Uniti?
di Fabrizio Core e Aleksandra Arsova
16. I mutati scenari della politica
internazionale
L’ascesa dei Bric, i nuovi assetti
geopolitici e il Consiglio di sicurezza
dell’Onu.
di Nicola Galvani ed Elena Martini
20. La Russia di Putin alla prova del
futuro
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica e
l’epoca di Eltsin, Vladimir Putin ha dato la
sua impronta al paese.
di Giovanni Benvenuto
22. Sovrappopolazione e risorse
Nel 2050 la Terra avrà 9 miliardi di
abitanti. Malthus aveva torto, ma come
dobbiamo prepararci?
di Sara Centola e Viviana Spotorno
25. Verso un unico modello sanitario
L’India fra promesse, prospettive e sfide.
di Gianmarco Lugli
34. L’inglese come lingua globale
Le ragioni e le prospettive di una lingua franca.
di Valentina Pudano
35. Il mercato globale
Considerazioni sui Bric di Rosario
Alessandrello, Presidente del Gruppo
Lombardo dei Cavalieri del Lavoro.
di Rosario Alessandrello
Primo Piano
40. 9/11. Un decennio che non può
essere ignorato
Dieci anni fa l’attentato alle Torri Gemelle.
di Davide Brambilla
Periodico della Federazione Nazionale
dei Cavalieri del Lavoro - Roma
Anno XLIV - n. 3 - settembre-dicembre 2011
Direttore responsabile
Mario Sarcinelli
Direttore editoriale
Stefano Semplici
Segretario di redazione
Piero Polidoro
Redazione: Carmelo Di Natale, Selene
Favuzzi, Elisa Giacalone, Nicola Lattanzi,
Claudia Macaluso, Francesca Parlati,
Gabriele Rosana, Donato Andrea
Sambugaro, Sara Simone, Andrea
Traficante.
Direzione: presso il Collegio Universitario
“Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 00173 Roma, tel. 0672.971.322 - fax
0672.971.326
Internet: www.collegiocavalieri.it
E-mail: [email protected]
Agli autori spetta la responsabilità degli
articoli, alla direzione l’orientamento scientifico e culturale della Rivista. Né gli uni, né
l’altra impegnano la Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro.
Potete leggere tutti gli articoli della rivista
sul sito: www.collegiocavalieri.it
42. La globalizzazione delle sette note
Le contaminazioni fra tradizioni musicali
diverse hanno creato nuovi generi.
di Livio Ghilardi
44. L’India in mostra: Indian Highway
Un’esposizione al Maxxi di Roma
dedicata alla nuova arte indiana.
di Francesca Parlati
46. Il soft power di Bollywood
La più grande industria cinematografica
del mondo? È in India!
di Selene Favuzzi
Dal Collegio
48. Incontri
L’inaugurazione dell’anno accademico
2011/2012 e gli altri incontri.
Autorizzazione:
Tribunale di Roma n. 361/2008 del
13/10/2008.
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Per commenti o per contattare gli autori degli
articoli, potete inviare una e-mail all’indirizzo:
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panorama
per i giovani
Collegio Universitario “Lamaro Pozzani” - Via Saredo 74 - Roma - Quadrimestrale - Tariffa R.O.C.: “Poste italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 N° 46) art. 1 comma 1, DCB Modena” - anno XLII - n. 3 - settembre-dicembre 2009
ECONOMIA
Il mercato
elettrico
in Italia
ECOLOGIA
Cosa fare per
consumare meno
MARCONI
L’inventore
imprenditore
AMBIENTE
AMBIENTE
Energia da risparmiare
panorama
per i giovani
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INTERVISTE
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puoi leggere e scaricare tutti i numeri e gli articoli
di Panorama per i giovani
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Editoriale
L
e litanie della globalizzazione si sono ormai imposte stanno producendo. Forse, alla resa dei conti, non è neppure in
come il mantra della politica, dell’economia e della discussione la consapevolezza che, pur fra tante contraddizioni,
cultura del nostro tempo. Non tutti gli studiosi condi- questa dinamica è un potenziale motore di riscatto proprio per i
vidono in realtà questa semplificazione. David Held e continenti e i popoli più sfortunati. E vale allora la pena di metAnthony McGrew, nel loro volume su Globalismo e antigloba- tere alla prova questa tesi proprio in un momento come quello
lismo, riassumono in tre punti la posizione degli scettici che si che stiamo vivendo, di fronte alle faglie di disuguaglianza ultesono allineati a una battuta del premio Nobel per l’economia Jo- riormente approfondite dalla crisi finanziaria e alle tante declinaseph Stiglitz, secondo il quale “la globalizzazione oggi è stata zioni della logica – non sempre e non necessariamente espressa
troppo gonfiata”. L’esagerazione riguarderebbe prima di tutto il dalla forza militare – dell’antico adagio per il quale, almeno sulla
valore descrittivo di questa idea-guida: concetti come quelli di scena internazionale, might is right e non c’è altro da aggiungeinternazionalizzazione o regionalizzazione sarebbero per molti re. Può e deve esserci altro, appunto perché la globalizzazione
più adeguati a cogliere le tendenze dominanti sui mercati e la può e deve funzionare.
stessa insistenza sulla novità “epocale” del fenomeno sarebbe
Abbiamo scelto di parlare di globalizzazione parlando dei paridimensionata dalla rivisitazione di quanto già accaduto in al- esi Bric. Perché sono passati dieci anni da quando questo acronitri periodi storici. Anche sotto il profilo esplicativo la cosiddetta mo è stato introdotto per sottolineare il ruolo crescente di Brasile,
“svolta globalistica” potrebbe essere alla resa dei conti una for- Russia, India e Cina (e un anno da quando il gruppo è diventato
zatura: è la logica espansionistica delle società capitaliste la vera Brics, con l’aggiunta del Sudafrica). Ma anche e soprattutto percausa delle trasformazioni in atto e rispetto a essa le parole e le ché ci sembra il modo più efficace per richiamare una duplice
figure della globalizzazione dovrebbero essere considerate come consapevolezza. La prima è quella che la fine degli Stati e della
una sorta di ridondanza epifenomenica. In termini di progetto loro sovranità è lontana e che tuttavia la cornice istituzionale delpolitico, infine, si dovrebbe parlare di un’idea
le relazioni internazionali uscita dalla Seconda
finora smentita alla prova dei fatti: gli Stati
guerra mondiale è ormai irrimediabilmente lorimangono i protagonisti indiscussi delle rela- L’alternativa
gora. Non si tratta semplicemente di stabilire
zioni e dei rapporti di forza fra i popoli, anche al bipolarismo
se Brasile e India hanno il diritto di affiancarsi
se la loro sovranità risulta qua e là erosa da della guerra fredda
a Giappone e Germania nella pretesa di un segtentativi di integrazione come quello in atto da
gio permanente nel Consiglio di sicurezza delè una condivisione
ormai mezzo secolo in Europa.
la Nazioni Unite. Si tratta di prendere atto che
È difficile, tuttavia, negare che qualcosa di policentrica
l’alternativa al bipolarismo della guerra fredda
radicalmente nuovo stia accadendo. Il sociolo- della responsabilità
va cercata nella direzione di una condivisione
go Ulrich Beck, pur riconoscendo l’importan- (del potere) della
policentrica della responsabilità (del potere)
za dello sguardo economico sul mercato e di politica.
della politica, liberandosi una volta per tutte
quello politico sulle nuove dinamiche transnadalla pigrizia interessata che ha fatto di una
zionali, preferisce parlare di una dimensione
contingenza storica, per quanto importante,
di globalità, nella quale questi fattori si sovrappongono ad altri una sorta di armatura eterna della storia. Usare la lente d’ingranvettori di legame fra loro sempre più variamente intrecciati: la dimento dei Bric per cercare di capire come stanno cambiando a
rivoluzione delle tecnologie dell’informazione; l’impegno per i livello mondiale i linguaggi e le pratiche della politica, dell’ecodiritti umani, anche da parte di organizzazioni non governative nomia, della cultura, del rispetto dei diritti universali dell’uomo
che rendono progressivamente meno astratta l’ipotesi di una so- è però anche un modo per capire come alla pluralità dei protagocietà civile post-nazionale; i flussi di musica, immagini e model- nisti corrisponda necessariamente una pluralità di strategie e di
li di vita diffusi dall’industria culturale; le sfide della povertà e priorità. Siamo di fronte a sfide che si declinano nella concretezza
dello sviluppo sostenibile, che pongono rischi, a partire da quelli di diverse condizioni, tradizioni, modelli di sviluppo. Per queambientali, che non possono essere vinte con lo sforzo solo di sto abbiamo puntato a evidenziare, fra le molte possibili, alcune
alcuni Stati. La Conferenza sul clima di Durban si è conclusa questioni specifiche cruciali per ciascun paese. Non siamo e non
l’11 dicembre con l’impegno a un accordo appunto globale entro diventeremo uguali. Possiamo però imparare a convivere meglio
il 2015, perché ciò che non vale per tutti e con il consenso di tutti e in modo più giusto. Può darsi che gli italiani abbiano bisogno
rischia in questo caso di essere semplicemente inutile. Lo stesso più di altri di essere richiamati al dovere del rigore. La globalizzaStiglitz ha pubblicato nel 2006 un volume su La globalizzazio- zione ci impegna a sottolineare – non a dimenticare – che crescita
ne che funziona e, dunque, c’è. Non sono allora in discussione ed equità, cioè sviluppo, sono un diritto per tutti.
l’estensione, la qualità e il carattere duraturo degli effetti che si
Stefano Semplici
panorama per i giovani
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Mutazione globale
Not only is globalisation a standardisation of cultures and ways of
living... but it involves a deep change in perspectives and expectations
for all humankind. Borders and barriers crumble in this “liquid
modernity” – the result is a new society. An uncontrolled broadening of
the gap between upper and lower social classes is one of the main risks
of globalisation, along with the loss of a previously shared and common
set of values or means of legitimacy. A look into the topic, through
lenses of philosophical and sociological analysis, is warranted.
di Selene Favuzzi
Tentare di definire in termini precisi e
indiscutibili la globalizzazione sarebbe
ti malleabili e versatili della filosofia
che ci si può avvicinare all’argomento,
senza pretese di
verità assoluta e
La globalizzazione ha rovesciato
con l’umiltà del
le categorie della modernità:
dubbio. Delimil’ordine politico, la razionalità, il
tare le dimensioni d’un oggetto
senso di uno spazio.
di studio che nacome cercare di rappresentare il globo sce senza barriere d’alcuna sorta (tanto
terrestre sulla superficie piana di una da essere incapace di percepire o addicarta geografica. È allora col linguag- rittura concepire un limite) è una sfida
gio della sociologia e con gli strumen- affascinante per il pensiero umano. Il
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n. 3, settembre-dicembre 2011
fenomeno è di grande complessità e
investe quasi tutte le sfere dell’agire
umano: dalla cultura, al diritto, alla
politica; dall’economia all’antropologia. Gli orizzonti sono cangianti come
i colori d’un caleidoscopio e sfuggenti
come acqua fra le dita di chi cerchi di
afferrare il volatile termine modernità.
Non a caso Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco che vi ha a lungo
riflettuto, per parlare del nostro tempo
ha scritto di modernità liquida. La miriade di gocce che compone l’umanità
è in perenne ricerca d’una forma, un
contenitore cui adattarsi, affidare la
vita e ricevere in cambio una parvenza di stabilità; in cui riconoscersi come
gruppo. L’attanagliante sensazione di
vuoto dell’uomo moderno è suscitata
dal suo essersi trasformato in Homo
consumens: il passaggio da produttore
a instancabile consumatore, uno che
compra per sentirsi parte della modernità.
Una galassia di pensiero dal grande
spessore filosofico si è riversata sulla
globalizzazione, approfondendo oltre
ogni limite una tematica che per mol-
Foto: iStockphoto/exi5
Nuovi protagonisti
Nuovi protagonisti
ti rimane superficialmente confinata
a stereotipi e banalità. L’immaginario
collettivo, infatti, spesso la associa
solo alla diffusione del modo di vita
occidentale o alle logiche di profitto
e ai marchi delle multinazionali. Essa
incarna invece un processo, tuttora in
atto, di mutazione antropologica, sociale e culturale. È un cambiamento
di aspettative, valori, orizzonti cognitivi; di coscienza e percezione della
realtà. Un nuovo Lebenswelt (mondo
della vita). Bauman, Habermas, Beck,
Harvey, Augé, Ritzer, Robertson, Giddens… sono solo alcuni dei nomi che
hanno provato a guardare nella sfera
nebulosa e incerta dei nostri giorni.
Bisogna abbandonare ogni linearità
di pensiero per accostarsi al multiverso instabile in cui siamo immersi. La
globalizzazione pare, infatti, aver rovesciato l’insieme delle categorie classiche prodotte dalla modernità: l’ordine politico, una razionalità dominante,
il preciso senso dello spazio incarnato
in un territorio. Il sociologo tedesco
Ulrich Beck, nel suo libro Che cos’è
la globalizzazione? Rischi e prospet-
tive della società planetaria (Carocci, categorie tradizionali di spazio e temRoma 1999, pagg. 130), ha scritto che po risultano sconvolte, nell’epoca dei
essa è una “evidente perdita di confi- voli transcontinentali e delle e-mail. Il
ni dell’agire quotidiano nelle diverse sistema economico ha “ucciso” le didimensioni dell’economia, dell’infor- stanze. I capitali sono smaterializzati
mazione, dell’ecologia, della tecnica, e svincolati da un luogo fisico; il condei conflitti transculturali e della so- trollo sui loro movimenti sempre più
cietà civile, cioè, in fondo qualcosa di rapidi e convulsi sfugge agli strumenti
familiare e nello stesso tempo incon- di razionalizzazione dei singoli Stacepibile, difficile da afferrare, ma che ti. Tutto accade simultaneamente e la
trasforma radicalmente la vita quoti- rete cattura le notizie ancor prima dei
diana, con una forza ben percepibile, servizi d’informazione. Notte e giorno
costringendo tutti ad adeguarsi, a tro- sono attraversati da un flusso continuo
e senza fine di informazioni, preziosa
vare risposte”.
L’individuo nella società globale merce dei nostri giorni. Lo spazio disi sente sperso, frammentato, sosti- sponibile è ormai quasi del tutto satutuibile, marginale: problemi globali, rato e l’altrove, da sempre propellente
irrisolvibili coi
tradizionali struNei nonluoghi lo spazio è
menti locali, urorientato al consumo o al
gono soluzioni
passaggio rapido di individualità
che non possono
essere rinviate.
che vengono azzerate.
Le
operazioni
finanziarie, ad esempio, sono inserite per le fantasie, i desideri e i fondativi
in un quadro normativo in cui, essendo miti di scoperta dell’uomo, è scomparassente un diritto globale, vigono so- so, indicizzato nei numeri d’un algoritlamente sistemi giuridici nazionali. Le mo su Google Maps.
panorama per i giovani
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Nuovi protagonisti
rifugio nella de- biamento, in balia di scelte altrui (reriva dell’identità, ietti, avrebbe scritto Verga, lasciati
abbonda di ter- sulla riva dalla fiumana del progresmini quali “co- so). È possibile trovare un punto di
munità”,
“con- equilibrio fra due masse che scorrotatti”,
“pubbli- no a velocità differenti e con diverse
ca”, “condividi”, densità?
Le possibilità, che gli orizzonti
“amici”.
Le disugua- forse senza barriere della globalizzaglianze fra i red- zione pongono all’umanità, non sono
diti e le condizioni di vita non sono però da sottovalutare: nuovi spazi di
diminuite, mentre si è venuta sem- convivenza e confronto politico e una
pre più chiaramente delineando una maggiore libertà d’informazione… per
stratificazione sociale planetaria, che una società civile solidale, cosmopolivede contrapposta una classe
L’odierna caduta degli ordini
alta globalizzasociali, dei valori condivisi e degli
ta, che può coorizzonti fisici ricorda la mutazione
gliere a piene
mani le enorantropologica del 1600.
mi potenzialità
date dall’abbattimento dei confini ta e dall’alto potere emancipativo, che
geografici, a una classe sociale bas- trasformi la “comunanza di destino” in
sa estremamente localizzata, che si saldi valori condivisi, fondativi d’una
ritrova esclusa spettatrice del cam- società nuova.
Glocal (agg. e s.m. e f. inv.) “Che opera per la tutela e la valorizzazione
di identità, tradizioni e realtà locali, pur all’interno dell’orizzonte della
globalizzazione” (Dizionario Hoepli). Il motto di chi agisce seguendo i
dettami del glocale è “think globally, act locally” (pensa in modo globale,
agisci in modo locale), per integrare le culture con una politica di nonviolenza. Il glocal è una patina unificante, distesa e modellata volta per
volta sulle irregolarità d’un sottosuolo diversificato; una strategia – uno
schermo che interfaccia due realtà altrimenti inavvicinabili.
In una società liquida le scosse si
trasmettono rapide come un’onda di
tsunami. La leva della paura è infatti
una delle più potenti per muovere le
masse, essendosi “smaterializzato” il
senso di sicurezza personale. Beck parla del rischio come “comunanza di destino” e Bauman sostiene che la paura
sia ormai divenuta “paura secondaria”:
una condizione di smarrimento permanente, angoscia freudiana senza oggetto, uno stato di allerta ontologico; una
crisi di fiducia che arriva paradossalmente nel momento in cui il livello di
benessere materiale è al massimo storico nel mondo occidentale, e non solo.
L’odierna caduta degli ordini sociali,
dei valori condivisi e degli orizzonti
fisici ricorda quella della mutazione
antropologica dovuta al crollo di certezze del 1600. La linea di demarcazione fra pubblico e privato si assottiglia
sempre più lungo le pagine aperte dei
social network e l’identificazione di sé
si complica con l’aggiunta del proprio
alter ego virtuale di un mondo avatar.
L’etnologo francese Marc Augé
ha definito i nonluoghi, in contrapposizione ai luoghi antropologici,
come spazi che non sono identitari,
relazionali o storici; ma necessari
alla circolazione accelerata di beni o
persone in un mondo che gira sempre più veloce. Ne sono esempi aeroporti, autostrade, stazioni, ma anche
centri commerciali o campi profughi.
Nei nonluoghi lo spazio è orientato
al consumo o comunque al passaggio
rapido e vuoto d’individualità che
vengono azzerate, transitando in continuo senza mai entrare in relazione.
A questa perdita di potere relazionale
(fondativo dell’agire umano), si contrappone una forte richiesta, talvolta
violenta, di appartenenza a una comunità etnica, religiosa o culturale che
sia. Non a caso il lessico dei social
network, ponendosi come inaspettato
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n. 3, settembre-dicembre 2011
La globalizzazione in libreria
Anche se il lemma
globalizzazione risulta in
uso già dal lontano 1944,
il primo a utilizzarlo con
coerenza è stato l’illustre
economista statunitense
e accademico del
marketing Theodore
Levitt – coordinatore
dell’Harvard Business
Review – nell’articolo
“The globalization of
markets” nel numero
di maggio/giugno 1983
della rivista. Sin d’allora
il termine ha goduto
d’una fama sempre più
vasta, diffondendosi nella
società di massa sino
a divenire parola d’uso
comune.
L’Ocse (Organizzazione
per la Cooperazione
e lo Sviluppo
Economico) definisce
la globalizzazione “un
processo attraverso
il quale mercati e
produzione nei diversi
paesi diventano sempre
più interdipendenti, in virtù
dello scambio di beni e
servizi e del movimento di
capitale e tecnologia”.
Per avere una rapida
idea complessiva del
fenomeno sarebbe utile
leggere Globalizzazione.
Una mappa dei problemi
di Danilo Zolo (Laterza,
2004), testo che tratta
le varie interpretazioni
del fenomeno,
accompagnandole con
una valutazione critica
e partendo dall’assunto
fondamentale che
“nessuna teoria della
globalizzazione ha
acquisito un’autorevolezza
indiscussa”. Altri
testi fondamentali
per approfondire la
tematica sono Dentro
la globalizzazione. Le
conseguenze sulle
persone di Zygmunt
Bauman (Laterza, 1999),
che ruota attorno allo
spaesamento prodotto
dal crollo di certezze e
valori condivisi nell’uomo
moderno; Globalizzazione
e libertà, nove brevi
interventi sul tema
del premio Nobel per
l’economia Amartya
Sen (Mondadori, 2002);
Globalizzazione: un
mondo migliore di Jesus
Villagrasa (Logos, 2003),
che affronta gli aspetti
e le conseguenze della
globalizzazione nel
mondo dell’economia;
L’occidentalizzazione
del mondo. Saggio sul
significato, la portata e i
limiti dell’uniformazione
planetaria (Bollati
Boringhieri, 2002), in
cui Serge Latouche
analizza responsabilità e
prospettive dell’Occidente
in un mondo sempre
più privo di frontiere;
Globalizzazione contro
democrazia di Antonio
Baldassarre (Laterza,
2002), che si chiede se
sia possibile un demos
globale; I rischi della
libertà (il Mulino, 2000),
una sorta di appendice di
Ulrich Beck al suo libro La
società del rischio.
Foto: iStockphoto/josemoraes
Nuovi protagonisti
Il Brasile, grande attore
sulla piazza globale
The XXVIII edition of the World Youth Day, the FIFA World Cup and
the Olympic Games: these are the events assuring Brazil the world-stage
limelight over the next five years. Spotlights will show how the Country
is fast developing as regards the economy and democracy, trying to
reconcile progress with lasting social disease.
di Serena Berenato e Martina Ratto
Nello scenario di un’emergente città globale, è il Brasile a essersi imposto come
il mattatore di un’agorà che, da virtuale,
diventerà più che mai reale nel prossimo
quinquennio. La Giornata mondiale della
gioventù, i Campionati mondiali di calcio
e le Olimpiadi sono gli eventi che si susse-
trinseca portata mondiale, ma perché rappresenteranno per un paese in pieno sviluppo, che ha accettato prontamente e con
orgoglio la sfida dell’accoglienza e della
mobilitazione, la possibilità di mettersi in
mostra davanti a un pubblico che guarda
con interesse e curiosità a questo debutto.
La Chiesa cattolica
brasiliana,
La piaga della povertà,
che può vantare
dell’analfabetismo e della
tra i suoi fedeli il
criminalità organizzata affligge
67% della popolazione, ha colto al
soprattutto i giovani.
volo l’opportunità
guiranno sul suolo brasiliano a un ritmo in- di un incontro più spirituale e focalizzato
calzante (2013, 2014, 2016) e promettono con i giovani. I protagonisti della XXVIII
di dare spettacolo. Non solo per la loro in- Gmg sono chiamati allo spirito missiona-
La città di San Paolo è la più grande del
Brasile e, con la sua area metropolitana,
conta quasi 20 milioni di abitanti.
rio e solidale, a entrare in contatto con i
loro coetanei più sfortunati che, come tengono a sottolineare i prelati sud-americani,
avranno l’opportunità di vedere il mondo a
casa loro. Non bisogna dimenticare, infatti,
che il Brasile presenta un variegato contesto sociale, caratterizzato da una fortemente diseguale distribuzione della ricchezza,
che ben si esplicita nella coesistenza di una
vigorosa crescita economica e del degrado
ancora rappresentato dalle favelas.
A fronte di un Pil ormai all’altezza di
quello delle grandi potenze economiche, il
Brasile sopporta ancora il peso di oltre 700
favelas nella sola Rio de Janeiro. Sono le
abitazioni nelle quali vive un quinto della
popolazione di Rio, con meno di 100 dollari al mese e poche prospettive per il futuro. La piaga della povertà, dell’analfabetismo e della criminalità organizzata, che
trova nel degrado e nell’ignoranza gli alleati migliori, affligge soprattutto i giovani.
Essi sono posti al centro di una campagna
di evangelizzazione della chiesa brasiliana,
che promette loro attenzioni e opportunità
di scambi culturali, così come strategie di
recupero che passano anche per interventi
sociali ad ampio raggio in quelle che vengono adesso chiamate “comunità”.
panorama per i giovani
•
7
La risorsa agricoltura
mento del Sud America unico nella storia
delle Olimpiadi. All’immagine di un Brasile
che racchiude i cinque cerchi olimpici nella
sua popolazione ed è, quindi, naturalmente
predisposto all’accoglienza di eventi mondiali, si è affiancata la certezza offerta da un
paese che è tra le prime 10 economie mondiali e che sfrutterà gli eventi sportivi come
opportunità per migliorarsi.
Rinnovato interesse per l’assegnazione del Campionato mondiale si è avuto in
seguito all’elezione di Dilma Rousseff alla
presidenza, producendo non poche tensioni tra la Fifa e il paese ospitante per le
competenze di gestione dell’evento. In occasione del sorteggio preliminare dei modiali, a Rio de Janeiro nel giugno scorso,
Dilma Roussef nel suo discorso in qualità
di anfitrione aveva chiarito che il governo
brasiliano non intende essere un semplice
esecutore delle richieste e delle esigenze
della Fifa e del Comitato organizzatore
locale. Data la reticenza del governo di
Brasilia di derogare leggi quali il
Secondo le stime, oltre venti
di consumiliardi di euro verranno investiti divieto
mare alcolici sugli
per le strutture dei Mondiali di
spalti e la riduzione del 50% del
calcio e delle Olimpiadi.
prezzo dei biglietcomitato del Cio a scegliere Rio tra una rosa ti per studenti e anziani in occasione dei
di candidature importanti (Chicago, Madrid Mondiali, i rapporti con la Fifa sono tesi.
e Tokyo). Con i suoi sapienti discorsi ha L’organizzazione non intende rinunciare a
presentato al mondo una nazione impazien- un’ingente fetta di fatturato e ha pertanto
te di mostrare le sue potenzialità, puntando cassato anche l’originale proposta del Braanche sulla suggestione di un coinvolgi- sile di offrire biglietti scontati a chi avesse
8
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
Sopra e nella pagina seguente: le spiagge e
le favelas di Rio de Janeiro illustrano bene
le contraddizioni del Brasile di oggi.
riconsegnato un’arma da fuoco. È comunque significativo il profondo sforzo che
il governo brasiliano sta compiendo per
modellare l’evento alla dimensione sociale
del paese, a testimonianza dell’endogeno
interesse da cui è motivato. La speranza
rimane comunque nell’incessante lavoro
diplomatico che tiene impegnati governo
di Brasilia e presidenza della Fifa, per appianare le divergenze venutesi a creare.
