Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Vol. 2 - n. 1 - Gennaio-Aprile 2004 Volume 1, n. 1, 2003 Promozione ed educazione alla salute: prevenzione dei comportamenti a rischio in età adolescenzialeLe patologie vulvari non neoplastiche nelle adolescenti Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti S. Donati, S. Andreozzi, E. Medda, M. Grandolfo Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza T.L. Schwarzenberg L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente G. De Luca, P. Ruggiero, G. Raiola, S. Bertelloni, V. De Sanctis Periodico quadrimestrale - Spedizione in abbonamento postale 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - Milano In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa. CASO CLINICO - ESPERIENZA SUL CAMPO - FRONT LINE MAGAM NOTES Editoriale Gli argomenti che vengono trattati in questo numero della Rivista Italiana di Medicina della Adolescenza (R.I.M.A.) sono sostanzialmente tre: la salute riproduttiva, i comportamenti a rischio (bullismo) ed i bilanci di salute. Tutti coloro che si occupano di adolescenti hanno potuto verificare quanto sia importante effettuare una educazione sessuale ed ai sentimenti nei ragazzi in età peripuberale e puberale. Il 90% degli adolescenti e l’82% dei genitori ritiene che questo compito debba essere svolto dalle scuole. Nonostante ciò, nel nostro Paese non esistono programmi ben codificati di educazione alla salute ed alla sessualità. Lo stesso discorso vale per i comportamenti a rischio in età adolescenziale. Anche in questo caso la scuola potrebbe rappresentare il luogo più idoneo e qualificato per affrontare il problema. Per combattere il fenomeno del bullismo sono state proposte ed adottate, nelle scuole inglesi, varie tecniche di intervento: indagini-interviste, rappresentazioni teatrali, role-playing, filmati, incontri con esperti qualificati. A differenza di quanto è accaduto nella realtà americana, in Italia la diffusione della Medicina della Adolescenza è ancora limitata pur nella crescente consapevolezza che essa debba appartenere, per continuità “culturale ed assistenziale”, alla Pediatria. I bilanci di salute in età adolescenziale, già largamente utilizzati per i pazienti più piccoli, possono rappresentare un utile strumento per identificare i comportamenti a rischio, le patologie più comuni della età adolescenziale e per promuovere scelte autonome e responsabili da parte dei ragazzi. A partire da questo numero della R.I.M.A. verranno inserite due nuove rubriche: “Esperienze sul campo” e “M.A.G.A.M. notes” (Mediterranean Action Group for Adolescent Medicine). La prima rubrica vuole creare un collegamento più stretto con tutti coloro che si occupano di adolescenti. Potranno essere riportate esperienze personali, progetti, iniziative a favore degli adolescenti. Saremo molto lieti di ricevere non solo i Vostri contributi ma anche i Vostri suggerimenti e commenti. M.A.G.A.M. notes verrà curata dalla dottoressa Bernadette Fiscina, pediatra-adolescentologa di New York. Pubblicherà, in lingua inglese, le ricerche e le attività dei Colleghi che si occupano di adolescenti, prevalentemente nell’area del Mediterraneo. La M.A.G.A.M. è stata fondata a Ferrara il 7 Settembre 2001, attualmente viene da me coordinata ed ha lo scopo di diffondere la “teoria e pratica adolescentologica” nei Paesi dell’area del Mediterraneo. Ci auguriamo che questo ulteriore sforzo organizzativo della nostra Società (S.I.M.A.) possa contribuire a diffondere ulteriormente la cultura adolescentologica non solo in Italia ma anche nell’area del Mediterraneo. Vincenzo De Sanctis 1 S.I.M.A. Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza DOMANDA DI AMMISSIONE PER I NUOVI SOCI La Società Italiana di Medicina dell'Adolescenza (S.I.M.A.) è stata fondata nel 1992. Ha lo scopo di diffondere la "teoria e pratica" adolescentologica nel nostro Paese. La domanda di iscrizione deve essere inviata per posta o fax all'attuale Presidente della Società. Dr. Vincenzo De Sanctis U.O. di Pediatria ed Adolescentologia Arcispedale S. Anna Corso Giovecca, 203 44100 Ferrara Il sottoscritto, presa visione delle norme statutarie della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (S.I.M.A.), che si impegna a rispettare ed a far rispettare, CHIEDE di essere ammesso come socio ordinario. Si riportano i seguenti dati personali (in chiare cifre e lettere): Cognome Pediatra Nome SI NO SI NO Luogo e data di nascita Residenza: Via C.A.P. Città Prov. Regione Qualifica Universitaria Qualifica Ospedaliera Altro Libero Professionista Tel. 0532236934 Fax 0532247107 Iscritto S.I.P. SI NO Pediatra di libera scelta Telefoni con prefissi: casa SI NO fax cellulare e-mail A tutti i Soci vengono inviati: la Rivista Italiana di Medicina dell'Adolescenza (R.I.M.A.) e gli Atti del Congresso Nazionale della Società Sede di lavoro: Via C.A.P. Città Prov. Regione Data Firma del richiedente* Soci presentatori** Firma dei Soci 1) 2) * Con la firma si concede alla S.I.M.A. (a giudizio del Consiglio e nel rispetto della Legge) l’uso del nominativo per le informazioni di notizie e congressi sull’Adolescentologia Medica, in modo diretto ed indiretto (anche tramite altre Società mediche, sociopsicologiche, antropologiche o riviste e giornali che studiano e diffondono articoli sull’Adolescenza utili alla Pediatria). ** Cognome e nome leggibile per esteso ed al lato la firma Il sottoscritto, ai sensi della legge 675/96, acconsente al trattamento dei dati personali per tutte le attività scientifiche che verranno svolte dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (S.I.M.A.). Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza SOMMARIO DIRETTORE SCIENTIFICO Vincenzo De Sanctis (Ferrara) Editoriale pag. 1 COMITATO EDITORIALE Silvano Bertelloni (Pisa) Antonietta Cervo (Pagani, Salerno) Salvatore Chiavetta (Palermo) Giampaolo De Luca (Amantea, Cosenza) Ettore De Toni (Genova) Teresa De Toni (Genova) Carlo Pintor (Cagliari) Giuseppe Raiola (Catanzaro) Giuseppe Saggese (Pisa) Calogero Vullo (Ferrara) V. De Sanctis Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti pag. 5 S. Donati, S. Andreozzi, E. Medda, M. Grandolfo Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni pag. 13 T.L. Schwarzenberg INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD Magdy Omar Abdou (Alexandria, Egypt) Hala Al Rimawi (Irbid, Jordan) Thanaa Amer (Jeddah, South Arabia) Mike Angastiniotis (Nicosia, Cyprus) Yardena Danziger (Petah-Tiqva, Israel) Oya Ercan (Istanbul, Turkey) Bernadette Fiscina (New York, USA) Helena Fonseca (Lisbon, Portugal) Daniel Hardoff (Haifa, Israel) Christos Kattamis (Athens, Greece) Ashraf Soliman (Doha, Qatar) Joan-Carles Suris (Lausanne, Switzerland) L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente pag. 25 G. De Luca, P. Ruggiero, G. Raiola, S. Bertelloni, V. De Sanctis Caso clinico Una giovane adolescente con amenorrea primaria e dolori addominali ricorrenti pag. 33 S. Bertelloni, P. Garofalo Esperienza sul campo Sportello andrologico permanente pag. 37 M.M. Sturniolo, M. Carlucci, C. Curcio, A. Papini, M. Cruscomagno, L. Vulcano, F. Salvestrini SEGRETARIA DI REDAZIONE Gianna Vaccari (Ferrara) Front Line Insegnare la prevenzione pag. 41 M. Strambi DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Cazzola DIREZIONE MARKETING Armando Mazzù CONSULENZA GRAFICA Piero Merlini Gli adolescenti “attardati” pag. 43 S. Ciacci, F. Franchini Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003 Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano Tel. 0270608091 - 0270608060 Fax 0270606917 E-mail: [email protected] “Inventare” la propria identità pag. 44 E. Bonfiglioli MAGAM notes Epidemiology of chronic diseases in adolescence in Mediterranean population pag. 47 Abbonamento annuale (3 numeri) Euro 30,00. Pagamento: conto corrente postale n. 20350682 intestato a: Edizioni Scripta Manent s.n.c., via Bassini 41, 20133 Milano Stampa: Cromografica Europea s.r.l. Rho (MI) C. Kattamis È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e fotografie senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione espressa dagli Autori degli articoli. Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista comunicando per iscritto la propria decisione a: Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano 3 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani Serena Donati, Silvia Andreozzi, Emanuela Medda, Michele Grandolfo Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute Istituto Superiore di Sanità, Roma Riassunto Lo studio riporta i risultati di un’indagine campionaria su conoscenze, attitudini e comportamenti sulla salute riproduttiva degli studenti che frequentano i primi due anni delle scuole medie superiori di 11 regioni italiane. Oltre il 95% degli intervistati suggerisce che la scuola debba garantire l’educazione sessuale, il 23% dalle elementari e il 58% dalle medie inferiori. Oltre il 90% ritiene che l’educazione sessuale stimoli maggiore consapevolezza. Il 36% riferisce di aver partecipato a corsi di educazione sessuale organizzati dalla scuola. Oltre l’80% riferisce di vivere con naturalezza, curiosità ed entusiasmo i cambiamenti puberali. Solo il 33% identifica correttamente il periodo fertile del ciclo. Circa l’80% ha dichiarato l’intenzione di usare un contraccettivo in caso di rapporto sessuale. Il 18% riporta di aver avuto rapporti sessuali completi e, di questi, solo l’11% riferisce di non aver usato alcun metodo contraccettivo. Il 98% e il 58% ritiene l’AIDS e l’epatite malattie a trasmissione sessuale. Poco meno dell’80% considera il preservativo in grado di proteggere dalle malattie a trasmissione sessuale, che risultano essere poco conosciute. Parole chiave: adolescenti, indagini CAP, salute riproduttiva. Reproductive health: knowledge, attitude and practice among italian adolescents Summary This study reports the results of a survey on knowledge, attitude and behaviour on reproductive health among adolescents attending the first two years of high school in 11 Italian regions. More than 95% ask for sexual education at school, 23% from age 6 and 58% from age 11. More than 90% consider sexual education useful to increase consciousness and selfesteem. Thirty-six percent have been involved in sexual education activities at school. More than 80% refer they are living the puberal changes with naturalness, curiosity and enthusiasm. Only 33% know the fertile period of the menstrual cycle. About 80% intend to use a contraceptive in case of sexual intercourse. Eighteen percent of interviewed have had sexual intercourses, 11% of them without using a contraceptive method. The knowledge on sexually transmitted diseases (STDs) is poor. Even though 98% consider AIDS a STD, only 58% know that also hepatitis is a sexually transmitted disease. About 80% think that condom is useful in preventing STDs. Key words: adolescents, KAP survey, reproductive health. In Italia gli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta sono stati caratterizzati da forti mutamenti sociali, culturali e legislativi rispetto alla sessualità, basti pensare all’abrogazione del divieto di propaganda e uso di qualsiasi metodo contraccettivo, all’introduzione della legge sul divorzio confermata dal successivo referendum del 1974, all’istituzione dei consultori familiari nel 1975, all’approvazione della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza nel 1978 e all’esplosione della problematica AIDS. Gli atteggiamenti sociali nei confronti della sessualità sono cambiati: oggi si parla in modo più esplicito di tematiche inerenti la sessualità sia nei rapporti interpersonali sia attraverso i mass-media. Tuttavia, la maggior parte degli adolescenti giunge alla scoperta della sessualità senza un’informazione e un’educazione sessuale adeguata ai loro bisogni (1, 2). I giovani denunciano bisogno di maggiori approfondimenti a fronte di conoscenze insufficienti e approssimative, determinate spesso da fonti non qualificate (3-6). 5 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 le conoscenze e gli atteggiamenti circa la fisiologia riproduttiva, la contraccezione e le malattie a trasmissione sessuale. L’ultima parte concerne le informazioni sulle variabili socio-anagrafiche. La raccolta dei dati, iniziata nel febbraio 1998, ha richiesto circa tre mesi. I processi di codifica, inserimento e pulizia dei dati sono stati effettuati presso l’ISS dove, mediante il programma statistico BMDP, si è proceduto anche all’analisi uni e multivariata. L’educazione sessuale dovrebbe mirare a garantire la formazione integrale della persona e il riconoscimento della sua identità di genere attraverso modalità d’azione basate sulla valorizzazione delle persone mediante il coinvolgimento di tutte le agenzie educative formali e informali presenti sul territorio (famiglia, scuola, associazionismo, parrocchie, ecc.). Nel 1998 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con 24 ASL di 11 regioni Italiane ha organizzato e realizzato un’indagine campionaria per studiare le conoscenze, gli atteggiamenti, le aspirazioni e i comportamenti degli adolescenti rispetto alle tematiche sessuali anche in relazione agli aspetti affettivi ed emozionali. Si è cercato di cogliere le opinioni dei ragazzi circa l’educazione sessuale ricevuta, i loro suggerimenti rispetto alla progettazione di nuovi interventi, alle figure di riferimento da privilegiare e ai contesti più adeguati per realizzare tali iniziative. Si sono investigate le conoscenze e gli atteggiamenti circa la fisiologia riproduttiva, la contraccezione e le malattie a trasmissione sessuale. Si è inoltre cercato di esaminare i vissuti dei giovani in relazione alle trasformazioni corporee e alla sessualità. L’indagine aveva quindi la finalità di delineare un quadro del panorama giovanile, alla ricerca di indicazioni per la programmazione di interventi volti a soddisfare le richieste degli adolescenti rispetto all’educazione sessuale non più intesa come sola acquisizione di informazioni, ma inquadrata nell’ambito più globale dello sviluppo delle capacità comunicative e affettive della persona. Risultati e discussione Le 11 regioni che hanno aderito all’indagine sono distribuite sull’intero territorio nazionale: Sicilia, Puglia, Basilicata, Campania e Abruzzo al Sud; Lazio e Marche al Centro; Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia al Nord. Su un totale di 7484 studenti selezionati per l’indagine ne sono stati intervistati 6532 (87.3%) perché 952 studenti (12.7%) erano assenti al momento dell’indagine. Nessuno studente si è rifiutato di partecipare all’iniziativa. I dati analizzati nelle tabelle sono presentati divisi per sesso e sono relativi a 6467 questionari perché è stato necessario escluderne 61 nei quali mancava l’informazione relativa al sesso degli studenti e 4 (0.06%) per incompletezza delle risposte. Caratteristiche socio-demografiche Il campione è composto da 3396 maschi (52.5%) e 3071 femmine (47.5%). In Tabella 1 è riportata la distribuzione per età. Trattandosi di studenti dei primi due anni delle superiori la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella 13-15 anni (75%). Il 31% degli intervistati frequenta i licei (il 9% il classico, il 22% lo scientifico), il 35% gli istituti tecnico/industriali, il 20% gli istituti professionali, il 6% il liceo linguistico e il 9% il liceo artistico o le magistrali (Tabella 2). Confrontando questi dati con quelli relativi alle tipologie di scuole secondarie superiori italiane nell’anno scolastico 1995/96 la distribuzione percentuale per tipo di scuola appare pressoché analoga (7). Gli studenti del primo anno sono il 53% del campione contro il 47% del secondo anno. Il 55% degli intervistati risiede al Sud Italia, il 27% al Centro e il 18% al Nord. L’area geografica di appartenenza rappresenta una variabile di grande interesse nell’analisi dei dati perché i ragazzi residen- Materiale e metodi Lo studio, di tipo trasversale, ha riguardato un campione random di studenti del primo biennio di tutte le tipologie di scuole medie superiori esistenti in 24 ASL di 11 regioni coinvolte nell’indagine. Al fine