Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza: una

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Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza: una
R A S S E G N E
Parental monitoring
e comportamenti a
rischio in adolescenza:
una revisione critica
della letteratura
Roberta Trincas (Università di Roma «La Sapienza»)
Monica Patrizi (Università di Roma «La Sapienza»)
Alessandro Couyoumdjian (Università di Roma «La Sapienza»)
In generale, con il termine parental monitoring ci si riferisce ad un insieme di comportamenti messi in atto dai genitori e tesi a controllare e conoscere le attività dei propri figli. Questi
comportamenti caratterizzano e influenzano soprattutto la relazione con i figli adolescenti, la cui
autonomia aumenta progressivamente. Il presente lavoro di rassegna della letteratura, oltre a dare
il quadro attuale della ricerca in questo ambito, prende in considerazione gli studi che evidenziano
una stretta relazione tra parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza. I lavori
considerati riguardano principalmente l’abuso di alcol e di droghe, l’iniziazione al fumo, il gioco
d’azzardo, i disturbi alimentari e i comportamenti sessuali a rischio.
1.Introduzione
Numerosi studi sull’adolescenza si sono focalizzati sulle caratteristiche della famiglia e ne hanno evidenziato l’influenza sullo sviluppo e sul
benessere psicologico dell’adolescente. In particolare, all’interno di quest’area di ricerca numerosi studi si sono occupati di come i comportamenti specifici dei genitori agiscono sia individualmente che globalmente
sul comportamento del bambino e dell’adolescente.
La psicologia dello sviluppo si è interessata specificatamente alla
fase adolescenziale in quanto comporta profondi cambiamenti comportamentali, psichici e sociali nel soggetto (Youniss e Smollar, 1985): da
un lato si verifica un crescente bisogno di autonomia da parte dell’adolescente, dall’altro viene richiesto ai genitori un cambiamento delle credenze e delle strategie comportamentali precedentemente adottate, il
che comporta una trasformazione delle relazioni tra genitori e figli attraverso una rinegoziazione dei ruoli e delle funzioni all’interno del nucleo
familiare (Malagoli Togliatti e Ardone, 1993).
Psicologia clinica dello sviluppo / a. XII, n. 3, dicembre 2008
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La maggior parte degli studi sull’adolescenza concorda nel rilevare le
difficoltà che i genitori incontrano nel mantenere il controllo sul comportamento dell’adolescente e nel concedergli gradualmente più libertà d’azione
(Noller e Callan, 1991). Su questa base numerosi autori hanno messo in
evidenza le varie strategie educative adottate dai genitori nel far fronte
a tali difficoltà (Maccoby e Martin, 1983; Baumrind, 1991b; Youniss, De
Santis e Henderson, 1992). Le due principali strategie educative considerate in letteratura sono il sostegno e il controllo (Ciairano, Bonino, Jackson
e Miceli, 2001). Il sostegno si riferisce alla sensibilità e all’adattamento
genitoriale nei confronti di segnali, stati e bisogni del ragazzo, nonché
alla capacità di ascolto, di responsività emotiva e di dialogo; il controllo,
invece, riguarda l’insieme di comportamenti e strategie (regole, compiti)
attraverso cui il genitore supervisiona il comportamento dei figli.
In particolare, in letteratura viene utilizzato il termine parental monitoring (monitoraggio genitoriale) per identificare le variabili che rientrano nel
concetto più generico di controllo genitoriale.
Attraverso una revisione critica della letteratura, questo lavoro intende focalizzarsi sul parental monitoring e sui risultati che emergono dai
diversi studi in proposito. In particolare tratteremo in maniera più approfondita gli studi che analizzano la relazione tra il controllo genitoriale e
lo sviluppo di particolari comportamenti a rischio in adolescenza (uso di
droghe, alcol, fumo di tabacco).
2.Concettualizzazione e misurazione del parental
monitoring
Da oltre 50 anni studiosi di scienze comportamentali, psicologi della
famiglia, criminologi, si sono interessati a una particolare componente del
parenting, il monitoraggio genitoriale (parental monitoring). Che cosa si
intende per monitoraggio?
Data la varietà delle definizioni presenti in letteratura relative al parental monitoring e la varietà di termini utilizzati per descrivere quei comportamenti dei genitori tesi a conoscere e controllare le attività dei propri figli,
nel presente articolo termini come parental monitoring, monitoring, monitoraggio, controllo genitoriale saranno utilizzati come sinonimi. La definizione generale da noi assunta, considerando le diverse proposte teoriche
e i risultati sperimentali discussi nei prossimi paragrafi, fa riferimento ad
una visione ampia di parental monitoring, secondo la quale esso riguarda:
– le attività di controllo diretto, che riguardano tutti quei comportamenti rivolti direttamente ai figli come suggerimenti, istruzioni, regole, disciplina e punizioni;
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– le modalità di conoscenza indiretta, che riguardano la ricerca di
informazioni sulle attività dei figli attraverso la semplice osservazione del
comportamento dei figli, o domande rivolte ad amici o altri parenti informati sulle attività dei figli;
– il grado di conoscenza dei genitori, che indica se i genitori hanno
consapevolezza o meno rispetto alle attività dei figli e che può essere
considerato una conseguenza delle attività (dirette e indirette) di monitoring.
La maggior parte degli studi sull’argomento si sono focalizzati su
questi differenti aspetti del parental monitoring e hanno utilizzato diversi
strumenti di misura. In molti studi il monitoraggio genitoriale è stato
spesso relazionato con la supervisione e il controllo (Fletcher, Darling e
Steinberg, 1995; Dishion e McMahon, 1998), altri studi, invece, si sono
interessati prevalentemente al concetto di consapevolezza genitoriale, ritenendo che tale consapevolezza si acquisisce non solo tramite controllo
e sorveglianza ma anche attraverso la comunicazione e l’interesse dei genitori rispetto alle attività dei figli (Fletcher et al., 1995; Waizenhofer, Buchanan e Jackson-Newsom, 2004). Recentemente, alcuni autori (Stattin
e Kerr, 2000) hanno suggerito una nuova visione del parental monitoring
associandolo non solo al concetto di consapevolezza genitoriale ma anche di spontaneità del ragazzo a confidarsi con i genitori (adolescent self
disclosure).
Per quanto riguarda la misurazione del parental monitoring si possono individuare tre principali categorie che comprendono i tre aspetti
che generalmente sono oggetto di misura negli studi sul monitoraggio:
la sorveglianza e il controllo, la consapevolezza genitoriale, la comunicazione spontanea dei figli.
Alcuni ricercatori non considerano il controllo e la sorveglianza come
variabili misurabili, piuttosto si focalizzano sulla presunta conseguenza
di tali comportamenti: la consapevolezza genitoriale sulle esperienze
quotidiane dei figli. In particolare Crouter e Head (2002) parlano di consapevolezza genitoriale percepita, che viene misurata valutando la percezione di genitori e figli rispetto a «quanto» i genitori conoscono delle
attività e delle compagnie dei figli. Ad esempio alcuni item chiedono agli
adolescenti di valutare la consapevolezza dei genitori rispetto alle attività scolastiche e del tempo libero: «I tuoi genitori sanno dove vai? I tuoi
genitori sanno con chi sei?» (Cernkovich e Giordano, 1987; Weintraub e
Gold, 1991). Un esempio di intervista utilizzata recentemente che valuta
il grado di consapevolezza genitoriale, (Waizenhofer et al., 2004), comprende item di questo tipo: «È avvenuto questo evento? Se sì, conosci
i dettagli di tale evento?» (per esempio: «I tuoi figli hanno avuto qualche
successo scolastico oggi? Se sì, in quale materia?»).
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In altri studi, sia i genitori che gli adolescenti vengono sottoposti alle
stesse domande sulle attività dei ragazzi e viene considerato il grado di
accordo tra le loro risposte come una misura del monitoraggio (Patterson
e Stouthamer-Loeber, 1984; Crouter, MacDermid, McHale e Perry-Jenkins,
1990; Crouter e Head, 2002). Ad esempio, Patterson et al. (1992) hanno
utilizzato come strumento di misura delle interviste telefoniche rivolte sia
ai genitori che ai figli, che comprendono domande sulle attività e sulle
esperienze quotidiane dell’adolescente. Queste interviste danno un indicatore generale di consapevolezza genitoriale che corrisponde ad un punteggio globale dato dall’intervistatore alla domanda: «I ragazzi sono ben
supervisionati dai genitori?» (Patterson, Reid e Dishion, 1992).
Altri autori hanno sviluppato degli strumenti che valutano non solo
il grado di consapevolezza dei genitori ma misurano anche le modalità
attraverso le quali i genitori ottengono informazioni e le regole imposte
dai genitori. A tal proposito, Crouter e Head (2002) si riferiscono a quegli studi che includono la misurazione del monitoraggio genitoriale, che
comprende comportamenti come sorveglianza, supervisione e controllo.
Ad esempio, Fletcher et al. (1995) hanno elaborato una scala sulla supervisione nella quale sono incluse sia domande riguardanti la consapevolezza genitoriale (per esempio «Quanto i tuoi genitori sono realmente a
conoscenza delle attività che svolgi nel tempo libero?») sia item sui limiti
imposti dai genitori (per esempio «Fino a che ora puoi stare fuori la notte
durante la settimana?»).
Un questionario comunemente utilizzato è il Parental Monitoring Assessment (PMA; Li, Feigelman e Stanton, 2000), composto da sei item
che valutano la percezione degli adolescenti rispetto al controllo genitoriale: 1) «I miei genitori sanno dove vado dopo la scuola»; 2) «Se devo
tornare a casa tardi, avverto i miei genitori»; 3) «Prima di uscire di casa
dico ai miei genitori con chi sto uscendo»; 4) «Quando esco la notte i miei
genitori sanno dove vado»; 5) «Racconto ai miei genitori cosa faccio con
i miei amici»; 6) «Quando esco i miei genitori mi chiedono dove vado». Gli
adolescenti devono rispondere con una scala Likert che va da 1 (mai) a 5
(sempre). Gli item di questo questionario si riferiscono principalmente alla
consapevolezza genitoriale (item 1, 4) e alla comunicazione spontanea
dei ragazzi (item 2, 3, 5), mentre solo un item si riferisce ad attività di
sollecitazione diretta da parte dei genitori (item 6).