Si stima che saranno oltre 20 i miliardi
di euro che verranno investiti per la creazione o l’ammodernamento delle strutture
in vista della XX edizione del Mondiale
di calcio, mentre Rio de Janeiro, che ospiterà i giochi olimpici, avrà a disposizione
13 miliardi. Dilma Rousseff, la presidente
che raccoglie l’eredità di Lula, può comunque contare su investimenti ancora
più consistenti a opera di aziende pubbliche e private, fra le quali ve ne sono anche
di italiane. I fondi non saranno destinati
esclusivamente alla costruzione di stadi,
sebbene questi rappresentino il grande
fermento che anima il Brasile, ma anche
all’ampliamento e alla modernizzazione
dei porti, degli aeroporti e delle attrezzature urbane, con l’inclusione di importanti
opere nei settori dei trasporti, del turismo,
delle comunicazioni e dell’energia. Una
vera, qualificata convergenza di azioni
settoriali, intesa a incrementare il vertigi-
Foto: iStockphoto (celsopupo; luoman)
Per le migliaia di giovani e di accompagnatori che si sono già mobilitati in preparazione del grande evento, la specificità
della Giornata mondiale della gioventù
2013 risiederà anche nella possibilità di
entrare in contatto con una popolazione
la cui composizione richiama da vicino
il melting pot americano, caratterizzato,
come i brasiliani orgogliosamente sottolineano, da un elevato grado di integrazione e rispetto tra le diverse etnie.
L’entusiasmo e l’attesa per l’evento non
sono solo dei giovani che hanno già accolto
la Croce e l’icona di Maria, simboli della
Gmg, a San Paolo, prima tappa di un lungo pellegrinaggio che coinvolgerà oltre 200
diocesi sudamericane. Le autorità governative hanno assicurato sostegno e partecipazione, anche se il loro coinvolgimento sarà
certo maggiore nell’organizzazione delle
manifestazioni sportive. Notevole impegno
era già stato profuso dal presidente Lula, il
quale non si è risparmiato nel convincere il
La risorsa agricoltura
noso sviluppo che interessa il Brasile sin
dal 1994, anno in cui, con il “Piano Real”,
fu avviato un processo di stabilizzazione
dell’economia.
All’arrivo dei fondi si affiancherà, per
la grande attenzione mediatica puntata sugli eventi, un puntuale controllo sul loro
impiego, così da garantire alla giovane
democrazia brasiliana la possibilità reale
di investire nella costruzione delle infrastrutture di cui al momento essa è carente:
il governo ha in mente di realizzare entro
il 2014 un collegamento ferroviario ad alta
velocità tra San Paolo e Rio de Janeiro.
Il prezzo di questi ammodernamenti
non è, tuttavia, esclusivamente economico:
centinaia di famiglie delle zone più povere
hanno subito sgomberi forzati per lasciare spazio a infrastrutture destinate a ospitare le Olimpiadi del 2016. Nonostante le
autorità di Rio de Janeiro sostengano che
tutte le famiglie hanno ricevuto un risarcimento appropriato per la perdita delle loro
abitazioni, le organizzazioni locali e internazionali e lo stesso Ufficio del difensore
pubblico di Rio sono di opposto parere. Il
successo delle manifestazioni sportive rischia così di compromettere il futuro già
precario della parte meno tutelata della popolazione, mettendo in dubbio il beneficio
che può derivare dalla loro realizzazione.
Lo sport è sempre stato un’espressione precipua dello spirito brasiliano: basti
pensare alla lunga e gloriosa tradizione
calcistica, che ha avuto l’apporto di grandi talenti e può vantare fantastici successi.
In questo caso, però, il valore degli eventi
sportivi supera l’aspetto ludico: il Brasile
si esibirà sulla piazza globale, e dovrà farlo mettendo in luce i propri aspetti migliori e colmando le lacune di un paese ancora
in corsa verso la modernità.
La popolazione brasiliana, nel suo complesso, guarda con aspettativa, curiosità e
favore al susseguirsi di Gmg, Mondiali di
calcio e Olimpiadi, eventi che, insieme ai
concerti, sembrano ormai rimasti gli unici
capaci di muovere e coinvolgere senza riserve folle di giovani. L’entusiasmo per lo
sport e per la fede (il tifo per la nazionale
brasiliana e le allegre messe ricche di suoni e danze sono denominatori comuni di un
modo d’essere e d’intendere la vita) si rivelano sollecitazioni irresistibili per lo spirito
del pubblico brasiliano, che, certamente,
offrirà uno spettacolo in cui si esprimerà
ancora una volta la gioia di vivere... Nonostante le favelas e i ninhos de rua.
panorama per i giovani
•
9
La veste economica
della globalizzazione
The structure of the world economic system has been radically changed
by the second wave of globalisation: it has knocked down barriers to
world trade and investment flows, while outsourcing and offshoring
have increasingly opened the way to the rise of emerging countries.
In order to analyse the progressive integration of national economies
across the world two indicators among others turn out to be particularly
suitable: global exports as percentage of world’s Gdp and Fdi flows.
di Giovanni Liberatoscioli e Ruggero Pileri
La globalizzazione è un fenomeno complesso e il sistema di relazioni internazionali che si è consolidato negli ultimi de-
lare su quelle commerciali stabilite dalle
imprese a livello globale, sulla flessibilità del sistema di produzione interno alle
aziende e sull’insieme di flussi
La delocalizzazione consiste
finanziari che la
nel trasferimento di segmenti di
globalizzazione
produzione di beni o di servizi
ha sviluppato.
all’estero.
Secondo l’analisi svolta da R.
cenni interessa una moltitudine di aspetti Baldwin e P. Martin nell’opera Two wadella società. Ci soffermeremo su quello ves of globalisation si possono identificadelle relazioni economiche e in partico- re due diverse fasi di questo processo: la
10
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
prima, tra il 1870 e il 1914, fu inaugurata
dalla politica di libero commercio adottata
dall’Inghilterra e alimentata dalle innovazioni tecnologiche nel settore dei trasporti;
la seconda affonda le sue radici nella costituzione del nuovo ordinamento politico
globale a seguito della conclusione della
Seconda guerra mondiale. Il premio Nobel
per l’economia Paul Krugman condivide
questa classificazione, riferendo che tra
il 1850 e il 1913 le esportazioni mondiali di merci crebbero dal 5 al 12% del Pil
mondiale, per poi contrarsi nel periodo dei
conflitti (7% nel 1950) e infine ricominciare a crescere, attestandosi al 17% nei
primi anni Novanta del secolo scorso. In
entrambe le “ondate” di globalizzazione,
come le definiscono Baldwin e Martin,
il progresso tecnologico è considerato un
elemento chiave nell’andamento dei flussi
commerciali; tuttavia, secondo lo stesso
Krugman, l’importanza del ruolo della
tecnologia non si legge tanto nel volume del commercio quanto nell’emergere
di nuovi modelli del commercio stesso,
come la dispersione geografica delle fasi
di un processo produttivo e la possibilità
di realizzare un coordinamento tra di esse.
L’affermazione dell’economista statunitense si riferisce in particolar modo ai
Foto: iStockphoto (skegbydave; EdStock)
Nuovi protagonisti
Nuovi protagonisti
processi di outsourcing e delocalizzazione che le aziende più dinamiche a livello
globale hanno messo in atto negli ultimi
decenni. Il primo processo consiste nella stabile assegnazione a fornitori esterni della gestione di una o più funzioni o
attività in precedenza svolte all’interno;
questa esternalizzazione è stata largamente favorita dalla rivoluzione dei sistemi di
comunicazione e dalla crescente integrazione tra imprese operanti anche a grande
distanza tra loro. Le scelte di outsourcing
possono essere motivate dallo sfruttamento di differenziali di costo, dall’esigenza
di far fronte a una capacità produttiva
dell’azienda insufficiente oppure da una
scelta di trasferire all’esterno fasi di produzione caratterizzate da bassa complessità. L’altro aspetto rilevante del cambiamento avvenuto nel mondo dell’impresa,
che ha cambiato il sistema di relazioni
internazionali, è la delocalizzazione.
Questo fenomeno è in parte collegato
all’outsourcing, poiché consiste nel trasferimento di segmenti della produzione
(di beni o di servizi) all’estero, in modo
da sfruttare le condizioni più favorevoli
presenti in altri paesi. Un esempio tipico
riguarda le imprese industriali che cercano manodopera a basso costo nelle realtà
dell’Europa dell’Est oppure dell’Estremo
Oriente. Le due strategie non devono tuttavia essere confuse. Ai fini della delocalizzazione di processi produttivi, un’impresa non necessariamente deve ricorrere
all’outsourcing: essa, specialmente quando è caratterizzata da dimensioni mediograndi, può decidere anche di aprire una
propria filiale nello Stato che le offre
condizioni migliori. Il processo di delocalizzazione rientra tra le possibili modalità
attraverso le quali un’impresa sceglie di
internazionalizzarsi e nella pratica può
avere la forma di joint venture, accordi di
subfornitura, investimenti diretti all’estero (sui quali torneremo fra poco).
La conseguenza ormai chiaramente visibile di questi fenomeni è la creazione di
reti produttive internazionali. A queste ultime prendono parte anche quei paesi che in
passato erano rimasti al margine della globalizzazione e che oggi sono detti “emergenti”: è il caso, ad esempio, di Messico,
Turchia, Corea del Sud, Sudafrica, Brasile,
Russia, India, Cina; gli ultimi quattro, in
particolare, indicati con l’acronimo Bric
(Brics, dopo l’inclusione del Sudafrica),
hanno già dimostrato di avere dimensio-
ni, ritmi di crescita demografica, risorse Sopra: un manifestante durante una
e disponibilità di fattori produttivi tali da protesta contro il Wto a Hong Kong
nel 2005. Nella pagina precedente: la
poter influenzare gli equilibri economici e globalizzazione è strettamente legata
di potere mondiali. Due fra tutti, l’India e alla velocizzazione dei trasporti e delle
la Cina, ricoprono un ruolo di leadership comunicazioni su scala mondiale.
nel gruppo; la loro entrata in scena è stata
annunciata da un ventennio di sviluppo
Accanto alla dinamica produttiva e
impressionante culminato con la crisi del commerciale, un processo altrettanto rile2008, la quale ha messo in evidenza l’e- vante è quello della integrazione finanzialevata fragilità dei sistemi economici oc- ria globale. Per comprenderla è necessario
cidentali in confronto alla dinamicità dei esaminare l’insieme dei flussi internaziopaesi asiatici.
nali di capitale. Questi consistono essenLe trasformazioni subite dal contesto zialmente in investimenti diretti all’estero
del commercio internazionale dagli anni (Ide) e in investimenti di portafoglio.
Ottanta a oggi hanno indotto alcuni stuI primi seguono una logica di tipo indiosi a distinguere due momenti differen- dustriale: un’azienda decide di implementi nell’ultima ondata di globalizzazione, tare una strategia di lungo periodo effettanto da poter parlare di una terza globa- tuando un’operazione di acquisizione o di
lizzazione. A tal proposito, è interessante fusione con un’azienda estera. Obiettivo
l’analisi svolta dal professor Razeen Sally, dell’Ide è stabilire una relazione duratura
il quale evidenzia l’evoluzione dei modelli nel paese straniero attraverso l’influenza
economici di riferimento a livello globale: significativa sulla gestione di un’azienda
nel 1980 il 20% della popolazione viveva localizzara nel paese stesso.
in economie di libero mercato; oggi circa
Gli investimenti di portafoglio seguoil 90% della popolazione vive in sistemi no una logica completamente diversa: un
economici liberi o comunque ad alta re- soggetto decide di puntare sulla futura
muneratività dell’iniziativa privata; nel crescita di un’azienda, la cui sede è situacorso di questo
periodo di temOggi il 90% della popolazione
po si segnalano
vive in sistemi economici
l’istituzione del
liberi o ad alta remuneratività
Wto (World Tradell’iniziativa privata.
de Organisation,
l’Organizzazione
mondiale per il Commercio) nel 1994 e la ta in un altro Stato, e a tal fine acquista tiprogressiva liberalizzazione delle relazio- toli obbligazionari o azionari dell’azienda
ni economiche e commerciali.
stessa. È evidente come questo tipo d’in-
panorama per i giovani
•
11
Foto: iStockphoto/dan_prat
Nuovi protagonisti
vestimento abbia generalmente un orizzonte temporale molto limitato rispetto al
primo; allo stesso tempo non mira a esercitare una forma di controllo su un’impresa, poiché è motivato esclusivamente
dal ritorno economico che l’investimento
iniziale può generare.
Dagli inizi del XX secolo i flussi internazionali di capitale – e in particolare gli
Ide – hanno costituito un motore del processo di sviluppo di regioni economicamente arretrate, grazie alla loro capacità
di finanziare progetti ritenuti validi. Ciononostante, le regioni più avanzate sono
da sempre le principali fonti e allo stesso tempo i principali destinatari a livello
globale di tali flussi. È interessante notare
come i paesi in via di sviluppo, nel passato quasi esclusivamente aree di sbocco,
hanno aumentato in modo rilevante i loro
flussi in uscita negli ultimi venticinque
anni.
Focalizzando l’attenzione sugli investimenti diretti all’estero, l’evoluzione
seguita dal volume dei medesimi segue
da una parte il ciclo economico globale e
Sopra: una nave trasporta container carichi
di merci.
genti che offrivano interessanti opportunità (in particolare Cina, India, Brasile,
oltre a Hong Kong, Messico, Singapore),
allo stesso tempo alcune di queste realtà,
a partire appunto dalla Cina, ma anche
dal Brasile e dall’India, hanno intrapreso
un’imponente strategia d’investimenti, rivolta sia verso regioni in via di sviluppo
sia verso paesi industrialmente avanzati.
Spostando l’attenzione sugli investimenti di portafoglio, l’evoluzione che
tali flussi hanno avuto nel tempo segue in
gran parte l’andamento degli Ide. Tuttavia, a differenza di questi ultimi, gli investimenti di portafoglio presentano una
volatilità molto superiore. Ci sono state
due notevoli ondate di flussi di capitali in
entrata nei paesi in via di sviluppo. La prima, dal 1976 al 1981, è consistita essenzialmente in prestiti bancari. La seconda
(negli anni Novanta) è stata composta
principalmente da investimenti privati di
portafoglio ed è terminata con lo scoppio
delle crisi finanziarie in Asia e in Russia.
L’ultima fase di euforia finanziaria è stata
quella dal 2003 al 2007, nella quale gli investimenti internazionali hanno raggiunto livelli incredibili; basti pensare che,
secondo un’analisi svolta nel giugno del
2007 dall’Ocse (Organizzazione per la
cooperazione e lo sviluppo economico),
nel decennio 1995-2005 il rapporto tra
chiave nel processo di globalizzazione
poiché, pur non andando esenti da fiumi di
critiche sull’eticità del loro operato, hanno oggettivamente contribuito al processo
di diffusione delle tecnologie essenziali
nei paesi meno avanzati). Relativamente
alla classificazione di Baldwin e Martin,
citata in precedenza, si può in generale
affermare che il
periodo dal 1870
Nel decennio 1995-2005
al 1914 è stato doil rapporto tra movimenti
minato da flussi di
internazionali di capitali e Pil
Ide dai paesi più
sviluppati verso
mondiale è triplicato.
i paesi in via di
sviluppo; nel periodo successivo al 1950 movimenti internazionali di capitali e Pil
la maggior parte degli Ide ha avuto ori- mondiale è triplicato.
gine nei paesi industrializzati ma è stata
Gli eventi di natura economica avvediretta principalmente verso gli stessi pa- nuti negli ultimi quindici anni hanno poresi; infine, negli ultimi decenni, è tornata tato la comunità internazionale a rifletterilevante la quota di Ide in direzione dei re sulla necessità di un più alto livello di
paesi in via di sviluppo, fino ad arrivare responsabilità condivisa. L’attuale fase di
ad una situazione nella quale sono proprio globalizzazione finanziaria è infatti caratle nuove potenze terizzata da movimenti di capitale a semeconomiche a di- pre più breve termine, i quali hanno cauI flussi internazionali di capitale
ventare protago- sato, in determinati momenti, un’elevata
hanno costituito un motore
niste assolute sui instabilità nel sistema globale. Si invoca
per lo sviluppo di regioni
mercati.
un maggiore coordinamento, a livello inI Bric svolgo- ternazionale, riguardo alle normative che
economicamente arretrate.
no ormai un ruolo consentono di investire in paesi finanziadall’altra il susseguirsi di politiche di li- fondamentale nello scenario finanziario riamente “vantaggiosi” e che permettono,
beralizzazione riguardanti i flussi di capi- internazionale. Se da un lato un ingente più in generale, di trasferire ingenti flussi
tali e i margini di libertà delle multinazio- ammontare di capitali è stato diretto negli di risorse finanziarie da uno Stato all’alnali (queste ultime hanno svolto un ruolo ultimi decenni verso le economie emer- tro, ma è vox clamans in deserto.
12
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n. 3, settembre-dicembre 2011
Nuovi protagonisti
Red finance
Contemporary China is very different from that of twenty years ago.
Thus we are required to quit the idea of China as a peripheral reality
at the margin of the Western World and to accept a new point of view,
that of an emergent country playing an important role in the global
economy. How did such a process take place? How does this situation
affect the relationship between China and the other main economic
actors such as the US and the EU?
di Fabrizio Core e Aleksandra Arsova
ne fecero il maggior centro finanziario
dell’Oriente, nonché una raffinata città
di bordelli e fumerie. In seguito la città
divenne uno degli
emblemi di quelIl gigante asiatico è diventato
la che gli storici
chiamano l’“Ea tutti gli effetti un investitore
stetica del Tralicinternazionale e il suo ruolo è
un ingarbucresciuto con la crisi economica. cio”,
gliato ammasso
di fabbriche e
americani e inglesi, approfittando del- centrali elettriche. Ai giorni nostri la città
la sua condizione di extraterritorialità, si presenta come il centro del capitalismo
Foto: iStockphot/cuiphoto
Shanghai è storicamente la città simbolo
della Cina nell’immaginario degli occidentali. Nella prima metà del XX secolo
cinese, con il suo futuristico skyline griffato dai più importanti archistar di fama
mondiale. Nessuna città meglio di Shanghai può rappresentare dunque il passato,
il presente e il futuro della Cina, un paese
ormai saldamente entrato nell’empireo
delle superpotenze economiche.
Il gigante asiatico ha posto le basi della sua crescita su sistematici e cospicui
avanzi della bilancia commerciale (esportando più di quanto non importi). Questi
surplus sono sempre stati conseguiti prestandosi a ricoprire il ruolo di manifattura a buon mercato delle grandi industrie
occidentali – il più grande opificio a cielo
aperto del mondo – eseguendo la copia
dei loro prodotti o ricorrendo direttamente alla loro contraffazione. Ci sono però
alcuni segnali che impongono una certa
attenzione. Gli ultimi dati macroeconomici dicono che la Cina ha un avanzo commerciale di circa 11 miliardi di dollari, a
fronte di un deficit statunitense di oltre
48 miliardi di dollari. Tutto questo, per le
leggi dell’economia monetaria, dovrebbe
determinare l’apprezzamento della moneta cinese, lo yuan, che però è fortemente
panorama per i giovani
•
13
Nuovi protagonisti
controllato dalle autorità cinesi. Perciò si
inducono a sottoscrivere titoli del Tesoro americano e tollerano che l’inflazione
“galoppi” a tassi del 10% (in Europa riteniamo eccessivo il 3%), con punte del
30% per beni come la frutta. Questo surriscaldamento dell’economia e la conseguente caduta del potere d’acquisto della
moneta stanno trascinando alle stelle i
livelli salariali, che appaiono destinati a
salire di oltre il 20% su base annua sia
in campagna sia nelle città. Ciò ha indotto molte imprese occidentali a rivedere
i loro piani di delocalizzazione sul territorio del colosso asiatico, cancellando
ambiziosi investimenti e dirottandoli su
paesi come il Vietnam e la Thailandia.
La crisi del capitalismo americano ed
europeo ha accentuato questo fenomeno,
portando molti analisti a parlare di “fine
della delocalizzazione” in Cina. L’emergere di insidiosi vicini, come la Corea del
Sud, recentemente diventata regina della
cantieristica mondiale, ha così portato
Pechino a rivedere il suo progetto di crescita. Il nuovo piano quinquennale varato
in marzo ha alla base un imperativo del
tutto nuovo: diffondere il consumismo
tra la più grande popolazione del mondo.
Insomma: d’ora in poi i cinesi dovranno andare incontro al Sol dell’Avvenire
non più con falce e martello, ma con uno
strapieno carrello della spesa. La strategia del Partito consiste nel soppiantare la
domanda occidentale, ad oggi duramente provata dalla crisi, con quella interna,
con il duplice intento di stabilizzare l’economia e di sedare le pulsioni libertarie con robuste iniezioni di benessere da
consumo.
I consolidati avanzi delle esportazioni sulle importazioni hanno però fatto
sì che la Cina sia diventata nel tempo la
principale detentrice di liquidità, denominata in dollari, del mondo. Migliaia
di miliardi di valuta americana si sono
miliardi di dollari in titoli di Stato americani, oltre l’8% dell’intero debito federale degli Usa. In parole povere: la Cina
potrebbe far fallire la più grande potenza
mondiale semplicemente non rinnovando
a scadenza i titoli che ha in portafoglio.
Questa alleanza tra “the Big Spender
and the Big Saver”, per dirla alla Niall
Ferguson, ha comunque permesso che la
massiccia produzione di beni di consumo trovasse uno sfogo assicurato sugli
scaffali di tutti i Walmart degli Stati Uniti. Inoltre questa grande mole di liquidità
si genera per effetto di una politica del
cambio, secondo molti economisti scorretta, volta a difendere l’attuale livello di
competitività delle merci cinesi: Pechino
compra massicce
quantità di dollaL’incontro fra Europa e Cina, più
ri per sostenere il
che collaborazione strategica,
valore della moè un dialogo vivace e talvolta
neta statunitense contro quello
scontroso.
dello yuan. Ultiriversati nelle casse di Pechino, che li mamente, inoltre, la Cina ha cominciato
ha reinvestiti in attività come i bond del una strategia di diversificazione delle sue
governo americano, finanziando le spese riserve valutarie acquistando euro. Tutche gli americani non si potevano per- to questo ha portato il paese asiatico a
mettere. Ad oggi la Cina detiene 1.160 diventare a tutti gli effetti un investitore
14
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n. 3, settembre-dicembre 2011
internazionale, il cui ruolo è ancora cresciuto con la crisi economica. Quest’ultima sta dando a Pechino la possibilità
di acquistare assets industriali e tecnologici a “prezzo di saldo”, permettendogli
non solo di acquisire knowhow occidentale, ma anche di cominciare a limitare
quella montagna di dollari che rischia di
diventare una spada di Damocle se continueranno i timori sul debito sovrano
americano.
Resta vero, comunque, che gli investimenti diretti esteri cinesi non sono diretti per la maggior parte in Occidente.
Analizzando i dati, emerge che le mete
preferite dello “shopping cinese” sono
l’Africa e l’Australia, destinatarie rispettivamente di 5 e 3,3 miliardi di dollari nel
2009 (per confronto l’Unione Europea
è stata in grado di attrarre “solamente”
poco più di 2 miliardi di dollari; 2,3 gli
Usa). La ragione di questa scelta è che
Pechino preferisce dirottare i propri capitali laddove possono essere usati per
mettere le mani su sostanziosi giacimenti
di materie prime, non solo petrolio ma
anche metalli. Insomma, mentre in Occidente negli ultimi anni si è molto parlato
di no global, in Cina si è imparato il go
Nuovi protagonisti
Foto: iStockphoto/fototrav
A sinistra: lo
stadio progettato
dagli architetti
Jacques Herzog e
Pierre De Meuron
è stato il simbolo
delle Olimpiadi
di Pechino del
2008. Nella pagina
precedente: la città
di Shangai è uno
dei centri della Cina
contemporanea.
global, realizzato in via preferenziale attraverso le grandi imprese statali, araldi
del Partito. La Cina, peraltro, non investe
in paesi in via di sviluppo solo per conquistare posizioni economiche che le permettano di esercitare un controllo politico e strategico su di essi, ma soprattutto,
come si è detto, per soddisfare le sue colossali esigenze di materie prime. Pechino, in altre parole, non investe all’estero
per indebolire la supremazia commerciale dell’Occidente, anche se un’ombra
si profila all’orizzonte: la Cina sembra
puntare a trasformare lo yuan nella moneta dominante nei commerci regionali
dell’area asiatica, in luogo del dollaro. La
situazione sembra paragonabile a quella
degli anni Trenta, quando la formazione
di blocchi monetari fu un’avvisaglia della futura formazione di blocchi politici
concorrenti, che distrussero la precedente
Pax Britannica.