di poter raggiungere una precisione sufficiente delle stime è stato previsto un campione di circa 250 soggetti per Azienda USL. Le interviste sono state effettuate da personale delle Aziende USL opportunamente addestrato. La somministrazione del questionario è avvenuta in classe, in presenza dell’insegnante. Gli intervistatori si sono presentati alla classe specificando la finalità dell’indagine e richiedendo il consenso dei ragazzi. Nella presentazione dell’iniziativa gli intervistatori hanno espresso la loro disponibilità a chiarire eventuali dubbi durante la compilazione del questionario e hanno poi controllato che gli studenti lavorassero individualmente. Quale ulteriore garanzia di anonimato, insieme ai questionari sono state distribuite delle buste in cui i ragazzi hanno chiuso il questionario compilato prima di riconsegnarlo. Il questionario, composto da 64 domande di tipo chiuso con risposta a scelta multipla, è articolato in quattro sezioni, per ognuna delle quali gli item coprono i tre aspetti di conoscenza, attitudine e comportamento. La prima sezione indaga sulle esperienze, le opinioni e le esigenze dei ragazzi riguardo le informazioni in tema di sessualità; la seconda esplora le relazioni con gli altri; la terza i vissuti in relazione alle trasformazioni corporee e alla sessualità e la quarta sonda Tabella 1. Età (compleanno compiuto). Risposta ≤ 14 anni 15 anni > 15 anni Maschi N % 1043 30.9 1367 40.5 967 28.6 dati mancanti: 30 sul totale di 6467 6 Femmine N % 1079 35.3 1338 43.7 643 21.0 Totale % 33.0 42.0 25.0 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani L’81% delle femmine e il 75% dei maschi riferisce di aver ricevuto le prime informazioni sulle modificazioni del proprio corpo legate allo sviluppo sessuale tra gli 8 e i 12 anni, mentre il 12% del campione ha avuto questa opportunità solo dopo i 13 anni, presumibilmente dopo l’avvento dei cambiamenti puberali. La fonte di informazione più frequente è, come in molti altri studi (5, 8, 9), quella del gruppo dei pari: gli amici sono citati da più della metà degli intervistati (55%). In particolare questa fonte informativa sembra essere più frequente tra i maschi (58%) rispetto alle femmine (50%) in accordo con quanto evidenziato in numerose indagini (1, 9, 10). La maggior parte delle ragazze, 76% contro il 33% dei ragazzi, dichiara di aver ricevuto informazioni anche dalla madre. Le fonti di informazione riferite dai giovani come preferite confermano al primo posto, senza differenze per sesso, gli amici (50%) ribadendo l’importanza del gruppo dei pari come referente fondamentale circa lo sviluppo sessuale. Le ragazze sceglierebbero come interlocutrice la madre con una percentuale doppia rispetto ai maschi (55% contro il 24%) i quali si rivolgerebbero al padre in maniera nettamente superiore (33%) rispetto alle prime (8%). Il 28% del campione desidererebbe rivolgersi al medico (31% per le ragazze e 24% per i ragazzi), benché solo il 9% del campione ne avesse avuto l’opportunità in passato, a conferma della richiesta di confronto con professionisti. Oltre il 95% del campione, senza differenze significative per sesso, ritiene che la scuola debba garantire l’informazione sessuale, il 58% vorrebbe che l’insegnamento iniziasse dalle scuole medie inferiori e il 23% dalle elementari (Tabella 3). Questi dati suggeriscono che i ragazzi considerano la scuola un riferimento cruciale e desiderano ricevere le informazioni almeno nel momento in cui avvengono i cambiamenti puberali. La quasi totalità del campione (91%) ritiene che l’informazione sessuale determini maggiore consapevolezza e rassicurazione in quanto in grado di colmare i dubbi e le incertezze inerenti la sessualità che possono emergere in questa fase evolutiva (Tabella 4). “L’igiene e le malattie a trasmissione sessuale” sono l’argomento maggiormente richiesto (75%), seguito da “sessualità e suoi aspetti psicologici” (59%) e da “metodi anticoncezionali” (52%). “Aborto” e “gravidanza” e “conoscenza e funzionamento dei metodi anticoncezionali” sono argomenti richiesti in misura maggiore dalle ragazze rispetto ai ragazzi verosimilmente a causa del loro diretto coinvolgimento. Senza marcate differenze per sesso, gli studenti ritengono che l’informazione sessuale ricevuta sinora sia stata sufficiente nel 46% dei casi, adeguata nel 45% e inadeguata nell’8%. In definitiva, nonostante i ragazzi si dichiarino abbastanza soddisfatti dell’educazione ricevuta in tutti i possibili ambiti di riferimento, la richiesta di maggiori informazioni denuncia una necessità di sostanziali approfondimenti. Il 56% degli intervistati non ha mai partecipato ad iniziative organizzate riguardanti la sessualità, con notevoli differenze per area geografica. Le percentuali di ragazzi che riferiscono di non aver avuto occasione di parteciparvi variano dal 67% al Sud, al 56% al Centro, al 38% al Nord. In definitiva, a fronte di una generale carenza di ini- Tabella 2. Scuola. Risposta Maschi N % 176 5.2 759 22.4 1482 43.7 Liceo classico Liceo scientifico Istituto tecnico/industriale Istituto professionale 783 Liceo artistico 133 Altro 55 23.1 3.9 1.6 Femmine N % 407 13.3 655 21.4 788 25.7 485 218 510 15.8 7.1 16.7 Totale % 9.0 21.9 35.2 19.7 5.4 8.8 dati mancanti: 16 sul totale di 6467 Tabella 3. Ritieni che la scuola debba garantire l'informazione sessuale? Risposta No Sì, dalle elementari Sì, dalle medie inferiori Sì, dalle medie superiori Maschi N % 147 4.3 781 23.0 1966 58.0 Femmine N % 94 3.1 707 23.0 1790 58.3 495 478 14.6 15.6 Totale % 3.7 23.0 58.2 15.1 dati mancanti: 9 sul totale di 6467 Tabella 4. Ritieni che l'informazione sessuale determini: Risposta Maggiore consapevolezza e rassicurazione Ansia e disagio Altro Non so Maschi N % 3021 89.6 Femmine N % 2858 93.3 81 24 247 65 22 118 2.4 0.7 7.3 2.1 0.7 3.9 Totale % 91.3 2.3 0.7 5.7 dati mancanti: 31 sul totale di 6467 ti al Sud riferiscono conoscenze, attitudini e comportamenti relativi alla salute riproduttiva diversificati rispetto ai loro coetanei del Centro e del Nord Italia. Al contrario, il vivere in città (44% dell’intero campione: 50% al Nord, 43% al Centro-Sud) o in paese e campagna (56%) non sembra comportare differenze considerevoli. Informazioni in tema di sessualità Oltre il 90% del campione, indipendentemente dall’area geografica di appartenenza, ritiene sia necessaria un’educazione alla sessualità in accordo con quanto emerso da tutte le indagini condotte in ogni ordine e tipologia di scuola nel nostro paese. Il dato riflette bisogni conoscitivi dei giovani adolescenti omogeneamente distribuiti tra maschi e femmine. 7 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 associazioni culturali e le parrocchie, mentre i ragazzi indicano, più spesso delle loro coetanee, le discoteche, le palestre e le associazioni sportive. Ci pare importante sottolineare l’elevata frequenza con cui i ragazzi sembrano gradire simili contesti informali per dialogare con gli adulti, sia perché si tratta di contesti scelti sulla base di un interesse e non di un “dovere” (scuola) o di un disagio (servizi sociosanitari), sia perché il rapporto con l’altro può essere giocato su un piano più paritario. Tabella 5. Hai la possibilità di fare ai tuoi genitori domande sulla sessualità? Risposta Maschi N % Sì, qualsiasi domanda 914 27.0 Sì, ma preferisco 1822 53.7 non farlo Solo alcune 389 11.5 No, nessuna 265 7.8 Femmine N % 811 26.4 1713 55.9 361 182 11.8 5.9 Totale % 26.7 54.7 11.6 6.9 dati mancanti: 10 sul totale di 6467 Percezione del sé e identità sessuale Il 97% del campione percepisce che si stanno verificando o si sono già verificati cambiamenti nel proprio corpo. Gran parte del campione sembra vivere positivamente la percezione del proprio corpo e il grado di soddisfazione e di accettazione del proprio sé corporeo è maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Il 56% degli intervistati riferisce di vivere tali cambiamenti con naturalezza, il 14% con curiosità, il 13% con entusiasmo, un altro 13% con indifferenza e solo il 5% dell’intero campione (l’8% delle femmine contro il 2% dei maschi) ha riferito di viverli con disagio (Tabella 6). In definitiva le modificazioni corporee legate alla pubertà sono vissute dai giovani come eventi naturali, caratteristici del normale corso dello sviluppo, oggetto di interesse e motivo di entusiasmo, molto raramente causa di difficoltà e disagio. I giovani sembrano avere una rappresentazione positiva rispetto al proprio corpo a seguito dei cambiamenti puberali. L’85% del campione ha riferito di aver parlato con qualcuno dei cambiamenti in atto o avvenuti. Gli amici sono citati nel 67% dei casi da maschi e femmine, mentre i genitori dal 60% delle femmine contro il 28% dei maschi. Circa l’80% degli intervistati si sente cercato dagli altri spesso e/o sempre; oltre il 90% si sente evitato mai o solo qualche volta; tra il 70% e il 90% si sente ammirato e riferisce che gli altri/e “ci provano” qualche volta e/o spesso, mentre circa il 20% si sente criticato molto spesso e/o sempre. A circa l’80% piace abbastanza e/o molto stare in famiglia e con i compagni di scuola; mentre la percentuale raggiunge quasi il 100% quando ci si riferisce agli amici perché presu- ziative appositamente organizzate per approfondire le tematiche sessuali il risiedere nel Nord Italia offre molte più opportunità. Tra quelli che hanno avuto questa opportunità l’83% ha partecipato ad iniziative organizzate dalla scuola. Sembra quindi che la scuola, nonostante le proposte di legge siano ancora in fase di discussione, si sia fatta promotrice di iniziative, in virtù del suo mandato istituzionale, rispetto alla realizzazione di progetti sull’educazione alla salute. Benché la maggior parte affermi di poter rivolgere ai propri genitori almeno qualche domanda sulla sessualità, il 55% del campione riferisce che preferisce non farlo. Sembra quindi che molti, pur percependo un atteggiamento di disponibilità da parte dei genitori, siano reticenti a sceglierli come interlocutori. Solo il 27% del campione si sente libero di porre qualsiasi domanda ai propri genitori (Tabella 5). Tra quelli che hanno sperimentato il colloquio con i genitori il 34% si ritiene pienamente soddisfatto, il 53% definisce le risposte accettabili e il 13% sbrigative. Complessivamente i figli sembrano giudicare positivamente il confronto con i loro genitori. L’88% ritiene gli adulti disponibili a rispondere completamente (20%), o almeno in parte (68%), alle domande sulla sessualità. Circa la capacità degli adulti a svolgere tale ruolo, il 70% dei maschi e il 59% delle femmine, che giudicano gli adulti disponibili a rispondere alle domande sulla sessualità, li ritengono capaci di farlo. Quindi i giovani reputano gli adulti in generale, e non solo i genitori, validi interlocutori in tema di sessualità. Tra quelli che hanno sperimentato il dialogo con gli adulti, poco meno del 90%, senza differenze per sesso e per area geografica, ritiene che sia stata un’esperienza utile. In definitiva sia la famiglia sia, più in generale, gli adulti sono considerati un punto di riferimento importante. Nonostante i giovani denuncino difficoltà nella comunicazione inerente la sessualità con gli adulti sembrano tuttavia assegnare attributi positivi a questo tipo di confronto Il 63% del campione totale, 67% al Sud e 58% al Nord, ritiene che l’incontro con adulti possa avvenire in altre sedi oltre alla scuola e ai servizi sociosanitari del territorio. Questo dato appare molto interessante anche alla luce di quanto i ragazzi suggeriscono alla domanda successiva che fa riferimento alle sedi che ritengono più idonee per lo scambio con adulti. Il 68% degli intervistati, specie le femmine (79% contro il 57% dei maschi), citano i centri sociali. Oltre questi, le ragazze citano le Tabella 6. Se sì, come li hai vissuti, o li stai vivendo? Risposta Con disagio Con indifferenza Con entusiasmo Con curiosità Con naturalezza Maschi N % 59 1.8 550 17.0 592 18.3 360 11.1 1673 51.7 dati mancanti: 252 sul totale di 6242 8 Femmine N % 254 8.5 260 8.7 197 6.6 483 16.2 1787 59.9 Totale % 5.0 13.0 12.7 13.6 55.7 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani ovulatorio. La percentuale di conoscenza corretta del periodo fertile del ciclo passa dal 30% al Sud, al 32% al Centro e al 41% al Nord Italia, riflettendo le diverse opportunità di accesso all’informazione per area geografica di appartenenza. Del resto, anche in un’indagine condotta nel 1993-1994 in 5 scuole medie superiori di Roma, la conoscenza corretta del periodo fertile del ciclo riguardava solo il 42% degli studenti di età compresa tra 14 e 21 anni (9); mentre la percentuale di conoscenza corretta rilevata in indagini conoscitive realizzate nel Nord, Centro e Sud Italia tra donne in età feconda, 1845 anni, era in media pari al 65% (11-16). La conoscenza dei metodi contraccettivi è stata indagata attraverso due domande: la prima intesa a verificare una generica conoscenza dei principali metodi contraccettivi, la seconda una generica conoscenza del loro funzionamento. Il questionario non prevedeva domande volte a verificare l’effettiva conoscenza del meccanismo d’azione dei metodi anticoncezionali, per cui i dati fanno riferimento a ciò che gli intervistati ritengono di conoscere. Gli/le intervistati/e riferiscono di conoscere l’esistenza e il funzionamento del preservativo e della pillola in oltre l’80% dei casi, mentre tutti gli altri anticoncezionali sono conosciuti da meno del 50% del campione e il loro meccanismo d’azione è dichiarato conosciuto da percentuali ancora più basse. Eccezion fatta per il preservativo, riferiscono di conoscere l’esistenza e il meccanismo d’azione di tutti gli anticoncezionali in percentuale notevolmente più bassa i ragazzi che risiedono al Sud rispetto al Centro-Nord. Nel lavoro di Donati et al. (9) il questionario prevedeva domande di approfondimento per validare l’effettiva conoscenza dei diversi metodi contraccettivi da parte degli intervistati e le percentuali di risposte corrette sono risultate sistematicamente inferiori a quelle rilevate in questa indagine. Ad esempio, solo il 33% era a conoscenza del meccanismo d’azione della pillola, e meno del 20% era a conoscenza delle informazioni di base di fisiologia riproduttiva indispensabili per l’utilizzo dei metodi naturali. A conferma del fatto che quanto riferito dai ragazzi non sia garanzia di effettiva conoscenza, a fronte dell’elevatissima percentuale di intervistati che riferisce di conoscere il preservativo (98%) e il suo funzionamento (96%), solo il 54% del campione sa che il preservativo ha una data di scadenza contro il 12% che lo ignora e il 34% che non sa esprimersi in merito. Rispetto all’area delle conoscenze, i principali determinanti di conoscenza corretta emersi dal modello di regressione logistica sono il vivere al Nord rispetto al Centro o al Sud, l’aver partecipato ad esperienze organizzate di educazione alla sessualità, il poter parlare con i genitori, la percezione di aver ricevuto informazioni sufficienti o adeguate, ritenere che l’educazione alla sessualità determini maggiore consapevolezza, l’aver avuto rapporti sessuali completi, l’essere di sesso femminile e frequentare il liceo classico o scientifico rispetto agli Istituti tecnici e professionali (Tabella 8). La maggior parte degli/delle intervistati/e (67%) afferma di aver riflettuto sulla contraccezione e il 73% dichiara di aver parlato di questo argomento con i coetanei. Tenendo conto che oltre la metà del campione desidererebbe ricevere informazioni sui metodi contraccettivi e sul loro funzionamento, si può dedurre che questo argomento sia mibilmente questi ultimi, al contrario dei primi, sono scelti individualmente. I pensieri associati alla sessualità denotano una forte differenza di genere: il 50% dei maschi associa alla sessualità l’idea di “provare piacere” e il 30% quella di “dare corpo ai propri desideri” e di “legarsi all’altra”, mentre al 40% delle femmine viene in mente il “legarsi all’altro” e la “paura di rimanere incinta” e al 30% la considerazione “c’è tempo” . In conclusione sembra che i ragazzi associno alla sessualità