Un questionario che fornisce una misura completa e ben differenziata
dei diversi aspetti legati al parental monitoring è quello di Kerr e Stattin (2000) i quali hanno sviluppato un questionario composto da quattro
scale Likert a 5 punti che misurano quattro dimensioni diverse. Questi
autori fanno una precisa distinzione tra la consapevolezza genitoriale e le
modalità attraverso cui i genitori ottengono tale consapevolezza, quali la
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comunicazione spontanea dei figli (child disclosure), la sollecitazione genitoriale (parental solicitation) e il controllo genitoriale (parental control). Le
scale prevedono le stesse domande sia per i ragazzi che per i genitori.
Qui di seguito elenchiamo le scale con gli item che le compongono:
1. Consapevolezza genitoriale, 9 item: «I tuoi genitori sanno: cosa
fai nel tempo libero? Sanno quali amici frequenti? Sanno che tipo di compiti per casa devi fare? Sanno come spendi i tuoi soldi? Sanno quando hai
un compito in classe? Sanno come vai nelle diverse materie scolastiche?
Sanno dove vai quando esci con gli amici la notte? Sanno dove vai e cosa
fai dopo la scuola? Nell’ultimo mese, i tuoi genitori hanno idea di dove vai
la notte?»;
2. Comunicazione spontanea dei figli, 5 item: «A casa parli di come
vai nelle diverse materie a scuola? Generalmente quando torni a casa
racconti com’è andata a scuola (le tue relazioni con gli insegnanti, cosa
pensi dei vari esami, ecc.)? Tieni nascosto ai tuoi genitori cosa fai durante il tempo libero? Tieni nascosto ai tuoi genitori cosa fai durante le
notti e i fine settimana? Se esci la notte, quando torni a casa racconti ai
tuoi genitori cosa hai fatto quella sera?»;
3. Sollecitazione genitoriale, 5 item: «Nell’ultimo mese, i tuoi genitori
hanno parlato con i genitori dei tuoi amici? Quanto spesso i tuoi genitori
parlano con i tuoi amici quando vengono a casa tua (chiedono cosa fanno
o cosa pensano e sentono rispetto a differenti questioni)? Durante l’ultimo
mese, quanto spesso i tuoi genitori hanno iniziato una conversazione
con te rispetto al tuo tempo libero? Quanto spesso i tuoi genitori iniziano
una conversazione sulle cose successe durante una normale giornata a
scuola? I tuoi genitori generalmente ti chiedono di parlare di ciò che succede durante il tuo tempo libero (chi incontri quando sei fuori, le attività
che svolgi, ecc.)?»;
4. Controllo genitoriale, 5 item: «Devi chiedere il permesso dei tuoi
genitori per tornare tardi le sere del fine settimana? Devi chiedere ai tuoi
genitori prima di poter decidere cosa fare con i tuoi amici il Sabato sera?
Se una notte ti capita di tornare molto tardi, i tuoi genitori ti chiedono spiegazioni su dove eri e con chi eri? I tuoi genitori ti chiedono sempre di raccontare loro dove vai la notte, con chi sei e cosa fai? Prima di uscire il Sabato notte, i tuoi genitori ti chiedono di dire dove stai andando e con chi?».
È importante sottolineare il fatto che Kerr e Stattin (2000) hanno
trovato un’alta attendibilità sia rispetto ai questionari rivolti ai genitori sia
rispetto a quelli rivolti ai ragazzi.
In molti studi citati precedentemente (Patterson e Stouthamer-Loeber,
1984; Crouter et al., 1990; Patterson et al., 1992; Kerr e Stattin, 2000;
Waizenhofer et al., 2004) sono stati utilizzati questionari rivolti ai genitori,
ai quali viene chiesto di valutare quanto realmente sanno circa le attività
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e gli amici dei propri figli. Uno dei limiti dei questionari rivolti ai genitori è
la desiderabilità sociale: è possibile che i genitori siano restii ad ammettere di non conoscere le attività dei figli, e per questo potrebbero alterare le risposte sulle loro azioni di monitoraggio. Coerentemente con ciò,
Patterson et al. (1992) hanno osservato una scarsa correlazione tra ciò
che i genitori riferiscono di fare e ciò che realmente fanno. Per ovviare
a questo problema molti studi hanno impiegato questionari da somministrare agli adolescenti, ritenendoli più accurati dei genitori. Il problema
in questo caso è che si ottengono misure sulla percezione che i ragazzi
hanno della consapevolezza dei genitori piuttosto che misure del reale
comportamento genitoriale. Pochi studi hanno considerato stime indipendenti sia per i genitori che per gli adolescenti con l’intento di confrontare
i punteggi e analizzare le eventuali discordanze (Patterson et al., 1992;
Crouter et al., 1999). In generale, da queste ricerche risulta una bassa
correlazione tra i resoconti dei diversi componenti della famiglia (genitori
e figli). Ciò, da un lato, può evidenziarsi per la difficoltà di avere stime
accurate su quanto i genitori realmente sanno riguardo alle attività dei figli; dall’altro lato i questionari utilizzati misurano le presunte conseguenze
(per esempio la consapevolezza genitoriale) delle attività di controllo, ma
non valutano direttamente le reali attività e il modo con cui i genitori acquisiscono tale consapevolezza.
In sintesi, dai diversi studi presenti in letteratura emerge la complessità a cui si va incontro nello studio del parental monitoring, in particolare sia rispetto alla definizione che ai metodi di misura. La definizione
generale include le caratteristiche principali che diversi autori considerano come strettamente legate al concetto di monitoraggio: il controllo
genitoriale diretto e indiretto, i comportamenti dei figli (la comunicazione
spontanea), e le presunte conseguenze di questi comportamenti (consapevolezza genitoriale). I metodi di misura utilizzati per lo studio del monitoraggio rispecchiano questa molteplicità di aspetti: alcuni studi si focalizzano principalmente sulla misurazione di caratteristiche specifiche come
la consapevolezza genitoriale, altri invece hanno sviluppato strumenti più
complessi allo scopo di considerare tutte le diverse caratteristiche del
parental monitoring.
3. Principali modelli teorici sul parental monitoring
All’inizio degli anni ’80 l’importanza del parental monitoring è stata
messa in evidenza da Patterson e Stouthamer-Loeber (1984), i quali
hanno preso in considerazione due elementi fondamentali per identificare
tale costrutto:
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a) l’insieme di regole e aspettative dei genitori e la quantità di informazioni che richiedono ai figli adolescenti;
b) la quantità di tempo che l’adolescente passa col genitore.
Successivamente, Dishion e McMahon (1998) hanno suggerito un’interessante chiave di lettura teorica rispetto al costrutto del parental monitoring inteso come «un insieme di comportamenti genitoriali che implicano l’attenzione e il controllo di tutto ciò che riguarda il bambino, le sue
attività e il suo adattamento» (p. 61). Secondo gli autori il monitoraggio
farebbe parte di un sistema complesso che include il sistema di credenze
e valori posseduto dai genitori (motivazioni, obiettivi, norme, valori), la capacità dei genitori di gestire e regolare attivamente i comportamenti del
figlio (mediante l’uso di rinforzi, regole e trattative), la conoscenza delle
attività dei figli. Secondo Dishion e McMahon, alla base di questo sistema
vi è la qualità della relazione genitore-figlio. Una relazione piacevole e soddisfacente costituirebbe una spinta per il genitore a monitorare le attività
dei figli e a utilizzare diverse strategie comportamentali.
Un limite del modello di Dishion e McMahon (1998) è che il genitore
è sostanzialmente considerato come soggetto attivo, mentre il figlio è visto come oggetto delle azioni genitoriali. La realtà, tuttavia, appare più
complessa e dinamica, come è stato sottolineato recentemente da altri
autori. Stattin e Kerr (2000), per esempio, hanno introdotto un nuovo
modo di concettualizzare il parental monitoring, prendendo in considerazione, oltre al controllo, anche l’influenza dei comportamenti dell’adolescente nei confronti della consapevolezza genitoriale. Secondo questi
autori i diversi studi sul parental monitoring si sono concentrati sulla valutazione del grado di conoscenza che i genitori hanno rispetto alle attività
dei figli, (ad esempio attraverso item come «I tuoi genitori sanno dove
sei?»; «Sanno quello che fai?») ma nessuna ricerca ha indagato il modo
con cui i genitori ottengono queste informazioni. Sulla base di queste osservazioni Stattin e Kerr (2000), in uno studio su 763 ragazzi di 14 anni
e sui loro genitori, hanno inteso il parental monitoring come una misura
della consapevolezza genitoriale rispetto ai figli, alle loro attività e ai loro
amici. Hanno quindi ipotizzato tre modi attraverso cui i genitori acquisiscono tale consapevolezza (parental monitoring) delle attività dei figli:
a) l’apertura degli adolescenti al dialogo con i genitori (che consiste nel
fatto che i figli raccontano spontaneamente ai genitori le loro attività); b)
la sollecitazione genitoriale (i genitori richiedono ai figli informazioni sulle
loro attività quotidiane); c) il controllo genitoriale (imposizioni di regole e
limitazioni). Per ognuno di questi aspetti hanno elaborato un questionario
di circa 5/6 item per ognuno e hanno esaminato la relazione tra il concetto di «monitoraggio» (consapevolezza genitoriale) riportato dai ragazzi
e quello riportato dai genitori; inoltre hanno indagato il grado di correla-
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zione tra il «monitoring» e i tre aspetti del monitoraggio ipotizzati (apertura dei ragazzi, sollecitazione e controllo genitoriale).