A questo punto, cerchiamo di capire
come la rinascita della Cina ci riguardi
più da vicino, ovvero quali rapporti intercorrano fra questa potenza emergente e
l’Unione Europea.
Le relazioni fra Europa e Cina vengono abitualmente inquadrate nella ca-
e di comune interesse, restano così antiche e nuove divergenze: citiamo in primis la situazione in Tibet e la questione
del rispetto dei diritti umani, ma anche
la rivalutazione dello yuan, lo sbilancio
commerciale bilaterale, la sicurezza dei
prodotti importati dalla Cina, le dispute commerciali di fronte al Wto (World
Trade Organisation) o il problema dello
status di economia di mercato ricercato
da Pechino.
È inevitabile anche un accenno alla
crisi economica che ci ha colpiti recentemente e i cui effetti hanno avuto un’influenza non indifferente negli equilibri
internazionali. La Cina non ha esitato a
esprimere la propria disponibilità a correre in aiuto dei paesi messi in ginocchio
dalla crisi, sia pure a certe condizioni.
Non è detto che questa scelta vada letta
nei termini della mera volontà di affermarsi come nuova superpotenza. Probabilmente è all’opera anche la consapevolezza della necessità di limitare i danni alla propria economia e di mantenere
stabili certi equilibri che tengono in piedi il commercio cinese. L’Europa rimane il principale destinatario dell’export
cinese: investendo riserve valutarie in
Europa, di conseguenza, la Cina intende evitare che nel Vecchio Continente si
freni ancor più la crescita e, di conseguenza, il consumo di merce importata.
Acquistare il debito pubblico dell’Europa meridionale significa inoltre aumentare il rendimento delle proprie riserve,
diversificare gli investimenti delle medesime, mettere queste ultime al sicuro
dall’inflazione americana, secondo una
strategia di minore esposizione al dollaro.
Si può affermare, in conclusione, che
un futuro di cooperazione strategica fra
Cina e Occidente sia non solo auspicabile ma anche necessario per mantenere
gli equilibri dei mercati e dell’economia
tegoria della cosiddetta partnership
strategica.
Tale
caratterizzazione,
però, può risultare
alquanto ambigua
e forviante, dal
momento che le
diversità fra questi
due mondi politico-economici sono
troppe e troppo rilevanti per poter
definire
semplicemente in questi
termini la loro interazione. In primo
luogo, il clima politico, economico e
culturale in cui queste due realtà si sono
sviluppate è quasi agli antipodi: la Cina,
secondo la logica della “ragion di Stato”
e del bene comune, cioè della Nazione,
punta allo sviluppo economico per rafforzare il proprio potere politico e militare, col principale fine di riconquistare
una posizione privilegiata all’interno
delle dinamiche internazionali e di uscire finalmente dal cono d’ombra dell’egemonia occidentale; l’Unione Europea,
al contrario, non nasce dall’esigenza di
creare un nuovo potere politico, bensì
dal bisogno di creare un sistema di cooperazione che eviti di ricadere in un inutile quanto pericoloso nazionalismo e,
quindi, nel protezionismo ecoLa collaborazione fra Europa
nomico. Venendo
e Occidente è necessaria per
da contesti così
mantenere gli equilibri dei
differenti, è facile comprendere
mercati e dell’economia globale.
che l’incontro fra
Europa e Cina, più che come collabora- globale. Quella che si presenta oggi è una
zione strategica, si configuri come un situazione di win-win cooperation, in cui
dialogo vivace e talvolta anche scontro- il benessere di un singolo paese è stretso. Per quanto da entrambe le parti ci sia tamente connesso con quello di tutti gli
la volontà di trovare elementi di accordo altri.
panorama per i giovani
•
15
La
Nuovi
salute
protagonisti
nel mondo
I mutati scenari della
politica internazionale
Global geopolitics underwent sweeping changes over the last decades.
Following the break-up of the soviet bloc and the end of the Cold
War, the need for a new model of global governance found various
answers. All of these, though, proved ineffective. Today, the astonishing
demographic and economic growth of emerging countries gives birth to
Bric. Countries like Brazil and India, besides Russia and China, may be
the next world leaders, and this entails the urgent need of reforming UN
Security Council membership.
Foto: iStockphoto/andrearoad
di Nicola Galvani ed Elena Martini
26 giugno 1945. Gli stati fondatori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite firmano a
San Francisco la Carta dell’Onu – garante
e governante dell’ordine mondiale. L’idea
delle Nazioni Unite, che riprende la Società delle Nazioni prebellica, era nata già da
16
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
qualche anno nell’ambito delle conferenze
al vertice delle potenze alleate; si ispira al
desiderio di fondare le relazioni internazionali su basi più stabili e di mutarne le regole
a seguito della catastrofe bellica della seconda guerra mondiale.
Lo Statuto dell’Onu reca tuttavia
l’impronta di due diverse concezioni:
quella dell’utopia democratica wilsoniana e quella invece rooseveltiana della necessità di un direttorio delle grandi
potenze come unico efficace strumento di
governo degli affari mondiali. La prima
si rispecchia in un’Assemblea generale
priva di poteri vincolanti; la seconda in
un Consiglio di sicurezza dominato da
cinque membri permanenti e titolari di
diritto di veto. Stati Uniti, Unione Sovietica, Cina, Gran Bretagna e Francia:
questi sono i cinque grandi del mondo
alla vigilia della guerra fredda. L’idea di
riconoscere particolari poteri e compiti a
queste potenze nelle rispettive aree geografiche si avvicina molto al concetto di
informali sfere di influenza e su questo
tronco direttoriale l’Onu deve svilupparsi
lentamente per divenire una nuova organizzazione internazionale aperta e universalistica.
Nuovi protagonisti
Il crollo del muro di Berlino (a sinistra uno
degli ultimi tratti rimasti) è stato il simbolo
della fine del blocco sovietico e di una fase
che ha portato a un nuovo assetto politico
mondiale.
Dopo oltre cinquant’anni di contrapposizione bipolare, il rapido e inatteso
collasso del blocco sovietico simboleggiato dal crollo del muro di Berlino
stravolge gli equilibri internazionali nati
dalla seconda guerra mondiale e lascia
un vuoto politico e ideologico sul quale è necessario ricostruire un modello di
governance mondiale. Su questa base si
sviluppa una serie di contributi teorici i
cui estremi sono rappresentati dalla “fine
della storia” di Francis Fukuyama (La fine
della storia e l’ultimo uomo, Mondadori,
Milano 1993) e dallo “scontro di civiltà”
di Samuel Huntington (Lo scontro delle
civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 1997).
Nell’ottica del Consiglio di sicurezza,
la fine della guerra fredda significa la fine
del blocco operativo determinato di fatto
fino a quel momento dai veti incrociati dei
membri permanenti. La successione della
Federazione Russa all’Unione Sovietica
nel suo seggio viene accettata dagli Stati
membri, ma resta e anzi si accentua l’incertezza su un nuovo equilibrio di poteri
che va comunque ricercato. Già all’inizio
degli anni Novanta ci si rende conto che il
mantenimento dello status quo nella composizione del Consiglio rappresenterebbe
la perpetuazione di una distorsione che,
già presente alla nascita dell’organizzazione, si fa sempre più evidente rispetto
ai nuovi scenari geopolitici ed economici
che iniziano a emergere.
All’indomani della fine della guerra
fredda l’unica superpotenza superstite, gli
Stati Uniti, si sente chiamata ad agire e
intervenire in tutto il mondo come garante
di un ordine nel quale debbono essere diffusi i suoi valori. Nel frattempo, la Russia
post-comunista si muove sulla via delle
riforme in senso liberistico ma rimane a
lungo intrappolata in infiniti rivolgimenti
economici e sociali interni che impediscono l’elaborazione di un’efficace politica di affermazione sul piano internazionale. Dopo un decennio di unipolarismo
incentrato sull’iperpotenza americana e
sul modello del Washington consensus,
emergono in maniera prepotente potenze
regionali vecchie e nuove: oltre alla stessa
Russia, Cina, India e Brasile.
La Cina, come la Russia membro
permanente del Consiglio di sicurezza,
nella seconda metà del Novecento aveva assistito al fallimento delle politiche
di stampo comunista della repubblica di
Mao. Puntando su politiche capitalistiche,
la Cina si è oggi affermata come seconda
potenza economica mondiale e presenta
da anni un tasso di sviluppo elevatissimo.
Anche l’India, dopo aver raggiunto
l’indipendenza nel 1947, ha basato la propria economia su un modello fortemente
statalistico. Dal 1991 il paese ha però cominciato a operare una politica di riforme
finalizzata a potenziare il commercio con
l’estero. Grazie a queste manovre, le riserve dell’India in dollari americani sono
quasi centuplicate negli ultimi venti anni.
Il Pil indiano occupa oggi il dodicesimo
posto nella classifica mondiale e ha un
tasso di crescita vicino al 10%.
Il Brasile, infine, ha cominciato ad
assumere un ruolo di spessore nello scenario economico internazionale dalla seconda metà del ventesimo secolo. Sfruttando finanziamenti esteri il paese ha potuto incrementare notevolmente il volume
della propria produzione industriale e, di
conseguenza, quello delle proprie esportazioni. La crescita economica brasiliana
nell’ultimo quinquennio è compresa tra i
sette e gli otto punti percentuali e il Pil del
paese è il settimo del mondo.
Le analogie sono evidenti: tutti e
quattro i paesi sono in netta ascesa e presentano ampi margini di miglioramento,
dal momento che possono vantare grandi
potenzialità demografiche (Cina e India
superano il miliardo di abitanti), vasti
territori ricchi di risorse naturali e tassi
di crescita economica elevatissimi. Nuovo membro del gruppo è il Sudafrica, che
nell’ultimo decennio ha accresciuto notevolmente la propria produzione industria-
Il boom dei Bric
Brasile, Russia, India e Cina sono accomunati da un sempre maggiore rilievo dal
punto di vista politico ed economico, ragion per cui i Bric – acronimo utilizzato
per fare riferimento ai quattro paesi – si
ritagliano nello scenario internazionale un
ruolo costantemente crescente.
I russi, che
potevano già vanIl mantenimento dello status
tare un contributo
quo nel Consiglio di sicurezza
importante nella
rappresenterebbe una distorsione
determinazione
del nuovo assetto
rispetto ai nuovi scenari.
mondiale all’indomani del secondo conflitto mondiale, le. Tuttavia, nonostante i cittadini sudafrinon a caso godono di un seggio perma- cani godano di un benessere superiore rinente nel Consiglio di sicurezza. Dopo lo spetto a quello dei paesi Bric, il paese non
stallo dell’era sovietica e della transizione rientra nemmeno tra le venti economie
a un modello di stampo capitalista, l’eco- più sviluppate a livello mondiale. Il senso
nomia russa è risorta sotto la presidenza della sua ammissione nel novero dei paesi
Putin.
emergenti è dunque di natura esclusiva-
panorama per i giovani
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17
La
Nuovi
salute
protagonisti
nel mondo
mente politica: con un referente africano,
il gruppo diventa Brics e può divenire un
vero e proprio “club mondiale”.
Un club che rafforza i propri legami
attraverso riunioni al vertice: i summit
interessi rivendicati sono molto diversi a
seconda dello Stato che se ne fa portavoce: la Cina esige la fine delle pressioni per
la rivalutazione dello yuan; la Russia ha
ottenuto l’ammissione nell’Omc; il Brasile pretende la revisione delle poliI paesi Bric vogliono svolgere
tiche economiche
politiche condivise rispetto alle
statunitensi verso
istituzioni economico-finanziarie
il Sud del mondo.
Questa diverinternazionali.
sità di esigenze
di Yekaterinenburg del 2009, di Brasilia rispecchia la profonda diversità che in redel 2010 e di Sanya del 2011. In queste altà esiste fra i membri del Bric. Su tutti,
occasioni è emersa in modo chiaro la vo- il fatto che la Cina produca da sola più
lontà dei paesi Bric di svolgere politiche valore di tutti gli altri messi insieme, che
condivise rispetto alle istituzioni econo- abbia relazioni intense e frequenti con gli
mico-finanziarie internazionali al fine di Stati Uniti e una popolazione superiore al
tutelare e promuovere a livello globale le miliardo di abitanti. La relazione tra quecondizioni che rendono possibile il loro sto paese e gli altri appare dunque fortesviluppo economico e industriale.
mente asimmetrica e la vera ragione per la
Il peso dei paesi emergenti si sta fa- quale la Cina accetta di buon grado di far
cendo sentire in modo particolare negli parte del gruppo è probabilmente la voultimi anni, in virtù della crisi globale: i lontà di affermarsi a livello internazionale
paesi Bric non solo non sono stati colpiti come stato civile e democratico. Questo
dalla tempesta che sta mettendo in ginoc- può avvenire solo mettendosi sullo stesso
chio l’Europa, ma ne hanno addirittura piano di paesi relativamente più avanzati
tratto giovamento. Essi si presentano ora dal punto di vista del rispetto dei diritti
come possibile ancora di salvezza per gli umani.
Stati del vecchio continente, in una situaUn’ulteriore spaccatura esiste tra paezione quasi paradossale nella quale al pri- si asiatici e non: la popolazione di India e
mo mondo verrebbe in aiuto il terzo.
Cina è infatti oltre dieci volte più numeL’eventualità di usare i surplus finan- rosa di quella di Brasile e Russia e i due
ziari per comprare euro e risollevare la colossi asiatici hanno maggiore peso in
situazione europea è sotto esame da parte termini di produzione energetica.
dei Bric, che tuttavia chiedono in cambio
Previsioni sull’evoluzione del fel’attribuzione di un maggiore potere deci- nomeno Bric sono dunque difficili da
sionale a livello globale. Per la verità, gli fare, anche in virtù del fatto che, men-
Bric
Storia di una sigla di successo
30 novembre 2001. Il dirigente di
Goldman Sachs Jim O’Neill prevede
la rapida ascesa di Brasile, Russia,
India e Cina e scrive: “sarà necessario
modificare la rappresentanza ai vertici
della politica economica globale”.
20 settembre 2006. I ministri
degli esteri dei paesi Bric si
riuniscono a New York a margine
di una seduta dell’Assemblea
Generale ed esprimono interesse
a istituzionalizzare la propria
collaborazione.
16 giugno 2009. Primo summit
dei leader dei paesi Bric a
Yekaterinenburg, che lancia un
appello per “un ordine mondiale
più democratico basato su processi
decisionali che includano tutti gli stati”.
25 settembre 2009. I Bric ottengono
una favorevole ridistribuzione delle
quote e dei diritti di voto nel Fmi e
nella Banca Mondiale.
15 aprile 2010. Secondo summit di
Brasilia: i leader dei Bric chiedono una
riforma dell’Onu.
Dicembre 2010. La Cina invita il
Sud Africa ad aderire al gruppo, che
diventa Brics.
14 aprile 2011. Terzo summit dei Brics
a Sanya: la Cina dichiara il proprio
sostegno alle aspirazioni a un seggio
permanente al Consiglio di Sicurezza
di India, Brasile e Sud Africa.
2018. Secondo Goldman Sachs,
in quest’anno le economie Brics
dovrebbero sorpassare quella degli
Stati Uniti.
tre l’egemonia economica degli Stati
Uniti e delle potenze europee si basava su una forma di globalizzazione di
stampo liberista, quella dei paesi Bric
è una “globalizzazione statuale”, che
sottopone l’apertura al commercio internazionale a residui indirizzi statalistici.
Brasilia ha ospitato nel 2010 il summit
dei paesi Bric (a sinistra il Palazzo del
Congresso). Nella pagina seguente: il
Palazzo di Vetro, sede dell’Onu a New York.
18
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n. 3, settembre-dicembre 2011
Nuovi protagonisti
Foto: iStockphoto (josemoraes;
SVLumagraphica)
Una nuova governance mondiale?
Tenendo conto del ruolo trainante assunto dai Bric e della riluttanza dimostrata
dalla Cina alla proposta, avanzata da più
parti, di una governance globale basata
sul cosiddetto G2 (Usa–Cina), è possibile oggi pensare la politica internazionale
come dialogo obbligato fra vecchi e nuovi
gruppi di Stati. La soluzione sembra quindi passare per un concerto delle potenze
che si smarchi dal modello elaborato al
termine della seconda guerra mondiale
(peraltro rivelatosi in più occasioni estremamente inefficace).
Un effettivo riconoscimento della crescente importanza internazionale degli
emergenti è già dato dalla partecipazione
al G20 dei paesi Bric e dal ruolo che il
gruppo ha assunto in quest’ambito, specie
l’ascesa dei Bric rappresenta un fattore di
equilibrio (non ancora raggiunto) tra l’impeto dei paesi emergenti e l’egemonia del
G8.
L’evoluzione dello scenario internazionale, tuttavia, richiede che temi delicati di stampo più prettamente politico
vengano affrontati, magari anche in altre
sedi. In particolare, questa evoluzione ha
reso non più rinviabile una riforma del
Consiglio di sicurezza che ne accresca
la rappresentatività e ne garantisca l’efficienza
Per i paesi Bric, una riforma del Consiglio di sicurezza costituirebbe l’opportunità di rafforzare ulteriormente il proprio status internazionale. I nuovi centri
di potere chiedono dunque di essere rappresentati nel Consiglio, ma le opinioni
sulle
modalità
dell’allargamenGli interessi rivendicati dai
to sono molte e
Bric sono molto diversi a
divergenti.
Un
seconda dello Stato che se ne fa
altro aspetto proportavoce.
blematico è rappresentato dalle
in occasione degli ultimi summit e dell’e- norme procedurali sulla revisione della
laborazione di ipotesi di reazione alla Carta delle Nazioni Unite, che richiedocrisi finanziaria mondiale. Tale consesso no l’approvazione a maggioranza dei due
sembra però, per sua stessa natura, desti- terzi dei membri, compresi i membri pernato a focalizzarsi appunto su una riforma manenti del Consiglio di Sicurezza, che
del sistema globale dal punto di vista eco- hanno così diritto di veto su qualsiasi monomico. Limitatamente a questo aspetto, difica alla composizione dell’organo.
Il primo concreto progetto di riforma
venne presentato all’Assemblea generale
nel 1992, non a caso da un gruppo di paesi guidato dall’India. Da questo momento, la questione viene posta all’ordine del
giorno e diverse proposte sono state avanzate dai paesi membri. I quattro paesi che
aspirano a occupare un seggio permanente (Giappone, Germania, India e Brasile),
hanno sponsorizzato l’aggiunta di sei seggi permanenti e quattro non permanenti. I
paesi sottorappresentati, India e Brasile in
particolare, possono naturalmente contare sull’appoggio di Cina e Russia, anche
se obiettivi primari di queste due potenze
restano il mantenimento dell’efficienza e
un consenso diffuso in seno al Consiglio
di sicurezza.
Un altro punto su cui le bozze di riforma si concentrano è la creazione di una
rappresentanza migliore per l’Europa, i cui
membri non permanenti sono attualmente
eletti in base a un’anacronistica divisione
tra Est e Ovest europeo. È stata proposta
(e caldeggiata da parte italiana) la creazione di un seggio permanente per l’Unione
Europea, ma l’idea appare irrealizzabile
stanti i persistenti contrasti di interessi nazionali tra paesi membri e la scarsa efficacia della diplomazia comunitaria.
In ogni caso, riformare il Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite per includervi India e Brasile farebbe sì che esso rifletta
con maggiore fedeltà il reale equilibrio globale dei poteri. Questo darebbe maggiore
rilievo al consiglio stesso e all’Onu come
forum delle grandi potenze del ventunesimo secolo, i Bric in prima linea.
BIBLIO
G. Sabbatucci, V. Vidotto, Storia
contemporanea. Il Novecento, Laterza,
Roma-Bari 2010.
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internazionale nell’età contemporanea,
Il Mulino, Bologna 2006.
B. Conforti, Diritto internazionale,
Editoriale Scientifica, Napoli 2010.
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di Sicurezza dagli anni ’90 ad oggi:
problemi e prospettive, Documenti IAI
(IAI0911).
P. Quercia, P. Magri (a cura di),
I BRICs e noi, ISPI 2011 (www.
farefuturofondazione.it).
panorama per i giovani
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19
Nuovi protagonisti
Foto: iStockphoto (EdStock; sborisov)
A sinistra: Vladimir Putin, ex presidente
e attuale premier russo. Nella pagina
seguente: il Cremlino di Mosca.
La Russia di Putin
alla prova del futuro
The Russian people, in spite of high economic growth, are losing
confidence in the perspectives, both realistic and imaginary, of their
society. More and more Russians wish to leave the country. Nevertheless,
Moscow is collecting significant successes in the international field, as
the admission to the Wto and the project for a Eurasian Union show.
di Giovanni Benvenuto
A vent’anni dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica uno dei temi che gli storici
russofili e i sociologi della politica hanno
indagato con maggiore profondità critica è quello delle azioni intraprese dalla
Russia dopo l’abbandono del modello di
sviluppo socialista e il rinnegamento di
quell’apparato ideologico che ha alimentato l’immaginazione, poi la disillusione,
di molti pensatori e uomini comuni, europei e non.
Se il regime sovietico era, nel solco della tradizione collettivista, minato
da un centralismo che acuiva il senso
di impotenza del cittadino dinanzi a un
moloch inavvicinabile ma onnipervasivo (l’apparato pubblico), l’amministrazione post-sovietica è ancora ipertrofica
e minata dalla corruzione. La missione
di Vladimir Putin, finalizzata all’arresto
dello stato di anarchia ereditato da Eltsin
e del collasso dei fondamentali economici, è stata condotta all’insegna di un
20
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
ritorno alla centralizzazione statale, ma
non è riuscita a opporsi alla tendenza
alla spartizione del potere da parte delle
nuove oligarchie. Ai fini di una corretta
ricostruzione storica va detto, tuttavia,
che il centralismo burocratico sovietico e
poi russo affonda le sue radici nello Stato
zarista di Pietro il Grande che soppiantò l’apparato amministrativo forgiato in
base al diritto consuetudinario proprio
della Russia prepietrina.
Tra stagnazione e rassegnazione
Il vocabolario giornalistico nella Russia del duo Putin-Medvedev (l’ordine,
a dispetto delle cariche ricoperte, non è
casuale) sta rispolverando un’espressione evocativa di un’epoca triste e grigia:
vremia zastoia, che, nel gergo gorbacioviano, indicava l’era della stagnazione
brezneviana.
Ora, bisogna intendersi sul senso
del termine “stagnazione”: a noi italia-
ni vengono alla mente le scarse performance della nostra economia nell’ultimo decennio e quindi siamo indotti
a ricondurlo all’universo semantico
della scienza triste. La Russia, viceversa, conosce una crescita del Pil pari al
4% annuo a cui va aggiunto un rigore
formidabile delle finanze pubbliche
che minimizza il deficit di bilancio. La
“stagnazione”, nell’accezione russa, si
riferisce a un ambito forse più nobile:
quello delle prospettive sociali e del
potere immaginifico del popolo. E non
potrebbe essere diversamente in un paese affetto dai virus della corruzione,
del privilegio e dell’immobilismo politico. La condizione di uno Stato e di
un partito (Russia Unita) ipertrofici, le
promesse di modernizzazione disattese
dal presidente Medvedev e la prospettiva di una perpetuazione dell’apparato
di potere putiniano, che beneficerà della
candidatura dell’ex-agente del Kgb alle
presidenziali di marzo 2012, provocano
uno scoramento tangibile tra i russi non
organici a questa parte politica.
Alcuni numeri ci danno la portata del
fenomeno: l’istituto Vtsiom stima che più
di un russo su cinque vorrebbe lasciare il
paese e il numero cresce fortemente, toccando il 39%, se si considera la fascia di
età 18-24 anni. A ciò bisogna aggiungere
che il 29% dei laureati sarebbe disposto a
cercare impiego fuori dalla Federazione.
Sono dati emblematici del deterioramento delle aspettative che i cittadini nutrono rispetto alla possibilità che la società
russa possa liberarsi da varie ingessature:
la percentuale dei cittadini che vogliono
emigrare è la più alta dal crollo dell’Unione Sovietica, immensamente più alta del
modesto 7% di quattro anni fa.
L’insofferenza per una macchina burocratica avvezza alle lungaggini e alle
mazzette ha determinato una fuga di capitali dal paese pari a 34 miliardi di dollari
nel 2010 e si stima che nell’anno in corso
la cifra raddoppierà. Se possibile ancor
più negativi sono i dati sulla fuga dei cervelli: l’Unesco stima che fra il 1989 e il
2000 più di 20.000 ricercatori hanno abbandonato la Russia e che tra il 1990 e il
2008 il numero dei ricercatori sia crollato
a 760.000.
Nuovi protagonisti
L’ingresso nel Wto
Se si sposta l’analisi sull’economia russa, bisogna riconoscere che i mesi appena trascorsi hanno segnato una svolta
epocale per Mosca. Il 10 novembre il
direttore dell’Organizzazione mondiale del Commercio (World Trade Organization), Pascal Lamy, ha posto fine a
diciotto anni di negoziati e voltafaccia
sancendo l’ingresso della Russia nel
Wto. Il veto georgiano è venuto meno
dopo l’assegnazione a una società indipendente del monitoraggio del commercio fra le due nazioni e la Russia sarà
pienamente organica all’Omc con l’entrata in vigore dell’accordo, cioè trenta
giorni dopo la sua ratifica. Gli impegni
presi dal governo constano di un abbassamento delle tariffe sulle importazioni,
di una riduzione progressiva dei sussidi
alle esportazioni e di una seria lotta contro gli abusi sulla proprietà intellettuale.