l’idea del piacere mentre le ragazze pensino più spesso agli aspetti di legame e di rapporto che la sessualità comporta e siano più consapevoli del rischio di una gravidanza indesiderata, probabilmente anche in relazione ai modelli culturali tradizionali ancora forti nel nostro paese. Fisiologia riproduttiva e contraccezione Il 78% del campione ritiene che i maschi siano biologicamente maturi per generare figli dalle prime eiaculazioni, l’86% ritiene che le femmine siano biologicamente mature per generare figli dalla prima mestruazione. La maggior parte delle risposte errate è dovuta all’alternativa che fa coincidere la maturità riproduttiva col momento della prima attrazione sessuale nei confronti dell’altro. Nonostante la maggior parte degli/delle intervistati/e riferisca di conoscere i segnali dell’avvenuta maturità sessuale nei maschi e nelle femmine, tuttavia solo il 54% del campione (61% delle femmine e 47% dei maschi) pensa che una ragazza possa rimanere incinta quando ha il suo primo rapporto sessuale (Tabella 7). Probabilmente sopravvivono e continuano a circolare informazioni erronee che affondano radici nelle tradizioni popolari (9). Non a caso tale convinzione erronea riguarda il 51% degli intervistati che risiedono al Sud contro il 46% di quelli del Centro e il 34% del Nord. Inoltre il fatto che molti degli intervistati non hanno ancora avuto esperienze sessuali che li abbiano stimolati a confrontarsi con questi interrogativi potrebbe spiegare l’elevata percentuale (25%) di risposte “non so”. Il 67% del campione non sa collocare correttamente il momento Tabella 7. Pensi che una ragazza possa rimanere incinta quando ha il suo primo rapporto sessuale? Risposta Maschi N % Sì 1581 46.9 No 875 25.9 Non so 917 27.2 dati mancanti: 43 sul totale di 6467 Femmine N % 1862 61.0 489 16.0 700 22.9 Totale % 53.6 21.2 25.2 * per questa domanda potevano essere indicate più risposte 9 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Tabella 8. Determinanti del livello di conoscenza - regressione logistica. Variabile Età Sesso Pregressa partecipazione a corsi di educazione sessuale Rapporti sessuali completi Tipo di scuola Percezione dell’educazione sessuale ricevuta L’educazione sessuale determina Darebbero la stessa educazione sessuale ai propri figli Possibilità di fare domande ai genitori Capacità degli adulti nel rispondere ai giovani Area geografica di residenza Modalità ≤ 14 anni 15 anni ≥ 16 anni Maschi Femmine No Sì No Sì Istituti tecnici/professionali Licei classici/scientifici Non ne hanno ricevuta Inadeguata Sufficiente Adeguata Ansia e disagio Maggiore consapevolezza Non so Sì No Non so Nessuna/solo alcune Sì, ma preferisco non farlo Sì, qualsiasi domanda Non sono capaci/non so Sì, sono capaci Nord Centro Sud Odds ratio 1 1.22 1.33 1 1.32 1 1.21 1 1.46 1 1.40 1 1.44 1.75 1.93 1 2.77 1.04 1 1.40 0.92 1 1.39 1.17 1 1.21 1 0.53 0.45 Limiti di confidenza 95% 1.06 - 1.42 1.12 - 1.58 1.16 - 1.51 1.07 - 1.38 1.22 - 1.75 1.22 - 1.60 0.85 - 2.44 1.08 - 2.81 1.19 - 3.11 1.81 - 4.22 0.63 -1.70 1.16 - 1.69 0.79 - 1.08 1.18 - 1.65 0.97 - 1.42 1.05 - 1.39 0.43 - 0.66 0.37 - 0.55 Malattie a trasmissione sessuale particolarmente importante per i giovani del nostro campione. Il 74% dei maschi e l’86% delle femmine sostiene che in caso di rapporti sessuali completi, a prescindere dalla loro frequenza, si preoccuperebbe sempre di procurarsi un contraccettivo, mentre il 15% del campione lo farebbe “talvolta” e il 5% non se ne preoccuperebbe “mai”. Quindi, i quattro quinti del campione mostra un’attitudine verso un comportamento consapevole, responsabile e poco propenso al rischio di una gravidanza indesiderata. Il 45% degli intervistati afferma di aver già avuto rapporti sessuali incompleti, il 18% completi, mentre il 36% sostiene di non aver avuto alcun tipo di rapporto sessuale (Tabella 9). Tra gli/le intervistati/e che hanno già avuto rapporti sessuali completi l’89% riferisce di aver usato qualche metodo contraccettivo, a conferma della già rilevata attitudine positiva verso la procreazione responsabile. L’anticoncezionale utilizzato più spesso (64%) risulta essere il preservativo (70% dei maschi contro il 52% delle femmine) seguito dal coito interrotto, citato dal 14% delle femmine contro il 4% dei maschi. Tra gli intervistati che hanno già avuto rapporti sessuali completi, il 57% afferma di usare “sempre” il preservativo, il 32% “talvolta” e l’11% “mai”, con una differenza rilevante tra maschi (8%) e femmine (18%). Alcune domande del questionario mirano a valutare le conoscenze degli intervistati riguardo le malattie sessualmente trasmissibili (MST), le modalità di contagio e le strategie di prevenzione, con particolare riferimento all’AIDS e all’epatite virale. Alla domanda relativa a quali metodi anticoncezionali siano in grado di proteggere dalle malattie a trasmissione sessuale il 78% degli studenti (82% al Nord contro il 76% al Sud) cita il preservativo. La Tabella 10 riporta le conoscenze relative alle malattie a rischio di Tabella 9. Hai mai avuto rapporti sessuali? Risposta Maschi N % Sì, completi 808 23.8 (rapporti con penetrazione) Sì, incompleti 1683 49.6 (accarezzarsi, toccarsi, baciarsi...) No, nessun rapporto 899 26.5 dati mancanti: 17 sul totale di 6467 10 Femmine N % 370 12.1 Totale % 18.3 1250 40.8 45.5 1440 47.1 36.3 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani vi ancora privi di risposte qualitativamente adeguate e suggeriscono nuove modalità operative per favorire l’organizzazione di interventi di promozione della salute sessuale. Il mondo degli adulti dovrebbe considerare i giovani non come problema, ma come risorsa, non come destinatari e fruitori delle iniziative, ma come protagonisti delle stesse; dovrebbe far tesoro della creatività, disponibilità e carica emotiva degli adolescenti, accettandone allo stesso tempo la discontinuità e la provocazione. Sarebbe in definitiva utile guardare all’adolescenza come ad un momento di grandi opportunità. Il gruppo dei pari rappresenta sicuramente il più importante riferimento per l’adolescente grazie all’intensa attività comunicativa tra i suoi membri, espressione di un forte bisogno di solidarietà e comprensione: ciascuno porta le sue ansie e difficoltà nella convinzione che troveranno risoluzione nell’ambito del gruppo grazie alla confidenza e alle sensibilità reciproche (20). Accanto all’innegabile e fondamentale influenza dei coetanei emerge l’importanza di avere altre fonti informative che consentano ai ragazzi di confrontarsi in modo più esauriente avendo maggiori possibilità di valutare e scegliere la fonte che ritengono più adeguata al particolare percorso maturativo che stanno vivendo (21). La famiglia, nonostante le difficoltà comunicative, rappresenta comunque un contesto importante per parlare di sessualità, in quanto simboleggia una fonte di sicurezza e una presenza costante per gli adolescenti che, anche se alla ricerca di risposte autonome e personali, non negano il desiderio di ritrovare la protezione della famiglia nei momenti di bisogno (20). Proprio per le ambivalenze e le conflittualità denunciate dai figli e dai genitori, si può dedurre che tale contesto non possa costituire il riferimento esclusivo per gli adolescenti in tema di educazione alla sessualità, ma debba prevedere la costante e continua collaborazione con altre agenzie di socializzazione deputate a questo compito. Sarebbe quindi opportuno sviluppare, accanto agli interventi con gli studenti, programmi che coinvolgano i genitori a partire da quelli con figli iscritti alle scuole elementari e medie inferiori. La scuola rappresenta sicuramente un’agenzia educativa molto importante. La vita scolastica è, infatti, un momento privilegiato di comunicazione e relazione tra i giovani; essa offre un’esperienza irripetibile del vivere insieme in una fase della vita in cui alla maturazione dell’io corporeo va affiancandosi la costruzione di una propria identità sessuata (22). La scuola non è solo il luogo dell’apprendimento, ma anche quello della socializzazione, dello scambio e della crescita (23, 24) e ha quindi il compito di costruire un ambiente strutturato in cui il ragazzo prenda confidenza con gli aspetti sociali della vita promuovendo la capacità di esprimersi adeguatamente nel rispetto delle differenze altrui. Altri riferimenti importanti del territorio sono rappresentati dai così detti “gruppi formali” ovvero da forme di aggregazione che si caratterizzano per la loro dimensione strutturata, per la condivisione di particolari attività e obiettivi di natura religiosa, sportiva, sociale, politica, ecc., e per l’ammissione di figure adulte (educatori, allenatori, ecc.). In tali ambiti le iniziative di educazione sessuale possono godere di condizioni di maggiore calore e affettività favorendo il coinvolgimento degli adolescenti. In Tabella 10. Secondo le tue conoscenze quali delle seguenti malattie si possono trasmettere attraverso i rapporti sessuali? Risposta Maschi N % Anemia mediterranea 386 11.4 Epatite virale 1929 57.0 Sifilide 582 17.2 Gonorrea 299 8.8 AIDS 3323 98.1 Alcuni tumori 257 7.6 Non so 57 1.7 Femmine N % 202 6.6 1822 59.4 536 17.5 274 8.9 3025 98.6 128 4.2 46 1.5 Totale % 9.1 58.1 17.3 8.9 98.4 6.0 1.6 dati mancanti: 14 sul totale di 6467 trasmissione sessuale: il 98% del campione cita l’AIDS e il 58% l’epatite virale. La sifilide e la gonorrea sono citate come MST solo dal 17% e 19% del campione, rispettivamente. Per quanto riguarda la conoscenza relativa alle vie di trasmissione dell’AIDS, i ragazzi dimostrano una buona conoscenza dei fattori di rischio: oltre il 90% cita l’uso dello stesso ago e/o siringa e i rapporti sessuali senza preservativo e il 72% cita la trasmissione da madre a figlio durante la gravidanza (conoscenza più diffusa al Nord). Tuttavia il 76% cita anche la donazione del sangue quale possibile via di trasmissione e il 20% il sottoporsi ad un esame del sangue, mentre il 15% degli intervistati continua a credere che il virus possa trasmettersi attraverso le punture di insetti e il 21% pensa che si possa contrarre nei bagni pubblici. In definitiva le molteplici campagne informative veicolate dai media nel nostro paese, se da un lato sono state sicuramente efficaci nel far conoscere alla popolazione giovanile le principali modalità di contagio, dall’altro non sembrano essere state altrettanto efficaci nel far conoscere i comportamenti non a rischio per la trasmissione dell’HIV. Analoghi risultati erano stati già pubblicati nei primi anni ’90 in Italia (17-19). Per quanto riguarda la conoscenza delle vie di trasmissione dell’epatite virale i livelli di conoscenza sono molto più bassi rispetto a quelli rilevati per l’HIV, specie al Sud Italia. L’uso dello stesso ago e/o siringa è citato dal 26% (34% al Nord contro il 23% al Sud) e i rapporti sessuali senza preservativo dal 33% del campione (42% al Nord contro il 30% al Sud), mentre il 47% del campione indica quale via di infezione le punture di zanzara o altri insetti, il 36% la donazione e il 24% l’esame del sangue. Conclusioni In conclusione, anche nella complessa età di transizione, gli adolescenti offrono un quadro generale di popolazione sana, capace di affrontare con naturalezza questa fase caratterizzata da profondi mutamenti fisici e psichici. I giovani appaiono interessati e disponibili al dialogo con i coetanei, ma anche con gli adulti. Rispondono con franchezza alle domande, facendo emergere bisogni conosciti- 11 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 13. Dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze. Caratteristiche mediche e socio-demografiche dell’IVG: Indagine nell’area fiorentina. Firenze: Dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze, 1988. conclusione per aiutare i giovani a costruire una solida e autentica identità personale e sociale occorre educare ad essere padroni delle proprie azioni, educare alla capacità d’ascolto, educare al pensiero critico, alla libertà come conquista difficile e mai definitiva, educare a saper gestire il conflitto e ad utilizzarlo in senso positivo perché non si diviene adulti perché si conosce il mondo, ma perché si acquisiscono gli strumenti per affrontarlo. 14. Butitta E, Figliolo C, Li Volsi D, Vociona A, Monastra A. La pianificazione familiare: Indagine CAP su un campione di 195 donne nicosiane. In: Atti del Congresso Nazionale “Il Consultorio Familiare”. Rimini, 27-31 maggio 1990. Roma: CIC Edizioni Internazionali, 1990. p.563-574. 15. Di Cillo C, Martinelli G, Andreozzi S, Donati S, Grandolfo ME, Medda E, Spinelli A, Stazi M.A. Il ruolo dei consultori familiari nella prevenzione della interruzione volontaria di gravidanza: indagine sulla conoscenza, attitudine e pratica alla pianificazione familiare in Puglia. Contraccezione Fertilità e Sessualità 1995, 22: 19-25. Bibliografia 1. Cagliumi L, Corradini A, Zani B. Incontrare gli adolescenti. Milano: Edizioni Unicopoli, 1993. 2. Zani B. L’adolescente e la sessualità. In: Psicologia dell’adolescenza. Polmonari A. (a cura di). Bologna Il Mulino, 1997. 3. Berivi S, Della Giusta G. Non di solo sesso…ma soprattutto di sesso. Roma: Lucarini, 1991. 4. Bovini MC, Zani B. Dire e non dire. Modelli educativi e comunicazione sulla sessualità nella famiglia con adolescenti. Milano: Giuffrè, 1991. 5. Cutuli G, Giordina Papa A. Fattori prerequisiti interagenti nella formazione sessuale adolescenziale. In: Sessuologia ’93. Baldaro Verde J., Genazzani A.R., Marrama P. (a cura di). Roma CIC, 1993. 16. Di Santo S, Donati S, Grandolfo ME, Medda E. Indagine CAP (Conoscenza, attitudine e pratica) sulla pianificazione familiare a Penne nel 1991. Roma: Istituto Superiore di Sanità, 1997. (Rapporti ISTISAN 97/34). p 50. 17. AIDS Task Force – Istituto Superiore di Sanità. AIDS related knowledge and behaviors among teenagers – Italy, 1990. MMWR 1991, 40: 214-221. 18. Signorelli C, Antelitano M, Fara GH. Evaluation of knowledge about AIDS in a group of young people in Milan. Federazione Medica 1990. 43 (2): 159-163. 19. Marin V, Moretti G, Carlotto A. How much do you young people know about AIDS? Medico e Paziente 1990: 12-17. 6. Rossi R. Le domande degli adolescenti e le risposte degli adulti. Interprofessionalità 1993, 9: 8-9. 20. Del Re G, Bazzo G. Educazione sessuale e relazionale affettiva. Unità didattiche per la scuola superiore. Trento: Erickson, 1997. 7. Volpi R, Cicciotti E, Moretti E. (a cura di) Pianeta Infanzia. Questioni e documenti. Quaderni del Centro Nazionale di Documentazione e Analisi sull’infanzia e l’adolescenza. Numero speciale: I “numeri” dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia. Edizione 1988. Firenze: Istituto degli Innocenti di Firenze, 1988. p.174-176. 21. Zani B. L’educazione sessuale nella famiglia con adolescenti. Rivista di Sessuologia 1992, 16:39-46. 8. Cafaro D. Il Rapporto Asper. Asper: Roma 1992. 9. Donati S, Medda E, Spinelli A, Grandolfo ME. Sex education in secondary schools: an Italian experience. Journal of Adolescent Health 2000, 26:303-308. 22. Gelli BR. Per un’etica della sessualità e dei sentimenti. Roma: Editori Riuniti, 1992. 23. Ministero della Sanità – Istituto Superiore di Sanità, Commissione Nazionale per la Lotta contro l’AIDS, Ministero della Pubblica Istruzione. Linee guida per gli interventi di educazione alla salute e di prevenzione delle infezioni da HIV nella scuola. Roma: Istituto Superiore di Sanità, 1992. (Rapporti ISTISAN 92/4). p 87. 10. Palma A, Rossi R. Parlare di sesso a scuola. Rapporto ISC sull’educazione sessuale nella provincia di Frosinone. Rivista di Sessuologia Clinica 1995, Suppl 2 (3). 24. Pontecorvo C. Un modello di intervento dello psicologo dell’educazione e della formazione. In: Atti del Convegno ”Psicologia, Scuola, Europa”. Roma, 26 febbraio 1999. 