Dai risultati ottenuti in questo studio sono emersi degli aspetti interessanti. Innanzitutto ognuno dei tre fattori correlava significativamente
con il «monitoring», tuttavia la correlazione tra il monitoraggio e l’apertura al dialogo dei figli era significativamente più elevata rispetto alle altre. Quindi, tra le tre fonti di informazione, l’apertura dei figli è risultato
il fattore maggiormente predittivo della consapevolezza genitoriale. Con
questo studio Stattin e Kerr (2000) hanno dimostrato che le attività di
parental monitoring non implicano solo la sollecitazione e il controllo genitoriale, ma anche l’apertura al dialogo dei figli. Diversamente da altri modelli, che considerano il monitoring essenzialmente come un insieme di
comportamenti dei genitori verso i figli, il modello di Stattin e Kerr sottolinea l’importanza del contributo che il ragazzo dà all’interno della relazione
con i suoi genitori. In questa ottica il parental monitoring va considerato,
quindi, in rapporto alla complessa relazione tra genitori e figli, all’interno
della quale il processo di acquisizione di consapevolezza dei genitori è
fortemente influenzato dai comportamenti dei figli.
Un’altra prospettiva innovativa, introdotta in anni recenti da Hayes et
al. (Hayes, Hudson e Matthews, 2003, 2004), considera le attività di monitoraggio dei genitori e il comportamento dei figli come due fattori in interazione all’interno di una stessa sequenza temporale. Sostanzialmente, ogni
singolo episodio di monitoraggio sarebbe costituito da quattro momenti:
1) attività di monitoraggio pre-tempo libero – rappresenta il comportamento dei genitori messo in atto prima che l’adolescente esca. In
questo stadio i comportamenti genitoriali includono le richieste di informazioni riguardanti dove l’adolescente andrà, cosa farà, informazioni sul
gruppo di pari che incontrerà e l’espressione verbale di regole, come concedere o negare il permesso di uscire, imporre orari da rispettare;
2) attività di monitoraggio post-tempo libero – questo secondo stadio ha inizio quando l’adolescente torna a casa. I comportamenti messi
in atto sono da un lato la richiesta di informazioni attraverso domande
dirette da parte dei genitori sulle attività del figlio (monitoring post-tempo
libero), dall’altro vi è l’apertura del figlio verso i genitori a parlare spontaneamente di cosa ha fatto (apertura o disclosure);
3) parental response – ossia la reazione dei genitori rispetto alle risposte e ai racconti del ragazzo sulle attività svolte fuori casa; tale reazione può includere l’espressione da parte dei genitori di opinioni, avvertimenti sulle conseguenze, sgridate o minacce;
4) adolescent response – la reazione dell’adolescente al comportamento e alle opinioni dei genitori, che può essere una risposta di consenso oppure di dissenso.
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I comportamenti dei genitori e dell’adolescente a ogni stadio hanno
un importante impatto sull’episodio successivo di monitoraggio. In questo
modello Hayes et al. hanno utilizzato tre costrutti generali: regole (monitoraggio pre-tempo libero), supervisione (monitoraggio post-tempo libero) e
conflitti. Una delle novità riguarda il concetto di conflitto che rappresenta
una componente delle reazioni tra genitori e adolescente e contribuisce
a capire gli atteggiamenti di apertura o di chiusura degli adolescenti alle
reazioni genitoriali. Secondo questo modello, quando i genitori pongono
regole chiare la supervisione dei figli adolescenti sarà più facile e ci saranno meno conflitti.
Waizenhofer et al. (2004), in modo analogo ai precedenti autori, operano una distinzione tra la conoscenza dei genitori delle attività dei figli e
le modalità con cui tale conoscenza viene ottenuta. A proposito delle modalità messe in atto per raggiungere la consapevolezza dell’attività dei figli, Waizenhofer et al. discernono tra «modi attivi» e «modi passivi». I metodi attivi comprendono sia la partecipazione diretta alle attività svolte dal
ragazzo (accompagnare il ragazzo in palestra o a casa di amici, andare in
chiesa insieme, ecc.) sia la richiesta di informazioni attraverso domande
dirette al ragazzo oppure ad altre persone ritenute informate sulle attività
svolte dal ragazzo (insegnanti, educatori o il coniuge). I metodi passivi includono sia la pregressa conoscenza delle attività quotidiane (conoscere
i programmi di attività fisica del ragazzo, gli orari, ecc.) sia il ricevere
informazioni (dal coniuge o dagli insegnanti) senza fare alcuna richiesta
all’adolescente. In questo modo, anche Waizenhofer et al. (2004) come
Hayes et al. (2003, 2004), riconoscono che la vita dell’adolescente si
estende al di fuori del contesto familiare e che il monitoraggio può coinvolgere persone non appartenenti alla famiglia, ma a conoscenza delle
attività del figlio. Ciascun individuo coinvolto può riflettere differenti caratteristiche di personalità e differenti contesti relazionali, fornendo quindi
una prospettiva personale dell’evento.
In sintesi, ognuno dei modelli presi in considerazione ha dato un
importante contributo sia per una più ampia concettualizzazione del parental monitoring sia per lo studio della rilevanza del monitoring all’interno di altre caratteristiche della relazione familiare. Patterson e Stouthamer-Loeber (1984) hanno dato una definizione precisa e sintetica del
parental monitoring includendo le regole, la quantità di informazioni e
quantità di tempo che i genitori trascorrono con i figli. Una svolta ulteriore è stata effettuata con il contributo di Stattin e Kerr (2000), i
quali non si focalizzano esclusivamente sul controllo genitoriale, ma includono fattori come la sollecitazione genitoriale, che implica modalità
comportamentali meno rigide e intrusive rispetto al controllo stesso e
l’apertura spontanea dei figli, che riguarda una disposizione dell’adole-
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scente e che, secondo gli autori, può favorire sia la consapevolezza
che il controllo genitoriale.
Anche Hayes et al. (2004) si sono focalizzati sull’importanza della
reazione dell’adolescente al monitoraggio, alle regole e alla supervisione
dei genitori e del conflitto tra reazioni dei genitori e reazioni dell’adolescente. Infine, Waizenhofer et al. (2004) hanno ben distinto metodi di monitoraggio attivi e passivi e hanno sottolineato l’importanza delle persone
significative non appartenenti al sistema familiare.
Dai contributi fin qui considerati, si evince come spesso i modelli e
le definizioni del costrutto siano complementari, piuttosto che in contrapposizione e come generalmente il concetto di parental monitoring sia incluso all’interno di un insieme di fattori familiari interrelati fra loro.
4. Parental monitoring e adolescenza a rischio
Negli ultimi 20 anni il costrutto del parental monitoring ha acquisito
sempre più importanza all’interno di studi sui problemi comportamentali
di bambini e adolescenti ed è stato considerato un possibile fattore sia
protettivo che limitante verso essi.
Secondo Patterson (1982), nelle famiglie altamente conflittuali i comportamenti di monitoraggio si sviluppano e mantengono all’interno di sequenze azione-reazione tra genitori e figli. L’autore ipotizza che i comportamenti positivi dell’adolescente, apertura e comunicazione, rinforzano il
parental monitoring, mentre l’evitamento e l’escalation, favoriscono un più
scarso monitoraggio da parte dei genitori. Le ipotesi di Patterson sono
state confermate da ricerche successive, nelle quali risulta una relazione
tra parental monitoring e lo sviluppo di comportamenti problematici (Cilchoat e Anthony, 1996). In particolare, Patterson e Stouthamer-Loeber
(1984) e Stattin e Kerr (2000) con i loro studi hanno dimostrano che uno
scarso monitoraggio genitoriale è legato a un maggiore comportamento
di trasgressione delle norme. Tuttavia, Stattin e Kerr (2000) hanno ipotizzato che, indipendentemente dalla sollecitazione e dal controllo genitoriale, l’apertura al dialogo dei figli (adolescent self-disclosure) può essere
considerata come il predittore più forte del comportamento antisociale
visto che i ragazzi che tendono a parlare spontaneamente con i loro genitori sono quelli che presentano un minore coinvolgimento in atti antisociali
rispetto ai ragazzi che comunicano meno con i genitori.
Anche Hayes et al. (2004) confermano i risultati delle ricerche precedenti che rilevano una relazione diretta tra parental monitoring e comportamenti problematici negli adolescenti, quali precoce iniziazione all’uso
di droga, alcol, tabacco e comportamenti delinquenziali (Patterson et al.,
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1992; Ary, Duncan, Duncan e Hops, 1999; Barnes, Welte, Hoffman e
Dintcheff, 2000; Kim, Conger, Lorenz e Elder, 2001). Le ricerche di Hayes
et al. (2004) mostrano che il comportamento problematico è associato
a una scarsa supervisione genitoriale e non, come sostengono Stattin e
Kerr (2000), a richieste pressanti di informazioni (solicitation) da parte dei
genitori. I risultati della ricerca di Hayes et al. (2004) evidenziano, infatti,
che gli adolescenti appartenenti a famiglie in cui i genitori pongono regole
chiare e chiedono informazioni sulle loro attività (alto livello di monitoraggio), mostrano meno comportamenti di ribellione, una minore ricerca di
sensazioni e un minor uso di sostanze stupefacenti e di alcol.
Alcuni autori (Jessor, Turbin, Costa, Dong, Zhang e Wang, 2003), in
uno studio internazionale sui comportamenti problematici di adolescenti
degli USA e Cinesi, hanno osservato dei risultati interessanti rispetto al
ruolo protettivo del controllo sul coinvolgimento degli adolescenti in comportamenti a rischio (abuso di alcol, fumo di sigarette e delinquenza). Per
Jessor et al. (2003) il controllo è inteso come l’insieme di norme sociali
e personali; nello specifico, il controllo familiare è una di nove sottoscale
che gli autori utilizzano per misurare il controllo e comprende item come
«I tuoi genitori sono sicuri di sapere con chi passi il tuo tempo libero?».
Questi autori hanno osservato che il controllo familiare risulta uno dei fattori maggiormente legati al coinvolgimento dell’adolescente in comportamenti a rischio. In particolare, solamente nel campione Cinese osservano
una relazione tra alti livelli di controllo familiare sui comportamenti degli
adolescenti e basso coinvolgimento in comportamenti a rischio dei figli.