L’ingresso del paese non solo comporterà un incremento dei livelli di crescita
della sua economia del 3,3% nel breve
e dell’11% nel lungo periodo, ma segna
anche la sua apertura al sistema liberalizzato e regolato degli scambi internazionali. I vantaggi in termini di diversificazione dell’economia, oggi fondata
sulle rendite del gas e del petrolio, e di
un più severo rispetto delle regole, associato a un’auspicabile sburocratizzazione, dovrebbero comportare maggiori
certezze commerciali e incidere sull’a-
malgama politico-affaristico che tanto
nuoce alla moralità pubblica.
Il risveglio dell’orso?
Parallelamente all’ammissione nell’Omc
Putin potrebbe mettere a segno un colpo
che avrebbe effetti sorprendenti sull’assetto geopolitico tanto asiatico quanto
europeo. Non si tratta di riproporre in salsa moderna l’esperienza dell’Unione Sovietica, che peraltro troverebbe ben pochi
consensi fra i partner, quanto piuttosto
di creare un’Unione Euroasiatica. Sulla
scorta dell’esperienza dell’Unione Europea il progetto, annunciato da Putin il 4
ottobre scorso, prevederebbe uno spazio
economico comune composto dai mercati
delle ex-repubbliche sovietiche che volessero aderire. Non si può certamente escludere che un giorno il blocco così creatosi
possa dotarsi di una moneta comune.
La prima fase di tale progetto si concretizzerà con la creazione, a gennaio, di
un’unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan, ai quali si aggiungerà,
non appena i tempi tecnici lo permetteranno, il Kirghizistan. Obiettivo di Putin è quello di coinvolgere nel progetto
le restanti repubbliche centroasiatiche e
caucasiche e, soprattutto, l’Ucraina, paese che, all’indomani della sentenza contro Julia Timoshenko, ha visto montare
nei suoi riguardi la crescente diffidenza
dell’Unione Europea. Scontate saranno
le defezioni dei paesi baltici, sempre più
Le elezioni del 2011
Il 4 novembre i cittadini russi hanno
ridimensionato, almeno sul piano
della pura contabilità parlamentare,
Russia Unita, la formazione di Putin e
Medvedev. Sceso dal 67% del 2007
al 49,5%, il partito ha considerato
questo risultato come inevitabile per
chi ha da più anni la responsabilità
del potere. Putin godrà comunque
della maggioranza assoluta alla
Duma, grazie alla spartizione dei voti
dei partiti che non hanno superato
lo sbarramento del 7%; non avendo
raggiunto i tre quarti dei consensi,
però, non potrà apportare modifiche
alla Costituzione.
integrati culturalmente in Europa e, quasi certamente, della Georgia. Questa, già
in conflitto con la Russia nel 2008 per il
controllo dell’Ossezia del Sud, nel 2009
ha abbandonato la Csi (Confederazione di
Stati Indipendenti) e si presenta, nel panorama caucasico, come lo stato filoamericano per antonomasia. Appare semplice
prevedere che Tbilisi manterrà la propria
posizione di terzietà rispetto al progetto
di Unione Euroasiatica, anche se ciò potrebbe determinare una condizione di isolamento geografico e un acuirsi della crisi
economica che sta investendo la Georgia,
soprattutto dopo i tagli delle sovvenzioni
ai regimi amici da parte delle fondazioni
americane.
panorama per i giovani
•
21
La
Nuovi
salute
protagonisti
nel mondo
Sovrappopolazione e risorse
The growth of population collides with the scarcity of natural
resources. There is a strong debate about the possible effects of
overpopulation, which started in the eighteenth century. To find a
solution, many global Conferences were held. Nowadays, the situation
is very complex, because the world is shorter and shorter of all the
primary resources (water, food and energy) and at the same time
consumption keeps increasing.
di Sara Centola e Viviana Spotorno
Lunedì 31 ottobre l’organizzazione per i
diritti umani Plan International ha annunciato che a portare la popolazione mondiale al traguardo di 7 miliardi di abitanti
sarebbe stata una bambina dell’Uttar Pradesh, lo Stato più popoloso dell’India.
È un numero impressionante se paragonato ad appena 60 anni fa, quando la
Terra contava solo 2 miliardi e mezzo di
persone. Ancora più sconvolgenti sono i
numeri previsti per il futuro: nel 2050 si
prospetta di arrivare a circa 9 miliardi. Oltre il 95% di questa crescita tumultuosa e
incontrollata avverrà nei paesi cosiddetti
in via di sviluppo.
La domanda che sempre risorge è: esiste un limite al carico umano del pianeta?
I dati previsti per il futuro fanno dubitare molti scienziati sulla possibilità che la
Terra sia ancora in grado di offrire energia
e materie prime per così tanti individui, se
non cambieranno i ritmi attuali di consumo. La situazione potrebbe anche portare
allo scoppio di nuovi conflitti armati per
l’accesso all’acqua e ad altre risorse necessarie alla vita umana.
Eppure il problema della sovrappopolazione non è affatto nuovo e in proposito
gli studiosi, nel tempo, hanno elaborato
teorie contrastanti.
Il primo a sollevare la questione fu
Thomas Robert Malthus, il quale, nel
1798, affermò: “il potere della popolazione è infinitamente maggiore del pote-
geometrica, mentre la produzione alimentare aumentava secondo una non altrettanto rapida progressione aritmetica. Per
risolvere la situazione, Malthus suggeriva
così di ricorrere a una severa politica di
controllo delle nascite. Il suo errore fu
presto manifesto: egli aveva completamente trascurato il fattore dell’innovazione e dello sviluppo industriale, che hanno
permesso all’uomo di avere accesso a risorse prima non disponibili e di raggiungere livelli impensabili di produttività, a
partire proprio dall’agricoltura.
Nonostante ciò, il problema di Malthus si è riaffacciato dopo la Seconda
guerra mondiale e si è sviluppata una corrente di studiosi, chiamati neomalthusiani, i quali hanno riproposto le sue teorie.
In particolare Paul R. Ehrlich, professore
di biologia riproduttiva alla Stanford University, ha pubblicato nel 1968 un libro
intitolato The Population Bomb, in cui ha
previsto carestie, impoverimento e guerre
nel futuro del nostro pianeta, a causa della mancanza di risorse. Anch’egli tuttavia
non aveva considerato l’impatto positivo
della rivoluzione verde, che ha permesso
un notevole aumento della produttività
agricola.
Esiste d’altro canto anche una visione ottimista, il cui principale esponente
è Julian Simon, economista e scrittore
dell’Università del Maryland. Egli sostiene che il problema dell’esaurimento delle
risorse non sussiste: infatti, ogni
L’unica alternativa possibile
qual volta ci si
per migliorare la situazione
trovi in situazioni
alimentare sembra essere il
di bisogno dovute
alla crescita delricorso alle biotecnologie.
la popolazione, il
re della terra di produrre sussistenza per genere umano riesce a farvi fronte grazie
l’uomo”. Secondo lui, infatti, la popola- ad avanzamenti nella tecnologia che auzione cresceva secondo una progressione mentano la disponibilità di risorse.
22
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n. 3, settembre-dicembre 2011
Con il tempo il problema del sovrappopolamento è diventato oggetto di
congressi e conferenze internazionali. Il
Club di Roma pubblicò nel 1972 il Rapporto sui limiti dello sviluppo, nel quale
si affermava che i ritmi di crescita della
popolazione non potevano essere sostenuti per molti anni dal nostro pianeta e
che alla fine si sarebbe arrivati all’esaurimento delle risorse; prospettava perciò
la realizzazione di un equilibrio in cui
fossero soddisfatte in maniera egualitaria le necessità di ciascun individuo. Nei
successivi aggiornamenti si è affermato
che il pianeta ha superato la sua “capacità di carico” (già nel 1992) e si è fatto
sempre più largo uso del concetto di sviluppo sostenibile, formulato per la prima volta nel 1987 nel Rapporto Brundtland che ha fatto luce sulla necessità di
uno sviluppo che miri alla rigenerazione
delle risorse naturali come chiave per
garantire la sopravvivenza delle generazioni future.
I dati reali sulla crescita della popolazione e dei consumi pro capite erano
ormai incontrovertibili e sotto gli occhi
di tutti. Per questo gli Stati Uniti e molti paesi occidentali hanno promosso alle
Nazioni Unite la realizzazione di un Piano mondiale di regolazione delle nascite.
Tale richiesta e la gravità delle questioni
demografiche ha indotto l’Onu a farsi promotrice di conferenze mondiali sulla popolazione con cadenza decennale. La prima è stata la Conferenza di Bucarest sulla
popolazione, nel 1974. In quegli anni il
problema demografico risultava già assai
preoccupante, in quanto investiva ampie
aree del Sud, le quali avevano visto raddoppiare il loro peso demografico rispetto
all’Europa, sempre più vecchia e meno
abitata. Nonostante questo, non tutti i paesi erano favorevoli alla pianificazione del-
le nascite, in particolare la Cina, l’Algeria,
il Brasile e l’Argentina. La situazione si è
modificata nella Conferenza di Città del
Messico del 1984, che ha visto la convergenza sulla necessità di ricorrere a politiche demografiche ad hoc. Tuttavia né nella
prima né nella seconda conferenza si sono
approvate misure coercitive, che sono state anzi condannate in quanto contrarie al
diritto delle persone a regolare il proprio
comportamento riproduttivo. Inoltre, è
stato evidenziato che il sostegno a favore
dei paesi in via di sviluppo poteva indurre
una limitazione spontanea della fecondità.
La Conferenza internazionale sulla popolazione e sullo sviluppo, tenutasi al Cairo
nel 1994, ha sottolineato l’importanza di
guardare allo sviluppo sotto diversi punti
di vista complementari, a partire per esempio dalla parità tra i sessi ed in particolare
dalla possibilità per le donne di avere accesso all’istruzione ed ai servizi sanitari;
Sopra: si prevede che nel 2050 la
popolazione mondiale arriverà a 9 miliardi
di abitanti. Nella pagina seguente: la sfida
del XXI secolo sarà la scarsità di acqua.
inoltre sono stati ribaditi i concetti di lotta
alla povertà, di difesa dell’ambiente e di
tutela dei diritti umani nell’ottica di uno
sviluppo sostenibile e duraturo. Per capire
il cambiamento di tendenza che tale conferenza ha portato basta ricordare che per
la prima volta non si sono fissati obiettivi
demografici ma di sviluppo sociale da raggiungere entro il 2015. Essi sono la riduzione della mortalità infantile e materna,
l’accesso universale alla salute e all’istruzione e il diritto alla pianificazione familiare nel rispetto della qualità della vita di
tutti gli individui.
Quali sono, però, i rischi a cui stiamo
andando incontro e che anzi si stanno già
manifestando al giorno d’oggi?
panorama per i giovani
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23
Foto: iStockphoto/AndreasKermann
La Guerra di Secessione
Foto: iStockphoto/ aristotooaristotoo
Nuovi protagonisti
Tra le risorse che faranno presto sentire la loro mancanza vi è l’acqua. L’acqua dolce è disponibile in quantità limitata e fissa sul nostro pianeta; pertanto
ogni incremento demografico comporta
una contrazione della disponibilità media pro capite di acqua potabile. Inoltre
dal 1900 al 1995 i consumi di acqua sono
sestuplicati, più del doppio del tasso di
crescita della popolazione nello stesso
periodo. Considerando che già un terzo della popolazione vive in paesi con
emergenza idrica, non esagera chi sostie-
Strettamente collegato al sovrappopolamento è il problema alimentare. Crescita demografica e domanda di generi
alimentari sono due variabili direttamente
proporzionali. Teoricamente si potrebbe
far fronte a questa domanda in crescita
mettendo a coltura nuove terre, se non
fosse che è proprio l’aumento demografico, nonché lo sviluppo industriale e urbano, a sottrarre gli spazi coltivabili. Inoltre,
la pressione demografica unita alle erronee tecniche utilizzate nello sfruttamento
delle risorse naturali stanno incrementando la desertificazione. Rimane
È inevitabile ricorrere a nuove
la strada del pofonti di energia, perché quelle
tenziamento del
attuali non riusciranno a coprire
progresso tecnico, che ha però
il fabbisogno.
anch’essa i suoi
ne che la scarsità d’acqua sarà la sfida limiti: le innovazioni non sono in grado
del secolo. Non ne possiamo fare a meno di stravolgere i ritmi dell’agricoltura e la
perché è essenziale per la vita e perché scarsità d’acqua rappresenta un ostacolo
senz’acqua non possiamo produrre né insormontabile. Per migliorare la situaalimentarci. Occorre pertanto protegge- zione alimentare – e migliorare dunque
re le risorse idriche di cui disponiamo le condizioni di vita di milioni di persone
razionalizzandone l’utilizzo, al fine di al mondo – l’unica alternativa sembra esevitare gli sprechi e, in particolare, l’in- sere quella di ricorrere alle biotecnologie,
quinamento delle acque potabili. Sono evitando al contempo gli sprechi dei paesi
necessarie politiche e interventi interna- industrializzati.
zionali coordinati per salvaguardare queNon bisogna infine dimenticare il prosta risorsa così preziosa.
blema delle risorse energetiche. Attual24
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n. 3, settembre-dicembre 2011
mente il fabbisogno mondiale è coperto
quasi interamente da combustibili fossili,
destinati a esaurirsi, mentre i consumi
stanno aumentando sia a causa dell’aumento demografico, sia per le crescenti
richieste dei paesi emergenti. A ciò bisogna aggiungere che, come per le altre risorse, i consumi sono molto disomogenei
tra i vari paesi: vi è infatti ancora circa un
terzo della popolazione mondiale priva di
energia elettrica. Gli Obiettivi di sviluppo
del Millennio prevedono di raggiungere
un’elettrificazione globale entro il 2050,
cosa che secondo le stime porterebbe la
quadruplicazione dei consumi di energia
attuali, incompatibile con le riserve di
combustibili fossili ancora disponibili.
La necessità del ricorso a nuove fonti di
energia appare scontata, ma ancora non è
altrettanto ovvia la strada da percorrere,
come ben dimostra l’aspro confronto tra i
favorevoli e i contrari al nucleare.
I problemi che ci prepariamo ad affrontare sono dunque molteplici e di non
facile soluzione. Per questo resta importante il contributo individuale, a partire,
per tornare alla questione demografica, da
una cultura della paternità e maternità responsabile. A livello globale sono invece
fondamentali una pianificazione territoriale e una gestione efficiente delle risorse
naturali, soprattutto dei paesi emergenti,
insieme a politiche che consentano a tutti
l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione, la tutela dei fondamentali diritti umani, la riduzione della povertà e la protezione dell’ambiente.
Tuttavia sembra arrivato per l’uomo il
momento di chiedersi se può continuare a
vivere nell’illusione di un continuo progresso e nella fiducia cieca nella scienza.
Infatti questa da sola non può risolvere
il problema della scarsità delle risorse e
dell’aumento della popolazione, continuando nel contempo a garantirci l’attuale
– se non più elevato – livello di consumi.
Dobbiamo perciò renderci consapevoli dei
limiti dello sviluppo umano e della capacità
di carico della Terra, constatando la nostra
piccolezza nei confronti della forza della
natura. Il nostro pianeta si evolve naturalmente e realizza nuovi equilibri da sempre
attraverso piccoli o grandi fenomeni meteorologici e naturali, cioè veri e propri capovolgimenti. La questione fondamentale
è: quale sarebbe il destino dell’uomo se si
verificasse uno di questi “fenomeni di riassestamento” della Terra?
Nuovi protagonisti
Verso un unico modello sanitario
L’India fra promesse, prospettive e sfide
The Indian health system is characterized by a strong discrepancy. On
the one hand there are private clinics in big cities: thanks to a high
standard of quality and to relatively low prices they attract hundreds
of thousands of foreign patients. On the other hand, there is the
distressing state of the public health system unable to take care by itself
for the needs of a billion people.
Foto: iStockphoto/ TerryJ
di Gianmarco Lugli
L’India è un paese incredibile. Oltre mezzo secolo di enormi trasformazioni politiche, economiche e culturali l’hanno resa
una grande forza geopolitica. L’Occidente
ha accolto con favore la crescita vertiginosa del “gigante indiano”: ne è testimonianza lo sforzo del presidente americano
Barack Obama per l’ingresso dell’India
nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma il
rafforzamento globale dell’India maschera situazioni problematiche e urgenti al
suo interno, come quella del suo sistema
sanitario.
Quando si parla di India, ci si riferisce
alla più grande democrazia del mondo:
durante le ultime elezioni, nel 2009, ben
700 milioni di persone si sono recate alle
urne. Tuttavia, di fronte a una tale platea,
la salute non è mai entrata in modo decisivo nel dibattito politico. Questa assenza
è ancora più significativa se si osserva
l’enorme sviluppo tecnologico indiano
dell’ultimo decennio. L’India è ormai uno
dei principali protagonisti di comunità
scientifiche e tecniche altamente qualificate, che le consentiranno per esempio,
nel 2015, di entrare nell’olimpo delle potenze aerospaziali insieme a Stati Uniti,
Russia e Cina; le pubblicazioni scientifiche made in India aumentano esponenzialmente, a dimostrazione della capacità
del sistema della ricerca di dare risposte
ai quesiti della scienza e della società.
Eppure, tutto ciò sta avvenendo in una
cornice desolante, che vede l’India, nel
suo complesso, tra gli stati più poveri del
mondo (421 milioni di persone al di sotto
della soglia di povertà, in base al nuovo
Indice di povertà multidimensionale).
Già nel 1946 il Bhore Committee (un
comitato istituito per migliorare la sanità
pubblica in India) si esprimeva, in un suo
rapporto, per la necessità di un sistema sanitario unico. Esso doveva essere gestito
dal governo federale coadiuvato dalle singole rappresentanze locali ed essere finanziato con fondi pubblici, in modo da garantire a tutti i cittadini una copertura medica
adeguata. Il modello previsto si scontrò
tuttavia ben presto con la realtà effettiva
della nazione indiana neoindipendente. La
situazione politica, economica e sociale
del tempo non ha garantito un adeguato
sviluppo delle infrastrutture necessarie e
una rapida formazione del capitale umano.
L’India ha dovuto affrontare una povertà
imperante in tutte le zone del paese e questa situazione si è rispecchiata nella gestio-
panorama per i giovani
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25
Nuovi protagonisti
conseguenza di un ulteriore impoverimento per tutte le fasce. Non solo: l’assenza di
un sistema centralizzato e forte di gestione
medica ha favorito il proliferare di strutture private, per lo più gestite da corporation internazionali. La logica del profitto
ha causato poi una distribuzione ineguale
delle risorse: nei maggiori centri urbani il
settore sanitario è sempre più gestito da un
numero via via decrescente di aziende, che
inglobano le imprese più piccole e creano larghi monopoli; nelle vastissime aree
rurali e nei piccoli centri, invece, il settore è composto da tecnici non qualificati
o da pochi medici che lottano giorno per
giorno per portare avanti la loro opera in
un contesto difficilissimo. Le corporation
tendono a impedire ogni iniziativa di integrazione tra pubblico e privato,
L’India è un gigante economico
minando di fatto
e la più grande democrazia del
alla base le posmondo, ma l’assistenza sanitaria
sibilità di sviluppo delle strutture
è rimasta molto indietro.
pubbliche, mentre
milioni di dollari. Tuttavia, i fondi pubbli- le grandi holding internazionali, anche
ci erano solo il 19,67% della somma tota- approfittando della povertà di gran parte
le, mentre il 78,05% della spesa proveni- della popolazione, favoriscono fenomeni
va da privati. In un paese come l’Italia la legati al cosiddetto turismo medico, come
spesa per la sanità si attesta sul 9,6% del l’affitto di uteri o il commercio di gameti.
Il potere delle aziende private non si
prodotto interno lordo, con una quota di
spesa proveniente da privati pari al 21% limita alla gestione delle infrastrutture, ma
nel 2007. A causa della spesa pubblica si estende anche al settore farmaceutico.
insufficiente, le famiglie indiane spendo- L’India è attualmente il quarto Stato al
no molto per l’assistenza sanitaria, con la mondo per volume di produzione di far-
Foto: iStockphoto (VasukiRao; BDphoto)
ne della salute pubblica: gli unici presidi
ospedalieri di rilievo erano presenti nelle
grandi aree urbane e la speranza di vita
alla nascita si aggirava intorno ai 37 anni.
Dopo sessant’anni, nonostante la qualità
della vita sia generalmente migliorata e la
speranza di vita sia salita adesso a 65 anni,
l’India continua a essere classificata tra i
paesi meno efficienti per quanto riguarda
le performance in ambito sanitario.
Il cuore del problema è la spesa pubblica per la sanità. In base a quanto riportato sul National Health Account dello
Stato indiano (un rapporto stilato dall’Organizzazione mondiale della Sanità), per
il biennio 2004-2005 la spesa sanitaria
ammontava al 4,25% del prodotto interno
lordo, pari a circa un miliardo e trecento
26
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n. 3, settembre-dicembre 2011
maci: fino al 2007 il mercato era notevolmente frammentato, con circa diecimila
aziende che controllavano il 70% del volume di affari. Inoltre, si era andata sviluppando una fiorente industria di farmaci
generici, grazie all’assenza, fino al 2005,
di tutela brevettuale per la quasi totalità
dei farmaci in commercio. Lo stimolo alla
libera concorrenza fornito da questo tipo
di politica ha prodotto un notevole abbattimento dei prezzi, consentendo campagne a basso costo contro varie patologie,
prima tra tutte l’Aids. L’adeguamento agli
standard internazionali, con la complicità
e la pressione delle compagnie farmaceutiche, ha però scoraggiato il commercio
dei generici; inoltre, sei grandi aziende indiane sono state acquistate da imprese con
sede straniera. Tali acquisti sono motivo di
grande preoccupazione per la ridotta concorrenza che potrebbe conseguirne, mentre l’aumento dei prezzi causato dall’introduzione di farmaci non generici peserà ulteriormente sulle tasche dei consumatori.
L’India ha l’obbligo nazionale e internazionale di rispettare, proteggere e soddisfare il diritto alla salute dei suoi cittadini,
senza distinzioni di genere. Tuttavia, stando a quanto riporta Anita Raj in un articolo su TheLancet.com, le donne indiane
hanno meno probabilità di ricevere un’istruzione soddisfacente, partecipare alla
forza lavoro, entrare in politica e, infine,
ricevere un’assistenza sanitaria adeguata.
Tali dati vanno letti anche in un’ottica di
Nuovi protagonisti
Nonostante la crescita economica,
la popolazione indiana è ancora in
gran parte povera e vive in condizioni
igieniche critiche (a sinistra: un mercato a
Bangalore; a destra: un uomo si fa pulire
le orecchie per la strada). A pag. 25: un
medico indiano.
disparità economica tra ceto medio e famiglie rurali: se da un lato nelle città è
possibile ricevere una quantità (e una qualità) maggiore di servizi, nelle campagne
è ancora diffuso il parto in casa, proprio a
causa dell’assenza di strutture adeguate e
soprattutto gratuite. La scarsezza di igiene
di queste pratiche provoca la diffusione di
una vasta gamma di patologie e un tasso di
mortalità materna tra i più alti al mondo. A
ciò si aggiunge la scarsa informazione in
materia di contraccezione e la quasi totale
assenza di campagne di sensibilizzazione
in favore delle più comuni pratiche igieniche: le donne pagano un prezzo più alto
degli uomini.
Non mancano però segnali incoraggianti, sui quali investire con speranza
per il futuro. E l’India potrebbe davvero
diventare un banco di prova e forse un
esempio per tutti quei paesi che puntano
a vincere la sfida dello sviluppo coniugando democrazia politica e rispetto dei diritti
umani fondamentali. Con riferimento alla
stessa maternità, gli sforzi e l’entusiasmo
del governo e della popolazione stanno
lentamente migliorando la situazione di
disagio che ho descritto, attraverso iniziative come il Janani Suraksha Yojana,
un programma di trasferimento di denaro
contante per incoraggiare le donne a partorire in una struttura sanitaria. Ad esso si
aggiungono altri programmi, tra i quali la
Missione nazionale di salute rurale – che
prevede un decentramento dell’assistenza
sanitaria – e varie iniziative di copertura
della ospedalizzazione per persone che
vivono al di sotto della soglia di povertà.
Si moltiplicano anche gli esempi di
corretta governance in materia di sanità.