11. De Sandre P. (a cura di). Indagine sulla fecondità in Italia 1979. Rapporto generale. Vol I. Metodologia ed analisi. Bologna: Tecnoprint, 1982. Corrispondenza: Dott.ssa Serena Donati 12. Giacobazzi G, Merelli M, Morini M, Nava P, Ruggerini MG. I percorsi del cambiamento. Ricerca sui comportamenti contraccettivi in Emilia Romagna. Torino: Rosenberg- Sellier Editori, 1989. Istituto Superiore di Sanità Viale Regina Elena 299 - 00181 Roma e-mail: [email protected] 12 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni Tito Livio Schwarzenberg Servizio Speciale di Adolescentologia - Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura Università “La Sapienza” di Roma Riassunto Il problema dell’aggressività nei e tra i minori è da tempo oggetto di studio e di dibattito specie tra gli antropologi, psicologi, sociologi, giuristi e pedagoghi. Solo in questi ultimissimi anni, tuttavia, l’attenzione degli studiosi (enfatizzata anche dai mass-media) si è andata focalizzando sul fenomeno certamente antico ma troppo a lungo, coscientemente o incoscientemente, trascurato o rimosso del bullismo. Il comportamento del bullo, che mira deliberatamente a fare del male e/o a danneggiare, può assumere forme differenti: dirette (fisiche e/o verbali) oppure indirette attraverso la diffusione di maldicenze per lo più mirate all’esclusione della vittima dai gruppi di aggregazione. È emersa, inoltre, in questi ultimissimi anni, una nuova tipologia di “bullismo telematico o cyber-bullismo” che si realizza attraverso le più recenti e sofisticate tecnologie dell’SMS e, addirittura, di internet per mezzo di e-mail, chat-line e siti compiacenti sotto la vile protezione dell’anonimato. Il bullismo è senz’altro un fenomeno in crescita sia all’interno che all’esterno della scuola, dove accomuna alunni di tutto il mondo fin dai primissimi anni di scolarizzazione, specie nei paesi industrializzati e nei contesti urbani. Da recenti indagini è, comunque, emerso che il bullismo in Italia sembra presentare un’incidenza significativamente più elevata rispetto alla maggior parte degli altri paesi europei. La percentuale dei bambini italiani che affermano di aver subito ripetute angherie da parte dei propri compagni di scuola supera il 41% nelle elementari e sfiora il 27% nelle medie. La percentuale di coloro che riconoscono di aver commesso frequenti prepotenze è da collocarsi, invece, al 28% nelle elementari e al 20% nelle scuole medie. In Italia il bullismo ha le sue radici ovunque, dal Nord al Sud, nelle scuole prestigiose dei quartieri residenziali e in quelle assai meno selettive delle periferie depresse, senza contare che in alcune aree del nostro Meridione si ha la netta impressione che la lotta tra “clan” e “famiglie” si insinui fin dentro le aule scolastiche. Anche se le femmine si riconoscono meno frequentemente dei maschi come attrici di soprusi e prepotenze a danno dei propri compagni, il loro coinvolgimento risulta ugualmente elevato e, parallelamente, emergono specifiche modalità nell’aggressione femminile, di tipo più indiretto/relazionale che, con maggiore finezza psicologica, tende ad isolare ed umiliare la vittima designata. Numerose e documentate ricerche hanno confermato che le condizioni di vittima e di bullo tendono, spesso, a persistere nel tempo conducendo ad una vera e propria escalation di violenze agite e/o subite che porta, non di rado, i prevaricatori ad atti di violenza conclamata o di vera criminalità e trascina le vittime verso l’abbandono scolastico, la profonda depressione e, in casi estremi, il suicidio. È quindi indispensabile che i Pediatri e gli Adolescentologi confermino la propria diretta responsabilità e competenza in ogni aspetto di promozione e tutela della salute delle giovani generazioni non solo approfondendo le proprie conoscenze sul grave diffuso fenomeno del bullismo scolastico ed extrascolastico, ma anche utilizzando tutte le necessarie collaborazioni per un’efficace prevenzione in ambiente scolastico e familiare e per un intervento diretto su vittime e prevaricatori, nella piena consapevolezza della frequente alternanza e sovrapposizione dei due ruoli e del costante coinvolgimento di tutto il “sistema” ambientale e sociale. Parole chiave: bullismo, prevaricazioni, vittimizzazioni, scuola. Bullying: victims and aggressors in school communities Summary Issues concerning aggressive behaviors of teenagers have been subject since a long time to studies and debates especially among anthropologists, psychologists, sociologists, jurists and pedagogues. However, only in the very last years the attention of people – also enhanced by the mass-media – has been focused on bullying, already known for sure as an ancient phenomenon, but, consciously or unconsciously, neglected or disregarded for too long. 13 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 The behavior of bullies, which deliberately sets out to hitting and/or to other forms of physical/psychical abuses, can assume different forms: direct (physical and/or verbal), or indirect, by gossiping or spreading rumors mostly aimed at isolating the “victim” from the group. In these very last years, furthermore, a new type of “cyber-bullying”, arose coming off through the most recent and sophisticated SMS, internet, e-mail, chat line technologies, and “complaisant” internet sites, under the cowardly protection of aggressors, often anonymous in the mentioned cases. Bullying is surely growing, both inside and outside the school structures, where it joints schoolboys all over the world since the first years of attendance, especially in the industrialized countries and urban contexts. From recent surveys it anyhow came out that bullying in Italy seems to be characterized by a significantly higher percentage in respect to the largest part of other European countries. As far as primary and secondary school pupils are concerned, the percentage of Italian children, who assert to have been subject to repeated vexations by their schoolfellows, is higher than 41%, and near to 27%, respectively. The percentage of those who admitted to have done frequent overbearing acts has been individuated, instead, as 28% and 20%. Roots of bullying in Italy are everywhere, from the North to the South, in glamorous schools of residential neighborhoods and in those much less selective schools situated in depressed suburbs, also influenced by the fact that in some zones of the South of Italy the clear impression emerges, that the fight between “clans” and “families” penetrates not seldom inside the school-rooms. Even if females use to acknowledge as actresses of overbearing actions and abuses of power in prejudice of their schoolfellows less frequently than males, their involvement turns out to be as deep as the males’ one and, at the same time, specific modalities of female aggression came out, as especially indirect/relational forms which, by using more psychological subtlety, aim to isolate and to humiliate the victim appointed. Numerous and documented researches have confirmed that the conditions of victims and bullies tend to persist in the long run, leading to a real escalation of violence, inflicted and/or suffered, which not seldom leads prevaricators to accomplish acts of clear violence, or properly criminal, and drags the victims to the abandonment of the school, to deep depression and, in extreme cases, to suicide. It is therefore absolutely necessary that Pediatricians and/or anybody else involved in Adolescent Health Care confirm his/her direct responsibility and competence in every aspect concerning promotion and health protection of the young generations, not only by deepening the knowledge on the dramatically diffused phenomenon consisting in bullying, either at school or outside, but also by using all the necessary collaboration to achieve an efficient prevention in the school and domestic environment. Common efforts of Pediatricians and Adolescentologists should be finalized to promote direct interventions towards victims and prevaricators, in the full consciousness of both the frequent reciprocity and superimposition of the two above-mentioned roles, and of the steady involvement of the entire social and environmental system. Key words: bullying, victims, aggressors, school. L’argomento “bullismo”, a parte l’intrinseca complessità, appare di notevole rilevanza clinica ed epidemiologica costituendo, senz’altro, la più frequente causa di malessere tra i giovani in età scolare e adolescenziale con potenziali e spesso rilevanti ricadute anche nelle successive epoche della vita. Paradossalmente, tuttavia, si ha la netta impressione che il fenomeno del bullismo, fino a tutt’oggi, sia stato consciamente o inconsciamente ignorato o rimosso dalla cultura medica prevalente. In parallelo, soprattutto nell’ultimo decennio, importanti contributi scientifici sull’argomento sono stati prodotti (in Italia e all’estero) da psicologi, sociologi, educatori, antropologi, filosofi, teologi, giuristi e, addirittura, da criminologi. Con il fermo impegno di non aggiungere un’incongrua medicalizzazione alla dominante e, spesso, esagerata psichiatrizzazione e criminalizzazione delle principali problematiche giovanili ritengo, tuttavia, indispensabile che la classe medica, soprattutto in ambito adolescentologico, prenda finalmente nozione e coscienza delle condotte aggressive in ambiente scolastico e non solo quando queste degenerano in atti di vandalismo o di franca violenza, illeciti o delittuosi. Allo stesso modo non si possono più trascurare o ignorare le sofferenze profonde seppure silenziose di chi, inerme, subisce ripe- tute palesi prevaricazioni fisiche e/o verbali o più sottili (ma non meno laceranti) calunnie, ridicolizzazioni o esclusioni sociali. È ragionevole ritenere che oppressi e oppressori siano sempre esistiti, in tutti i tempi, in ogni età, condizione e luogo seppure nella più variegata gamma di espressioni: ed è da sfatare qualsiasi luogo comune tendente a sminuirne la rilevanza nel più o meno recente passato in cui le più marcate differenze sociali si associavano a concetti estremamente fumosi di democrazia. È altrettanto innegabile che ciascuno di noi, riandando con la memoria agli anni della propria giovinezza, dovrà onestamente ricordare più di un episodio in cui è stato autore, vittima o spettatore di soprusi o, quanto meno, di pesanti “gogliardate” (1) . Una “fisiologica” aggressività, d’altronde, come l’istinto del possesso o la prevenzione, talora fino all’ostilità, per l’“estraneo” fanno parte della natura umana e sono facilmente riconoscibili in ogni individuo fin dalla più tenera età, non di rado intimamente connessi con i primordiali istinti di autoconservazione e di protezione della specie. Sono piuttosto da rimarcare e da criticare certi “strani” valori educativi che moltissimi adulti sono soliti trasmettere al giorno d’oggi alle nuove generazioni come, ad esempio, che la vita consiste in una lotta continua, che di conseguenza se si vuole emergere biso- 14 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni e pacchiano; chi vuole apparire troppo sicuro di sé; sfrontato”; sullo Zingarelli (1993) al lemma “bullo” corrisponde la definizione di “prepotente, bellimbusto, che si mette in mostra con spavalderia”; anche il Dizionario Enciclopedico Zanichelli riporta “giovane prepotente, bellimbusto”; infine, il Devoto-Oli (1993) segnalando che per bullo si deve intendere un “teppista, sfrontato” aggiunge che l’attributo si adatta “in senso non cattivo a un bellimbusto che si renda ridicolo per la vistosità e l’eccentricità dell’abbigliamento”. Bisognerà quindi attendere il 1996 per trovare il termine bullismo nella sezione “neologismi” di alcuni dizionari (5) quale traduzione letterale del termine anglosassone bullying (in cui appare evidente l’etimologia o, quantomeno, la consonanza con the bull, il toro). Per maggiore completezza vale la pena di segnalare che sull’ del 1990 viene finalmente indicato che il sostantivo the bully denota una persona che “usa la propria forza o potere per intimorire o danneggiare una persona più debole” e dalla comune radice derivano sia il verbo transitivo to bully (= vessare, angariare, intimorire) che il già citato sostantivo bullying. Può essere utile ricordare che il termine usato in Scandinavia per riferirsi al bullismo è, invece, mobbing (in Norvegia e in Danimarca) e mobbning (in Svezia e in Finlandia) dove è evidente la comune radice anglosassone del verbo to mob (aggredire, assalire, accerchiare in massa, malmenare). In realtà, come ben sappiamo, in Italia e in molti altri Paesi il termine mobbing viene di regola meglio utilizzato per indicare la violenza psicologica e la molestia morale sul posto di lavoro. Sta di fatto che il termine bullying può trovare difficilmente un suo esatto corrispettivo nella lingua italiana, dal momento che bullismo alla fine richiama alla mente solo un particolare atteggiamento prevaricatore mentre bullying, nella felice quanto intraducibile condensazione della lingua inglese, indica una specifica modalità di relazione tra due soggetti dove esiste contemporaneamente uno più forte che prevarica e uno più debole che viene prevaricato (6-8). Siamo in grado, a questo punto, di meglio comprendere le seguenti definizioni “ufficiali” di bullismo: Uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimiz- gna imparare precocemente ad imporsi, ad affrontare il prossimo quasi fosse il nemico, altrimenti si corre il rischio di essere sopraffatti, umiliati o, quanto meno, ignorati. Viene in tal modo palesemente privilegiato un atteggiamento di aggressività, diffidenza verso il prossimo, disprezzo della debolezza perché se non si vuole rimanere indietro bisogna anticipare tutti, scalzare gli avversari, mostrarsi “forti” per primi, quindi: concorrenza spietata ed arrivismo esasperato. Assodato che le angherie e le prepotenze in ambito scolastico (ed extra-scolastico) sono un fenomeno diffuso e di antica data, è importante sottolineare che solo a partire dalla fine degli anni 60 e i primi anni 70, inizialmente in Svezia, l’opinione pubblica e il mondo scientifico hanno prestato concreta attenzione al fenomeno del bullismo (2, 3) e, rapidamente, tale interesse si diffuse agli altri Paesi Scandinavi. In Norvegia, alla fine dell’anno 1982, l’opinione pubblica venne profondamente scossa dalla notizia del suicidio di tre ragazzi di età compresa tra i 10 e i 14 anni che si erano tolti la vita non riuscendo più a sostenere né, tantomeno, a contrastare le gravi forme di bullismo perpetrate a loro danno da un gruppo di coetanei. La risonanza di tale episodio fu enorme sollevando dibattiti e accesi confronti tali da indurre, a partire dall’autunno del 1983, il Ministero norvegese della Pubblica Istruzione ad avviare una campagna nazionale contro il bullismo in tutte le scuole elementari e medie del Paese. Il “pioniere” degli studi, Dan Olweus (professore di Psicologia all’Università di Bergen, in Norvegia nonché presidente dell’International Society for Research on Aggression) è attualmente considerato la massima autorità mondiale in tema di bullismo e vittimizzazione e, come avremo occasione di verificare in seguito, ai suoi canoni, esperienze e suggerimenti si sono uniformate quasi tutte le ricerche successivamente condotte nelle altre Nazioni. Se, infatti, per alcuni anni gli studi sul bullismo rimasero circoscritti alla Scandinavia, verso la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90 gli interessi sull’argomento cominciarono a coinvolgere molti altri Paesi europei ed extraeuropei: Inghilterra (4), Irlanda, Spagna, Finlandia, Giappone, Australia, Stati Uniti e Canada. In Italia, un primo nucleo di ricercatori coordinato dalla professoressa Ada Fonzi (docente di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Firenze) diede, nello stesso periodo, inizio allo studio del fenomeno in questione, partendo dal presupposto che anche nel nostro Paese, come in tutti gli altri Paesi industrializzati già oggetto di indagine, esso fosse inevitabilmente presente e con marcata consistenza. Difatti, fin dalle prime indagini conoscitive emerse che il bullismo scolastico incideva pesantemente in Italia (almeno come frequenza, se non come gravità): circa il doppio dell’Inghilterra, il triplo della Norvegia e della Spagna, sei-otto volte più che in Irlanda o in Finlandia (Tabella 1). È fin troppo noto che il termine “bullo” (seppure con diverse sfumature dialettali) fa parte ormai da tempo del linguaggio