Alcuni studi mettono in evidenza che il monitoraggio può assumere
una funzione diversa rispetto ai comportamenti a rischio a seconda della
fascia d’età degli adolescenti. Tale evidenza è stata ritrovata in uno studio
di Cattelino, Calandri e Bonino (2001) in cui vengono considerati diversi
fattori, protettivi e a rischio, rispetto al coinvolgimento in comportamenti
problematici (abuso di alcol, fumo di tabacco, e uso di sostanze). Cattelino et al. (2001) hanno rilevato che elevati livelli di controllo risultano correlati a un basso coinvolgimento in comportamenti a rischio specialmente
nella fascia d’età dei 14-15 anni, mentre con il crescere dell’età dei giovani
(18-19 anni) un alto controllo correla con un alto livello di coinvolgimento
in comportamenti problematici. Gli autori spiegano tale risultato con l’idea
che nella fascia d’età dei 18-19 anni i figli probabilmente hanno già interiorizzato le norme genitoriali e hanno sviluppato capacità di autoregolazione
del loro comportamento, in questo caso un controllo eccessivo ostacolerebbe l’autonomia dei figli. Quindi secondo questi autori il monitoraggio ha
una funzione rilevante che varia a seconda della fascia d’età considerata.
Diversi studi prendono in considerazione un altro fattore che risulta
rilevante nell’influenzare il comportamento degli adolescenti rispetto al-
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l’uso di sostanze (alcol, tabacco, droghe): l’influenza del gruppo dei pari.
Gli studi sull’argomento hanno osservato una relazione tra il parental monitoring e l’influenza del gruppo dei pari: l’interazione tra questi due fattori
avrebbe un ruolo nel coinvolgimento degli adolescenti in comportamenti di
abuso di sostanze (Chassin, Pillow, Curran, Molina e Barrera, 1993; Steinberg, Fletcher e Darling, 1994; Dishion, Capaldi, Spracklen e Li, 1995;
Goldstein, Davis-Kean e Eccles, 2005; Simons-Morton e Chen, 2004).
In generale, dai diversi studi sull’argomento, si riscontra che un elevato grado di monitoraggio genitoriale si accompagna a un minor uso
di sostanze illegali e di tabacco, un inferiore ricorso ad attività sessuali
a rischio (Borawski, Ievers-Landis, Lovegreen e Trapl, 2003; Huebner e
Howell, 2003), a migliori prestazioni scolastiche e minor numero di amici
devianti (Dishion et al., 1995; White e Kauffman, 1997).
Infine, è importante sottolineare che la maggior parte degli studi che
si occupano della relazione tra parental monitoring e comportamenti a rischio si basa su analisi di correlazioni tra fattori, per questo motivo qualsiasi riferimento a relazioni causali, influenza tra fattori o definizione di
fattori protettivi e a rischio riguarda esclusivamente le interpretazioni fatte
dagli autori rispetto a risultati di tipo correlazionale.
5.Il ruolo del parental monitoring in relazione al l’uso e abuso di sostanze
5.1. Bere alcolici
L’adolescenza è considerata un periodo a rischio per l’insorgenza di
varie forme di dipendenza, sia quelle da sostanze (alcol, l’hashish, ecc.)
che quelle comportamentali (come il gioco d’azzardo patologico, la dipendenza da internet, da videogiochi, ecc.). È durante l’adolescenza che iniziano le prime condotte di sperimentazione delle sostanze lecite e illecite
(Ravenna, 1997). La maggior parte delle ricerche condotte fino ad oggi
sottolineano la relazione tra uso di alcol nei genitori e uso di alcol nei figli. Tuttavia, non è stato adeguatamente chiarito come l’uso di alcol e l’atteggiamento verso esso dei genitori possa influenzare il comportamento
dei figli (Yu, 2003). Secondo Webb et al. (Webb, Bray, Getz e Adams,
2002) la famiglia è il principale contesto in cui avviene l’accostamento
all’alcol e l’assunzione di alcol è, in genere, incoraggiata fin da un’età precoce sia da un atteggiamento permissivo e da scarso controllo da parte
dei genitori sia da una carenza di dialogo rispetto al bere alcolici e ai
problemi connessi a tale attività. Wills e Yaeger (2003) osservano che la
presenza in famiglia di una storia di abuso di sostanze (un genitore o un
412
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
fratello alcolista) correla positivamente alla possibilità di avere figli con
le stesse problematiche (Jacob e Johnson, 1999; McGue, 1999). Tale risultato però non può spiegare il fenomeno esclusivamente attraverso un
modello di imitazione, dato che altri studi su figli adottivi rilevano che la
maggioranza di alcolisti adulti non hanno in famiglia una storia di abuso di
sostanze (Windle, 1999).
Tra le variabili familiari prese in esame in diversi studi, il parental
monitoring risulta uno dei fattori che correlano con il rischio di abuso
di alcol dei figli (Barnes e Farrell, 1992; Beck, Boyle e Boekeloo, 2003;
Mattanaha, Prattb, Cowanc e Cowanc, 2005). Molti studi hanno osservato che genitori che operano un monitoraggio attivo delle attività e dei
comportamenti dei propri figli hanno ragazzi che meno frequentemente
fanno uso regolare di alcol (Barnes e Farrell, 1992; Beck, Ko e Scaffa,
1997; Beck, Shattuck e Haynie, 1999). Beck et al. (1999) hanno rilevato
come quei genitori che conoscono regolarmente come i figli passano il
proprio tempo libero, che sanno quando rientrano la sera e si assicurano
che alle feste sono presenti altri genitori, abbiano figli che meno facilmente sono bevitori. Per questo motivo, secondo Barnes et al. (Barnes,
Reifman, Farrell e Dintcheff, 1999), il monitoraggio genitoriale, insieme a
un buon sostegno emotivo e a un’adeguata comunicazione tra genitori e
figli, può essere predittivo di una minore presenza di comportamenti di
abuso di alcol.
Recentemente, Bonino et al. (2003) hanno svolto uno studio sui
fattori di protezione e di rischio che possono aumentare o attenuare il
coinvolgimento dei giovani adolescenti in comportamenti a rischio. Innanzitutto, un fattore importante sottolineato da Bonino et al. è che negli
adolescenti maggiormente implicati in comportamenti a rischio risulta una
maggiore difficoltà all’autoregolazione e all’autocontrollo rispetto ai coetanei non implicati. Riguardo all’influenza familiare sul consumo di alcolici
nei giovani, questo studio mette in evidenza il ruolo protettivo della supervisione genitoriale, intesa come l’insieme di regole sul comportamento
dentro e fuori casa (Cattelino et al., 2001). Tuttavia, secondo questi autori, la supervisione non è il solo fattore familiare importante nell’influenzare il comportamento dei giovani rispetto all’alcol, infatti agisce congiuntamente con il sostegno genitoriale inteso come disponibilità e apertura
al dialogo.
In conclusione, dall’analisi della letteratura emerge come la famiglia
sia uno dei principali contesti di iniziazione all’alcol per gli adolescenti. Il
modello di imitazione sociale non sembra il solo ad essere chiamato in
causa. La maggior parte delle ricerche è concorde nel sottolineare l’importanza di molteplici fattori familiari nel favorire o meno l’uso di alcol
in adolescenza. Un adeguato monitoraggio delle attività dei figli può es-
413
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
sere considerato uno dei fattori associati con il coinvolgimento degli adolescenti in attività rischiose legate all’alcol, tuttavia è fondamentale evidenziare la sua stretta relazione con altrettante importanti caratteristiche
familiari quali, ad esempio, la presenza di una disciplina coerente, di una
buona comunicazione all’interno del nucleo familiare e di sostegno.
5.2. Uso e abuso di droghe
Un altro dei comportamenti a rischio che può svilupparsi nella fase
dell’adolescenza è l’uso e abuso di droghe. Secondo il Fondo Nazionale
per la Lotta Contro la Droga (2004) in Italia il 28% dei ragazzi tra i 12 e i
19 anni consuma droghe di varia natura e pericolosità. Secondo la maggior parte degli studi, uno dei principali contesti che influiscono sull’uso
di sostanze in adolescenza è quello familiare (Jacob e Johnson, 1999).
In particolare, una scarsa attività di monitoraggio da parte dei genitori è
associata alla precoce iniziazione all’uso di alcol, tabacco e marijuana nei
figli (Jackson, 1997); al contrario un buon livello di parental monitoring
risulta associato a un decremento nell’uso di sostanze negli adolescenti
che già ne fanno uso (Fletcher et al., 1995; Guyll, Spoth, Chao, Wickrama e Russell, 2004).
In generale, secondo alcuni autori, la scarsa supervisione sperimentata in pre-adolescenza sembra avere un effetto a lungo termine e può
predire l’uso di droga in adolescenza (Rai, Stanton, Wu, Xiaoming, Galbraith, Cottrell, Pack, Harris, D’Alessandri e Burns, 2003). In uno studio
longitudinale Rai et al. (2003), considerando il parental monitoring in relazione con il livello di abuso di droga dei ragazzi, hanno osservato una
forte correlazione tra il grado di monitoraggio percepito dai ragazzi e un
decremento nell’uso di sostanze (fumo, alcol e marijuana). In generale,
questi autori hanno rilevato che il parental monitoring è un fattore protettivo nei confronti dello sviluppo di comportamenti di abuso di sostanze.
Altri studi osservano che bassi livelli di consapevolezza genitoriale sono
correlati ad alti livelli di uso di sostanze in adolescenza (Griffin, Botvin
e Scheier, 2000). In particolare, secondo il National Center on Addiction
and Substance Abuse (2001), gli adolescenti con un maggiore livello di
parental monitoring hanno minori probabilità di fare uso di sostanze, in
confronto ad adolescenti della stessa età sottoposti ad un basso livello
di controllo genitoriale. Si potrebbe ipotizzare che gli adolescenti i cui genitori sono meno consapevoli di come e con chi essi passano il proprio
tempo libero, possono avere maggiori opportunità di essere coinvolti in
queste problematiche e possono subire minori punizioni da parte dei propri genitori (Vachon, Vitaro, Wanner e Tremblay, 2004; Ramirez, Crano,
414
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
Quist, Burgoon, Alvaro e Grandpre, 2004). Questo incrementerebbe il
rischio per l’adolescente di subire l’influenza del gruppo dei pari e sperimentare un distacco emotivo dai genitori più rilevante. Steinberg et al.