Uno di questi è rappresentato dallo Stato
del Karnataka. La Lokayukta, un’organizzazione interna alla pubblica amministrazione con funzioni di controllo e prevenzione, ha evidenziato che in Karnataka il
25% dei fondi per la sanità venivano persi
a causa della corruzione. In particolare, vi
era un gran numero di lavoratori sottopagati, le strutture non erano adeguatamente
rifornite e imperava un radicato favoritismo tra i gestori dei servizi. Il vigilance
director della Lokayukta, Hanumappa pal Rao, che ha seguito il progetto sin dalle
Sudarshan, ha intrapreso una lotta contro sue prime fasi, ha annunciato che il suo cola corruzione attraverso riforme mirate. sto dovrebbe essere di 100 rupie, ossia di
Introducendo organi di vigilanza a tutti i circa un euro e settanta centesimi.
livelli gestionali e promovendo iniziative
Ancor più rivoluzionario è l’approccio
di e-governance, si è riusciti nel duplice del dottor Devi Shetty, importante cardiointento di controllare la tracciabilità dei chirurgo indiano, il quale è convinto che
farmaci e di favorire una migliore traspa- la specializzazione dei settori e le econorenza nei confronti dei cittadini. Al giorno mie di scala possono ridurre al minimo i
d’oggi il Karnataka è una realtà in cre- costi necessari. L’ospedale dove opera è
scente miglioramento dal punto di vista il Narayana Hrudayalaya di Bangalore,
sanitario, con un evidente aumento del be- parte dell’omonimo gruppo di cui è prenessere di tutte le fasce della popolazione. sidente. Il centro ha un migliaio di posti
L’India deve prepararsi a una sfida letto e ogni settimana Shetty e il suo team
enorme: più gente chiederà accesso alle di quaranta cardiochirurghi effettuano circure mediche e più gente ne avrà bisogno, ca seimila interventi: operarsi al cuore al
visto che insieme alla ricchezza in India si Narayana di Bangalore costa circa 2.000
stanno rapidamente diffondendo malattie dollari contro i 20-100.000 degli Stati
del benessere come il diabete (che potrebbe Uniti. Questo perché tutte le pratiche amcolpire quasi 70 milioni di indiani entro il ministrative sono demandate all’esterno,
2025) o le patologie cardiache, che potreb- permettendo ai medici di concentrarsi solbero causare perdite pari a un quinto
Il basso livello di spesa pubblica
del Pil. È proprio
impone forti oneri alle famiglie
perché l’India è un
per la salute, ma si moltiplicano
paese enorme, con
persistenti e diffugli esempi di buona governance.
se sacche di povertà e un sistema sanitario pagato per lo più tanto sul paziente: “Le società giapponesi
dai cittadini, che medici, manager ospeda- hanno reinventato il modo di fare le auto.
lieri e centri di ricerca dovranno inventare Noi stiamo facendo lo stesso con la saniprodotti e modelli organizzativi poco costo- tà” ha dichiarato Shetty. “La sanità non ha
si in attesa di una vasta riforma della sanità bisogno di innovazione di prodotto, ma
pubblica. Per citare un esempio, l’Istituto di processo”. Un obiettivo che deve valeindiano di tecnologia di Mumbai ha di re- re anche per il settore pubblico e a cui si
cente completato i test su un kit in grado di dovrebbe puntare al fine di risolvere, una
trovare nel sangue i segnali di un malfun- volta per tutte, uno dei problemi più grazionamento cardiaco. Il professor Ramgo- vosi della nazione indiana.
panorama per i giovani
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The India
Alliance
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n. 3, settembre-dicembre 2011
Foto: iStockphoto/TerryJ
Foto: iStockphoto/YarOman
La risorsa agricoltura
Nuovi protagonisti
Fellowships for Biomedical Research in India: The India Alliance
is five year, £80 million investment created to build capacity in
biomedical research in India and stop the “brain drain” of young
researchers.
Ponnari Gottipati*, PhD and Megha, PhD
(The Wellcome Trust/Dbt India Alliance; Hyderabad, India)
To improve scientific education and research, the Government of India has taken several initiatives in the past decade.
The creation of new institutions, significant increase in funding of research
grants, and schemes to attract researchers based overseas are some of the mechanisms that have been introduced. While
funding in developed economies for research is either stagnant or declining, science funding in India has been growing:
the Department of Biotechnology, one of
the major government departments supporting biological research has seen an
increase of 20-30% of its budget per annum since 2003. A key paradigm underlying these initiatives is to retain quality
while increasing the number of opportunities available to young researchers.
One mechanism being pursued to ensure
global standard quality is via partnerships with leading international funding
agencies. The Wellcome Trust/ Dbt India Alliance (India Alliance) is one such
partnership.
The India Alliance is a five year, £80
million investment by The Wellcome
Trust, UK and the Department of Biotechnology which began operations in
2009. It is registered as an independent
charitable trust in India with the man-
laboratory to any non-profit research
institution within India, and nucleate a
centre of scientific excellence. By providing Fellows with generous funds and
the flexibility to spend according to the
demands of their science, these scientists have every chance to be at par with
their peers anywhere in the world.
As the mandate is to fund quality researchers, a robust grant-giving process
modelled on the Fellowship programmes
of The Wellcome Trust has been developed. Expert peer-reviews are sought on
each application from the international
community based on the science selected. These applications are then evaluated
by the India Alliance’s Selection Com-
Like many emerging economies, India loses a large proportion of highly
trained and skilled young people to developed economies. In the sciences, this
“brain drain” typically manifests as migration of students with masters or PhD
degrees, mainly to the US and Europe,
in pursuit of higher training; postdoctoral opportunities are rarely pursued
in India. In recognition of this
In the sciences, the brain drain
phenomenon, a
typically manifests as migration
conscious effort
of students with masters or PhD
has been made to
introduce many
degrees, mainly to US and Europe.
complementary
schemes to encourage young research- mittee which consists of an internationers. The India Alliance’s response is the al, well-known panel of scientists, and
Early Career Fellowship (Ecf) scheme. awards are based on an interview with
This scheme is for newly qualified PhDs the Committee.
to pursue an independent research proOther features have been added to the
gram. In addition to mandatory mentor- schemes to attract bright research minds
ship by a supervisor of their choice, the to India. Fellowships do not have an agescheme includes a provision for candi- limit, eligibility being tied instead to the
dates to train and work in a laboratory number of years of research experience;
anywhere in the world for up to two it is not required for applicants to hold
years. Inclusion of subsistence and re- Indian nationality or be of Indian-origin;
search funds to work overseas not only a PhD in life sciences is not essential,
provides international exposure, but indeed, 18% of India Alliance awardees
also fosters collaborations and helps thus far have a PhD in non-biological
young scientists build networks from sciences; flexibility in eligibility and rean early stage sources is provided to clinicians, public
in their career. health researchers and veterinarians to
The Department of
The next levels encourage this cohort of researchers.
Biotechnology has seen an
of Fellowships
At present, there are 63 applicants
increase of 20-30% of its budget
are for scientists who have been awarded an India Alliwith a proven ance Fellowship with an average amount
per annum since 2003.
track record, to of funding of £215,000 (Ecf), £450,000
date to build capacity in biomedical re- return and establish a high-quality re- (If) and £600,000 (Sf). A core belief of
search in India. The primary means is search program in India. The Intermedi- the India Alliance is that people are the
through generously funded fellowships ate Fellowships (If) are for postdoctoral drivers of change. This modest but high
for scientists at different stages of their researchers wishing to establish their quality pool of researchers funded by
research career. The full spectrum of independent laboratory, while the Sen- the India Alliance, it is hoped, will help
biomedical sciences, from fundamen- ior Fellowships (Sf) are for independent develop the human resource capacity to
tal biology to clinical and public health investigators who have recently started justify the expected outlay of 2.5% of
research, is covered in the India Alli- their laboratory and wish to expand India’s GDP in science and technology
ance’s remit.
their research program with an ambi- by 2020.
tious idea. The Margdarshi Fellowship
is aimed at established scientific lead- * Correspondence should be addressed to Ponnari
On the left: a young Indian college student
using a microscope.
ers in India or overseas, to relocate their Gottipati at [email protected]
panorama per i giovani
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29
Nuovi protagonisti
A sinistra: Sandro Gozi e Meira Kumar,
speaker della Lok Sabha, la Camera bassa
del Parlamento indiano. Nella pagina
seguente: alcuni studenti escono da un
college of engineering a Bangalore; ogni
anno dalle oltre 2.300 facoltà di ingegneria
indiane escono circa 6 milioni di laureati.
Roma e Nuova Delhi
a scuola di cooperazione
An interview with Sandro Gozi, member of Italian Parliament and
President of the Italia-India Association.
di Gabriele Rosana
Sandro Gozi è un fiume in piena quando
parla della sua India. Romagnolo, quarantadue anni, da sei siede a Montecitorio,
dopo una parentesi a Bruxelles, dove ha
lavorato come membro del corpo diplomatico a fianco degli ultimi due presidenti della Commissione europea, Romano
Prodi e José Manuel Barroso. Uomo delle
istituzioni e della cooperazione internazionale, Gozi è anche un recordman, tra
i palazzi della politica nostrana: 3 ore e
38 minuti per correre i 42 chilometri della maratona di New York; un appuntamento divenuto tradizione, una continua
sfida sul filo del cronometro con il collega Maurizio Lupi. E c’è tutta l’energia
irrefrenabile da vero globetrotter negli
itinerari di Gozi, dalle avenues di New
York alle baraccopoli di Nuova Delhi. Da
quando l’associazione Italia-India ha assunto il nuovo assetto, Sandro Gozi ne è
il presidente.
“A fare il mio nome fu l’attuale giudice della Corte costituzionale Sergio Mattarella, alla guida del sodalizio sino a quel
momento”, ricorda oggi. Ma allora, prima
del 2007, l’associazione Italia-India si
proponeva principalmente attività di studio e di ricerca accademica. “Bisognava
30
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n. 3, settembre-dicembre 2011
andare oltre; serviva non solo un think
tank, ma anche una formazione, avente,
come scopo sociale, l’agevolazione della conoscenza reciproca, e a tutto tondo,
tra Italia e India”. Una collaborazione
tra le due nazioni capace di muoversi su
tre distinti piani: il dialogo istituzionale,
la cooperazione economica e la promozione culturale, “sul modello di quanto
già fatto dagli inglesi, per ovvie ragioni
legate al loro passato coloniale nel subcontinente, ma anche da olandesi, belgi,
tedeschi e francesi”. È in questi anni e
con questi obiettivi che prende forma
l’associazione Italia-India, “un’organizzazione apolitica e senza fini di lucro che
mette a confronto imprenditori, studiosi,
politici e appassionati amici dei due paesi”, come si legge dalla presentazione sul
sito www.italyindia.org.
Un confronto che ha delle solide basi:
“Abbiamo avuto il patrocinio sia dell’ambasciata indiana a Roma, sia di quella italiana a Nuova Delhi, e siamo stati riconosciuti dal governo indiano come soggetto
che porta la conoscenza del loro paese
nel mondo – spiega Gozi –, ma i rapporti
coinvolgono anche i rispettivi Ministeri
per gli Affari esteri e Parlamenti”.
I parlamentari italiani del Gruppo di
amicizia presieduto dall’on. Gozi hanno
accolto il ministro dell’Industria indiano in visita in Italia; lo scorso novembre
è stata la volta della tappa indiana per il
gruppo parlamentare, che ha avuto una
serie di incontri ai massimi livelli, dopo
che nel 2010 una missione del sistema
delle Regioni italiane aveva già sondato
il terreno, interessata allo sviluppo economico nel subcontinente. Insomma, i soggetti coinvolti nel network italo-indiano,
che Gozi tiene a definire non-partisan,
sono i più vari: c’è Confindustria, Unacoma (l’Unione nazionale dei costruttori
di macchine agricole), ma sono presenti
anche numerosi esponenti della società
civile, del mondo politico, studi legali,
imprese, agenzie di stampa. “Tutti decision-makers dei due paesi, che puntiamo
ad avvicinare in un’ottica di crescita comune”, ottica sintetizzata dal profilo del
vicepresidente dell’associazione, Roney
Simon, strategic advisor e presidente
della Federation of Indian Chambers of
Commerce and Industry (Ficci).
Tra le priorità dell’associazione c’è
proprio l’interfaccia con il mondo imprenditoriale: “Con gli industriali italiani
e indiani stiamo lavorando a cooperazioni
strategiche, soprattutto in campo agroalimentare. Non siamo consulenti, ma mettiamo a disposizione le nostre conoscenze
nel dare indicazioni agli investitori italiani
interessati al mercato indiano. Anzi, proprio in quest’ambito abbiamo promosso
un premio che conferiamo agli imprenditori provenienti dai due paesi che si sono
distinti in Italia e in India”. Ma il dialogo
non si arresta al campo economico, incalza il presidente Gozi, e, anzi, il fronte culturale è ricco di appuntamenti per approfondire la conoscenza reciproca: “Promoviamo mostre fotografiche o di pittura di
artisti indiani in Italia. Di grande prestigio
sono state la partecipazione al Festival dei
due mondi di Spoleto e, due anni fa, la
partnership con il governo indiano, ospite d’onore al Salone internazionale del
libro di Torino, nell’ambito del quale, il
Nuovi protagonisti
Foto: iStockphoto/VasukiRao
prossimo maggio, il fotografo napoletano
Cesare Naldi, vincitore del primo premio
del National Geographic per un servizio
proprio sull’India, esporrà i suoi scatti”.
Le attrazioni culturali e paesaggistiche sono uno dei piatti forti su cui punta
l’Italia nello sponsorizzare la sua immagine nel mondo: una strategia che spiega
il coinvolgimento nelle attività associative della compagnia indiana Agt Airways,
interessata a favorire gli scambi business
tra i due paesi, ma anche a promuovere il
turismo in entrambe le direzioni. “Il mio
auspicio è che Alitalia ripristini presto i
collegamenti diretti con Nuova Delhi –
confessa Gozi –. Certo, per il momento
il turismo indiano nel Belpaese ha ancora
tanto da scoprire. Il profilo del viaggiatore
indiano che viene in Italia non si distanzia
troppo dallo standard medio, in termini di
potere d’acquisto; è molto interessato alle
città d’arte, ma ci sono ancora vaste aree
sconosciute e su cui si potrebbe lavorare,
come la zona dei laghi, le realtà collinariappenniniche, le Alpi”.
Oltre alla promozione del territorio,
c’è un altro versante su cui l’Associazione Italia-India punta, per un confronto a
tutto tondo con gli omologhi indiani, e
per uno scatto di qualità nella formazione
dei due paesi: l’università. “In occasione
dell’incontro di novembre, con il Ministro della Cultura e i responsabili delle
politiche universitarie abbiamo affrontato
il tema di una maggiore collaborazione
tra gli atenei dei due paesi. Fondamentale
è, su questo fronte, incentivare i programmi di scambio di professori e studenti e
rafforzare progetti universitari condivisi:
e, per quel che ha detto, anche il Ministro Francesco Profumo è molto interessato alla promozione della cooperazione
internazionale. Un primo passo in questa
direzione si fece negli scorsi anni, con la
Luiss Guido Carli di Roma, nell’ambito
del progetto ‘Invest your talent in Italy’,
promosso dalla Farnesina, da Unioncamere e dall’Istituto commercio estero”.
Dal suo punto di osservazione privilegiato, Sandro Gozi non rinuncia a tracciare un quadro del recente passato di una
nazione che si affaccia con vigore sulla
scena mondiale e, quindi, a prevedere l’evoluzione del boom del gigante asiatico.
“L’India ha vissuto una grande stagione di
riforme, con l’ondata di liberalizzazione
degli anni Novanta portata avanti dall’attuale primo ministro Manmohan Singh.
Si tratta di politiche che hanno permesso
al paese di aprirsi un po’ al mercato internazionale; un piano ambizioso che,
però, ad oggi risulta ancora incompiuto.
Come confermano Bangalore e dintorni,
la scommessa ha riguardato anzitutto le
information technologies e la formazione di soggetti capaci di coniugare due
punti di forza: una solida preparazione
ingegneristica e la conoscenza dell’inglese. Di certo, c’è ancora molto da fare in
campo agricolo, settore strategico che impiega il 70% circa degli indiani e che ha
bisogno di innovazione, a cominciare da
una ristrutturazione della food processing
industry. Il paese – prosegue l’analisi di
Gozi – ha bisogno di superare le inevitabili contraddizioni che esistono al suo in-
terno tra aspirazione globale e cieca chiusura. Le questioni aperte non mancano,
come decidere se aprire o meno il settore
della distribuzione agli investimenti diretti esteri”. Ma il 2012 che comincia, sotto
il sole di Nuova Delhi, porta già il sapore
della competizione elettorale dei prossimi
mesi, “che si svolgerà con una crescita
economica pari al 7%. Una cifra che noi
ci sogniamo, certo, ma che è appena sufficientemente rassicurante, dovendo pur
sempre tener conto dell’inflazione e del
recupero dell’alto livello di povertà”.
È sulla politica estera, però, che vengono in luce le maggiori prese di distanza dalla strategia di Nuova Delhi. E Gozi
non ne fa mistero: “Le nostre posizioni
sono chiaramente diverse. L’India ha tutte le carte in regola per entrare a far parte
come membro permanente del Consiglio
di sicurezza delle Nazioni Unite, ma non
intende rivederne la politica di fondo.
Ritengo sia ancora attuale la battuta con
cui l’allora ministro degli Esteri Susanna Agnelli liquidò la questione dell’allargamento del Consiglio di sicurezza:
“Perché solo Germania e Giappone?
Anche noi abbiamo perso la guerra!”.
Non si può metter mano al consesso dei
membri con diritto di veto senza mettere in discussione la logica post-seconda
guerra mondiale e dar vita a un Consiglio di sicurezza che rifletta una realtà
globale flessibile. A cominciare da un
coinvolgimento delle realtà regionali:
penso ovviamente all’Unione Europea”.
All’obiezione giuridico-formalista di
una Onu aperta agli Stati e non alle organizzazioni sovranazionali, Gozi, fervente europeista e tra i promotori del
Gruppo Spinelli a Bruxelles, risponde
con la “necessità di una riforma dello
Statuto del Palazzo di Vetro. Il vero problema non sta nei meccanismi giuridici,
ma nella resistenza di Parigi e Londra”.
Ed è proprio dalle istituzioni dell’Unione che prende le mosse la speranza di
un rapporto ravvicinato con l’India che
nei mesi a venire potrebbe conoscere un
possente sviluppo. “Siamo alla fine di un
lungo negoziato tra la Ue e l’India: l’accordo di libero scambio dovrebbe essere
aperto alla firma già nel primo semestre
dell’anno, sotto presidenza danese”. E il
canale privilegiato con l’Italia non può
essere che un motore propulsore per
intessere una forte rete capace di unire
Bruxelles e Nuova Delhi.
panorama per i giovani
•
31
Nuovi protagonisti
Spazio al Brasile!
Brazil believes in the “space dream”. The government has supported
the Brazilian Space Agency (Aeb) since 1994. The agency works with
industrial firms and universities that implement the national space
program. This “race to the space” has greatly improved the national
economy and has given Brazil the opportunity to create partnerships
with the most important space agencies, like Nasa and Esa.
Il Brasile, negli ultimi anni, si è prepotentemente guadagnato un posto nel cosiddetto Bric (Brasile, Russia, India, Cina),
il gruppo dei grandi paesi che stanno vivendo uno sviluppo senza precedenti.
La crescita brasiliana è stata favorita
anche dal Programma spaziale nazionale e dall’aumento delle competenze in
questo settore. Nel campo chimico, per
esempio, l’industria locale ha dovuto specializzarsi nella produzione di manufatti
che fino a quarant’anni fa non esistevano
nel paese. È il caso della ricerca e conseguente produzione di nuovi propellenti
compositi e di resine liquide, che hanno
dato impulso anche ad altri settori, come
quelli delle vernici, degli adesivi, delle
suole per le scarpe e delle schiume. Nel
settore metallurgico le aziende brasiliane
sono diventate così competitive da essere
oggi fra i principali fornitori di acciaio per
la Boeing. Inoltre la brasiliana Embraer è
la terza azienda mondiale nel settore aerospaziale e aereonautico.
32
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
Il Brasile crede nel “sogno spaziale”; le sue istituzioni credono nel loro
diritto di partecipare alle operazioni
spaziali internazionali; il paese vuole
far valere le proprie capacità tecnologiche e organizzative anche al di fuori dei
suoi confini.
La corsa brasiliana allo spazio è cominciata più di 40 anni fa, ma è solo nel
febbraio del 1994 che nasce l’Aeb (Agência Espacial Brasileira). Per comprendere quanto sia forte la spinta istituzionale
nel settore aerospaziale, basti pensare che
l’organigramma dell’Aeb presenta al suo
vertice il Presidente della Repubblica.
L’agenzia, responsabile della formulazione e della coordinazione della politica
spaziale brasiliana, è un’autorità federale
legata al Ministero della Scienza e della
tecnologia (Mct).
In questi anni il Brasile ha raggiunto
obiettivi molto importanti nel campo aerospaziale. Primo fra tutti, il decollo di
un astronauta brasiliano a bordo di una
sonda russa Soyuz Tma-8 diretta alla
stazione spaziale internazionale (Iss).
Il tenente colonnello Marcos Pontes,
classe 1963, è partito alla volta della
stazione il 29 marzo 2006, alle 23:30
(ora brasiliana), da Baikonur, in Kazakistan, accompagnato dal cosmonauta
russo Pavel Vinogradov e dall’astronauta americano Jeffrey Williams. La sua
permanenza nell’Iss è stata un successo
sia scientifico (Pontes ha realizzato ben
otto esperimenti sfruttando le condizioni
di microgravità peculiari della base) sia
patriottico. La missione è servita anche
a cancellare le ombre calate sull’attività
spaziale brasiliana a seguito del “disastro
di Alcântara”, una delle più grandi tragedie astronautiche di sempre. Nell’agosto
del 2003, infatti, si stava preparando il
Foto: Aeb/Edson Aruki; Aeb/Ricardo Labastier;
Aeb Arquivo; Aeb/Ricardo Labastier
di Saverio Cambioni
Nuovi protagonisti
A sinistra e sopra il titolo: una torre di lancio
e la partenza di un razzo vettore dalla base
aerospaziale di Alcântara, la più importante del
Brasile. Sopra e in basso: la base di lancio di
Barreira do Inferno e uno dei suoi potenti radar.
lancio del vettore spaziale Vls-1; all’improvviso il razzo esplose all’interno
dell’hangar in cui era stato costruito,
causando la morte di più di 20 persone.
Il grave incidente avrebbe potuto mettere
in forse il futuro del programma spaziale
brasiliano, ma si decise di continuare e
la missione del 2006 confermò il grande apprezzamento internazionale per il
lavoro dell’Aeb, oltre a consolidare il
rapporto fra Russia e Brasile nel campo
aerospaziale.
Altro obiettivo strategico raggiunto dall’Aeb è stata la messa in orbita
di satelliti. Date le dimensioni territoriali del Brasile, il supporto satellitare
è necessario per una serie di attività
come il monitoraggio di grandi aree
(soprattutto agricole) e del progressivo disboscamento dell’Amazzonia,
la raccolta di dati relativi a zone di
difficile accesso (come ad esempio il
Rio delle Amazzoni), il rilevamento
di eventi imprevedibili come cicloni
e terremoti, le telecomunicazioni a distanza e il controllo del traffico aereo
e dei confini. I satelliti hanno inoltre
altri tre compiti fondamentali: rendono possibile la comunicazione fra città
o villaggi distanti e isolati, diffondono
la Tv in ogni parte del Brasile e permettono di creare una rete di comunicazione strategica per aziende e banche. Anche in questo caso la grande
sinergia fra governo e industria ha permesso al paese di raggiungere risultati
eccellenti, rendendosi per certi aspetti
indipendente dai servizi satellitari degli altri paesi.
Oggi il Brasile sta puntando molto sul
miglioramento dei suoi centri di lancio
che, per la loro posizione privilegiata,
sono ambiti da molte agenzie del settore. La base più importante è il già citato
“Centro de Lançamento de Alcântara”,
che si trova a 2°18’ al di sotto della linea
dell’equatore: ciò permette di risparmiare il 30 % di carburante, perché all’equatore la forza centrifuga terrestre è maggiore e quindi la velocità di fuga dalla
Terra è minore. Il sito è vicino al mare,
è poco popolato, permette di eseguire
lanci di vettori o razzi anche di grande
potenza, nonché la costruzione di più siti
di lancio. Il Brasile vuole sfruttare le caratteristiche di questo centro per attirare utenti dall’estero e aumentare la sua
partnership con paesi come Usa, Francia, Russia, Cina e con agenzie come
l’Esa (European Space Agency). L’Aeb
ha dedicato infatti particolare attenzione
a rafforzare la cooperazione internazionale. Finora sono stati firmati accordi di
carattere intergovernativo con nove paesi sull’uso congiunto di basi spaziali e
sulla cooperazione per usi pacifici dello
spazio esterno.
Il segreto del successo brasiliano sta
anche nel rapporto stretto che esiste fra
l’Aeb e l’università, in cui si fa ricerca
e si scoprono tecnologie che possono risultare utili al settore aerospaziale: non
si parla solo di innovazioni tecnologiche,
ma anche di scoperte mediche e della
possibilità di compiere preziosi esperimenti durante i voli spaziali. Attraverso
il progetto Aeb Escola, inoltre, l’agenzia
spaziale brasiliana coinvolge le scuole
superiori con seminari e lezioni di approfondimento. Sia gli industriali sia i
membri del mondo universitario possiedono una rappresentanza nel consiglio
superiore dell’Aeb, a indicare ancora
una volta il ruolo chiave dell’agenzia
nella società brasiliana.
Uno degli effetti più importanti delle attività aerospaziali brasiliane sul
tessuto sociale del paese rimane comunque l’impulso alla formazione di
capitale umano. La corsa allo spazio ha
creato personale altamente qualificato,
oggi richiesto da molte agenzie spaziali, e un miglioramento delle competenze delle aziende del settore che,
in uno spirito di concorrenza, affinano
progressivamente le loro capacità tecnologiche attingendo dal mondo delle
università.
Il programma ha portato grandi giovamenti all’industria, all’università,
all’economia; ma non ha certo migliorato le condizioni di vita reale. Lo space dream non prevede vere case per gli
abitanti delle favelas, né razzi per fuggire da una situazione di povertà estrema in cui si trovano moltissime persone, poveri che di dreams, ogni giorno,
se ne possono permettere ben pochi.