italiano corrente assumendo, tuttavia, significati sostanzialmente diversi da quello più recentemente attribuitogli e al quale, almeno in questa sede, ci dobbiamo riferire. Infatti, sul Dizionario Garzanti (1987) leggiamo: “giovane prepotente e spavaldo; chi veste in modo vistoso Tabella 1. Giovani implicati in atti di bullismo (percentuale orientativa sulla popolazione scolastica). Finlandia Irlanda Giappone Norvegia Spagna Canada Inghilterra Italia (Cosenza) Italia (Firenze) Italia (Sardegna) 15 6,0% 8,0% 12,5% 15,0% 15,0% 20,0% 27,0% 38,0% 46,0% 50,0% Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 figure della vittima e del suo persecutore. Se vogliamo, infatti, conoscere realmente il problema per tentare di prevenirlo o, quantomeno, di contenerlo dovremo allargare il nostro campo di osservazione includendo l’intero gruppo sociale dei ragazzi e degli adulti comunque coinvolti. Anzitutto è frequentemente riconoscibile non un singolo ma un piccolo gruppo di persecutori, dove accanto a uno o più leader (o bulli principali/attivi) si affiancano i cosiddetti gregari, figure negative minori spesso impopolari, che pur non essendo i promotori delle violenze stesse collaborano alla loro realizzazione in subordine ai leader. Sempre dalla parte dei “cattivi” si possono, talora, individuare i rinforzi, figure di appoggio che pur non partecipando materialmente all’atto persecutorio, deridono la vittima ed incoraggiano il bullo. Fortunatamente esiste anche un fronte opposto dove sono riconoscibili i difensori, che si attivano per far smettere il sopruso, confortano e aiutano la vittima, provvedono a informare dell’accaduto gli adulti competenti. All’intorno ruota il gruppo degli spettatori, che mantengono le debite distanze dagli attori principali e, non di rado, se interrogati negano ogni evidenza. Altri ancora meritano di essere indicati come estranei, non perché materialmente assenti, ma in quanto distratti o incapaci di assumersi una posizione e, quindi, una responsabilità definita. Per ultima, ma centrale nel proprio ruolo, abbiamo la vittima. Tra le vittime stesse sono state proposte, quindi, importanti distinzioni in: Vittime passive o sottomesse: che non provocano i maltrattamenti che ricevono, ma sono incapaci di reagire efficacemente; Vittime provocatrici: che tendono a dare fastidio e ad irritare, sono iperattive e petulanti, quando reagiscono lo fanno in modo scomposto, incongruo e inefficace; Vittime volontarie: che, paradossalmente, accettano il proprio ruolo di vittima, quasi per “stare al giuoco”, nella speranza di essere così maggiormente accettate dal gruppo. Viene descritta, inoltre, la figura del BULLO/VITTIMA (in gran parte assimilabile alla vittima/provocatrice) che corrisponde a quei soggetti che, di volta in volta, sono oggetto o soggetto di atti di bullismo. Sempre tra le vittime sono state individuate ulteriori, anche importanti, sottocategorie che consentono di distinguere tra: Vittima vera: che tale si riconosce e come tale viene identificata dai coetanei; Vittima paranoide: che afferma di essere vittimizzata, ma i coetanei concordemente lo smentiscono; Vittima che “nega il ruolo”: che viene riconosciuta dai coetanei come oggetto di bullismo, ma non vuole accettare il proprio ruolo per quanto evidente. È estremamente arduo e, forse, impossibile proporre un “identikit tipico” della vittima e del suo persecutore. Alcuni stereotipi semplicistici e banalizzanti che prefigurano la vittima designata di bassa statura, obesa, debole, balbuziente, trascurata nella cura della persona, occhialuta, portatrice di handicap e (chissà perché) con i capelli rossi o, all’opposto, il bullo alto, forte, arrogante, dominatore, indisciplinato vengono il più delle volte smentiti dall’evidenza dei fatti. Forse solo per i soggetti iperattivi, con difficoltà di apprendi- zato quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni (7). Un comportamento da bullo è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o a danneggiare, spesso è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori esiste un abuso di potere e un desiderio di intimidire e di dominare (8). Ne consegue che un comportamento prevaricatore potrà essere correttamente inquadrato nella fattispecie del bullismo solo se potrà rispondere contemporaneamente ai seguenti tre requisiti fondamentali: Intenzionalità = cioè precisa e decisa volontà di arrecare danno; Asimmetria di relazione = cioè evidente squilibrio di forza, potere e prestigio tra il prevaricatore (più forte) e la vittima (più debole); Persistenza = cioè il perdurare e il ripetersi nel tempo delle prevaricazioni stesse. Ne consegue che non devono essere confusi con atti di bullismo i frequenti, talora anche violenti ma fondamentalmente “normali” conflitti tra pari, laddove i contendenti: a) non insistono oltre un certo limite per imporre le proprie ragioni; b) si sforzano di giustificare il proprio disaccordo; c) si scusano, si accordano o contrattano per soddisfare le proprie esigenze; d) sono comunque in grado di interrompere la lite e di cambiare argomento. È possibile identificare due categorie principali di bullismo: una di tipo diretto e l’altra di tipo indiretto. Nel primo caso il prevaricatore interviene direttamente sulla vittima con attacchi fisici (pugni, calci, percosse, morsi, spinte, furti, danneggiamenti) o verbali senza contatto fisico (derisioni, insulti, minacce). Nel caso di bullismo indiretto il prevaricatore o il gruppo di prevaricatori mirano ad isolare e ad umiliare la vittima prescelta senza affrontarla direttamente ma mettendo in giro calunnie, storie o maldicenze miranti ad una vera e propria esclusione sociale. La maggior parte delle indagini conoscitive sul fenomeno del bullismo hanno confermato che i prevaricatori maschi utilizzano di regola la modalità diretta di aggressività mentre le femmine si orientano, il più delle volte, verso l’aggressività indiretta relazionale (9-11). È emersa, inoltre, in questi ultimissimi anni, una nuova tipologia di “bullismo telematico o cyber-bullismo” che si realizza non solo attraverso le già sperimentate molestie/minacce telefoniche, ma utilizzando le più recenti e sofisticate tecnologie informatiche e multimediali delle SMS e, addirittura, di internet per mezzo di e-mail, chatline e siti compiacenti sotto la vile protezione dell’anonimato. Non si deve dimenticare, inoltre, che per il bullo che è riuscito a consolidare il proprio ruolo prevaricante è spesso sufficiente lanciare a distanza un segnale minaccioso (gesto, sguardo) perché la vittima si senta bloccata e impotente, imprigionata nel proprio ruolo di inferiorità e sottomissione. Sarebbe, comunque, un grave errore considerare il bullismo un semplice fenomeno diadico che vede, contrapposte, le sole due 16 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni mento e per quelli appartenenti ad etnie diverse si può confermare un reale maggior rischio di vittimizzazione (Tabella 2). Analoghe considerazioni possono valere per quanto riguarda i rapporti tra bullismo ed estrazione economico-sociale e culturale delle famiglie di origine. È fin troppo noto e provato che la violenza e la devianza non originano “solo” da famiglie disgregate, con bassa scolarizzazione e nei quartieri a rischio. Il fenomeno, che indubbiamente risente di determinati stili educativi, non risparmia infatti il ceto-medio o l’alta borghesia laddove prefigura quella situazione così efficacemente compendiata dalla paradossale espressione di malessere del benessere. Parallelamente, numerose ricerche sono state condotte per individuare e meglio comprendere le complesse dinamiche psicologiche individuali e/o di gruppo che sottendono il fenomeno del bullismo. Appaiono molto convincenti, a tal fine, le osservazioni di A. Fonzi (10-12) per cui la condizione sia di vittima che di bullo appaiono legate ad una difficoltà intrinseca nel riconoscimento di emozioni fondamentali: rabbia, sofferenza, pietà, felicità. In altre parole, entrambi gli attori principali di quel dramma complesso che è il bullismo risulterebbero sgrammaticati in una competenza sociale fondamentale che è l’empatia, che permette di cogliere e di condividere i segnali emotivi che provengono dagli altri. A ciò si deve aggiungere il disimpegno morale, meccanismo attraverso cui il prevaricatore e i suoi sostenitori giustificano il proprio comportamento, diluiscono le proprie responsabilità e, non di rado, arrivano a deumanizzare la vittima (Tabella 3). Un importante filone di ricerche riguarda i rapporti tra episodi di bullismo in età scolare e disadattamenti nelle età successive. Anche se il bullismo, almeno in prima battuta, non dovrebbe essere considerato “tout court” una condotta deviante, coloro che hanno alle spalle una storia di prepotenze, aggressioni e prevaricazioni hanno un elevato rischio di sviluppare nel tempo comportamenti antisociali. All’opposto, le vittime frequentemente somatizzano le proprie sofferenze (con cefalee, coliche addominali, nausea, difficoltà di respirazione, malessere generale, ansia, insonnia), hanno un crollo nell’autostima e cadono in depressione: in questi soggetti si nota frequentemente un calo inspiegabile nel rendimento scolastico che può sfociare nell’abbandono degli studi. Questi dati ci fanno anche sospettare che non pochi suicidi tentati e realizzati dagli adolescenti potrebbero essere legati non tanto a delusioni affettive o fallimenti scolastici quanto alla violenza persecutoria di alcuni compagni! Il motivo principale per cui, quasi ovunque nel mondo, il fenomeno del bullismo è stato così a lungo sottovalutato o ignorato deriva senz’altro dalla cappa di omertà che avvolge tutto il “sistema” prevaricante: gli adulti responsabili che non vedono o non vogliono vedere per non essere colpevolizzati, il bullo che si sente protetto dal proprio disimpegno morale, la vittima che non sa a chi rivolgersi o che, comunque, preferisce tacere. Ne consegue che i casi di bullismo che spontaneamente emergono altro non sono che la punta di un iceberg di estese e preoccupanti dimensioni (Tabella 4). Un approccio “clinico globale” alla complessa problematica del bullismo dovrebbe, comunque, seguire il percorso ordinato e ormai Tabella 2. Stili educativi a rischio di bullismo. Atteggiamento negativo di fondo, con mancanza di “calore” e poco coinvolgimento da parte dei genitori Atteggiamento educativo troppo permissivo e tollerante Uso troppo coercitivo del potere da parte di uno o entrambi i genitori Rapporti conflittuali tra genitori Separazioni, divorzi, violenze, disturbi psichiatrici, alcoolismo, tossicodipendenze ma anche… il malessere del benessere Tabella 3. Il disimpegno morale (deresponsabilizzazione e auto-assoluzione delle condotte anti-sociali). Per diffusione di responsabilità (….fanno tutti così!) Per confronto vantaggioso (….si è visto ben altro!) Per occultamento delle conseguenze (….alla fine non è morto nessuno!) Per deprezzamento della vittima (….è un fesso, un rompiscatole, se l’è voluta!) Tabella 4. Perché una vittima tace. Perché non si è ancora resa conto di essere vittima di bullismo Perché non sa a chi rivolgersi Perché ritiene inutile confidarsi Perché teme derisioni e/o ritorsioni Perché teme di essere considerata vigliacca Perché teme di essere considerata spia Perché, comunque, è meglio “cavarsela da soli” Perché tacere e non reagire può anche essere considerato un atto di forza abbastanza standardizzato di ogni ricerca e successivo intervento in ambito medico: Conoscenza (e coscienza) del problema ↓ Verifica/indagine epidemiologica (esistenza e consistenza del fenomeno in un determinato campione) ↓ Studio dei meccanismi etiopatogenetici ↓ Ipotesi/possibilità di intervento ↓ Prevenzione/trattamento ↓ Verifica dei risultati 17 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 3) tipologia delle prevaricazioni; 4) aggressività rispetto al sesso di appartenenza; 5) tempi e luoghi in cui l’aggressività è agita e/o subita; 6) empatia per le vittime e i prepotenti. Alcuni item del questionario sono, infine, preposti alla sua validazione, attraverso la verifica di eventuali incoerenze da parte dell’intervistato. Per meglio comprendere il reale significato dei dati epidemiologici italiani e stranieri sul bullismo derivanti dal questionario anonimo, è bene chiarire che viene chiesto agli intervistati se e quante volte hanno fatto o subito prepotenze negli ultimi 5-6 giorni o negli ultimi 2-3 mesi, proponendo le seguenti cinque ipotesi: 1) non è mai successo; 2) è successo una volta o due; 3) è successo qualche volta; 4) è successo circa una volta alla settimana; 5) è successo parecchie volte alla settimana. La risposta affermativa alla prima domanda sta ad indicare l’assenza del fenomeno, mentre la seconda è indice di presenza occasionale. La presenza reale di bullismo risulta, invece, dalle risposte affermative alle ultime tre ipotesi: la cui somma costituisce il c.d. indicatore di presenza. La somma delle risposte affermative alle ultime due ipotesi (“è successo una volta alla settimana”, “è successo più volte alla settimana”) rappresenta, invece, l’indicatore di gravità del bullismo. Ne consegue tuttavia che, in questa prospettiva, quando si parla di indice di gravità ci si riferisce esclusivamente alla frequenza e non alla tipologia delle prevaricazioni stesse. Agli studi italiani sul bullismo hanno finora partecipato (in forma per lo più collaborativa) diversi centri istituzionali e di volontariato, pubblici e privati, dislocati nelle principali regioni del Paese, talora identificati da sigle suggestive, quali: JUMP = Juveniles and Models of Crime Prevention (CENSIS – Programma Europeo COISIN) (20) ; NOVASRES = No alla Violenza a Scuola Rete Europea di Scambio (Commissione Europea – Programma Connect) (21); PROMECO = Centro per la Promozione della Comunicazione (Ferrara) (22); PREGIO = Prevenzione Giovanile (Trento); LARISO = Laboratorio per la Ricerca e l’Intervento Sociale (Sardegna) (23). La finalità delle varie ricerche condotte finora in Italia e all’estero sul bullismo si può, in modo apparentemente semplicistico, compendiare nel tentativo di dare una risposta esauriente ai seguenti quattro quesiti principali: “esiste il bullismo nel nostro Paese? Quali dimensioni ha? In che forme si manifesta? Cosa è possibile fare per contrastarlo?” Le prime indagini italiane, come già anticipato, hanno riguardato la città di Firenze (10,18) e la città di Cosenza (24), quindi aree del Paese tra loro distanti non solo dal punto di vista geografico, ma anche per tradizione, cultura e stili educativi. Il questionario anonimo è stato somministrato a scolari delle ultime tre classi elementari e ad un campione significativo di studenti delle tre classi medie. Nel capoluogo toscano la diffusione complessiva del fenomeno delle prepotenze subite nelle elementari raggiungeva il 50,6% delle bambine e il 41% dei maschi; Per uno studio epidemiologico dell’esistenza e consistenza del bullismo nelle scuole sono stati finora utilizzati strumenti diversi (11, 13-16): 1) Interviste individuali 2) Compilazione di un diario sulle prepotenze agite o subite 3) Nomina, da parte dei coetanei di coloro che fanno o subiscono prepotenze 4) Nomina, da parte degli insegnanti dei bulli e delle vittime 5) Somministrazione di un questionario anonimo 6) Osservazione diretta dell’iterazione sociale degli alunni durante il momento della ricreazione, mediante l’utilizzo di telecamere e di microfoni “cordless”. Ciascuna delle metodiche di indagine sopra elencate presenta, ovviamente, peculiarità di utilizzo, vantaggi e svantaggi. Le interviste, ad esempio, possono risultare eccessivamente dispendiose, sono applicabili a campioni numericamente limitati e selezionati, provocano spesso nei soggetti intervistati reazioni difensive. Il diario, pur essendo un utile e semplice strumento conoscitivo “di classe”, tende tuttavia a sottostimare la frequenza reale dei comportamenti di prevaricazione non potendo consentire l’anonimato e favorendo la reticenza omertosa. L’osservazione televisiva (in audio e video) è utilissima per evidenziare i comportamenti spontanei di ostilità