(1994) affermano che gli adolescenti fortemente monitorati sono, essenzialmente, doppiamente protetti dal coinvolgimento nell’uso di sostanze:
hanno gli effetti protettivi che derivano dalla socializzazione all’interno
della famiglia; inoltre, essendo essi stessi poco interessati a iniziare a
usare droghe, probabilmente sono anche meno propensi a trovarsi in
situazioni nelle quali potrebbero avere rapporti con pari che utilizzano
droghe. Dishion et al. (1995) hanno indagato la connessione tra monitoraggio, gruppo dei pari e uso di sostanze. La correlazione tra l’uso di
sostanze degli adolescenti e l’uso di sostanze dei loro amici risultava modesta per quei ragazzi con genitori consapevoli e fortemente positiva per
quei ragazzi con genitori poco consapevoli. Questi risultati suggeriscono
che i ragazzi con genitori meno consapevoli probabilmente tendono a
conformarsi di più ai loro pari che fanno uso di sostanze (Goldstein et al.,
2005). Gli studi hanno, inoltre, dimostrato che l’inizio precoce d’abuso
di droga è associato a un maggiore coinvolgimento successivo con le
droghe, con uso sia delle stesse sostanze che di altre differenti. Come
suggeriscono Goldstein et al. (2005), migliorando la comunicazione e l’attaccamento familiare durante la pre-adolescenza, si potrebbe sia ritardare
l’età di iniziazione all’uso di sostanze sia dissuadere i figli dall’aggregarsi
a gruppi di pari devianti. I fattori familiari, come il monitoraggio e la consapevolezza genitoriali, potrebbero quindi avere un forte impatto sia diretto che indiretto sul processo di iniziazione alle sostanze, influenzando i
figli nella scelta degli amici.
In conclusione, la maggioranza degli studi finora condotti ha dimostrato che esistono molteplici fattori correlati all’abuso di sostanze in adolescenza, ad esempio avere antecedenti di abuso di sostanze in famiglia,
avere relazioni familiari caratterizzate da bassi livelli di monitoraggio, e
avere amici che fumano o bevono. In particolare, diversi autori ipotizzano
che le pratiche genitoriali, come il parental monitoring, possono avere
un’influenza sia diretta che indiretta sul processo di iniziazione all’uso di
sostanze.
5.3. Iniziare a fumare
L’uso di fumo nell’adolescenza, così come altri comportamenti problematici citati precedentemente, può essere meglio compreso se considerato all’interno di una complessa rete di influenza composta da genitori, pari e altre persone significative.
415
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
Diversi autori hanno osservato che la prima sperimentazione del
fumo avviene principalmente durante l’adolescenza (Chassin, Presson,
Rose e Sherman, 1996; Gilpin, Choi, Berry e Pierce, 1999). L’osservazione di questa precoce sperimentazione del tabacco, che aumenta la
probabilità che se ne faccia un uso abituale, ha portato ad attuare studi
sul campo per determinare le cause che inducono gli adolescenti ad iniziare a fumare.
Diverse ricerche e teorie suggeriscono che il momento in cui si inizia
a fumare è socialmente determinato e che quindi sia i pari sia i genitori
svolgono un ruolo decisivo (Simons-Morton, 2002). Secondo alcune osservazioni di Harakeh et al. (Harakeh, Scholte, Vermulst, De Vries e Engels, 2004), tra i diversi studi che hanno indagato gli effetti diretti del
controllo genitoriale sull’uso di fumo negli adolescenti emerge che:
a) l’influenza del controllo psicologico sull’uso di tabacco nell’adolescente è stata scarsamente indagata;
b) dai pochi studi che indagano la relazione tra il controllo psicologico e il fumo è emerso che alti livelli di controllo psicologico sono correlati ad alti livelli di uso di tabacco, ma solo in riferimento agli adolescenti
maschi.
Nei vari studi che hanno indagato la relazione tra monitoraggio e
fumo nell’adolescente sono riportati risultati contrastanti. Patterson et al.
(1992) e Dishion et al. (1995) hanno evidenziato l’importanza sia degli
effetti indiretti (per esempio, la mancanza di credibilità dei messaggi contro il fumo trasmessi dai genitori fumatori) sia degli effetti diretti di un
sistema familiare (per esempio, l’iniziazione al fumo di adolescenti con
genitori fumatori). Per Chassin et al. (Chassin, Presson, Rose, Sherman e
Todd, 1998) alti livelli di controllo diretto sono legati a un basso coinvolgimento nell’uso di fumo.
Recentemente alcuni autori hanno considerato il monitoraggio come
una tra le variabili genitoriali protettive nei confronti dell’iniziazione al
fumo. Harakeh et al. (2004), indagando la relazione tra controllo genitoriale (diretto e psicologico) e cognizioni degli adolescenti rispetto al fumo
(attitudini e autoefficacia rispetto alla capacità di non essere fumatori, ad
esempio sentirsi capaci di rifiutare una sigaretta), hanno osservato che il
controllo psicologico è correlato positivamente all’uso di tabacco, mentre una buona consapevolezza genitoriale rispetto alle attività dei figli è
correlata a un atteggiamento negativo verso il fumo e a un alto livello di
auto-efficacia. Sulla base di tale risultato gli autori hanno ipotizzato che
la consapevolezza genitoriale avrebbe un’influenza positiva indiretta sulle
cognizioni degli adolescenti rispetto al fumo.
La ricerca di Simons-Morton e Chen (2004), invece, indaga se l’iniziazione al fumo è modulata da fattori demografici, dal livello di adattamento
416
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
degli adolescenti (competenze sociali, modalità depressiva, adattamento
scolastico) o dal comportamento dei genitori. Riguardo all’influenza di
quest’ultimo, dai risultati è emerso che quando i genitori sono fortemente
coinvolti nella vita dei figli, li monitorano e hanno forti aspettative nei confronti dei figli, questi ultimi tendono a iniziare a fumare più tardi.
Contrariamente ai risultati di questi studi alcuni autori mettono in evidenza che non sempre risulta una relazione tra alti livelli di monitoraggio
e basso coinvolgimento nell’iniziazione al fumo, al contrario adolescenti
che percepiscono alti livelli di controllo psicologico fumano tabacco
(Steinberg et al., 1994; Dishion et al., 1995; Chilcoate e Anthony, 1996;
DiClemente, Wingood, Crosby, Sionean, Cobb, Harrington, Davies, Hook
e Oh, 2001).
Tra gli studi sull’argomento ritroviamo quelli che hanno preso in considerazione la relazione tra il parental monitoring e le influenze dei pari
rispetto all’uso di fumo negli adolescenti (Chassin et al., 1993; Dishion
et al., 1995; Simons-Morton e Chen, 2004). In generale, secondo questi
studi quando il monitoraggio è basso si accompagna a una maggiore corrispondenza tra il comportamento dei figli adolescenti e quello dei pari.
Secondo i diversi autori questi risultati sono a favore dell’ipotesi che il
monitoraggio e le aspettative genitoriali potrebbero essere dei comportamenti protettivi contro l’iniziazione al fumo e potrebbero modificare l’influenza da parte dei pari sulla selezione degli amici e sulla quantità di
tempo che i ragazzi passano con amici con problemi comportamentali.
Uno studio recente ha rilevato che il monitoraggio genitoriale sembra
avere un ruolo significativo nella modulazione degli effetti che fattori genetici e ambientali hanno sull’uso di tabacco negli adolescenti (Dick, Viken,
Purcell, Kaprio, Pulkkinen e Rose, 2007). Questi autori hanno fatto uno
studio su famiglie con gemelli dell’età di 14 anni e, oltre a confermare
i risultati di studi precedenti dimostrando una relazione tra parental monitoring e l’uso di tabacco da parte degli adolescenti, hanno trovato che
l’influenza di fattori genetici e ambientali varia in funzione del monitoraggio. Più specificamente, hanno rilevato che ad alti livelli di parental monitoring corrisponde una diminuzione dell’influenza della predisposizione genetica e un aumento dell’importanza delle influenze ambientali sull’uso di
tabacco. Gli autori interpretano tali risultati come una prova del fatto che
in ambienti familiari in cui la supervisione e le restrizioni sono elevate ci
può essere una minore opportunità di espressione della predisposizione
genetica e una maggiore influenza degli effetti ambientali.
Da un’analisi degli studi sull’argomento risulta poco chiaro il ruolo che
ogni specifico comportamento genitoriale (controllo, consapevolezza, sostegno) ha nel proteggere i giovani dal fumo, tuttavia emerge l’importanza
che un clima familiare positivo in cui tali fattori interagiscono, ha nello
417
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
scoraggiare l’uso di fumo negli adolescenti. Nello specifico, si osservano
risultati contrastanti rispetto al monitoraggio genitoriale, anche se la maggior parte degli studi evidenzia una correlazione tra il monitoring, i comportamenti a rischio degli adolescenti e la scelta dei pari.
6.Il ruolo del parental monitoring in relazione ad al tri comportamenti a rischio
6.1. Il gioco d’azzardo
Il contatto con il gioco d’azzardo inizia precocemente in seno alla famiglia (Hardoon e Derevensky, 2001). La maggior parte degli autori concorda nel ritenere che le famiglie di giocatori d’azzardo patologici sembrano caratterizzate da scarso sostegno genitoriale e da disciplina incoerente (McCormick, Russo, Ramirez e Taber, 1984; Jacobs, 1986). Comparati con il resto della popolazione giovanile, i giovani giocatori hanno
più frequentemente uno o entrambi i genitori che giocano d’azzardo
(Jacobs, 2000; Ladoucer, Vitaro e Coté, 2001). Alcuni autori hanno spiegato la familiarità chiamando in causa la maggiore accettazione sociale
che caratterizza il gambling ai nostri giorni e l’influenza delle credenze
e degli atteggiamenti genitoriali verso il gioco d’azzardo. La gran parte
dei genitori (l’80%-90%) mostrano scarsa preoccupazione per il gioco
d’azzardo dei loro bambini (Wood, Griffths, Derevensky, e Gupta, 2002),
inoltre il parental monitoring sembrerebbe diretto più spesso a scoraggiare il consumo di alcol, piuttosto che il gioco d’azzardo (Barnes et al.,
1999). Alcune forme di gioco, infatti, come la lotteria, risultano tollerate
in seno alla famiglia e addirittura incoraggiate. Alcuni autori ritengono che
i genitori svolgano il ruolo di modello (Gupta e Derevensky, 1997; Barnes
et al., 2000), quindi il coinvolgimento nel gioco d’azzardo dipenderebbe
dalle influenze del contesto sociale (ruolo del modello genitoriale o del
gruppo dei pari) e ambientale di appartenenza del giocatore (opportunità
di gioco, sale gioco e casinò geograficamente accessibili).