Una situazione che ha del paradossale,
se comparata allo sviluppo tecnologico che il paese sta avendo negli ultimi
anni.
panorama per i giovani
•
33
La
Nuovi
salute
protagonisti
nel mondo
L’inglese come lingua globale
International contacts grew up amazingly in the last decades thanks to
easier ways to travel, both physically and electronically, and they turned
the world into a “global village”. In the same way, the need for a global
language came to be really urgent and English soon became the world’s
number one “lingua franca”, a language shared by people who speak
different native languages.
di Valentina Pudano
Foto: iStockphoto (photo75; LucaZola)
La globalizzazione da un lato e la necessità di mantenere un’identità culturale
dall’altro hanno da subito sollevato interessanti questioni dal punto di vista linguistico. Diversi studiosi si sono occupati del problema e fra questi si è distinto
nel panorama inglese David Crystal. Nel
suo saggio English as a global language,
egli ci presenta un resoconto dell’ascesa
dell’inglese come lingua globale attraverso un’analisi storica che si addentra sino
all’esplorazione delle future potenzialità
di questa lingua.
Lo studioso paragona la diffusione
della lingua inglese nel mondo di oggi a
quella del latino nell’impero romano. Il
latino, osserva Crystal, è diventato una
lingua internazionale non perché i madrelingua latini fossero in numero superiore
rispetto ai popoli che soggiogarono, né
perché la lingua fosse caratterizzata da
una facilità di comprensione o apprendimento. In realtà, i latini erano semplicemente più potenti. E perso il potere militare, il latino rimase per un millennio la
lingua internazionale dell’istruzione, grazie a un altro tipo di potere, quello della
Chiesa.
Sulla base di questi presupposti,
Crystal rigetta quindi i luoghi comuni che
giustificano l’affermazione dell’inglese
in quanto lingua “facile da apprendere”
zionale, come ad esempio la frequente
familiarità del lessico, derivante dal fatto
che ha importato migliaia di parole dalle lingue con cui è entrato in contatto.
Dall’altro lato ci sono aspetti decisamente meno semplici, come il sistema ortografico e fonetico.
La ragione principale di questa affermazione consiste allora nel potere che
la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno
progressivamente conquistato a livello
mondiale. Partendo dall’analisi di fenomeni quali il colonialismo, la rivoluzione
industriale o la centralità conquistata sul
piano economico, l’autore descrive l’eredità culturale che tutto questo ha prodotto,
soprattutto a livello dei media, dell’istruzione e sulla rete Internet. Per il futuro lo
studioso ipotizza che l’inglese potrebbe
frammentarsi in dialetti regionali, rendendo necessaria la creazione di un “inglese
di riferimento”, che egli chiama World
Standard Spoken English.
Col passare degli anni, l’utilità della conoscenza della lingua inglese è aumentata (e tuttora aumenta) con il crescere del numero delle persone che la
parlano. È lo stesso fenomeno che ha
contribuito alla diffusione del telefono e
del computer ieri, di Facebook e di Twitter oggi: l’utilità per ognuno aumenta
al crescere della diffusione del mezzo
o dello strumento. Tale “utilità”
Non è escluso che
consiste nel fatto
in futuro l’inglese si frantumi
che gradualmente
e richieda una versione di
il valore econoriferimento.
mico dell’inglese
è aumentato pero “con un minor numero di regole gram- ché permette di trovare lavori meglio
maticali”: infatti, come è deducibile dal retribuiti: è per questo che spesso si
confronto con l’analoga situazione del impara l’inglese spinti da ragioni prettalatino, non è la semplicità di una lingua a mente funzionali, dato che esso permetgarantirne la diffusione. L’inglese possie- te di realizzare determinati obiettivi con
de certamente determinate proprietà che una facilità relativamente maggiore. Un
lo rendono accattivante a livello interna- esempio di questo fenomeno è rintrac34
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
ciabile in India, connesso con la pratica
dell’outsourcing: molti indiani hanno
imparato l’inglese con lo scopo di essere più competitivi sul mercato mondiale.
Sono sempre più comuni agenzie indiane che offrono una “neutralizzazione”
dell’accento originario, in modo da acquisire una perfetta pronuncia inglese o
perfino “locale”, dato che alcune di esse
sono specializzane nell’accento scozzese
o gallese.
Ma il successo dell’inglese non è privo di problemi, soprattutto nel rapporto
con le altre lingue. Si è accusato spesso
l’inglese di aver provocato la scomparsa di varie lingue minori a causa di un
chiaro “imperialismo linguistico”, come
viene chiamato dai linguisti Pennycook
e Phillipson. Nel suo saggio, Crystal entra chiaramente in polemica con la loro
posizione; egli non vede un contrasto
tra la comprensibilità a livello globale e
l’identità, le quali sono per lui piuttosto
funzioni complementari: la lingua globale
fornisce accesso alla comunità mondiale,
quelle locali alle comunità locali.
Per di più, Crystal considera una risorsa le influenze reciproche tra la lingua
dominante e le altre, poiché esse arricchiscono le lingue ampliando la scelta
nel lessico. Egli critica la visione purista,
che interpreta la diffusione di parole provenienti da altre lingue come un declino
della lingua stessa e cita in modo piuttosto provocatorio il caso del corrispettivo
francese di computer, ovvero ordinateur:
una chiusura di questo tipo (che corrisponderebbe all’ostinazione di chi, in
italiano, volesse usare un termine come
elaboratore) è per lui insensata, considerando oltretutto che il termine computer
deriva proprio dal latino, la lingua madre
del francese.
L’inglese è la lingua globale, ma
questa constatazione non elimina e anzi
rafforza molti interrogativi. Soprattutto se l’inglese non è la nostra lingua
madre, potremmo comunque percepire
quest’affermazione come una minaccia
all’integrità della nostra lingua. È una
reazione in fondo del tutto naturale,
senza che si debba per questo cedere al
sentimento di paura e di rivalità con il
quale spesso, nella storia, si è reagito
a questa particolare forma di “potere”.
Anche perché queste paure e queste rivalità hanno contribuito, purtroppo, a
molti conflitti.
La risorsa agricoltura
Il mercato globale
Considerazioni sui Bric
Brazil, Russia, India and China are new emerging actors in the
economic and political world, but there are many important differences
among them.
Foto: iStockphoto/sborisov
di Rosario Alessandrello
Propongo in questo testo alcune osservazioni e considerazioni sui Bric (Brasile,
Russia, India e Cina), il cui acronimo è
stato inventato per sottolineare il ruolo
crescente di questi paesi non solo nell’economia mondiale globalizzata ma anche
nella mutazione antropologica dovuta al
crollo delle certezze acquisite nel mondo
cosiddetto occidentale (Ue e Usa) fino a
qualche decina di anni fa.
Ritengo inoltre di dover precisare che
la globalizzazione, così come viene generalmente definita, non è la causa, ma
l’effetto che lo sviluppo tumultuoso delle nuove tecnologie prodotte e applicate
ha creato nella trasformazione radicale
della vita quotidiana, costringendoci ad
adeguarci.
D’accordo con Selene Favuzzi quando dice che “l’individuo nella società globale si sente sperso, frammentato, sostituibile, marginale; le categorie tradizionali
di spazio e tempo risultano sconvolte; i
capitali sono smaterializzati e svincolati
da un luogo fisico. Tutto accade simulta-
neamente e la rete cattura le notizie ancor
prima dei servizi d’informazione”.
Brasile
Il giornale Guardian di Londra del 26 dicembre 2011 ha annunciato che il Brasile
ha superato la Gran Bretagna nella graduatoria mondiale del Pil; è cioè al sesto
posto preceduto appena da Usa, Cina,
Giappone, Germania e Francia, che sarà
presto superata (2013).
La stima del Pil 2011, in anticipo sulle rilevazioni ufficiali, arriva dal centro
studi inglese Cebr. Naturalmente il peso
della popolazione ha un valore decisivo,
poiché i redditi pro capite tra l’Europa e il
Brasile sono ancora assai lontani; inoltre
le classifiche si muovono anche influenzate dal cambio che favorisce l’ascesa dei
paesi con monete sopravvalutate.
L’economia brasiliana cresce da un
decennio quasi ininterrotto. La spinta
iniziale è arrivata dall’esportazione di
materie prime, tra cui soia, minerali e
zucchero, alla quale è seguita negli ultimi
anni la crescita dei consumi interni. Nel
frattempo il Brasile ha seguito politiche
ortodosse nel controllo dell’inflazione e
dei conti pubblici. Giuste le considerazioni che la crescita brasiliana è stata favorita
anche dal programma spaziale nazionale
e dall’aumento delle competenze in questo settore.
Ha sviluppato anche il settore delle
autostrade ma ha ignorato di creare una
rete ferroviaria degna di tal nome, anche
se si prevede di realizzare entro il 2014 un
collegamento ferroviario ad alta velocità
tra San Paolo e Rio De Janeiro. Non esiste in alcuna università brasiliana la possibilità di laurearsi o specializzarsi come
“ingegnere” ferroviario.
Nonostante la piaga della povertà e
dell’analfabetismo e della criminalità
organizzata che governa le centinaia di
favelas presenti a Rio De Janeiro, il governo ha scelto come strategia di crescita
e modernizzazione del paese l’organizzazione di eventi mondiali nei prossimi
cinque anni quali: la Giornata mondiale della gioventù (2013), i Campionati
mondiali di calcio (2014) e le Olimpiadi
(2016); in sostanza la sfida dell’infrastrutturazione del paese con reti materiali e immateriali.
Da quanto detto sopra, la Borsa valori
di San Paolo ha segnato la migliore performance al mondo negli ultimi cinque
anni. Si ritiene che il Brasile sarà il paese
trainante per lo sviluppo e l’integrazione
panorama per i giovani
•
35
Nuovi protagonisti
dell’America Latina nel prossimo futuro;
cioè potrà diventare realtà l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur) che
inizia come un ambizioso progetto di cooperazione infrastrutturale (trasporti, logistica ed energia) e, in prospettiva, di integrazione politica, a cui partecipano 12
paesi sudamericani (i membri del Mercosur e del Patto Andino con l’aggiunta
di Cile, Guyana e Suriname). Se ciò si
avvera la fine della “Dottrina Monroe”
diventa realtà.
Russia
Non è possibile parlare della Federazione
Russa (FR) di oggi, cioè della Russia di
Vladimir Putin, paese ricco di contraddizioni, passato in pochi anni dalla pianificazione centralizzata ai meccanismi di
mercato e con un’economia in rapida e
costante espansione, se non si considera
che nel 1991 non solo si è dissolto il Partito comunista sovietico ma è avvenuta la
disunione dell’ultimo degli imperi europei, che il Partito aveva ereditato da secoli
di storia degli zar.
L’impopolarità in Russia di Michail
Gorbaciov e poi di Boris Eltsin deriva
proprio dall’aver dissolto e svenduto agli
Usa un impero senza alcuna ricompensa
e anzi avendo creato degli Stati confinanti che si sono dimostrati subito politicamente ostili agli interessi della FR con dei
rancori verso i russi visti come ex-colonizzatori.
Si ricorda che dopo il 2001 più di 3,5
milioni di russi presenti nei vari paesi della Comunità degli stati indipendenti (Csi)
sono ritornati nella FR come immigrati.
La FR è una repubblica presidenziale secondo la Costituzione del 1993.
Altra considerazione che è necessario fare è che Vladimir Putin è arrivato
al potere dopo che la FR era andata in
default nell’agosto del 1998 e l’82% del
patrimonio industriale del paese era in
mano a 21 oligarchi. Vladimir Putin lega
perciò la sua figura all’azione portata
avanti con successo che ha permesso al
paese di assicurarsi stabilità sul piano interno e prestigio su quello internazionale.
Partendo dal rango di agente di secondo
livello dei servizi di sicurezza (Kgb), la
sua ascesa ai vertici del Cremlino è stata
portata avanti combinando determinazione e pragmatismo fino a farne l’“uomo
forte” del sistema a conferma delle sue
indubbie qualità di leadership. L’ambi36
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
zione di proporsi come il leader garante
di un ritorno della Russia alla “grandezza” che le è ritenuta propria, mediante un
processo di modernizzazione dall’alto,
è esplicita. I valori ispiratori della sua
azione sono quelli della tradizione russa:
nazionalismo, patriottismo, compattezza
sociale e, soprattutto, priorità al ruolo
dello Stato.
Il 4 dicembre scorso nella FR hanno avuto luogo le elezioni per il rinnovo della GosDuma (Camera Bassa) con
una partecipazione elevata degli elettori
aventi diritto (oltre 60%), confermando
la composizione politica immutata della
precedente Duma; saranno cioè presenti
gli stessi quattro partiti della legislatura
precedente: Russia Unita, Comunisti,
Liberal Democratici e Russia Giusta,
con la differenza che Russia Unita, disponendo di 238 deputati su 450, passa
dalla maggioranza qualificata di prima a
quella assoluta e i Comunisti sono raddoppiati. La perdita della maggioranza
qualificata non allarma il potere più di
tanto perché le riforme della Costituzione che interessavano sono già state fatte
e le forze minori che hanno superato lo
sbarramento, sinora, non si sono rivelate antagoniste preoccupanti. Va aggiunto
che alle presidenziali del 4 marzo 2012
il fronte delle opposizioni non sembra
possa esprimere una candidatura unitaria
e credibile contro Vladimir Putin. Infine
il quadro politico “normalizza” la for-
Dall’alto, in senso orario: un fiume attraversa la
foresta amazzonica, una delle grandi risorse del
Brasile; un complesso industriale a Chongqing;
operai a Nuova Delhi durante i lavori per i Giochi
del Commonwealth del 2010. A pag. 35: i grattacieli
sono il volto della nuova Mosca.
za della maggioranza rendendola, sulla
carta, meno lontana da una democrazia
“classica”. Se la nuova Duma non promette molto di inedito, più interessante
è il quadro che emerge da alcuni tratti
della società russa. In particolare stanno
assumendo un ruolo significativo gruppi
che utilizzano le nuove tecnologie con
intelligenza e fantasia, ingaggiando battaglie politiche che si avvalgono di tutti
gli strumenti che il web mette a disposizione.
Per quanto riguarda lo sviluppo futuro dell’economia della FR bisogna tener
conto della strategia scelta in questi ultimi
anni dal duo Putin-Medvedev:
1) La realizzazione di eventi internazionali nel territorio russo quali le Universiadi a Kazan (2013), le Olimpiadi invernali
a Sochi (2014), i Campionati mondiali
di calcio (2018), cinque gare di Formula
Uno per cinque anni consecutivi a partire
dal 2015 nella zona di Sochi, ecc. In sostanza la sfida dell’infrastrutturazione del
paese con reti materiali e immateriali;
2) La creazione di una città della scienza a Skolkovo, con centri di ricerca aperti
al mondo sulle tecnologie innovative nel
campo di farmaci, biotecnologie, alimen-
Nuovi protagonisti
Foto: iStockphoto (thobo; prill; EdStock)
vantaggi non dall’eliminazione dei limiti
di esportazione a 750 posizioni merceologiche, ma dalle riforme interne, se e quando le industrie di trasformazione e quelle
del settore agroindustriale sapranno elevare la loro efficienza sotto la pressione
della concorrenza più serrata nel mercato
interno per la maggior importazione di
prodotti esteri.
Comunque vale la pena ricordare la
celebre definizione dell’allora premier
britannico Winston Churchill: “La Russia
è un rebus, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma”.
tare, nucleare, spaziale e delle nanotecnologie;
3) La creazione di un’area (euroasiatica)
economica comune senza dogane (2012),
tra FR, Kazakistan e Bielorussia e appena
possibile Kirghizistan e altri 8 paesi della
Csi che sono pronti a prendere in esame la
loro partecipazione appena ce ne siano le
condizioni. In questo processo, dopo l’unione doganale, si prevede l’adozione di
una moneta unica.
4) La rivoluzione in Russia si chiama
Wto: un’analisi delle conseguenze dell’adesione della FR alla Wto è una condizione necessaria per creare in Russia un’economia innovativa, se il paese lo vuole
realmente, ed è una netta sconfitta nel
caso in cui di tale economia solamente
si parlerà. La FR potrà trarre i principali
India
Il sistema economico indiano sta cambiando forma. L’economia indiana, secondo la Banca mondiale, è al decimo posto nella scala internazionale del Pil, ma
al secondo posto per il livello più rapido
di crescita, dopo la Cina. L’India rappresenta dunque una realtà o un’alternativa
regionale in Asia, dominata finora dalla
concentrazione dell’interesse commerciale e promozionale su Cina e Giappone. Secondo le stime di alcuni esperti, nel
2020 l’India sarà popolata come la Cina
e con una popolazione più equilibrata fra
maschi e femmine rispetto alla Cina. Per
allora si prevede che il paese sarà ancora
più forte di oggi dal punto di vista economico (al quinto posto nella scala del Pil).
I politici indiani, però, hanno più volte
mostrato di non volere aspettare quel momento per vedere riconosciuto il ruolo del
proprio paese quale potenza politica ed
economica globale.
Negli ultimi anni i dirigenti indiani
hanno iniziato a chiedere maggiore visibi-
lità internazionale ma soprattutto maggiore soddisfazione alle loro richieste nelle
sedi politico-economiche appropriate.
Durante le riunioni del Wto, per esempio, i responsabili indiani hanno preteso
che fossero introdotti nella legislazione
internazionale alcuni elementi protezionistici, allo scopo di tutelare particolari
comparti produttivi nazionali.
La situazione geografica indiana è
quella di una potenza marittima, costeggiata dalla catena dell’Himalaya che la separa a nord dalla Cina, con ai suoi margini
Pakistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri
Lanka e, a ovest, il Passo di Kyber che
collega il bacino dell’Indo alla pianura
del Gange e Calcutta (oggi Kolkata).
Per questo motivo l’India costituisce
un nodo vitale tra l’Asia delle steppe e
l’Asia dei monsoni. Di fatto, essa occupa
una posizione centrale in Asia, all’incrocio tra il Medio Oriente, l’Asia centrale
e l’Asia del Sud-Est, collocandosi alla
sommità di un arco di cerchio che va
dall’Oceano Indiano al Sud dell’Africa
e dell’Australia. In questo arco l’India
si inserisce con il suo elevato peso demografico, le sue capacità economiche,
solo in parte sbocciate, le sue competenze tecnologiche e scientifiche nel
campo dell’Ict, dell’industria medicale e
nucleare e un apparato militare non trascurabile. Tutte caratteristiche che fanno
dell’India la potenza regionale in ascesa
dell’Asia.
Questo significa che l’Asia, per la prima volta nella storia, non è più dominata da una sola delle nazioni che la compongono o da potenze estere, ma divisa
nelle sfere di influenza di tre grandi paesi
(Cina, Giappone e India) ciascuno con interessi e ambizioni che spaziano su tutto
il continente e oltre, fino all’Africa e al
Golfo Persico.
Il futuro economico e politico del pianeta deve tener conto nei prossimi anni
della lotta di potere tra Cina, Giappone e
India, impegnati a conquistare con ogni
mezzo risorse e posizioni strategiche.
Le opportunità di investimento, l’abbondanza di capitali, la vivacità imprenditoriale, garantiscono loro un’indipendenza senza precedenti dalle fortune
dell’Europa e dell’America. Secondo Bill
Emmott l’India è “moltitudini”, “confusione”, “slancio”.
Chiunque abbia modo di vivere o visitare l’India non può nutrire dei dubbi sul
panorama per i giovani
•
37
Nuovi protagonisti
fatto che questo paese contenga “moltitudini”, cosa che è anche fonte di frustrazione e perplessità per chi cerca di capirlo.
È una “confusione” su molteplici livelli.
Il progresso è impossibile.
O forse no?
La cosa curiosa riguardo alla politica pubblica indiana, che si parli di affari
esteri oppure di economia, è la continuità di indirizzo che si è di fatto registrata
negli ultimi 18 anni, indipendentemente
da quale coalizione di partiti fosse al governo.
Nel 1994 è stato lanciato il più grande ciclo di riforme economiche, dando
il via a un processo che è stato portato
avanti da ogni governo che è venuto
dopo. Ci sono state delle variazioni nella
velocità di implementazione di queste riforme; ma la direzione di marcia è rimasta invariata. Il risultato è che, malgrado
questa “confusione”, l’India è riuscita ad
acquistare un notevole “slancio”. L’India
ha aumentato il suo interscambio commerciale con il resto del mondo; però
segnando sempre un disavanzo della bilancia commerciale. Si assiste negli ultimi anni a un costante incremento degli
investimenti diretti dall’estero, dovuto
alle prospettive di crescita del paese e
al processo di graduale liberalizzazione
dell’economia, anche se nel 2009 hanno
subito un rallentamento per effetto della
recessione globale.
L’India ha migliorato la propria
competitività in maniera considerevole
a partire dal 1991: si è assistito a una
rivoluzione nelle telecomunicazioni,
sono diminuiti i tassi di interesse, il capitale è abbondante (benché i manager
di banche statali, restii nei confronti del
rischio, si rifiutino di concedere prestiti
ai piccoli imprenditori), sono stati migliorati autostrade e porti e il mercato
delle proprietà immobiliari sta diventando trasparente.
Più di 100 società indiane hanno una
capitalizzazione di mercato superiore a
un bilione di dollari e alcune di queste,
comprese Bharat Forge, Jet Airways, Infosys Technologies, Reliance Infocomm,
Tata Motors e Wipro Technologies stanno diventando brand competitivi a livello
globale. In borsa gli stranieri hanno fatto
investimenti in più di 1.000 società indiane. L’industria high tech è decollata e
tutti questi mutamenti hanno trasformato
il settore bancario. I prestiti svantaggiosi
38
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
ora rappresentano meno del 2% del totale dei prestiti (in Cina è il 20%) anche se
le mediocri banche statali sono lontane
dall’essere state privatizzate. Attualmente la crescita viene guidata dai servizi e
dai consumi interni. I consumi possono
essere un ostacolo vantaggioso per molti
indiani – con la loro disposizione ascetica
– ma nei termini espressi dall’economista
Stephen Roach di Morgan Stanley: “In
India l’approccio alla crescita ai consumi
può essere meglio bilanciato rispetto al
modello cinese basato sulla mobilizzazione delle risorse”.
Il contrasto tra la crescita indiana guidata dall’imprenditore e il modello cinese
stato-centrico è notevole. Il successo cinese è ampiamente basato sull’export delle società statali o private. Pechino nutre
sempre molta diffidenza nei confronti degli imprenditori; solo il 10% dei crediti in
Cina è destinato al settore privato, benché
questo dia impiego al 40% della forza lavoro cinese. In India agli imprenditori va
più dell’80% del totale dei prestiti; mentre
Jet Airways, in servizio dal 1993, è diventato leader indiscusso nei cieli indiani, la
prima compagnia aerea cinese privata la
Okay Airways, ha iniziato a operare solo
nel febbraio del 2005.
Ciò che ha caratterizzato lo sviluppo
indiano è il fatto che l’enorme sviluppo
non è stato accompagnato da una forte
rivoluzione industriale sul piano del lavoro in grado di trasformare la vita dei
100 milioni di indiani ancora confinati
nella povertà rurale. Molti indiani guardano ipnotizzati alla Cina, perché questo
paese sembra creare nell’industria un
flusso senza fine di occupazioni di basso livello, grazie all’export di beni quali
i giocattoli e l’abbigliamento, mentre i
loro connazionali più istruiti esportano in
tutto il mondo servizi basati sul “sapere”.
Essi si chiedono con timore se l’India stia
saltando completamente una rivoluzione industriale, passando direttamente da
un’economia rurale a una del terziario.
Le restanti economie mondiali si sono
trasformate da economie di tipo rurale a
industriale e quindi a economie del terziario. L’India sembra avere un passaggio
intermedio debole. Il settore dei servizi
rappresenta attualmente più del 50% del
Pil dell’India, mentre l’agricoltura il 22%
e l’industria solo il 27% (contro il 50%
della Cina). In ambito industriale la forza
dell’India è rappresentata dall’high tech,
un comparto industriale altamente specializzato.
La convergenza di interessi geopolitici tra Stati Uniti e India nella regione
asiatica, principalmente in chiave di contenimento dell’espansionismo cinese, potrebbe essere il punto di svolta per la definitiva affermazione del paese tra le grandi
potenze mondiali nel prossimo futuro. La
comunanza di valori politici e culturali ha
favorito un processo di riavvicinamento
avviato da Clinton nel 2000, consolidato
dall’amministrazione Bush e proseguito
da Obama con la visita ufficiale a Nuova Delhi nel novembre del 2010 e con la
seconda sessione del US-India Strategic
Dialogue del luglio scorso.
L’India si trova ad affrontare in questi anni sfide decisive che verosimilmente ne segneranno il percorso negli anni a
venire. Internamente, il paese è costretto
ad affrontare minacce alla sicurezza che
generano tensioni e instabilità aggravate
dalle precarie condizioni economiche in
cui si trovano vaste regioni e che riguardano circa un terzo degli abitanti. Il movimento armato dei Naxcaliti, in particolare, incontra il consenso di strati sempre
più ampi della popolazione.
Altrettanto significative le tensioni
con gli Stati Uniti seguite alla mancata presa di posizione rispetto ai recenti
sollevamenti popolari nel Nord Africa e
alle vaghe posizioni espresse di fronte al
tentativo della diplomazia americana di
isolare l’Iran e il Myanmar. La mancanza
di solidità e coerenza dell’azione diplomatica indiana, infine, è confermata dallo
stallo sull’annosa questione del Kashmir.