diretta tra coetanei, ma risulta di scarsa utilità per cogliere i comportamenti indiretti di manipolazione e/o esclusione sociale delle giovani vittime. Particolarmente efficace, attendibile, riproducibile ed economico si è, invece, dimostrato il questionario anonimo tanto nella valutazione dell’incidenza quantitativa che delle caratteristiche qualitative delle prepotenze agite e/o subite, anche su ampi campioni di popolazione scolastica. I limiti di qualsiasi questionario sono, ovviamente, legati sia alle procedure tecniche-operative (costruzione, presentazione, somministrazione, compilazione, decodificazione, elaborazione, interpretazione dei risultati) sia al fatto che da essi può emergere solo un’osservazione indiretta del fenomeno indagato condizionato dal punto di vista del singolo compilatore, senza contare che diversi item possono fare riferimento a definizioni comportamentali più che a dettagliate descrizioni delle medesime. A tutt’oggi, lo strumento che ha ricevuto il maggior numero di consensi negli studi condotti a livello internazionale sull’esistenza, la consistenza e le specifiche caratteristiche del bullismo è il Dan Olweus Questionnaire (6, 7, 17) nelle sua versione inglese del 1993 (5). Di tale questionario esiste una versione specifica per le scuole elementari e una per le scuole medie e superiori. Rispetto alla versione inglese, quella utilizzata in quasi tutte le ricerche italiane è stata modificata ed adattata alle nostre esigenze da A. Fonzi (10, 18) e comprende 28 item: due in più della versione inglese originale. È indispensabile, a questo punto, soffermarsi brevemente su alcune caratteristiche strutturali del questionari anonimo che, come già premesso rappresenta, per consenso internazionale, lo strumento ideale per la conoscenza della natura e delle caratteristiche del bullismo in campioni numerosi. Anzitutto, tale questionario è organizzato in sezioni diverse, tese a determinare i seguenti indicatori specifici (19): 1) indice quantitativo delle prevaricazioni; 2) aggressività diretta e indiretta; 18 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni Tabella 5. Prepotenze subite dai bambini italiani delle scuole elementari; indice di presenza %. Località Tabella 7. Prepotenze agite dai bambini italiani delle scuole elementari; indice di presenza %. Maschi Femmine Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta 35,1 35,2 Emilia-Romagna (Bologna) 46,5 37,1 Toscana (Firenze) 41 Campania (Napoli) Località Maschi Femmine Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta 30,4 24,8 Emilia-Romagna (Bologna) 34,9 31,5 50,6 Toscana (Firenze) 33,3 13,5 50,1 45,6 Campania (Napoli) 43,6 31,9 Calabria (Cosenza) 21,9 16,8 Calabria (Cosenza) 13,8 6,7 Sicilia (Palermo) 39,4 39,6 Sicilia (Palermo) 26,6 31,8 Campione Nazionale 42,9 40,2 Campione Nazionale 32,8 22,8 nelle medie il 31,2% delle ragazze e il 29,2% dei maschi: dati che dimostravano (per lo meno nell’area toscana) una maggiore vittimizzazione delle femmine rispetto ai maschi nelle elementari, mentre nelle medie tale scarto tendeva ad annullarsi. Per quanto concerne la gravità (=frequenza) delle prevaricazioni subite, con il passaggio dalle elementari alle medie si verificava un cambiamento radicale: mentre nelle elementari, per le femmine, il ricevere prepotenze era un fenomeno più diffuso ma meno “grave” che per il maschi, alle medie tali differenze tendevano ad annullarsi (10,4% vs 11%). Per quanto riguarda le prepotenze agite, l’andamento generale del fenomeno era ben diverso per i due sessi: alla scuola elementare dominavano nettamente i maschi (33,3%) sulle femmine (13,5%); nelle medie, nonostante un aumento degli atti di bullismo commessi dalle ragazze (15,1%) e una riduzione tra i ragazzi (28,5%), la distanza tra i due sessi rimaneva marcata (10). Paragonando l’incidenza percentuale delle prepotenze agite e subite nei due sessi a Firenze e a Cosenza si nota, immediatamente, una stridente differenza dal momento che, nell’area calabrese, tutti i valori risultano nettamente più bassi che nel capoluogo toscano, pur confermandosi la diffusa pratica del bullismo nei due ordini scolastici. Da queste primissime indagini sul bullismo e da quelle successivamente condotte nelle diverse regioni italiane balzano immediatamente agli occhi marcate differenze quantitative che, seppure in qualche modo prevedibili, assumono particolare rilievo in quanto indicative del- l’influsso ecologico sul manifestarsi del comportamento studiato (10). Esaminando globalmente l’andamento del fenomeno nel suo complesso (Tabelle da 5 a 12) si nota come alcune località sono più colpite dal bullismo – come la Campania, la Sicilia, la Sardegna e, in parte, la stessa Toscana – e altre decisamente meno – come la Calabria e il Piemonte e Valle d’Aosta. Anche se non è sempre possibile dare una spiegazione univoca a queste differenze territoriali appare, anzitutto, evidente che il fenomeno è per sua natura disomogeneo e ad eziologia multifattoriale. Anzitutto, sono particolarmente influenti le diversità di genere e di ciclo scolastico, ma indubbia rilevanza assumono le caratteristiche personologiche, le tradizioni ambientali, gli stili educativi, le relazioni familiari e la dinamica di classe; assai meno condizionanti, sulla base di quasi tutte le indagini finora condotte, sono risultate l’ampiezza della scuola e le condizioni socio-economiche della famiglia. Le differenze tra maschi e femmine non sono, tuttavia, omogenee sorprendendo talora gli stessi osservatori per certi comportamenti in netta controtendenza rispetto alle aspettative. Così, in Emilia e in misura assai più rilevante in Campania e in Sicilia, ma anche in Sardegna le femmine che si riconoscono prepotenti sono in numero decisamente maggiore che nelle altre sedi, capovolgendo l’immagine tradizionale della donna, soprattutto meridionale, abituata e rassegnata a subire violenze e prepotenze piuttosto che a farle (25-30). Con l’intento di uniformare i singoli riscontri regionali sono stati anche elaborati su campioni omogenei di popolazione scolastica elementare Tabella 6. Prepotenze subite dai bambini italiani delle scuole elementari; indice di gravità %. Tabella 8. Prepotenze agite dai bambini italiani delle scuole elementari; indice di gravità %. Località Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta Maschi Femmine 15,7 12,3 Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta Località Maschi Femmine 11,4 6,2 Emilia-Romagna (Bologna) 24,4 12,4 Emilia-Romagna (Bologna) 14,0 10,1 Toscana (Firenze) 23,1 16,9 Toscana (Firenze) 19,2 2,2 Campania (Napoli) 22,8 21,6 Campania (Napoli) 23,7 9,8 Calabria (Cosenza) 8,8 6,1 Calabria (Cosenza) 6,7 1,7 Sicilia (Palermo) 13,1 15,0 Sicilia (Palermo) 8,3 11,2 Campione Nazionale 20,1 14,7 Campione Nazionale 14,8 6,4 19 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Tabella 9. Prepotenze subite dai ragazzi italiani delle scuole medie indice di presenza %. Località Maschi Tabella 11. Prepotenze agite dai ragazzi italiani delle scuole medie indice di presenza %. Femmine Località Maschi Femmine Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta 19,2 16,5 Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta 21,7 10,0 Toscana (Firenze) 29,2 31,2 Toscana (Firenze) 28,5 15,1 Roma (Provincia) 14,4 19,4 Roma (Provincia) 20,5 12,8 30,3 Campania (Napoli) 29,6 32,3 Campania (Napoli) 33,1 Calabria (Cosenza) 10,6 16,9 Calabria (Cosenza) 10,9 8,4 Sicilia (Palermo) 17,5 25,7 Sicilia (Palermo) 19,9 20,2 Sardegna 24,0 21,2 Sardegna 39,2 19,9 Campione Nazionale 25,0 27,8 Campione Nazionale 23,4 16,4 e media quelli che, al momento attuale, possono essere considerati i dati nazionali sul fenomeno del bullismo nel nostro Paese (5,12), che abbiamo riportato in grassetto nelle Tabelle da 1 a 8. Per quanto attiene alla tipologia delle prepotenze subite, un dato preoccupante emerge dalla ricerca condotta in Piemonte e Valle d’Aosta (25) e riguardante le prepotenze di tipo sessuale sia verbali (insulti, proposte, provocazioni, ricatti) che fisiche (perlopiù toccamenti) di cui sono vittime quasi esclusivamente le ragazze. Da tali episodi (evidenziabili, per altro, solo da interviste, diari o racconti) traspare chiaramente il senso di impotenza e di sofferenza delle ragazze vittime della violenza. Al momento attuale non si dispone di dati di confronto con quelli piemontesi e valdostani, ma quanto finora emerso è drammaticamente indicativo di un modo allarmante e sciagurato di impostare anche le più precoci relazioni tra i due sessi (Tabella 13). Le prepotenze vengono subite prevalentemente in classe, dai propri compagni di classe (alle elementari nel 57,2% dei casi, alle medie nel 51,9%): questo dato contrasta con quanto generalmente rilevato in altri Paesi europei, laddove come luoghi più a rischio vengono indicati i corridoi, i bagni, i cortili, le palestre e le mense, vale a dire zone dove la vigilanza da parte degli adulti è meno presente (Tabella 14) (31). Il dato italiano, che da un lato conferisce al fenomeno delle prepotenze scolastiche quasi un’etichetta di “normalità” da inserirsi nella vita quotidiana dello scolaro, dall’altro è un indice preoccupante dello scarso controllo e/o dell’eccessiva tolleranza da parte del personale docente rispetto al verificarsi e al reiterarsi di tali episodi (5). Per quanto riguarda il fenomeno del bullismo nelle scuole superiori (di massimo interesse conoscitivo e operativo per gli adolescentologi) gli studi italiani, al momento attuale, sono piuttosto limitati e fanno riferimento, soprattutto, a due qualificate indagini condotte su ragazzi di età compresa tra i 14 e i 17-18 anni, rispettivamente a Ferrara (con il supporto del Centro Promeco) (31) e nella provincia di Trento (dall’Associazione Villa S. Ignazio) (32). Per quanto riguarda l’area ferrarese, ben l’82% degli studenti intervistati aveva denunciato l’esistenza di episodi di bullismo. Le prepotenze prevalenti nelle scuole superiori del capoluogo emiliano erano costituite da prese in giro, seguite da offese, scherzi pesanti e piccoli furti, ma non mancavano denunce di prevaricazioni assai più gravi quali minacce, aggressioni, furti importanti e estorsioni in denaro (31). La maggior parte delle prepotenze più gravi prevaleva nelle prime classi delle medie superiori, mentre tendeva a decrescere nelle ultime classi senza, tuttavia, mai scomparire. Questo interessante fenomeno è stato collegato allo stabilirsi delle gerarchie all’interno del gruppo-classe nella fase iniziale del percorso scolastico mentre, con il successivo passare degli anni, si realizza una progressiva maturazione degli adolescenti che comporta un migliore Tabella 10. Prepotenze subite dai ragazzi italiani delle scuole medie indice di gravità %. Tabella 12. Prepotenze agite dai ragazzi italiani delle scuole medie indice di gravità %. Località Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta Località Maschi Femmine Maschi Femmine 8,6 6,3 Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta 8,8 3 12,0 4,1 Toscana (Firenze) 10,4 11,0 Toscana (Firenze) Roma (Provincia) 5,9 8,9 Roma (Provincia) 7,0 4,1 Campania (Napoli) 10,9 10,3 Campania (Napoli) 17,5 12,5 Calabria (Cosenza) 4,8 6,4 Calabria (Cosenza) 4,8 2,3 Sicilia (Palermo) 9,8 9,0 Sicilia (Palermo) 8,2 5,6 Sardegna 6,1 5,9 Sardegna 9,8 4,6 Campione Nazionale 10,2 8,7 Campione Nazionale 10,6 5,3 20 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni Tabella 13. Tipo di prepotenza subita (valori percentuali su campione italiano) (modificato da 31). Offese Verbali Colpi Fisici Minacce Esclusione Mettere In Giro Voci Furti Maschi 49,7 52,2 22,0 16,4 24,3 25,0 Scuole Elementari Femmine 52,8 30,8 14,6 18,0 31,4 23,7 Totale 51,0 42,0 19,2 17,2 27,8 24,4 Maschi 44,9 27,7 17,7 6,8 23,3 11,5 Scuole Medie Femmine 45,3 13,4 8,4 6,2 26,3 7,3 Totale 45 20,7 13,0 6,4 24,6 9,3 Tabella 14. Luogo in cui si verificano le prepotenze (valori percentuali su campione italiano) (modificato da 31). Classe Cortile Corridoi Altrove Maschi 52,3 44,1 21,2 26,6 Scuole Elementari Femmine 62,5 38,5 18,6 20,4 Totale 57,2 41,3 19,9 23,7 Maschi 49,9 13,5 23,5 24,6 Scuole Medie Femmine 53,9 11,2 16,5 15,7 Totale 51,9 12,3 19,6 20,2 confermato essere l’aula scolastica la sede “privilegiata” delle prepotenze (27,6%), seguita dal cortile (16,8%) e dai corridoi della scuola. Puntuale e degna di profonda riflessione ci sembra, infine, la seguente frase desunta da uno dei “racconti” di un adolescente trentino: ”….quando le donne decidono di escludere qualcuno è peggio, perché non ti sfiorano fisicamente, ma non ti parlano e tu senti che parlano di te, ma loro fanno finta di niente, poi si inventano canzoni su di te e barzellette. In conclusione penso che sia peggio il bullismo femminile di quello maschile anche perché in quello maschile può intervenire qualcuno ma in quello femminile bisogna soffrire e accettarlo…” (Tabella 16). Nonostante la dimostrata rilevanza epidemiologica delle prepotenze agite e subite nelle scuole italiane non esiste, al momento attuale, nel nostro Paese alcun programma ufficiale, coordinato e strutturato di intervento per contenere e contrastare il bullismo. In altre parole(15) in Italia si fa ancora fatica a riconoscere il problema nella propria intrinseca realtà, o meglio lo si conosce ma non lo si riconosce e a volte ci si interroga ancora su quale sia “il livello di aggressività che occorre raggiungere prima di prendere misure adeguate” (33). All’opposto, è fin troppo ovvio che bisogna saper agire con tempestività ed efficacia perché gli adulti vedano, le vittime parlino, i compagni soccorrano evitando o limitando, così, sia i danni immediati del bullismo che la radicalizzazione di ruoli ormai consolidati. Ovviamente non può essere questa la sede per una disamina dettagliata delle strategie teoriche e operative finora adottate per contenere il fenomeno del bullismo. È giusto rimarcare, comunque, che le esperienze italiane anche se, finora, di carattere prevalentemente spe- assestamento dei rapporti interpersonali, laddove le vittime diventano più consapevoli e meno tolleranti e i bulli realizzano altre modalità di relazione sociale. A ciò si deve aggiungere l’abbandono scolastico sia da parte dei bulli con più scarsi risultati nello studio, che da parte di non poche vittime più pesantemente prese di mira. I luoghi dove vengono realizzate le prepotenze confermano, anche per le superiori di Ferrara, il primato della classe (54,8%), seguita dai corridoi (42,3%) e dai bagni (30,7%). Il 39,1% dei ragazzi ha, comunque, dichiarato che gli adulti (professori e personale non docente) non sono presenti nel momento in cui avvengono le prepotenze. Quando sono presenti, tuttavia, il più delle volte fanno finta di niente o non si accorgono di nulla, talvolta ridono del fatto assieme agli studenti e solo nel 22,1% dei casi intervengono in favore delle vittime. Non molto dissimile e, sotto alcuni punti di vista più articolata, è la ricerca condotta nelle scuole superiori del Trentino (32): più del 50% degli intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo e, anche in questo caso, i valori più elevati si riscontrano nella fascia dei più giovani, di cui 1/3 (33%) sono vittime ricorrenti: circa il 24% ha dichiarato di essere stato vittima di un qualche episodio di prepotenza nei sei giorni precedenti l’intervista: di questi l’11,6% ha dichiarato di aver subito tali episodi qualche volta e l’1,7% tutti i giorni (Tabella 15). Dai risultati dell’indagine condotta nel Trentino viene confermato che anche nelle scuole superiori di quella regione le prepotenze di natura verbale sono nettamente più frequenti di quelle di tipo fisico: il 41,9% dei ragazzi lamenta di essere stato preso in giro; il 30,1% è stato offeso; il 23,4% è stato oggetto di calunnie; il 3,4% si sente socialmente escluso e il 10,8% ha subito minacce. La maggioranza dei ragazzi ha 21 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 alunni o studenti più problematici. Più recentemente si è sperimentato con successo il coinvolgimento attivo dei ragazzi stessi nella risoluzione del problema, attraverso il supporto di coetanei appositamente