Per quanto riguarda il monitoraggio genitoriale, i risultati presenti in
letteratura appaiono discrepanti. Secondo Barnes et al. (1999) il parental
monitoring sarebbe un importante fattore legato all’instaurarsi di comportamenti problematici riguardanti il gioco d’azzardo, ma tale correlazione
sarebbe meno forte rispetto a quella riscontrata con l’uso di sostanze
e di alcol. Un recente studio di Vachon et al. (2004) ha indagato nello
specifico la possibile relazione tra fattori familiari e presenza di gioco
d’azzardo problematico nei giovani. I risultati ottenuti indicano che la
frequenza di gioco d’azzardo negli adolescenti è in relazione sia alla fre-
418
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
quenza di gioco d’azzardo nei genitori sia alla sua problematicità. Per gli
adolescenti aumenterebbe il rischio di essere coinvolti in attività di gioco
d’azzardo e di sviluppare problemi ad esso legati in presenza di bassi
livelli di parental monitoring e di alti livelli di disciplina inadeguata.
In conclusione, dalle diverse ricerche considerate emerge che i genitori che giocano in modo eccessivo probabilmente espongono i propri
figli a credenze e atteggiamenti positivi rispetto al gioco d’azzardo, tale
da favorirne l’iniziazione; molti autori ritengono che essi esercitino inoltre
un ruolo di modello. Rispetto al ruolo del monitoraggio genitoriale, scarsi
sono gli studi esistenti a riguardo e i risultati emersi non sono univoci. Il
parental monitoring sembrerebbe un fattore strettamente legato al gioco
d’azzardo patologico nei figli, ma con una valenza inferiore rispetto ad
altri comportamenti problematici, quali l’uso di alcol e di sostanze. Infatti,
alcune forme di gioco d’azzardo sembrerebbero socialmente accettate e
alcune addirittura incoraggiate.
6.2. I comportamenti alimentari
Tra i vari fattori riguardanti la relazione genitori-figli, l’interesse dei
ricercatori per l’influenza che il ruolo dei genitori ha sulle preferenze alimentari e sul comportamento alimentare dei figli è di fondamentale importanza. Tale interesse sembra derivare proprio dall’osservazione di un
incremento del problema dell’obesità nei ragazzi (Duke, Bryson, Hammer
e Agras, 2004), che porta alla necessità di risalire alle possibili cause
dello sviluppo dei disturbi alimentari nei giovani.
Negli studi sull’argomento le abitudini alimentari dei figli che vengono
prevalentemente considerate riguardano il tipo di cibo consumato (sano
o dannoso) e le capacità di autocontrollo rispetto all’alimentazione quotidiana, mentre le strategie educative genitoriali riguardano l’incoraggiamento, la restrizione, la permissività e la spinta a mangiare. Tra le strategie educative, la restrizione della quantità di cibo (la quantità di restrizioni
che i genitori pongono ai figli rispetto ai cibi dannosi) e la spinta a mangiare (i tentativi che i genitori mettono in atto per aumentare la quantità
di cibi sani assunta dai figli) possono essere considerate come una forma
di controllo attraverso cui i genitori esercitano un’influenza sul comportamento alimentare dei figli (Birch, Fisher, Grimm-Thomas, Markey, Sawyer
e Johnson, 2001; Francis, Hofer e Birch, 2001).
Diversi autori si sono interessati al tema del controllo genitoriale in
relazione allo sviluppo delle abitudini alimentari dei figli e dai loro studi anche in questo caso emergono risultati contrastanti (Birch e Fisher, 2000;
Klesges, Coates, Brown, Sturgeon-Tillisch, Moldenhauer, Holzer, Woolfrey
419
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
e Vollmer, 1983; De Bourdeaudhuij, 1997; Birch et al., 2001; Kremers,
Brug, De Vries e Engels, 2003). Da una parte risulta utile imporre delle
restrizioni, degli obblighi e delle regole alimentari ai figli, perché ciò potrebbe portare ad una bassa frequenza nel consumo di cibi dannosi e
aumentare la quantità di cibo assunta (De Bourdeaudhuij e Van Oost,
2000; Birch et al., 2001). Tuttavia, restringere l’assunzione di certi cibi
non produce necessariamente un’avversione per quel determinato tipo di
cibo, inoltre, incoraggiare il bambino a mangiare certi cibi non necessariamente determina un interesse verso quel cibo (Casey e Rozin, 1989).
Inoltre, sembra che un’eccessiva restrizione sul cibo da parte dei genitori
(in particolare delle madri) sia associata alla capacità di autocontrollo dei
figli, relativa all’assunzione quotidiana di cibo (Birch e Fisher, 2000). Diversamente, alcuni studi non hanno trovato alcuna relazione significativa
tra l’imposizione di regole ed obblighi da parte dei genitori e le abitudini
alimentari sane dei figli (De Bourdeaudhuij, 1997; Fisher e Birch, 1999).
Questi risultati suggeriscono comunque la necessità di definire la
direzionalità della relazione genitori-figli, infatti è possibile che i genitori
esercitino un maggiore controllo quando i figli non mostrano disponibilità
a consumare cibi sani; quindi anche le abitudini alimentari dei figli possono influenzare il comportamento genitoriale, e non solo il contrario (De
Bourdeaudhuij, 1997). Tuttavia, alcuni autori suggeriscono che il controllo
genitoriale non è una semplice reazione alle difficoltà di autocontrollo o
al sovrappeso dei bambini, ma può presentarsi prima che si verifichino
tali problematiche. Nello specifico, Duke et al. (2004) ipotizzano che la
predisposizione dei genitori nei confronti dell’alimentazione e le loro attitudini rispetto alla nutrizione e alla forma dei figli potrebbero essere dei potenziali predittori del tipo di controllo alimentare che i genitori esercitano
sui figli. In effetti, i risultati di questo studio confermano che le caratteristiche genitoriali mostrate al momento della nascita dei figli correlano
con lo stile di controllo alimentare (spinta a mangiare o restrizioni di cibo)
utilizzato con i figli all’età di 7 anni. Ad esempio, è emerso che uno stile
nutrizionale di tipo aggressivo utilizzato nell’infanzia predice una spinta a
mangiare da parte del genitore più avanti nell’età.
Un altro interessante argomento di ricerca riguarda la possibile relazione tra la presenza di problematiche psicologiche nei genitori, in particolare disordini alimentari, e l’educazione all’alimentazione dei figli. Diversi
studi dimostrano che madri con disturbi alimentari esercitano alti livelli di
controllo e di restrizioni sull’alimentazione delle figlie femmine e riportano
un maggiore interesse per il peso delle figlie rispetto alle madri che non
hanno avuto alcun disturbo alimentare (Agras, Hammer e McNicholas,
1999; Stein, Woolley, Murray, Cooper, Cooper, Noble, Affonso e Fairburn,
2001; Duke et al., 2004). Quindi, sembra esserci una differenza significa-
420
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
tiva nel grado di controllo alimentare esercitato da questo tipo di madri
sulle figlie femmine e sui figli maschi.
Tra le ricerche sull’argomento ritroviamo anche gli studi che hanno
indagato la relazione tra il comportamento alimentare dei figli e gli stili
genitoriali elaborati da Baumrind (1991a) (autoritario, autorevole permissivo e inesistente). Ad esempio, Nicklas et al. (Nicklas, Baranowski,
Baranowski, Cullen, Rittenberry e Olvera, 2001), hanno osservato che:
quello autoritario include sia il tentativo di controllare l’assunzione di
cibo dei figli, utilizzando pratiche nutrizionali come comandi, istruzioni,
direttive o coercizioni, sia la tendenza a mettere pace o dare ricompense mediante il cibo; lo stile permissivo consiste nel lasciare che i
figli mangino ciò che vogliono; infine, lo stile autorevole comprende domande, negoziazione e dialogo per formare e guidare il comportamento
del bambino. Vari autori mostrano comune accordo nell’ipotizzare che
sia l’eccessivo controllo sia l’eccessiva permissività da parte dei genitori possano influire negativamente sulla salute delle abitudini alimentari
del figlio. Da un lato, l’eccesso di controllo potrebbe impedire lo sviluppo dell’autocontrollo del bambino nell’alimentazione (Birch e Fisher,
1998), dall’altro lato se ai bambini viene permesso di scegliere liberamente il tipo di alimentazione, la loro scelta potrebbe ricadere su cibi
poco sani (ad esempio, cibi a base di zucchero, sodio e grassi saturi)
(Klesges, Stein, Eck, Isbell e Klesges, 1991). Al contrario, risulta che
gli adolescenti che vivono con genitori che hanno uno stile autorevole
manifestano un migliore autocontrollo e maggiori abitudini alimentari
sane rispetto a coloro che vivono in famiglie con uno stile autoritario o
negligente. In particolare, si evidenzia che il controllo genitoriale esercitato in un’atmosfera generale di coinvolgimento e calore genitoriale (genitorialità autorevole) può portare degli effetti positivi, mentre all’interno
di uno stile autoritario può determinare degli effetti negativi (Nicklas et
al., 2001; Kremers et al., 2003). Anche Bonino et al. (2003) hanno osservato che uno stile genitoriale autorevole, caratterizzato da un’integrazione di controllo e supervisione, può avere un ruolo protettivo rispetto
allo sviluppo di comportamenti alimentari disturbati negli adolescenti.