In questo contesto, l’India rischia di vedere compromesse le aspirazioni di affermazione politica ed economica su scala
globale, finendo per restare costretta al
ruolo di potenza regionale con un ruolo
subalterno a quello della Cina.
Cina
Della Cina abbiamo già parlato nel raffronto con l’India, di cui è riuscita a
divenire il primo partner commerciale,
scalzando una lunga supremazia statunitense. Come abbiamo visto, le strutture
economiche dei due paesi sono complementari: la Cina può assicurare una
immensa base produttiva e l’India una
valida piattaforma ingegneristica e progettuale. In realtà, le tensioni politiche
fra i due paesi ancora prevalgono e bloc-
Nuovi protagonisti
cano una maggiore integrazione economica. La Cina controlla alcune zone del
Kashmir e rivendica il territorio indiano
del Tibet meridionale. È nell’Oceano
indiano che l’India teme di perdere il
controllo di acque che ritiene siano sotto
la sua sfera di influenza. La Cina ha infatti stretto una serie di alleanze che gli
permettono di costruire con i suoi capitali porti per navi cinesi in Pakistan, Sri
Lanka, Bangladesh e Myanmar. In Afghanistan, parallelamente alle missioni
internazionali egemonizzate dagli Usa,
una partita a tre è in corso fra India, Cina
e Pakistan. In questa partita tutti hanno
interessi: la Cina per l’influenza politica
nella regione e il reperimento delle materie prime; il Pakistan per interessi più
strettamente politico-strategici legati alla
sua sicurezza; l’India è in difficoltà perché deve confrontarsi con entrambi. La
risposta indiana alla politica considerata
aggressiva della Cina si concretizza principalmente negli accordi con l’Iran per
la realizzazione di una base navale nel
Golfo d’Oman, utile per sorvegliare lo
Stretto di Hormuz, e nel progetto per la
realizzazione di un porto militare nelle
Isole Nicobare per rinforzare la sorveglianza indiana sullo Stretto di Malacca.
Anche Russia e Cina usano l’Iran per i
loro strategie mediorientali.
Ho iniziato a parlare della Cina sottolineando gli aspetti di politica estera perché è di questi giorni la notizia che Cina e
Giappone lavorano a un cordone sanitario
anti-eurodollaro operando nell’interscambio fra loro senza passare dal dollaro Usa;
si scambieranno cioè merci, servizi e finanza (340 miliardi di dollari Usa) senza
avvalersi perciò della valuta Usa. Inoltre
il Giappone investirà parte delle sue riserve valutarie (1.300 miliardi di dollari Usa), seconde al mondo solo a quelle
cinesi (3.200 miliardi di dollari Usa), in
titoli di Stato cinesi. La Cina è già il primo compratore straniero di obbligazioni
di Stato giapponesi. I giganti d’oriente
hanno preferito superare le loro rivalità
storiche piuttosto che aumentare gli investimenti nelle obbligazioni dei paesi europei e Usa; con ciò lo yuan si è rivalutato
rispetto al dollaro Usa e avanza verso il
rango di moneta di riserva. La leadership di Pechino è consapevole che la crisi dell’Occidente minaccia gli equilibri
della sua economia fortemente orientata
all’export in un momento delicato in cui
si moltiplicano le proteste. Infatti contemporaneamente si cerca di favorire i consumi interni. La Cina si era detta disposta ad
aumentare i contributi al Fmi in cambio
di maggiori quote nel fondo stesso; ma
non intende aiutare i paesi europei comprandone i titoli di Stato; sembra invece
intenzionata a rilevare le aziende europee
più profittevoli. La Cina vuole acquisire
partecipazioni che garantiscano un ritorno
stabile nel lungo termine e consentano di
diversificare gli investimenti dalla finanza
verso asset reali, offrendo così una protezione contro l’inflazione futura che i cinesi ritengono ormai inevitabile. Può darsi
che tutto questo rientri in una strategia di
largo respiro messa a punto da Pechino
per sostenere finanziariamente l’Ue, cercando di sfruttare a proprio vantaggio la
crisi debitoria europea.
Nessuno può ragionevolmente immaginare che la Cina possa disinteressarsi
del mondo; anche questo paese è esposto
ai venti internazionali e come tutti è sottoposto all’andamento del cambio, ai movimenti del capitale, alle decisioni delle
multinazionali e ai tassi di interesse. La
crescita economica non sarà più la valvola di sfogo di ogni dissenso, lo ricordano
giornalmente gli scioperi nelle fabbriche,
le proteste per le requisizioni forzate della
terra e l’insoddisfazione che emerge dai
social network.
È ormai da qualche tempo che cominciano ad apparire sulla superficie
scintillante della locomotiva economica
cinese alcune venature che potrebbero
diventare crepe se la situazione dovesse
ulteriormente peggiorare, soprattutto nel
caso dovesse avverarsi (cosa inimmaginabile fino a qualche mese fa) lo scenario di una Cina in deficit commerciale nel
2012.
Tra le diverse “venature” (e possibili crepe), ve ne sono tre che consentono
di cogliere in modo immediato la portata
dei problemi: indebitamento dei governi
locali, bolla immobiliare ed esposizione
bancaria e la situazione debitoria di alcune imprese di Stato.
In aggiunta a quelle appena descritte,
potrebbero essere citate diverse altre “venature”: inflazione, perdita di competitività del settore manifatturiero, aumento
della disparità di reddito, difficoltà nel
soddisfare il fabbisogno energetico nazionale e altro ancora. Negli scorsi trent’anni
la Cina ha però affrontato e superato con
successo sfide ancora più difficili di queste. Le autorità possiedono gli strumenti e
le risorse per farvi fronte.
Non si comprende però lo stupore, o il
disappunto, di molti osservatori in Occidente per il mancato intervento della Cina
a sostegno dell’economia europea, il cui
futuro assetto peraltro resta avvolto in una
nebbia fitta. Il treno dell’Europa in panne non può attendersi di essere rimesso
in moto da una locomotiva che potrebbe
avere presto bisogno di importanti interventi di manutenzione.
In conclusione le cose in comune dei paesi detti Bric sono poche, escluso il fatto
che hanno un’economia in crescita; perché per il Brasile la sfida è risparmiare e
investire di più; per la Cina favorire i consumi interni anche per gestire le crescenti
tensioni sociali; Cina e India sono ancora
affamate di materie prime; mentre Brasile
e Russia hanno uno sviluppo economico
che dipende dall’export di materie prime;
infine, nel passato, solo la Russia non è
mai stato un paese colonizzato.
Allora Europa e Usa non si confronteranno a breve con un blocco omogeneo
di nuovi potenti ma con una complessa e
mutevole coalizione di paesi le cui contraddizioni potrebbero accentuarsi con la
maturità economica.
L’AUTORE
Ingegnere
chimico, Rosario
Alessandrello
è stato
amministratore
delegato e
presidente di
Tecnimont Spa
e presidente
di Maire Tecnimont. Attualmente
è presidente della Camera di
Commercio Italo-Russa, della
Camera di Commercio Italo-Iraniana
e dell’Associazione Brazil Planet per
la promozione delle relazioni ItaliaBrasile. Nel 2001 è stato insignito
dell’“Ordine dell’Amicizia” dal
presidente della Federazione Russa
Vladimir Putin. È stato nominato
Cavaliere del Lavoro nel 1997 ed è
presidente del Gruppo Lombardo della
Federazione.
panorama per i giovani
•
39
Primo piano
9/11. Un decennio
che non può essere ignorato
The Bible tells us: “weeping may endure for a night, but joy cometh
in the morning.” So President Obama has opened his speech, ten years
later the dreadful morning, in which the unespected happened. Today,
after the loss of three thousand lives, we can just remember the fire
brigade heroism, the soldiers’ praise-worthiness and the American
freedom.
di Davide Brambilla
Se memoria, incontri ed esperienze caratterizzano la vita di un uomo, l’11 settembre è per tutti noi qualcosa di speciale.
Parlo alla generazione di Facebook, di
Twitter e degli smartphone che non ha
vissuto il Vietnam crudele, né il crollo
del muro di Berlino, ma la nostra infanzia
passa necessariamente da quei quattro aerei di linea. All’improvviso, al posto della
Melevisione o dei Pokemòn, compaiono
due torri fumanti; persino un bambino, al
suo primo giorno di scuola, capisce che
è successo qualcosa di terribile. Sono le
Torri Gemelle, che di lì a poco collasseranno, portandosi via 2983 persone: madri e padri che non rivedranno più i propri
figli, italiani che non vedranno più la patria. Né possiamo dimenticare la facciata
del Pentagono, sfregiata dal terzo Boeing,
o lo United Airline 93, finito, per la rivolta
eroica dei passeggeri, in un campo della
Pennsylvania (e non sulla Casa Bianca,
probabile obiettivo).
D’altro canto, non posso negare che
da quel giorno maledetto si sia definitivamente aperta l’epoca del dolore in diretta,
distaccato, del “è successo ma non qui…
meno male”, delle immagini forti. Bambini che imbracciano fucili, inneggiando
al dittatore o alla sua fine, bombe che cadono, urla strazianti di madri che corrono.
Il tutto spesso si imbriglia nel tubo catodico, confinato ai cristalli liquidi (per i
più tecnologici), senza scalfire l’ordinaria
routine quotidiana; dai gialli irrisolti fino
al lucro mediatico sulla cronaca nera.
Foto: iStockphoto.com (khyim; Pferd)
Un duro colpo
Gli attacchi verranno presto rivendicati da
terroristi islamici, che col vero Islam hanno ben poco da spartire. Oltre all’inasprimento dell’odio religioso, che ha spesso
identificato il malvagio nel musulmano,
non sono tardati gli effetti economici: una
pesante crisi finanziaria e reale ha rallentato l’Occidente, rimessosi in moto nel
2005/2006, per poi ripiombare nella crisi
attuale. Né sono mancati quelli militari.
Colpiti da un nemico sfuggente – sta qui
una delle differenze con la guerra fredda,
in cui l’Urss era ben identificabile – gli
Stati Uniti rispondono, con la categoria
dei cosiddetti “Stati canaglia”, accusati di
ospitare e addestrare terroristi. A meno di
un mese dall’attentato, il 7 ottobre 2001,
inizia l’operazione Enduring freedom, che
ribalterà il regime talebano in Afganistan,
con la conquista di Kabul e delle princi40
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
Primo piano
pali città. Il 20 marzo 2003 si torna in
Iraq, dopo un lungo dibattito nazionale
e internazionale sui pro e contro della
“seconda guerra del golfo”. Il movente è
Saddam Hussein, sospettato di possedere armi di distruzione di massa (fatto poi
smentito dalla Cia stessa, al termine del
conflitto). La rapidità delle operazioni,
determinata dalla debolezza degli eserciti avversari, stride coi tempi della successiva stabilizzazione e dei costi umani, che hanno superato i numeri dell’11
settembre: 6.210 soldati americani, ai
quali se ne aggiungono 1.200 della coalizione (ricordiamo 41 italiani in Afganistan e 33 in Iraq) per un totale di oltre
225.000 morti (studio della Brown University di Rhode Island), considerando
anche i civili, spesso dimenticati dalle
stime. Così, il decennio che doveva esser votato al contenimento della straripante Cina ha visto gli Usa impegnati su
vari fronti, disperdendo parecchie energie (monetariamente si parla di una cifra
a dodici zeri, costantemente aggiornata
sul sito www.costofwar.com).
Il giorno della memoria
“Oggi l’America è più forte, perché non
ha ceduto alla paura […] i nostri stadi
sono pieni di tifosi e i parchi pieni di bambini che giocano. Il corpo dei pompieri,
che perse tanti uomini, ha continuato a
salvare vite fino ad oggi”. E dalle parole del presidente Obama, pronunciate al
Kennedy Center di Washington, si vuole
ripartire. Il sogno americano è anche questo: avere sempre una seconda opportunità, rialzarsi dopo una caduta, ricucire tutte
Due milioni di soldati americani
mobilitati dal 2001, ma vediamo nel
dettaglio l’impiego attuale.
Afganistan
Guidata dalla Nato, l’Isaf (International
Security Assistance Force) è
composta da ben 48 nazioni, con
130.638 effettivi, appoggiati da oltre
250.000 tra poliziotti e soldati afghani.
Iraq
Dopo un impiego di 300 mila unità,
durante l’invasione, l’Us Army è stato
affiancato da curdi, mercenari e dal
nuovo esercito iracheno (400.000
unità, con la polizia) che oggi ha il
completo controllo, dopo il ritiro della
coalition of the willing.
le ferite, anche se le cicatrici resteranno
indelebili. E così, nel giorno della memoria, nel primo decennale, tutti si fermano.
si quietano le teorie complottistiche (che
sollevano questioni nodose, bisognose di
chiarificazioni), si toglie lo sguardo dalle
borse, dalla recessione e ci si rivolge alle
vittime, si ascolta il loro muto lamento salire da Ground Zero.
Un messaggio forte arriva dalla presenza comune di Bush e Obama. Passato e
presente, chi ha fronteggiato l’emergenza
a muso duro e chi deve gestire la contemporanea, onerosa presenza in Afganistan e
Iraq, in un momento così alto si ritrovano
per stringersi vicino ai parenti delle vittime, per ascoltarne i nomi e soprattutto per
dire che l’America è unita.
E l’America ha anche voluto ricordare le vittime con un monumento concreto, evitando di costruire un nuovo
grattacielo sulle macerie. Così è sorto
– o meglio è stato scavato – il National
September 11 Memorial: due enormi vasche, profonde quattro metri, a simboleggiare il solco lasciato nella coscienza
dei cittadini. La continua, sommessa, cascata d’acqua le rende discrete nel loro
mormorio, dando, con quel sottofondo,
voce alle mute preghiere, che sembrano
chiedere incessantemente la fine di ogni
guerra e rancore. Le due vasche, rivestite in marmo, con incisi sul bordo tutti i
nomi delle vittime, si inseriscono nella
Memorial Plaza, resa verde da 400 alberi.
Sopra: le Twin Towers. Nella pagina
precedente: i fasci di luce di due potenti
proiettori ricordano le vittime dell’11
settembre.
Concludiamo tornando al discorso di
Barack Obama, il quale ammette che la
guerra, in sé, non è mai gloriosa: troppi non
torneranno a casa. Ammette che ora si è più
vigilanti, senza però cadere nel sospetto e
nella sfiducia. Ma la punta d’orgoglio sta
nella forza interiore, poiché le generazioni
future “che ci giudicheranno, sapranno che
nulla può spezzare la volontà degli Stati
Uniti”. Essi hanno vinto la schiavitù e la
guerra civile, il fascismo, il comunismo e
persino il terrorismo. La democrazia è imperfetta, ma durevole e imperitura.
La nazione a stelle e strisce è intrinsecamente legata al concetto di libertà e ad
essa va il merito di non aver “mai ceduto alla tentazione di sacrificare la libertà
sull’altare della sicurezza: se così fosse
– parole del presidente del Parlamento
europeo, Jerzy Buzek – si svuoterebbe
di valore ciò che si cerca di difendere”.
Ora che Cia e Fbi hanno quasi ultimato
la collezione del famoso mazzo di carte
(ucciso anche Bin Laden il 1° maggio
2011), all’America e a Obama spetta la
sfida più difficile: lasciare i paesi occupati
e affidarli a persone libere, in grado di governare stati sovrani. Speranza necessaria
per alimentare una pace fondata, capace
di allargarsi alle novelle nazioni della primavera araba.
panorama per i giovani
•
41
La globalizzazione
delle sette note
Music can be considered the most globalised among the arts.
Various genres from different parts of the Earth have become famous
worldwide, creating an original melting pot of languages, styles and
cultures. Not only is music a universal means of communication able
to reach everybody, it can also overcome geographical distances and
cultural prejudices. Blues, jazz, heavy metal, rap and other styles
showed this in a wonderful history of sound, people, messages.
di Livio Ghilardi
Globalizzazione dei mercati, ma non solo. Il
termine “globalizzazione” può sintetizzare
al meglio gli ultimi trent’anni di storia, racchiudendo in sé non solo un significato economico ma anche e soprattutto una valenza
sociale, culturale e tecnologica. Se, da una
parte, ci si continua a confrontare con il “villaggio globale” cercando di valutarne i pro
e i contro di natura politica e socioeconomi-
cinema e della letteratura per accorgersi di
come lo scambio culturale tra orizzonti diversi abbia anticipato addirittura di decenni
la nascita delle prime teorie sulla globalizzazione. Ed è soprattutto nel mondo della musica che è possibile evidenziare un intrecciarsi senza sosta di generi, lingue, influenze, il
quale ha contribuito ad incrementare ancor
più il fascino che le sette note esercitano su
centinaia di milioni
Nel mondo della musica si
di ascoltatori.
Già nei primisassiste a un intrecciarsi
simi
decenni del
senza sosta di generi, lingue e
Novecento si paleinfluenze.
sano le prime contaminazioni muca, dall’altra è doveroso anche considerare sicali. Dopo secoli segnati dallo strapotere
come globalizzazione e arti abbiano intera- della musica classica, nelle Americhe si afgito. Basta dare uno sguardo alla storia del fermano il jazz e il blues, i primi generi che
42
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
vedono la confluenza di esperienze europee
e afroamericane in un unico “spartito”. Musicisti bianchi e neri riescono ad abbattere
l’odio razziale, “armati” di strumenti a fiato,
contrabbasso, pianoforte, chitarra e batteria.
La nascita di standard destinati a essere risuonati nei luoghi più disparati del mondo
dimostra come la musica fosse già allora un
linguaggio destinato ad abbattere barriere e
confini. Il continente europeo non ne fu immune e anche in Italia, fatto salvo l’embargo
culturale del periodo fascista, vari pionieri,
tra i quali il pugliese Vito Morea, cominciarono a diffondere il jazz nelle città italiane.
Nacquero festival, club, etichette discografiche e riviste dedicate alle nuove forme
musicali, la cui portata innovativa influenzò
addirittura la lingua e in particolare alcuni
dialetti (in quello barese, ad esempio, il termine “uazzaband”, storpiatura di jazz band,
significa confusione).
Dagli anni Cinquanta, accanto a jazz
e blues si afferma il rock’n’roll. Il mito di
Elvis Presley, le schitarrate di Chuck Berry e i ritmi travolgenti di Jerry Lee Lewis
conquistano tutto l’Occidente e si affacciano timidamente nel resto del mondo, sia a
Oriente sia nel Sud.
È con gli anni Sessanta, tuttavia, che
la musica comincia ad acquistare davvero
una prima, vera dimensione globale. Il successo di band come i Beatles e i Rolling
Stones è inarrestabile, così come la diffusione delle prime radio libere (fenomeno testimoniato dal simpatico film I love
radio rock dell’inglese Richard Curtis).
Woodstock e l’isola di Wight diventano
punti di raccolta per tanti giovani, grazie
anche alla diffusione dei movimenti hippy
e mod. E mentre il messicano Carlos Santana diventa uno dei chitarristi più originali
dell’epoca, Garota de Ipanema di Vinicius
de Moraes e Antonio Carlos Jobim diventa
non solo il brano più rappresentativo della nascente bossa nova brasiliana, ma anche uno dei pezzi più eseguiti nella storia
della musica (basti citare, tra le tante, le
reinterpretazioni in inglese di Stan Getz ed
Ella Fitzgerald o la versione in italiano di
Bruno Martino). L’Italia, ancora periferica
nel panorama musicale dell’epoca, vede
la nascita di molti complessi beat, spesso
alle prese con cover in italiano di grandi hit
d’oltremanica (una su tutte, Senza Luce dei
Dik Dik, rifacimento di A Whiter Shade Of
Pale degli inglesi Procol Harum).
Gli anni Settanta sono il vero e proprio
momento di svolta. Nel 1973 l’etnomusico-
Foto: iStockphoto.com (sumbul; DWithers)
Primo piano
Primo piano
logo Robert E. Brown, della University of
California, fonda il Center of World Music
e diffonde suoni del tutto nuovi provenienti
dall’Africa e dall’India. I Beatles sdoganano Ravi Shankar, uno dei più formidabili
suonatori di sitar indiano, mentre i Led
Zeppelin si divertono a giocare con influenze arabe e le grandi band progressive (anche e soprattutto in Italia) fondono il rock
con la musica classica, senza tralasciare
l’influenza della tradizione folk. Il nigeriano Fela Kuti propone il suo afrobeat, mentre dalla calda Giamaica provengono i ritmi
in levare dello ska e del rock steady, la base
ideale per la nascita del reggae, affermato
a livello mondiale da Bob Marley, il primo
grande artista proveniente dal Terzo Mondo (il suo show a Milano nel 1980 rappresenta il primo grande concerto-evento nella
storia del Bel Paese). Grandi pionieri del
rock blues come Eric Clapton e Paul Simon
cominciano a confrontarsi con la nuova
gamma di suoni proveniente dal resto del
mondo, così come i Clash, astri del punk
inglese. Peter Gabriel dei Genesis è certamente la figura che dà il maggiore apporto
alla diffusione del grande calderone della
world music, creando il movimento Womad (World of Music, Arts and Dance) e
fondando la seminale Real World Records.
Negli anni Ottanta è ormai prassi incontrare nelle classifiche artisti africani, su tutti il
senegalese Youssou N’Dour e Cheb Khaled,
il più grande artista pop raï algerino. Si afferma, inoltre, il rap, uno dei generi destinati a
trovar maggior successo nei decenni a venire.
snobbato dalla critica musicale mainstream, Sopra: la copertina di Sgt. Pepper’s Lonely
è probabilmente il genere che avrà maggior Hearts Club Band, uno dei più celebri album
dei Beatles. Nella pagina precedente: il
diffusione su scala globale fino ai posti più jazz è il primo genere in cui confluiscono
impensabili (persino in Mongolia o sotto esperienze europee e afroamericane.
alcune dittature), grazie alla passione incrollabile dei metallari sparsi per il mondo e alla nienti dal resto del mondo. Meritano di essere
sua capacità di legarsi con le influenze mu- citati Jovanotti, il quale, a partire da L’albero,
sicali più disparate, ingloba nei suoi pezzi elementi di musica etdalla humppa fin- nica, e il lombardo Davide Van De Sfroos.
I generi musicali più lontani
landese per Finn- Nello Stivale si affermano anche generi di
tra loro riescono a mescolarsi
troll e Korpiklaani origine lontana, come il rap e il reggae, spesin un melting pot sonoro
alla musica tribale so cantati in dialetto, come fanno i napoletabrasiliana per i Se- ni 99 Posse e Almamegretta, i salentini Sud
stupefacente.
pultura di Roots. Sound System o i veneti Pitura Freska.
Così in più di un secolo la musica ha
È sorprendente come i generi musica- Gruppi come i Rammstein o i Brujeria hanli più lontani tra loro, sia stilisticamente no successo anche per la scelta insolita ma saputo unire luoghi e culture lontani grasia per origini, riescano a mescolarsi in efficace di cantare nella propria madrelingua zie al suo essere multiforme, rompendo
gli schemi e dimostrando che, al di là di
un melting pot sonoro stupefacente. Basti (rispettivamente tedesco e spagnolo).
Lo scenario musicale italiano non è dis- ogni barriera, può esservi un mondo nuovo
citare, tra gli altri, l’unione tra hardcore e
reggae dei Bad Brains, tra i primi punk di simile. Grazie al
colore o i Beastie Boys, i primi bianchi ad ruolo da apripista
In Italia si affermano anche
aver successo con l’hip-hop grazie al semi- svolto dagli Area
generi di origine lontana, come il
di Demetrio Stranale Licensed to Ill del 1986.
rap e il reggae, spesso cantati in
L’incontro tra hard rock/heavy metal e tos e al lavoro di
rap è proficuo, grazie a singoli come Walk Fabrizio De André
dialetto.
this way (Aerosmith e Run DMC) e Bring su Crêuza de Mä,
the noise (Anthrax e Public Enemy), vera in tanti sperimentano con tradizioni musicali ammaliante, che supera confini nazionali e
e propria base per l’avvento del nu metal a diverse e con strumenti inconsueti, filtrando continentali in pochi istanti, in un viaggio
metà degli anni Novanta. Il metal, spesso il tutto con i nuovi linguaggi musicali prove- incessante e ricco di sorprese.
panorama per i giovani
•
43
Primo piano
L’India in mostra:
Indian Highway
Indian Highway at Maxxi Museum: a bridge from the past to the future; the
consequences of urban sprawling; an interpretation and renewing of tradition.
di Francesca Parlati
Foto: NS Harsha/Victoria Miro Gallery
Dal 22 settembre 2011 al 29 gennaio 2012
si entra al museo Maxxi di Roma calpestando un’opera d’arte. Sulla piazza di
cemento di fronte al museo si trova una
delle installazioni pensate appositamente
per l’arrivo della mostra Indian Highway
a Roma: 700 miniature, raffiguranti i volti di più di 700 persone diverse. L’artista
NS Harsha ha realizzato l’opera, intitolata
Strands, in diretta, qualche giorno prima
dell’inaugurazione della mostra.
Indian Highway è un progetto di mostra itinerante: prima tappa la Serpentine
Gallery di Londra nel 2009, con esposizioni nelle più prestigiose sedi museali, come
all’Astrup Fearney Museum di Oslo (che
ha partecipato alla creazione del progetto)
e al Museo di arte contemporanea di Lione. Il viaggio di questa esposizione si concluderà nel 2013 a Nuova Dehli. I 30 artisti
partecipanti al progetto hanno acutamente
interpretato il “miracolo economico” indiano, analizzandone vari aspetti.