Innanzitutto, questi autori (Ciairano et al., 2001; Bonino et al., 2003)
hanno individuato alcuni fattori che contribuiscono alla caratterizzazione
di un comportamento alimentare disturbato in adolescenza, e sono: il
ricorso ad una dieta, l’alimentazione consolatoria e i comportamenti di
eliminazione. Inoltre, hanno analizzato la relazione tra alcuni fattori familiari, come supervisione, dialogo e vicinanza affettiva, e lo sviluppo di
comportamenti alimentari disturbati. Dai risultati è emerso che la supervisione genitoriale dei comportamenti fuori casa e il sostegno familiare
(stile autorevole) sono associati ad una minore messa in atto di compor-
421
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
tamenti di eliminazione, mentre lo stesso risultato non si ottiene rispetto
alle diete e all’alimentazione consolatoria.
Concludendo, nei diversi studi considerati sembra importante l’impatto dello stile genitoriale e, in particolare, del controllo dei genitori
sull’alimentazione dei figli. Inoltre, emerge anche che le caratteristiche
comportamentali o le differenze di genere dei figli sembrano essere in relazione con le modalità educative genitoriali; si osserva poi la fondamentale rilevanza della presenza di disturbi del comportamento alimentare
nei genitori. Infine, esistono prove contrastanti riguardo all’importanza
del controllo genitoriale e del suo legame con l’alimentazione dei ragazzi.
Per questo motivo, conoscere più nel dettaglio tale relazione potrebbe in
parte provvedere alla prevenzione di eventuali disturbi alimentari infantili.
6.3. I comportamenti sessuali
Per quanto riguarda le problematiche inerenti la sfera sessuale, nel
corso degli anni si sono osservati dei cambiamenti significativi nelle principali prospettive di ricerca assunte. In passato, i diversi ricercatori che
si sono occupati dello studio dei comportamenti e delle abitudini sessuali
degli adolescenti hanno focalizzato il loro interesse principalmente sull’iniziazione ai rapporti sessuali e sui fattori biologici, psicologici e sociali
legati alle prime esperienze sessuali. Successivamente, l’interesse si è
spostato dall’indagine dei fattori associati alle prime esperienze sessuali
verso quei fattori che determinano la messa in atto di comportamenti
sessuali a rischio e la cui conoscenza potrebbe aiutare gli adolescenti a
compiere scelte sessuali responsabili. Il motivo di tale cambiamento è dovuto principalmente alla constatazione che, sin dagli anni ’80, si registra
un aumento, in questa fase dello sviluppo, sia delle gravidanze sia del
rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili (Bingham, 1989;
Moore e Rosenthal, 1991). Tali osservazioni hanno portato i ricercatori a
riconsiderare il problema del comportamento sessuale nell’adolescenza.
All’interno di questa prospettiva di ricerca risultano pochi gli studi che
si sono interessati specificatamente della relazione tra i comportamenti
genitoriali e i comportamenti sessuali precoci e/o non protetti degli adolescenti. In particolare, lo studio del parental monitoring è stato considerato meno rispetto allo studio della qualità della relazione genitore-figlio
(Rodgers, 1999).
Gli studi sul «rischio sessuale» in adolescenza prendono in considerazione soprattutto due fattori: la mancanza di uso del preservativo e/o
la presenza di più partner sessuali nello stesso periodo di tempo o in periodi ravvicinati (Rodgers, 1999; Guo, Ick-Joong e Hill, 2002; Huebner e
422
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
Howell, 2003). Questo perché l’uso dei preservativi diminuisce l’incidenza
di malattie sessualmente trasmissibili e l’avere più partner sessuali è associato ad una maggiore probabilità di contrarre malattie sessuali (Huebner e Howell, 2003).
Dalla maggior parte delle ricerche sembrerebbe che alti livelli di monitoraggio genitoriale siano associati a un basso livello di comportamenti
sessuali a rischio; infatti, gli adolescenti più controllati dai genitori mostrano più comportamenti a basso rischio sessuale (quindi dichiarano di
avere un solo partner e di usare il preservativo); mentre bassi livelli di
monitoraggio da parte di genitori sembrano in relazione con lo sviluppo
di comportamenti sessuali a rischio (Lustre e Small, 1994; Metzler, Noell
e Biglan, 1994; Rodgers, 1999; Jacobson e Crockett, 2000; Huebner e
Howell, 2003). Diversamente, in certe circostanze un elevato grado di
monitoraggio genitoriale non sembra correlare con un minore coinvolgimento dei ragazzi in comportamenti sessuali a rischio. In particolare,
alcuni autori non hanno osservato alcuna relazione significativa tra il parental monitoring e l’attività sessuale di adolescenti maschi e femmine
(Moore, Peterson e Fursyenberg, 1986).
In generale, nonostante la maggior parte degli studi abbia ipotizzato
che, per i maschi e per le femmine, il parental monitoring sia un buon
predittore della presenza di problemi comportamentali, sembra che, in alcuni casi, il grado di monitoraggio genitoriale abbia una rilevanza diversa
a seconda del genere dell’adolescente. Un eccesso di controllo da parte
dei genitori, infatti, sembra avere una relazione diversa con il comportamento sessuale delle figlie rispetto a quello dei figli. A tal proposito, Lustre e Small (1994) hanno osservato che le ragazze che erano eccessivamente controllate dai genitori avevano avuto più frequentemente partner
sessuali diversi e con minore frequenza avevano utilizzato il preservativo.
Al contrario, gli adolescenti maschi che percepivano severità da parte dei
genitori avevano meno rapporti sessuali, meno partner sessuali e utilizzavano il preservativo (Jemmott e Jemmott, 1992).
In particolare, rispetto alle differenze di genere, Rodgers (1999) ha
osservato delle differenze nei comportamenti sessuali di femmine e maschi in relazione a due diversi tipi di controllo: comportamentale e psicologico. Secondo l’autore, il controllo comportamentale coincide con il monitoraggio, esso infatti riguarda la conoscenza dei genitori circa le attività
e i luoghi frequentati dal figlio; diversamente, il controllo psicologico si
riferisce a strategie manipolative e coercitive che i genitori utilizzano per
controllare il comportamento dei figli, evocando soprattutto sensi di colpa
e ansia. In generale, i risultati di questo studio hanno portato la Rodgers
(1999) ad ipotizzare che il controllo comportamentale diminuirebbe la probabilità che adolescenti, maschi e femmine, acquisiscano comportamenti
423
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
sessuali ad alto rischio. In particolare, rispetto alle differenze di genere,
per quanto riguarda le femmine il controllo psicologico (in particolare, da
parte della figura paterna) aumenta la probabilità che le figlie possano incorrere in attività sessuali a rischio, mentre il controllo comportamentale
aumenta la probabilità che le figlie manifestino comportamenti sessuali a
basso rischio. Per i figli maschi percepire un alto controllo comportamentale da parte dei genitori diminuisce il rischio di coinvolgimento in attività
sessuali a rischio; non emerge, invece, alcuna relazione significativa rispetto al controllo psicologico. Queste differenze di genere, soprattutto
riguardo al controllo psicologico, sono interpretate dall’autore come una
possibile dimostrazione della differenza delle attitudini di maschi e femmine nei confronti della sessualità. Per le femmine, infatti, è possibile che
l’intimità sessuale sia più un processo interno, per questo si rivela importante l’effetto del controllo psicologico. Al contrario per i maschi la sessualità potrebbe essere un processo più rivolto verso l’esterno. Riguardo
al ruolo genitoriale, da questo studio si osserva il ruolo fondamentale che
entrambi i genitori giocano rispetto alla sessualità delle figlie femmine.
Inoltre, i risultati di tale studio sono una prova a favore del fatto che esiste una differenza sostanziale tra controllo psicologico e monitoraggio.
Il controllo diretto delle attività e dei luoghi frequentati dal figlio, infatti,
avrebbe un effetto positivo nella prevenzione di attività sessuali a rischio
negli adolescenti. Al contrario, un eccessivo controllo psicologico, indiretto e caratterizzato da una manipolazione mentale, sarebbe un ostacolo
all’opportunità dei ragazzi di sviluppare un’autonomia di pensiero e raggiungere una maturità mentale necessaria per attuare scelte importanti,
come quelle sessuali (Rodgers, 1999).
I risultati dei diversi studi presi in esame suggeriscono il ruolo fondamentale che i genitori giocano nel ridurre il coinvolgimento in attività sessuali ad alto rischio dei loro figli. Questo ruolo è sostenuto dalla messa
in atto di comportamenti educativi positivi, come incoraggiare i ragazzi
a non avere rapporti sessuali non protetti, limitare il numero di potenziali
partner sessuali dei loro figli, e monitorare le loro attività. Inoltre, la conoscenza genitoriale delle attività e dei luoghi frequentati dagli adolescenti
potrebbe aiutare i ragazzi ad evitare situazioni di coinvolgimento in comportamenti a rischio. Il parental monitoring risulta quindi un fattore significativo anche in relazione ai comportamenti sessuali a rischio, e, concludendo, può essere considerato una tra le variabili più importanti da
considerare nell’indagare il rischio sessuale negli adolescenti.
424
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
7. Conclusioni e nuove proposte teoriche
Dall’analisi della letteratura svolta si evidenza come il parental monitoring sia uno dei fattori principali che influenzano lo sviluppo dell’adolescente, le sue modalità comportamentali e le relazioni con il gruppo dei
pari; inoltre, si evince come un adeguato controllo genitoriale rappresenti
uno dei fattori protettivi contro l’insorgenza e il mantenimento dei comportamenti devianti in adolescenza (Kremers et al., 2003).