“Indian Highway al Maxxi – ha dichiarato Anna Mattirolo, direttore Maxxi Arte
– partendo dall’idea dell’autostrada come
elemento di connessione tra i flussi migratori
che si spostano dalla periferia alla città, testimonia attraverso il percorso espositivo la crescente centralità mondiale della civiltà indiana, anche dal punto di vista artistico, a partire
dagli anni Novanta fino ai nostri giorni”.
44
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n. 3, settembre-dicembre 2011
Una mostra che prova a fermare immagini di una società in perenne mutamento,
ma che muta insieme a essa. Si pensi anche
che dal suo esordio la mostra ha raddoppiato le sue dimensioni e che vengono create installazioni site specific, che variano a
seconda del museo che ospita la mostra in
quel momento. Per completare la mostra
sono previsti anche vari spettacoli, che
avranno una vita propria, indipendentemente dall’esposizione; è il caso del Nineteen mantras, realizzato in collaborazione
con l’Accademia della Scala di Milano.
La mostra è quindi un corpo multiforme, volto a evidenziare e raccontare tre
grandi aspetti di questa moderna India
perennemente in divenire. Il primo è di
raccordo col passato, un’indagine e un
racconto di quella che è l’identità indiana
e delle sue storie. Protagonisti di questa
area sono temi politici, sociali, religiosi.
Tra le opere di maggiore impatto abbiamo
il video The Lighting Testimonies di Amar
Kanwar, che racconta, attraverso le testimonianze di donne violentate, la guerra
tra India e Pakistan. Sempre legata al conflitto 100 Hand Drawn Maps of India, di
Shilpa Gupta, una riflessione sulla labilità dei confini regionali e nazionali. Della
stessa artista l’inquietante opera Untitled
– Skewers, con 185 lance che incombono
dal soffitto e incutono un senso di terrore.
Secondo aspetto affrontato dalla mostra
è l’espandersi incontrollato delle metropoli,
del loro caos e dell’abbandono delle periferie. Questa nuova realtà è raccontata per
contrasti, come per esempio il confronto tra
le sculture Transit di Valay Shende e Autosaurus Tripous di Jitish Kallat, rispettivamente un grande camion in alluminio e l’ossatura di un tipico risciò in resina. Fa parte
di quest’area anche l’opera simbolo della
mostra, il gigantesco Wallpaper Dream Villa 11 di Dayanita Singh. Questa gigantesca
insegna luminosa è appesa nel corridoio a
vetri del primo piano del museo, in modo
che anche da fuori si possa vedere; essa rappresenta una città tentacolare vista dall’alto,
circonfusa di luce blu e attraversata da grandi strade arancioni fiammeggianti, come dei
fiumi di fuoco – le highway del titolo della
mostra, appunto. Non viene ignorata anche
la componente umana della metropoli, rappresentata attraverso i suoi utensili e oggetti
come nell’installazione di Subodh Gupta
lunga 27 metri, che con pentole e stoviglie
allude al pranzo degli operai.
L’ultimo tema è la rielaborazione di
arti tipiche indiane, realizzate nel presente
e reinterpretate: ci sono così rivisitazioni
Foto: Gallery Yvon Lambert (Paris)/Gallery Continua
(San Gimignano); Jitish Kallat/ARNDT Gallery
(Berlin); Raffaele Morsella
Primo piano
di miniature, ceramiche e
pitture a inchiostro. Fra le
opere più monumentali vanno ricordate le grandi tavole
smaltate di Nalini Malani,
che alludono ai racconti
mitici, o anche la già citata
installazione site specific
che accoglie all’ingresso del
museo.
La mostra coinvolge,
oltre la vista anche gli altri
sensi: altre due particolari
installazioni site specific, infatti, giocano con gli odori e i
suoni. Al primo piano, l’opera realizzata con una grande
pioggia di incensi sospesi
e intrecciati manualmente
creata da Hemali Bhuta e
intitolata Growing, fa respirare al visitatore
gli odori dell’India, mentre l’installazione
sonora interattiva Trespasser will (not) be
prosecuted dei Desire Machine Collective
riproduce i rumori della foresta sacra di Law
Kintang. Composta di sensori e casse distribuite per la stanza, i suoni avvolgono e per
essere trasportati in un altro mondo basta
Da sinistra, in ordine orario: Shilpa Gupta, The skewers (2010);
Jitish Kallat, Baggage Claim (2010); un’immagine del Maxxi di
Roma. Nella pagina precedente: NS Harsha, Strands (2011).
chiudere gli occhi: la foresta sacra è tutt’attorno al visitatore.
La mostra coinvolge pienamente e anche lo spazio espositivo del Maxxi ben si
presta a rapire chi la visita, con un gioco
di sale, salette e scale, intricato ma non
caotico, che gioca con richiami all’India e
all’Italia: basti pensare all’installazione di
Sumaksi Singh, Circumference forming,
che ricrea una campana gotica in una perfetta sintesi indiana-italiana.
Non si può non restare impressionati
dalla ricchezza di questa mostra, ricchezza non solo di opere, ma anche di contenuti: la modernità indiana viene analizzata in ogni suo aspetto e riproposta al
pubblico occidentale, perché possa essere
osservata e possibilmente capita.
panorama per i giovani
•
45
Primo piano
The mingling process of globalisation involves blending of far away
traditions and cultures. The movie business sees no boundaries in its
spreading around the world: it can be a powerful mean of attraction
and influence in foreign politics, when rooted on a mighty emotional
ground. Its most relevant challenge is to collect dreams and passions by
more than a billion people and give them life on the screen.
di Selene Favuzzi
Nel 1929, sebbene fosse l’anno iniziale
della crisi economica, l’85% dei prodotti
dell’industria cinematografica mondiale
era americano. E quello era solo l’inizio
della golden age di Hollywood: la nascita
del cinema classico e dei suoi film girati
per commuovere i cuori, esaltare le menti e vincere al botteghino. Oggi questo
primato è stato superato dalla macchina
produttiva di Bollywood, che sforna oltre
1.000 titoli tradotti spesso in 30 lingue
ed esportati in 70 paesi per soddisfare la
fame di entertainment di oltre 70 milioni di spettatori a settimana. Con 12.000
Gli attori di Bollywood sono i più famosi
del mondo, visto l’ampio pubblico a cui si
rivolgono (sopra, una giovane attrice in abiti
tipici).
to della Federation of Indian Chambers
of Commerce and Industry afferma che
il ramo esportazioni è cresciuto del 60%
negli ultimi anni e si stima che nel prossimo quinquennio l’intera industria cinematografica indiana possa registrare una
crescita pari al 19%.
Il soft power di Mumbai
Soft power è un termine utilizzato nella
teoria delle relazioni internazioCon 12.000 sale e 750 riviste
nali e si riferisce
specializzate il cinema indiano
alla capacità d’un
dà lavoro stabile a 6 milioni di
paese di attrarre e
convincere, perpersone.
suadere e affascisale e 750 riviste specializzate, il cinema nare, senza ricorrere ai mezzi dell’hard
in India, che dà lavoro stabile a 6 milioni power (popolazione, armi ed esercito,
di persone, è fra le arti quella che gode peso del Pil nazionale), ma contando
di maggior riconoscimento. Un rappor- unicamente su risorse intangibili quali
46
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
cultura, valori e istituzioni politiche. La
macchina produttiva di Bollywood viene
da molti vista come infrastruttura invisibile, eppure pervasiva, dell’etere culturale
globale: un palcoscenico capace di attrarre e conquistare i cuori; uno strumento di
egemonia emozionale facilmente traducibile in ponte per ulteriori scambi. L’India
è patria di valori millenari e di una cultura senza tempo, ma, soprattutto, dalle
caratteristiche inconfondibili: arte, moda,
danza, musica e cucina tradizionali costituiscono una preziosa eredità che il corpo
politico ha tutto l’interesse a reinvestire
fruttuosamente. Nel 2008 il primo ministro indiano Manmohan Singh ha dichiarato che “il soft power dell’India può in
qualche modo essere uno strumento molto importante di diplomazia. Le relazioni culturali, l’industria cinematografica
indiana, Bollywood... ovunque io vada,
nel Medio Oriente, in Africa, le persone
parlano dei film indiani e dell’industria
cinematografica indiana. Questo è quindi
un nuovo modo di influenzare il mondo
sulla crescente importanza dell’India”.
L’immaginario
Il cinema popolare indiano è un luogo di
grande evasione, dove i sentimenti (specie
quelli amorosi) sono spesso sovraesposti
mediante l’uso d’una gestualità estrema,
che enfatizza e carica i movimenti dell’animo. Le storie non hanno perso l’ingenuità e la prevalente bontà dei sentimenti
di fondo che caratterizzavano il primo cinema hollywoodiano: molti lo amano per
l’universalità del linguaggio e la pulizia
dei sentimenti. La fruizione del prodotto
culturale in India è, infatti, di massa – una
dimensione collettiva che contribuisce a
creare l’identità d’un popolo sconfinato
(in modo così dissimile dall’ormai imperante individualismo che vige in Occidente: la “nostra” Fabbrica dei Sogni è sempre più spesso fruita da una moltitudine di
singoli – attraverso internet, pay-per-view
e tv on-demand, etc.). I valori sono semplici e immediati, la trama è spesso simile
e prevedibile; il confine fra bene e male è
netto e preciso e l’ambiguità è ridotta al
minimo. Sono film per famiglie... per un
popolo che adora farsi stupire, che davanti allo schermo si vuole meravigliare; per
chi vuole il piacere d’uno sguardo annegato da mille colori e numerosissime danze che sublimano la forte carica di sensualità – non altrimenti esprimibile in molte
Foto: iStockphoto.com/AtomicSparkle
Il soft power di Bollywood
Primo piano
pellicole, dato che solamente da qualche
anno sono ammesse scene di baci nei film
ad ampia distribuzione.
Il termine Bollywood nasce dall’unione fra Hollywood e Bombay (antico nome
di Mumbai) e allude alla fusione di elementi tipici delle due culture per crearne
una nuova, un misto di entrambe. Il genere prevalente del cinema hindi è infatti un
non-genere, o genere contenitore chiamato masala, dal nome della caratteristica
miscela di spezie indiana. Azione, commedia musicale, romanticismo, balli e
canti, si fondono in film che spesso sforano le tre ore di proiezione, in cui c’è qualcosa per tutti i gusti. Le coreografie non
sono mai attaccate tramite post-produzione in modo posticcio; la musica nasce col
soggetto (la colonna sonora è una delle
principali fonti d’incasso) e i costumi,
sgargianti e curati nei minimi dettagli, lo
rivestono; le parole delle canzoni contano
spesso più delle frasi isolate; lo spettacolo è una forma d’arte totale studiata per
travolgere ed emozionare. Il pubblico popolare è alla ricerca del territorio dei sogni, che compensi le miserie di gran parte
della vita quotidiana con buoni sentimenti
e soprattutto col finale trionfo del bene. È
vero che il cinema di Bollywood è spesso
di evasione – molte storie sono ambientate in palazzi lussuosi e fra mura dorate
e macchine di lusso – ma non sempre è
così: il cinema d’autore di Raj Kapoor,
Mira Nair e Guru Dutt, ad esempio, è riuscito a portare sulla pellicola l’India reale
per un pubblico in maggioranza analfabeta... il regista Manmohan Desai ha inoltre
dichiarato: “Il mio pubblico non finisce
alla periferia di Bombay. Comincia lì.”
Shah Rukh Khan e Slumdog Millionaire
Raj Kapoor, Kareena Kapoor, Freida Pinto, Aishwarya Rai, sono nomi che forse
parlano poco a un orecchio occidentale,
ma generano interi universi di significato,
sogni, passioni, immagini e colori per oltre un miliardo di persone. Il salario degli
attori arriva talvolta al 50% del budget
dell’intero film. L’India ha una tradizione
millenaria di venerazione dei miti del popolo: i guru, gli idoli, gli eroi. Già nel 1999
un sondaggio online della Bbc per capire
chi fosse, all’alba del Duemila, l’attore
più popolare al mondo, aveva dato come
risposta “l’indiano Amitabh Bachchan”,
presente in oltre 180 film. Ora che l’India ha iniziato a giocare la sua partita sul
campo della globalizzazione, l’attore più slums, le infinite periferie dalla povertà
conosciuto al mondo non è Brad Pitt, né estrema che inghiottono milioni e milioni
Al Pacino o Leonardo Di Caprio... bensì di vite, s’intreccia con dolori e speranze
Shah Rukh Khan, “Viso di Re”, detto il tradite, sentimenti accennati e repressi,
Re di Bollywood e solitamente abbrevia- odio e amore; per sfociare infine in un rito in Srk. Attore, conduttore televisivo, scatto dal sapore di trionfo per un intero
showman, performer e proprietario di due popolo. Orrori e meraviglie coesistono fra
case di produzione e una squadra di cri- strade dissestate e ville miliardarie; colori
cket. Membro dell’elite globale, con un e spezie si fondono per impastarsi col fanpubblico che si conta in miliardi di perso- go e col sudiciume... ma se “dai diamanti
ne, è secondo Newsweek una delle 50 per- non nasce niente”, come cantava De Ansone più influenti al mondo. Musulmano, drè, allora l’esperimento di Boyle è ben
educato dai gesuiti e sposato a una don- riuscito: mischiarsi con una cultura così
na di fede Hindu, è un monumento alla radicalmente differente sporca sempre l’itolleranza religiosa e forse ha anche per dentità originaria, non restituisce di certo
questo un bacino di pubblico tanto ampio. un ritratto pulito e confonde le pennellate
C’è chi, come Vishal Singh, di mezz’età, con chiaroscuri potenti. Mai nessuna taproprietario d’una farmacia omeopatica, volozza potrebbe contenere infatti tutti i
ha voluto legare oltre ogni misura la sua colori da versare su quell’immensa tela
vita a quella del divo. La casa di Singh chiamata India.
è infatti un “tempio” dedicato a
Sharukh, con oltre
Bollywood fra i trulli
di Livio Ghilardi
22.000 immagini
dell’attore che tapA chi conosce il cinema di Bollywood o ne ha sentito parlare
pezzano le pareti,
sommariamente, la prima immagine che viene alla mente
foderano i cuscini
è certamente quella di danze variopinte accompagnate da
e ricoprono il sofsfrenate (e talora pacchiane) musiche indiane, il tutto in una
fitto e i mobili.
cornice esotica e lontana dalla realtà quotidiana dell’Italia.
Sono svariati i
Lascerà quindi sorpresi scoprire che alcune delle produzioni
film indiani che si
più recenti della scena cinematografica orientale hanno
sono imposti a un
visto come set inedito il Bel Paese. I registi e i produttori
bollywoodiani, infatti, hanno scoperto il fascino delle
pubblico di non
bellezze architettoniche e naturali dello Stivale e qui hanno
habitué in tutto il
deciso di ambientare alcune delle storie narrate negli ultimi
mondo, da Kuch
blockbuster di successo indiani. Non solo città note e dal
Kuch Hota Hai
fascino universalmente riconosciuto, quali Roma, Venezia
(Qualcosa è accae Capri, ma anche scenari meno conosciuti fuori dai confini
duto), a Monsoon
italici. In particolare, grazie anche alla collaborazione con
Wedding o Bride
l’attivissima Apulia Film Commission, la Puglia ha offerto
and
Prejudice.
location adatte per le ultime produzioni indiane, prima
È forse però con
fra tutte Bachna Ae Haseeno (Salvarsi è facile). Il film di
Siddharth Anand, che ha riscosso un notevole successo,
Slumdog Millionvede i protagonisti recitare nella cornice mozzafiato dei
aire che il mondo
trulli di Alberobello, in uno scenario ovviamente esotico per
ha consacrato il
i cinefili indiani. La Puglia, insieme al Piemonte, è riuscita
cinema di temaad attirare l’attenzione del cinema indiano e a promuovere
tica e ambientauna solida intesa con i produttori orientali. Non a caso, forti
zione indiana (il
del successo della prima opera, recentemente altri registi
soggetto è nato da
sono tornati nel Tacco d’Italia. HouseFull di Sajid Khan è
un romanzo di Vistato girato tra Mattinata e Vieste, nella provincia di Foggia,
kas Swarup). Le
e ha sullo sfondo della locandina i bellissimi faraglioni della
Baia delle Zagare. Anche alcune località di mare salentine,
ben otto statuette
come Santa Cesarea Terme, sono state protagoniste di
d’oro degli Oscar
recenti produzioni cinematografiche bollywoodiane. E, per
hanno rappresendi più, in concomitanza con l’uscita dei film, in India è stata
tato il definitivo
organizzata una campagna di promozione del turismo
sigillo. La storia
indiano in Puglia, che ha riscosso notevole successo,
di Jamal, Salim e
a dimostrazione di come il cinema possa far conoscere
Latika origina da
bellezze locali anche nei luoghi più impensabili.
un’infanzia nelle
panorama per i giovani
•
47
Il futuro
Daldella
Collegio
terza età
Inaugurazione dell’a.a. 2011/2012
The opening ceremony of the academic year of the University College
“Lamaro Pozzani” took place on the16th November, in the presence of
Benito Benedini, President of Federazione Nazionale dei Cavalieri del
Lavoro, and of professor Gian Luigi Tosato, Chairman of the Committee
for the Educational Programs of the Federation. The presentation of the
College freshmen followed at the end of the ceremony.
di Elena Francesca Gambaro
Sopra: una delle nuove matricole del
Collegio fra il Presidente della Federazione
Benito Benedini e il Cavaliere Gian Luigi
Tosato.
Alla cerimonia di inaugurazione dell’anno accademico 2011/2012 del Collegio
Universitario “Lamaro Pozzani”, svoltasi
il 16 novembre, hanno partecipato Benito Benedini, Presidente della Federazione Nazionale dei Cavalieri del Lavoro, e
Gian Luigi Tosato, Presidente della Commissione per le attività di formazione della Federazione.
Non è potuto intervenire, come era
stato inizialmente previsto, Francesco
Profumo, Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e già Rettore del Politecnico di Torino, nominato durante la
stessa mattinata Ministro dell’Istruzione,
Università e Ricerca.
Il Presidente Benedini ha sottolineato l’impegno dei Cavalieri del Lavoro nei confronti del Collegio “Lamaro
Pozzani”, impegno iniziato ormai quarant’anni fa e confermato in quest’ultimo periodo anche attraverso la riqualificazione degli ambienti comuni. Il
Presidente ha proseguito presentando
le nuove iniziative per favorire lo sviluppo delle relazioni internazionali del
Collegio, tra le quali l’allargamento
del progetto “Ponte” a giovani italobrasiliani e il consolidamento della
collaborazione con altri collegi universitari, come il Collegio Borromeo di
Pavia e il Collegio Superiore di Bologna. A conclusione del suo intervento,
il Presidente ha fatto riferimento alla
difficile situazione italiana, nella quale egli vede una debolezza più politica
che economica.
48
•
n. 3, settembre-dicembre 2011
Il Professor Tosato ha esordito commentando una citazione di Benedetto
Croce, che auspicava un comune sentire nei confronti dell’Europa, divenuta
la nostra nuova casa comune: “a quel
modo che un napoletano dell’antico regno o un piemontese del regno subalpino si fecero italiani […], così e francesi e tedeschi e italiani e tutti gli altri
s’innalzeranno a europei e i loro cuori
batteranno per lei come prima per le
patrie più piccole”. Tosato ha affermato che l’Europa svolge tuttora un ruolo
fondamentale per tutti gli Stati membri
e, ricordando l’iniziativa dell’imprenditore italiano che ha comprato un’intera
pagina del “Corriere della Sera” per invitare gli italiani a comprare i titoli di
Stato e aiutare il paese, ha sostenuto
la necessità per l’Italia di affrontare la
sfida del rigore e della crescita anche
indipendentemente dai vincoli europei.
Secondo Tosato è necessario riscoprire
i risultati e la passione dell’eccellenza
anche nel nostro paese e il Collegio, con
le sue solide basi, i suoi comuni valori e
la sua storia di successo rientra senz’altro in questo obiettivo.
Sulla scorta delle considerazioni
in merito alla situazione italiana, il
Direttore scientifico del Collegio, il
professor Stefano Semplici, ha citato il
filosofo Ronald Dworkin per sostenere
la necessità che la trama, lo “spartito” delle nostre istituzioni politiche e
civili si svolga in una prospettiva più
“densa” di responsabilità realmente
condivisa.
All’augurio a studenti e docenti per il
nuovo anno accademico è seguita la presentazione delle matricole, con la consegna del simbolo di appartenenza alla comunità collegiale.
incontri
Tutti gli incontri del Collegio Universitario
“Lamaro Pozzani” di questo periodo.
www.collegiocavalieri.it
6.10.11. Incontro con il Cav. Ruggeri
Il Cavaliere del Lavoro Salvatore Ruggeri
ha condiviso con gli studenti le tappe della
sua esperienza lavorativa, vissuta con
impegno e passione.
13.10.11. Problemi globali, risposte locali
Incontro con il prof. Sebastiano
Maffettone, direttore del Dipartimento di
Scienze politiche presso la Luiss Guido
Carli di Roma.
17.10.11. Come uscire dalla crisi dell’euro
Intervento del prof. Marcello Messori,
ordinario di Economia dei mercati monetari
e finanziari presso l’Università Tor Vergata.
24.10.11. Guerra e Costituzione
Il prof. Paolo Carnevale, ordinario di
Istituzioni di diritto pubblico presso
l’Università di Roma Tre, ha parlato
del rapporto fra la guerra e la nostra
Costituzione.
7.11.11. Il dibattito sul gender
La prof.ssa Laura Palazzani, ordinario
di Filosofia del diritto presso la Lumsa e
vicepresidente del Comitato nazionale per
la Bioetica, ha trattato trasversalmente il
tema del gender.
14.11.11. La scrittura creativa
La dott.ssa Francesca Serafini, storica della
lingua italiana e sceneggiatrice di successo,
ha condiviso con gli studenti del Collegio la
sua esperienza della scrittura creativa.
28.11.11. Le frontiere della fisica
contemporanea
L’ing. Gioacchino Ranucci, ricercatore
presso l’Istituto nazionale di Fisica
nucleare, ha parlato delle frontiere della
fisica contemporanea e dei progetti dei
Laboratori nazionali del Gran Sasso.
1.12.11. Incontro con il rabbino capo di
Roma
Le molte sfaccettature della storia e
della cultura ebraica sono state trattate
nell’incontro con il rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni.
5.12.11. Un modello di crisi fiduciaria
sul sistema bancario
Il prof. Leo Ferraris, laureato del Collegio,
docente all’università “Carlos III” di Madrid
e all’università di Roma “Tor Vergata”, ha
illustrato attraverso un semplice modello la
potenziale fragilità del sistema bancario.
12.12.11. La propagazione della crisi
Con il prof. Alessandro Gaetano, ordinario di
Economia aziendale all’Università di Roma
Tor Vergata, prosegue la serie di incontri
dedicati all’analisi della crisi economicofinanziaria e delle sue possibili soluzioni.
www.cavalieridellavoro.it
Notizie e informazioni aggiornate settimanalmente
I Cavalieri
Un archivio con l’elenco di tutti i Cavalieri del Lavoro
nominati dal 1901 a oggi e più di 550 schede biografiche
costantemente aggiornate
La Federazione
Che cos’è la Federazione Nazionale dei Cavalieri del
Lavoro, la composizione degli organi, lo statuto e le
schede di tutti i presidenti
I Gruppi
Le pagine dei Gruppi regionali, con news, eventi e tutte
le informazioni più richieste
Le attività
Gli obiettivi della Federazione, la tutela dell’ordine, i
premi per gli studenti e i convegni
Il Collegio
Il Collegio Universitario “Lamaro-Pozzani” di Roma e i
nostri studenti di eccellenza
Le pubblicazioni
I volumi e le collane pubblicati dalla Federazione, la
rivista “Panorama per i Giovani” e tutti gli indici di
“Civiltà del Lavoro”
L’onorificenza
La nascita e l’evoluzione dell’Ordine al Merito del Lavoro,
le leggi e le procedure di selezione
La Storia
Tutte le informazioni su più di cento anni di storia
...e inoltre news e gallerie fotografiche sulla vita della
Federazione.
È QUANDO TI SENTI PICCOLO CHE SAI DI ESSERE DIVENTATO GRANDE.
A volte gli uomini riescono a creare qualcosa più grande di loro. Qualcosa che prima non c’era. È questo che noi intendiamo per innovazione
ed è in questo che noi crediamo.
Una visione che ci ha fatto investire nel cambiamento tecnologico sempre e solo con l’obiettivo di migliorare il valore di ogni nostra singola
produzione.
È questo pensiero che ci ha fatto acquistare per primi in Italia impianti come la rotativa Heidelberg M600 B24. O che oggi, per primi in Europa,
ci ha fatto introdurre 2 rotative da 32 pagine Roto-Offset Komori, 64 pagine-versione duplex, così da poter soddisfare ancora più puntualmente
ogni necessità di stampa di bassa, media e alta tiratura.
Se crediamo nell’importanza dell’innovazione, infatti, è perché pensiamo che non ci siano piccole cose di poca importanza.
L’etichetta di una lattina di pomodori pelati, quella di un cibo per gatti o quella di un’acqua minerale, un catalogo o un quotidiano, un magazine
o un volantone con le offerte della settimana del supermercato, tutto va pensato in grande.
È come conseguenza di questa visione che i nostri prodotti sono arrivati in 10 paesi nel mondo, che il livello di fidelizzazione dei nostri clienti
è al 90% o che il nostro fatturato si è triplicato.
Perché la grandezza è qualcosa che si crea guardando verso l’alto. Mai dall’alto in basso.