Dal presente lavoro emerge, tuttavia, una scarsa comprensione circa
la natura delle relazioni tra influenze genitoriali e vari comportamenti
a rischio degli adolescenti. Per esempio, non è chiaro quali comportamenti genitoriali proteggono dall’instaurarsi di determinati comportamenti
problematici e quali invece ne favoriscono l’insorgenza (Simons-Morton
e Chen, 2004). Tali difficoltà si potrebbero considerare come dei limiti
determinati dal tentativo di studiare separatamente i molteplici fattori
racchiusi in un unico concetto («parental monitoring») e dall’esistenza di
differenti definizioni. In realtà il concetto di parenting si riferisce ad un
insieme di fattori interrelati, e questo determina una certa difficoltà di studiarli singolarmente. Un altro problema fondamentale può essere dato dal
fatto che in diversi studi il parental monitoring risulta in stretta relazione
con altre caratteristiche genitoriali (sostegno, comunicazione, ecc.), per
cui difficilmente i risultati di tali studi si possono ricollegare esclusivamente ad un effetto del parental monitoring. Oltre ai problemi derivanti
dall’interazione tra parental monitoring e altri comportamenti genitoriali,
è importante considerare che, soprattutto nell’adolescenza, la relazione
reciproca genitori-figli può essere fortemente influenzata da quella che i
figli hanno con i propri pari (Chassin et al., 1993; Dishion et al., 1995; Simons-Morton, 2002; Simons-Mortons e Chen, 2004). Gli aspetti protettivi
della relazione genitori-figli, come il monitoraggio e il coinvolgimento, possono essere considerati esclusivi fino al periodo della pre-adolescenza;
tuttavia, successivamente molti giovani cominciano a sperimentare l’indipendenza dalla supervisione degli adulti e, attraverso l’influenza dei pari,
possono essere comunque coinvolti in comportamenti rischiosi, come
bere alcolici e fumare, che i genitori potrebbero non condividere. Emerge
quindi la necessità di considerare gli effetti del parental monitoring in una
prospettiva che includa la relazione genitori-figli in una relazione più ampia
genitori-figli-pari.
Un altro fattore rilevante all’interno della relazione genitori-figli riguarda il genere dei figli. Diversi studi hanno infatti osservato differenze
rispetto al genere dei ragazzi che riguardano sia i comportamenti di controllo da parte dei genitori sia le reazioni dei figli al controllo genitoriale
(Lustre e Small, 1994; Rodgers, 1999; Birch e Fisher, 2000; Harakeh
425
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
et al., 2004). Da un lato sembra che i genitori manifestino differenti modalità di controllo in base al genere dei figli; ad esempio, riguardo ai disturbi alimentari Birch e Fisher (2000) hanno osservato l’influenza dello
stile di controllo materno sull’alimentazione delle figlie femmine. Dall’altro
lato, sembra che la reazione dei figli maschi al controllo genitoriale sia
diversa rispetto alla reazione delle figlie femmine; ad esempio, Harakeh
et al. (2004) hanno osservato che il controllo psicologico genitoriale è
correlato ad alti livelli di uso di fumo nei maschi. Ciò evidenzia che non
sempre ad alti livelli di monitoraggio genitoriale corrisponde una minore
presenza di comportamenti a rischio nei figli e che il tipo di relazione che
intercorre tra queste due variabili interagisce in modo significativo con il
genere dei figli. Ciò è messo in evidenza anche da alcuni studi che riportano un’associazione negativa tra il monitoraggio genitoriale e l’iniziazione
al fumo (Chilcoate e Anthony, 1996; DiClemente et al., 2001; Dishion et
al., 1995; Steinberg et al., 1994). Tali risultati suggeriscono anche che la
relazione tra parental monitoring e comportamenti a rischio può essere
influenzata dall’attività messa in atto dai figli: per alcune attività la relazione sembra essere inversa, per altre diretta.
Un altro importante aspetto da considerare riguarda il tipo di indagini
che sono state effettuate nella maggior parte degli studi sull’argomento.
Si tratta, infatti, per lo più di studi correlazionali in cui si valuta l’associazione tra variabili e da cui non è possibile estrarre un modello esplicativo
di tipo causale (Vereecken et al., 2004). Scarseggiano, inoltre, gli studi
longitudinali, tali da consentire lo studio delle conseguenze nel tempo e di
relazioni causali tra i vari fattori (Rai et al., 2003).
Riguardo invece alla direzionalità della relazione genitori-figli, in letteratura la maggioranza degli studi finora condotti ha preso in considerazione principalmente l’influenza che le pratiche genitoriali esercitano sui
figli. Recenti studi hanno invece proposto una diversa prospettiva, evidenziando l’importanza della relazione reciproca tra genitori e figli. In particolare diversi autori (Stattin e Kerr, 2000; Fisher e Birch, 1999) hanno
evidenziato che determinati comportamenti dei figli possono generare un
cambiamento nelle modalità educative e relazionali dei genitori. Stattin
e Kerr (2000), ad esempio, hanno incluso nel parental monitoring la variabile «apertura dei figli». Inoltre, altri autori evidenziano che il grado di
controllo attuato dai genitori può variare a seconda del comportamento
positivo o negativo del figlio, oppure della conoscenza delle attività e degli amici frequentati dal figlio (consapevolezza genitoriale).
Un altro aspetto rilevante tratto dagli studi più recenti (Harakeh et
al., 2004) riguarda una sottile distinzione tra controllo comportamentale
e controllo psicologico. Dai risultati ottenuti emerge come il primo (che
riguarda principalmente il monitoraggio) abbia generalmente degli effetti
426
Parental monitoring e comportamenti a rischio in adolescenza
positivi sullo sviluppo dell’adolescente; al contrario, il controllo psicologico (manipolazione e repressione), sarebbe più intrusivo e di conseguenza ostacolerebbe lo sviluppo dell’autonomia del ragazzo.
Per quanto riguarda gli strumenti utilizzati nei diversi studi, emerge la
necessità di integrare l’utilizzo di metodi di misurazione rivolti ai genitori
con quelli rivolti agli adolescenti, in modo da poter avere una visione più
completa del fenomeno.
Un’ultima considerazione riguarda l’importanza che il parental monitoring dovrebbe avere nei programmi di prevenzione primaria. Sebbene
dagli studi presi in esame emerga il suo ruolo protettivo nell’insorgenza di
comportamenti devianti, esso è considerato principalmente all’interno di
ricerche di tipo correlazionale o in programmi di intervento riabilitativi per
adolescenti con problematiche di tossicodipendenza e alcolismo (Guyll et
al., 2004; Fletcher et al., 1995). In realtà sarebbe necessario sviluppare
e verificare l’efficacia di programmi preventivi che prevedano attività informative e formative anche nei confronti dei genitori.
Sulla base di quanto fin qui affermato, emerge la necessità di considerare empiricamente alcuni fattori, finora non indagati in letteratura e
ignorati nella costruzione degli strumenti atti a misurare il parental monitoring. Innanzitutto, i pochi studi che evidenziano come il monitoraggio
possa avere effetti opposti a seconda del sesso dei figli, suggeriscono
che i comportamenti dei genitori possano avere effetti diversi anche a
seconda che siano messi in atto dal padre o dalla madre. Sebbene, infatti, sia evidente il ruolo diverso e complementare svolto dai genitori,
il monitoraggio genitoriale percepito dai figli è stato sempre misurato e
studiato non facendo riferimento a tale complementarietà. In linea con
ciò, non è stato ancora indagata l’influenza del grado di coerenza delle
attività di monitoraggio: a) tra padri e madri, b) nello stesso genitore ma
in momenti diversi, c) riguardo alle diverse attività messe in atto dai figli.
Inoltre, il grado di coerenza può riguardare le specifiche attività di monitoraggio: per esempio, gli effetti della messa in atto di un controllo comportamentale elevato e di un controllo psicologico scarso, o viceversa,
(coerenza bassa) sono simili a quelli relativi alla messa in atto di controlli
comportamentali e psicologici elevati (coerenza elevata)?
Questo tipo di indagini potrebbero chiarire perché non sempre un alto
livello di monitoraggio è associato ad una diminuzione della probabilità di
sviluppo di comportamenti a rischio (Chilcoate e Anthony, 1996; DiClemente et al., 2001; Dishion et al., 1995; Steinberg et al., 1994).
Alcuni studi hanno messo in evidenza che gli effetti protettivi del parental monitoring si osservano per alcuni comportamenti a rischio, ma
non per altri. Come precedentemente anticipato, questo risultato suggerisce che i genitori potrebbero mettere in atto comportamenti di monito-
427
R. Trincas, M. Patrizi, A. Couyoumdjian
raggio e controllo considerando il contesto in cui tali comportamenti si
applicano, intendendo per «contesto» il tipo di attività o comportamento a
rischio dell’adolescente (uso di droga, comportamenti sessuali a rischio,
gioco d’azzardo). È, infatti, plausibile che il grado di monitoraggio vari a
seconda della valutazione che i genitori fanno rispetto al tipo di attività
svolta dai figli. Ad esempio, un genitore potrebbe attuare un monitoraggio elevato rispetto ad attività percepite come pericolose o immorali (uso
di droga, fare sesso, ecc.) e non attuare alcun monitoraggio per quei
comportamenti percepiti come socialmente accettabili (gioco d’azzardo,
uso del computer, ecc.). Questa ipotesi ha forti implicazioni riguardo
alla misura del parental monitoring; infatti, le scale attualmente utilizzate
tendono o a focalizzarsi esclusivamente su alcuni contesti (per esempio,
uscire con gli amici) o ad essere troppo generiche (per esempio, chiedendo se i genitori impongono o meno delle regole). In entrambi i casi il
pericolo è quello di non rilevare erroneamente alcuna relazione tra livello
di monitoraggio e comportamenti a rischio dei ragazzi.
Concludendo, lo studio delle differenze di genere, del grado di coerenza e del ruolo del contesto potrebbe contribuire a spiegare i risultati
contradditori sull’efficacia del parental monitoring come fattore protettivo
e, inoltre, potrebbe permettere una migliore comprensione della relazione genitori-figli e dell’osservazione di condotte a rischio negli adolescenti.
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[Ricevuto il 19 ottobre 2006]
[Accettato il 20 giugno 2007]
Parental monitoring and risky behaviours in adolescence: a literature review
Summary. The concept of parental monitoring concerns those parental behaviours that aim
to control and be aware of children activities. Such behaviours characterize and affect especially
the relationship with adolescents, whose autonomy gradually increases. This literature review, besides giving the current frame of reference on the domain, takes into account those studies which
highlight a close relationship between parental monitoring and risky behaviours in adolescence
(alcohol and drug abuse, smoking initiation, gambling, eating disorders and risky sex).
Keywords: Parental monitoring, adolescence substance abuse, gambling, eating disorders,
risky sex.
Per corrispondenza: Roberta Trincas, Dipartimento di Psicologia, Università di
Roma «La Sapienza», Via dei Marsi 78, 00185 Roma. E-mail: roberta.trincas@
uniroma1.it
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