selezionati e istruiti in speciali programmi di peer-education e di peercounselling (14, 37). Sarebbe giunto, a questo punto, il momento di trarre delle considerazioni conclusive, ma l’argomento che abbiamo trattato è così vasto, complesso e in piena evoluzione conoscitiva e operativa da consentirci, tuttalpiù, qualche momento di semplice riflessione. Anzitutto, possiamo accettare la conclusione che i bambini italiani siano peggiori di quelli di tutti gli altri Paesi, come dire che i nostri figli sono i più cattivi del mondo? Come è ovvio non si può che rigettare una simile ipotesi non solo per la fisiologica indulgenza verso le proprie (innegabili) mancanze, ma in base al semplice buon senso e alla comune esperienza. Basti ricordare che in molte scuole medie e secondarie d’oltre oceano gli studenti vengono regolarmente perquisiti all’ingresso e sono obbligati a passare attraverso metal-detector per depositare non solo eventuali armi improprie ma (fin troppo frequentemente) pericolosissime armi da fuoco. Ciò nonostante vengono registrati episodi sanguinosi e vere e proprie stragi, che non hanno risparmiato neanche la “vecchia” Europa: a Erfurt, in Germania, uno studente ha recentemente ucciso quattordici insegnanti, due studentesse e un poliziotto prima di togliersi la vita! Certamente, tuttavia, la dimostrata maggiore prevalenza statistica delle prepotenze tra gli scolari italiani merita di essere interpretata criticamente. Anzitutto la forma più frequente di bullismo riscontrata in Italia è quella di tipo verbale (che da sola rappresenta circa il 50% di tutte le violenze): ma proprio tale tipo di prepotenza, il più delle volte, non viene considerata come particolarmente grave dagli stessi ragazzi che, quasi sempre, la identificano con lo scherzo (o con quella forma di umorismo tipicamente nostrano che è lo sfottò). Tutto ciò comporta inevitabilmente sia una maggiore tolleranza che un tendenza all’offesa, ma anche una più facile e spontanea ammissione del fatto sia da parte di chi subisce che di chi agisce. Se con queste considerazioni possiamo, in parte, ridimensionare la drammaticità del bullismo in Italia, esso rimane comunque un fenomeno diffuso e preoccupante che non giustifica alcuna distrazione da parte nostra o abbassamento della guardia. Se è vero che l’Adolescentologia è una scienza multidisciplinare, che deve coinvolgere (in forma collaborativa e non competitiva) esperti delle più diverse estrazioni e competenze, altrettanto multidisciplinari (nei limiti del possibile) dovranno essere il nostro patrimonio culturale e le abilità professionali. È questa, quindi, un’ulteriore occasione per i Pediatri e gli Adolescentologi di riaffermare con energia la propria diretta responsabilità in ogni aspetto di promozione e tutela della salute delle giovani generazioni approfondendo, anzitutto, le personali conoscenze sul grave e diffuso fenomeno del bullismo. Ma, altrettanto importante, dovrà essere il passaggio dal momento conoscitivo/speculativo a quello operativo utilizzando tutte le necessarie collaborazioni per un’efficace prevenzione in ambiente scolastico e familiare e per un eventuale intervento diretto su vittime e prevaricatori, nella piena consapevolezza della frequente alternanza e sovrapposizione dei due ruoli e del costante coinvolgimento di tutto il “sistema” ambientale e sociale. Tabella 15. Bullismo nelle scuole superiori (tipologie delle prepotenze subite – valori %) (Fonte: Villa S. Ignazio, Indagine sul bullismo nelle scuole superiori della Provincia di Trento, 2001). Sono stato preso in giro 41,9 Ho subito delle offese 30,1 Sono state messe in giro storie sul mio conto 23,4 Ho subito dei colpi (spinte, pugni, ecc.) 16,9 Ho ricevuto minacce 10,8 Ho subito danni alle mie cose (oggetti, vestiti, ecc.) 7,2 Ho subito furti 6,5 Sono stato offeso per il colore della pelle o per l’origine 5,8 Non c’è nessuno che mi rivolga la parola 3,4 Tabella 16. Bullismo nelle scuole superiori (luoghi in cui si verificano le prepotenze – valori %) (Fonte: Villa S. Ignazio, Indagine sul bullismo nelle scuole superiori della Provincia di Trento, 2001). Aula 27,6 Cortile 16,8 Corridoi 14,4 In nessun luogo 12,9 Spogliatoi 7,0 Palestra 5,8 Mensa 4,5 Laboratori 4,5 Altri spazi del convitto 3,7 Bagni 2,8 Totale 100,0 rimentale e locale e nonostante le prevedibili difficoltà operative, sono state di estremo interesse e rilevanza (14, 34-37). Premesso che contenere potrebbe apparire, a prima vista, più semplice che prevenire e che, comunque, si dovrà sempre evitare di medicalizzare quelli che in realtà sono prevalentemente problemi educativi, appare altrettanto evidente che qualsiasi intervento sul bullismo, dopo un indispensabile preliminare momento conoscitivo, presuppone un approccio sistematico capace di affrontare il problema su più livelli: da quello istituzionale (che coinvolge l’intera struttura scolastica), a quello di singola classe fino a quello individuale (in cui vengono comprese le varie tipologie di vittime, bulli e spettatori). Parallelamente si dovrà agire sulle famiglie e, se necessario, coinvolgere anche la comunità locale: servizi sociali, servizi di sostegno psicologico ed educativo sul territorio, comunità giovanili, fino alle stesse agenzie di controllo (autorità giudiziaria e di pubblica sicurezza). Un tale programma di prevenzione e contenzione del bullismo si dovrà avvalere, ovviamente, anche di specialisti esterni alla scuola chiamati a formare gli insegnanti, a promuovere le attività didattico-educative, ad aiutare (e, se necessario, a curare) i singoli 22 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni 26. Genta ML., Berdondini L, Brighi A. Prepotenza e rappresentazione sociale in bambini di 8-11 anni. In: “Il bullismo in Italia” a cura di A. Fonzi, p. 50-65. Firenze: Giunti ed., 1997. Bibliografia 1. Schwarzenberg TL.. Il bullismo. In: Atti del X Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza“ Milano: Scripta Manent ed., 2003 p. 117-118.. 27. Smorti A, Ciucci E, Fonzi A. La provincia di Firenze: prepotenza e dinamica sociale. In: “Il bullismo in Italia” a cura di A. Fonzi, p. 66-91. Firenze: Giunti ed., 1997. 2. Olweus D. Hackkycklingar och översittare. 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Firenze: Giunti ed., 1997. 23 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente Giampaolo De Luca1, Pasquale Ruggiero2, Giuseppe Raiola3, Silvano Bertelloni4, Vincenzo De Sanctis5 1 Pediatra di Famiglia, Responsabile Regionale della Formazione e del settore Adolescenza per la Calabria della FIMP, Direttore Scientifico della Associazione Formazione Sanitaria “Maria Berlingò” 2 Sociologo, Associazione Formazione Sanitaria “Maria Berlingò” 3 Ambulatorio di Auxoendocrinologia – Unità Operativa di Pediatria – Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio - Catanzaro 4 Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Divisione di Pediatria, Università di Pisa 5 Unità Operativa di Pediatria ed Adolescentologia, Arcispedale S. Anna, Ferrara Riassunto Gli adolescenti necessitano di un’adeguata rete assistenziale a livello territoriale, che dovrebbe assicurare adeguati programmi di prevenzione e di educazione alla salute. I pediatri di famiglia, capillarmente presenti sul territorio nazionale, potrebbero assolvere a queste funzioni in ambito individuale attraverso l’esecuzione di appropriate visite-filtro definibili con il termine di bilanci di salute. Tali visite-filtro, basate su metodologie operative adeguate, omogenee e standardizzate, potrebbero essere inoltre in grado di individuare precocemente i soggetti a rischio di emarginazione sociale e di disagio. I bilanci di salute potrebbero avere importanti ricadute sullo stato di salute della popolazione, prevenendo sia problematiche tipiche dell’età adolescenziale sia riducendo l’incidenza dei fattori di rischio per le “killer diseases” nell’adulto. Le normative vigenti non permettono tuttavia la piena presa in carico degli adolescenti da parte dei pediatri di famiglia, limitando le loro possibilità di intervento sul territorio. Parole chiave: adolescenti, pediatra di famiglia, bilanci di salute negli adolescenti. Territorial adolescent health and guidelines for adolescent preventive services Summary Given their specific training and experience, paediatricians should to be considered the most suitable professionals to provide primary care for adolescents and to guarantee adequate preventive service and counselling for them. By carrying out appropriate “filter” visits aimed to evaluate the state of adolescent health, the primary care paediatricians, already present throughout the entire Italy, could offer a unique opportunity in individual health counselling and comprehensive health issues. To do this, appropriate methodologies and guidelines should be developed and validated, with the aim to identify also the young people with a high risk of social alienation. Application of a similar programs may allow paediatricians to contribute to the improvement of health status of adolescents, by reducing their “typical problems”, and that of the general population as well, by decreasing the risk factors for the so-called “killer diseases”. News legislative regulations will allow such a standardised form of care to adolescents across the Italian country. Key words: adolescents, paediatric primary care, adolescents health, preventive services. La medicina dell’Adolescenza si è affermata come sub-specialità autonoma della pediatria, ed è rivolta agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici specifici dell’età adolescenziale. Secondo la definizione dell’OMS, l’adolescenza è “il periodo della vita dell’individuo il cui inizio coincide con la comparsa dei primissimi segni di maturazione puberale ed il cui termine sopravanza la conclusione della pubertà stessa identificandosi con l’arresto dell’accrescimento somatico, vale a dire con la conclusione di quella che viene comunemente definita come età evolutiva”. Tale definizione, molto complessa, non indica un’età ben circoscritta per cui, più semplicemente, si usa definire l’età adolescenziale come quella età compresa tra i 10 ed i 18-20 anni. Schematicamente si può dividere l’adolescenza in tre periodi: la prima adolescenza che va dai 10 ai 12 anni; la media adolescenza che va dai 12 ai 15 anni; la tarda adolescenza che arriva fino ai 18 anni e, 25 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 secondo alcuni, anche oltre (1-4). In questo ampio periodo, si passa dalla prima apparizione dei caratteri sessuali secondari alla maturazione sessuale completa (adolescenza somatica o pubertà), dai processi psicologici e dai meccanismi di identificazione del bambino a quelli tipici dell’adulto (adolescenza psicologica), da una condizione di dipendenza socioeconomica allo stato di indipendenza (adolescenza socio-economica) (5, 6). uno dei genitori (8). È chiaro che una siffatta normativa crea una notevole difformità di assistenza ai pazienti proprio in un periodo, quale è quello adolescenziale, in cui sarebbe più opportuna una continuità delle cure. Non esistono, inoltre, protocolli per il passaggio dell’adolescente dal pediatra al medico di medicina generale, venendo quindi a mancare un percorso assistenziale unitario che metta in evidenza i possibili problemi di salute del singolo soggetto. Nonostante il quadro normativo sia penalizzante per i pediatri, sono sempre più numerosi i bambini dai 7 ai 14 anni assistiti dai pediatri (Figura 1), perché si ritiene che sia lo specialista più idoneo ad assistere l’età preadolescenziale ed adolescenziale (9-11). Permangono, tuttavia, delle resistenze da parte dei medici di medicina generale tendenti a non dilatare l’età pediatrica oltre il 14° anno di età (12); resistenze che non sono suffragate né da norme o principi, né da competenze assistenziali specifiche. Da un punto di vista di principio, infatti, lo Stato Italiano ha recepito, con la legge n.176 del 27 maggio 1991 la “Convenzione dei diritti del fanciullo”, svoltasi a New York il 20 novembre 1989, in cui si affermava che “nell’infanzia è compresa ogni persona di età inferiore ai 18 anni”. Tale legge, di fatto, assegna l’adolescente all’età pediatrica, anche se l’ultimo accordo per la pediatria di famiglia (DPR 272/2000) riprende tale legge solo come dichiarazione a verbale n° 2: “Le parti dichiarano che affronteranno, unitamente ai soggetti interessati, in fase preliminare al rinnovo del presente accordo, le tematiche introdotte dalla legge 27 Maggio 1991, n° 176, che recepisce le indicazioni della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre 1989”. Anche il Piano Sanitario Nazionale 2001-2003, che richiama il POMI nel “garantire ad ogni bambino-adolescente il suo pediatra e la con- L’adolescente e l’assistenza sanitaria territoriale Già il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 individuava al capitolo “Fasi della vita e salute” la necessità di dedicare una specifica attenzione all’età evolutiva con l’obiettivo di prevenire i comportamenti a rischio in età preadolescenziale ed adolescenziale e di monitorare lo stato di salute dell’infanzia, della preadolescenza e dell’adolescenza (7). Purtroppo, ad oggi, non esiste una figura professionale che si occupi, in maniera istituzionalizzata e completa, dell’adolescente e delle sue problematiche. Con il Progetto Obiettivo Materno Infantile “POMI” del giugno 2000, e con alcune indicazioni, contenute nell’Accordo Collettivo Nazionale per la Pediatria di libera scelta (8), si è cercato di razionalizzare l’attività assistenziale agli adolescenti. Purtroppo, tale accordo prevede l’esclusività della cura pediatrica solo fino al 6° anno di vita; mentre dal 7° al 14° anno, i soggetti possono essere assistiti, anche, dai medici di medicina generale, che sono incentivati economicamente all’assistenza di tale fascia d’età (8). Dai 14 ai 16 anni, il pediatra può mantenere l’assistenza dell’adolescente, solo se lo ha già in carico, dietro richiesta scritta da parte di Pediatra 90 Medico 80 70 60 50 40 30 20 10 0 1987 1989 1991 1993 Anni solari 26 1995 1997 1999 Figura 1. Dati relativi all’assistenza sanitaria della popolazione pediatrica da 0–14 anni della Regione Toscana, (anni 1987–2000) (da PL Tucci, mod.). Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente strategie d’intervento omogenee sul territorio nazionale anche per individuare i soggetti con disagio ed a rischio di marginalizzazione. Per raggiungere questi obiettivi, vi è innanzitutto la necessità di modificare gli “spazi” assistenziali, rendendoli più facilmente fruibili all’adolescente. Ad esempio, il pediatra dovrebbe modificare il suo ambulatorio. Nella sala d’attesa non dovrebbero mancare le riviste, i libri ed un impianto di musica, particolarmente gradito in questa fascia d’età. Inoltre, l’adolescente non deve sentirsi confuso con i bambini in età prepubere o con i neonati ma deve essere visitato con l’opportuna riservatezza che in genere si riserva agli adulti (4). Il pediatra, quindi, dovrebbe avere un lettino più grande per eventuali visite ginecologiche ed un separè per consentire all’adolescente di spogliarsi in assoluta riservatezza, perché non bisogna dimenticare che l’adolescente è un soggetto sessuato in una fase di profondo cambiamento somatico (4). Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata proprio all’esame dei genitali. È opportuno che tale esame si accompagni con delle spiegazioni di carattere educativo-sanitario (insegnare l’esame obiettivo dei testicoli e l’autopalpazione dei seni). Spesso è presente negli adolescenti, soprattutto maschi, un senso ingiustificato di inadeguatezza, relativo allo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie (4). È necessario stabilire un rapporto di empatia, in cui venga definito il ruolo del medico quale figura disponibile ad ascoltarlo per aiutarlo a risolvere i suoi problemi (4). In alcune situazioni può essere opportuno che la visita-colloquio si svolga senza la presenza dei genitori, con i quali l’adolescente dialoga sempre meno, in un rapporto che assomiglia, sempre di più, ad un patto di non belligeranza (17). tinuità terapeutica” e di “ estendere l’area pediatrica all’adolescenza …….”, nelle linee guida della tutela della salute, dell’infanzia ed adolescenza dichiara di “prevenire i comportamenti a rischio in età pre-adolescenziale ed adolescenziale ….e monitorare lo stato di salute dell’infanzia della preadolescenza e dell’adolescenza nella dimensione fisica, psichica e sociale…”, lasciando intravedere la necessità di una continuità delle cure, dal bambino all’adolescente. A livello formativo, l’Adolescentologia è stata inserita tra le aree di addestramento professionale della Scuola di Specializzazione in Pediatria a norma del Decreto Ministeriale dell’11 Maggio 1995 (G.U. 167 del 19 luglio 1995). Con questo inserimento si dovrebbero notevolmente migliorare le competenze dei pediatri nei confronti degli adolescenti. Sarebbe, comunque, auspicabile che anche i medici di medicina generale, visto che rivendicano l’assistenza ai soggetti di età compresa tra i 7 ed i 14 anni, acquisiscano competenze specifiche su questa fascia d’età. Attualmente non si intravede una soluzione rapida a questi contrasti, anche se in Europa sono molti gli Stati che riconoscono al Pediatra l’assistenza dei soggetti fino al 18° anno di età (9). Sembrerebbe però opportuno che, con le attuali confuse normative in vigore nel nostro Paese, sia il medico di medicina generale che si vuole occupare di adolescenti, sia il pediatra di famiglia, dedichino un tempo adeguato della loro formazione alle tematiche adolescentologiche al fine un miglioramento della qualità dell’assistenza verso questi particolari soggetti. Nel campo dalla formazione professionale un ruolo fondamentale può essere svolto dalla FIMP e dalla FIMMG e dalle altre sigle sindacali, con programmi sviluppati in accordo con la SIP e soprattutto con la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) che sta sempre più radicandosi nell’ambito della pediatria di famiglia (4). Si potrebbe così auspicare una presa in carico degli adolescenti, giunti a 14-18 anni di età, da parte di un medico di medicina generale motivato e formato, in accordo ed in continuità con il pediatra. Tale obiettivo determinerebbe quella continuità delle cure a cui sembrerebbe tendere ogni sforzo legislativo in materia (4). Tabella 1. Principali motivi che portano l’adolescente a consultare un medico. Per problemi acuti (organici e/o psichici) Per problemi cronici (organici e/o psichici) Per controllo (valutazione di normalità) Le problematiche assistenziali degli adolescenti ed i bilanci di salute Tabella 2. I bilanci di salute (B.S.) previsti dagli accordi collettivi nelle diverse Regioni Italiane. I motivi che portano l’adolescente a consultare un sanitario sono elencati in Tabella 1. L’adolescente ha bisogno di sentirsi uguale agli altri soprattutto per quanto attiene alla sfera sessuale e comportamentale (4). Questo desiderio di normalità rappresenta una tappa fondamentale per la successiva strutturazione della sua personalità (4). Un attento programma preventivo teso ad individuare precocemente tali problematiche, deve necessariamente tenere in dovuto conto i profondi cambiamenti fisici, psichici e sociali che rendono l’adolescente, di per sé, un soggetto “a rischio”, più recettivo a cattive abitudini trasferitegli dalla società del consumo, dell’edonismo, dell’indifferenza. A ciò si aggiunge l’incertezza politica ed ambientale che caratterizza l’epoca attuale. Si renderebbero, pertanto, necessarie 27 Regione 8-10 anni 10-12 anni 12-14 anni Calabria – – B.S. Basilicata – – B.S. Campania B.S. – B.S. Abruzzo – B.S. -- Molise – B.S. -- Lazio B.S. – B.S. Toscana B.S. – -- Liguria B.S. – B.S. Veneto – B.S. B.S. Piemonte – – B.S. Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Un peculiare controllo clinico, che viene effettuato nell’ambito del Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI), da parte dei pediatri, viene definito Bilancio di Salute. Si tratta di una serie di interventi medici personalizzati, secondo un programma di visite periodiche finalizzate che tengono conto, in maniera preminente, dei problemi propri o prevalenti dell’età in cui sono effettuati (3, 13-15). Tali “visite-filtro” sono previste dagli accordi stipulati nelle diverse Regioni, dai pediatri di famiglia, e sono utili ad evidenziare i principali problemi di salute nelle varie fasi dell’età evolutiva (Tabella 2). La loro esecuzione nell’età prestabilite si basa sull’evidenza che esiste un’età ottimale per evidenziare precocemente alcune patologie o problematiche allo scopo di attuare un tempestivo e, se possibile risolutivo intervento terapeutico (14, 15). Anche per l’adolescente, il mantenimento dello stato di salute si basa sulla precoce identificazione e sul controllo dei fattori di rischio e dei comportamenti individuali che favoriscono l’insorgenza di patologie. In effetti le principali manifestazioni cliniche dell’adolescente sono la conseguenza di problematiche tipiche di questa fascia d’età (Tabella 3) (16). I bilanci di salute nell’adolescente dovrebbero, quindi, essere effettuati con cadenza periodica, possibilmente ogni anno, in considerazione dei rapidi cambiamenti, peculiari di questa età (3, 10, 11, 18) o almeno uno, per ognuna delle tre fasi in cui viene divisa l’età adolescenziale (4, 16). Purtroppo nella gran parte degli accordi Regionali, dove sono previsti, vi è in genere solo un bilancio di salute per l’età adolescenziale (Tabella 4) (19). Il bilancio di salute dovrebbe avere una durata non superiore ai 30 minuti in quanto gli adolescenti mal sopportano incontri eccessivamente lunghi (3, 11, 20), e dovrebbero prevedere un piano base e dei successivi livelli definiti di implementazione, come previsto per i primi 6 anni di età (8). Nel piano base si dovrebbe effettuare una valutazione medica completa, compresa quella dello sviluppo puberale ed una valutazione psico-socio-comportamentale tesa ad individuare comportamenti a rischio (3, 11, 15) (Tabelle 4 e 5). In particolare andrebbe esaminato il rischio di disagio e di marginalizzazione, valutando l’inserimento dell’adolescente nel gruppo degli amici, il suo comportamento e il rendimento scolastico, i rapporti con la famiglia, l’eventuale pratica sportiva, i rapporti con il cibo, l’eventuale uso di alcol, fumo o droghe, siano esse leggere o pesanti. Inoltre, si dovrebbero individuare, precocemente, stati depressivi, crisi di angoscia, bruschi cambiamenti di umore ed alterati rapporti con la famiglia, la scuola, gli amici. Sono da ricercare fattori di rischio per tendenze al suicidio, che rappresenta la terza causa di morte in questa fascia d’età. I bilanci di salute dovrebbero anche essere l’occasione per una valutazione della vita sentimentale e sessuale del soggetto in maniera tale da fornire informazioni adeguate, senza pregiudizi, atte a prevenire comportamenti che possono favorire gravidanze precoci ed indesiderate o malattie sessualmente trasmesse (3, 21, 22). A questa attività di base si possono associare successivi livelli che prevedono il raggiungimento di obiettivi specifici. Nel primo livello di implementazione si può prevedere l’intervento del solo pediatra che Tabella 3. Principali problematiche degli adolescenti (da: ref. 16, mod.). Problematiche Adolescenziali Manifestazioni Prodotte Incidenti 1° causa di morte in soggetti tra 11-24 anni Suicidi 3° causa di morte tra 14 -24 anni Abuso sostanze tossiche Incremento del consumo di fumo di sigaretta alcol e droghe. Attività sessuale Malattie sessualmente trasmesse, gravidanze indesiderate, IVG. Disturbi nutrizione Alterate abitudini alimentari, anoressia, bulimia, obesità. Effetti mass-media Incremento dei comportamenti violenti, abuso di sostanze, sessualità vissuta in maniera inadeguata e distorta. Disagio e marginalizzazione Scarso rendimento scolastico, inadeguato rapporto con gli altri, pochi amici, tendenza alla depressione. Tabella 4. Valutazione medica nei bilanci di salute dell’adolescente (da: ref. 3, mod.). 10-12 anni 12-15 anni 16-20 anni I Livello Anamnesi * * * Esame obiettivo generale * * * Altezza/peso * * * Pressione arteriosa * * * Sviluppo puberale * * * Stato nutrizionale * * * Sviluppo psicologico * * * Copertura vaccinale * * * II Livello Valutazione scoliosi ** ** ** Test uditivi ** ** ** Test visivi ** ** ** Valutazione dermatologica ** ** ** Valutazione ginecologica ** ** ** Test per malattie sessualmente trasmesse *** *** *** Esami di laboratorio (test tubercolinico colesterolemia, esami strumentali) *** *** *** *Valutazione clinica da parte del pediatra; **Valutazione clinica del pediatra con l’eventuale supporto specialistico; ***Da effettuare, negli adolescenti a rischio sulla base di rilievi anamnestici, clinici o di pregressi esami di laboratorio o strumentali. 28 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente che rimane una valutazione soggettiva e l’ISEE, parametro assolutamente oggettivo, potrebbe consentire di censire lo stato socio-sanitario di una popolazione di adolescenti attraverso un metodo di lavoro “socio-metrico” scientificamente ripetibile. Dati preliminari, suggeriscono l’esistenza di una certa correlazione tra i parametri forniti dall’ISEE ed i risultati ottenuti con bilanci di salute, opportunamente eseguiti, nel rilevare i soggetti a rischio di disagio soprattutto nei grossi centri cittadini (G. De Luca et al., in fase di realizzazione), mentre tale correlazione risulta meno evidente nei centri con meno di 15 mila abitanti (G. De Luca et al., in fase di realizzazione). Tabella 5. Valutazione psico-socio-comportamentale nei bilanci di salute dell’adolescente = HEADSS (da Saggese G, Bertelloni S; ref.3.) H. (home) Relazioni familiari, atteggiamento nei confronti del cibo, immagine corporea E. (education) Rendimento scolastico, aspirazioni future A. (activities) Amicizie, tipo di sport, guida (uso del casco), ricerca dei comportamenti a rischio D. (drugs) Uso di tabacco, alcool, marijuana, altre droghe S. (suicide) Atteggiamenti o tendenze psicologiche indicative di propositi suicidi Conclusioni S. (sex) Attività sessuale e conoscenza dei rischi correlati (gravidanza, malattie a trasmissione sessuale, contraccezione) In applicazioni delle norme vigenti, l’assistenza territoriale dell’adolescente dovrebbe essere totalmente affidata al pediatra di famiglia per meglio supportare le problematiche fisiche, psichiche e comportamentali, presenti in questa delicata e fondamentale tappa della vita di ogni individuo. Ciò consentirebbe una capillare e coordinata esecuzione di bilanci di salute a tutti gli adolescenti. È necessario un percorso formativo sulle metodologie applicative dei bilanci di salute, che devono prevedere dei livelli attuativi diversi a seconda degli obiettivi preposti. Il piano base ed i primi livelli di implementazione possono essere affidati esclusivamente al pediatra, mentre i livelli successivi d’implementazione dovrebbero prevedere la partecipazione anche di altre e qualificate figure professionali. Con l’utilizzo di linee guida “ad hoc” e, prestabilendo in maniera appropriata gli obiettivi da raggiungere, si potrebbe migliorare, in alcuni casi, lo stato di salute della popolazione in generale, con una notevole riduzione dei costi sociali, dovuti al trattamento di patologie o condizioni in larga parte prevenibili. Il costo di un servizio di prevenzione, basato sui bilanci di salute, è,infatti, notevolmente più basso rispetto alla cura delle affezioni tipiche dell’adolescente (3, 9, 23). Un tale programma di prevenzione, fornendo delle adeguate informazioni agli adolescenti, miranti a modificare le loro abitudini alimentari ed il loro stile di vita potrebbe, inoltre, contribuire a prevenire le cosiddette “killer diseases”, cioè le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, l’obesità, il tumore al polmone, consentendo, in prospettiva, anche un risparmio della spesa sanitaria totale (3, 15, 24). L’aspetto più importante rimane comunque il fatto che attraverso i bilanci di salute si potrebbero raggiungere precocemente soggetti “difficili” ad alto rischio di marginalità sociale. I bilanci di salute all’adolescente potrebbero, infine, contribuire allo studio, anche dal punto di vista epidemiologico, di alcuni aspetti socio-sanitari di particolare rilevanza, capaci di orientare strategie politiche d’intervento che mirino a ridurre e/o prevenire particolari forme di disagio sociale. opera attraverso diversi moduli attuativi. Un primo modulo può essere quello dell’Educazione Sanitaria che può avere tra gli obiettivi, a seconda dell’età, la prevenzione degli incidenti, ad esempio promuovere l’uso del casco in moto e delle cinture di sicurezza in auto, l’educazione sessuale e la contraccezione, oppure le problematiche legate al fumo, all’uso di alcol e droghe. Un secondo modulo può riguardare la profilassi delle malattie infettive con due obiettivi principali, cioè mantenere e/o incrementare i livelli di copertura vaccinale e garantire la copertura vaccinale antinfluenzale ai soggetti a rischio. Possono poi essere ipotizzati ed attuati altri moduli e per tutti si deve prevedere un’azione esecutiva che permetta il raggiungimento degli obiettivi prefissati attraverso delle apposite linee guida. Il Secondo livello di implementazione dovrebbe prevedere un lavoro in comune tra pediatra ed altre figure professionali come ginecologo, dermatologo, infettivologo, ortopedico, oculista, per affrontare le problematiche più propriamente mediche, tipiche dell’età adolescenziale (4, 16, 21). Per quanto riguarda il rilievo precoce dei comportamenti a rischio, del disagio sociale e della marginalizzazione dell’adolescente è prospettabile la messa a punto di moduli di lavoro in comune con il neuropsichiatria infantile, lo psicologo, il sociologo, l’assistente sociale, le insegnanti scolastiche. Insieme a queste figure professionali dovrebbero essere stabilite, anche delle linee guida per un corretto utilizzo del televisore o di internet, o programmi di educazione alla salute, come quelli relativi all’uso di alcol e droghe. Alcuni studi stanno cercando di realizzare degli strumenti di lavoro pratici per una precoce individuazione del disagio in età adolescenziale da correlare alle valutazioni psico-socio-comportamentali ottenute con i bilanci di salute (G. De Luca et al., in corso di realizzazione). A questo proposito, un strumento socioeconomico come L’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente), utilizzato dallo Stato e da numerosi Enti Locali per individuare soggetti effettivamente portatori di bisogni, permette di conoscere l’immediata combinazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, della famiglia del soggetto interessato. La combinazione dei due strumenti, il bilancio di salute, Bibliografia 1. 2. 29 Bookman RR. The age of “Adolescence”. J Adol Health 1995; 16:635-637 Vullo C. La medicina dell’adolescenza. In: Manuale di adolescentologia, Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. Saggese G, Bertelloni S. I bilanci di salute dell’adolescente. Riv.Ital.Pediatr. 1998;24:517-520. 16. Saggese G. Bertelloni S. Giovani a rischio. Il Pediatra adolescentologo regista degli interventi. Min Pediatr 2002; 54:483-488. 17. Pintor C, Mostallino B. La comunicazione nell’adolescente: comunicare la prevenzione. Min Pediatr 2002; 54:579-586 18. Green M. Guidelines for health supervision of infant, children and adolescent. National Center for Education in Maternal and child Health, Arlington, 1994 19. Delibera Giunta Regionale Calabria del 4 agosto 2003 n° 616: B.U.R. Calabria del 22 settembre 2003 (suppl straord n° 3 al n° 17 del 16 settembre 2003) 20. Perkins K, Ferrari N, Rojas A, et al. You won’t known unless you ask. The biopsychological interwiew for adolescent. Clin Pediatr 1997; 36:79-86 21. Vullo C. Disagio e devianze: le possibilità di intervento del pediatra. Min Pediatr 2000; 52:453-461 22. De Toni T, Fontana I. Le infezioni sessualmente trasmesse. Min Pediatr.2000 54:539-545 23. Gans JE, Alexander B, Chu RC, et al. The cost of comprehensive medical services for adolescents. Arch Ped Adol Med 1995; 149:126-134 24. Brusoni G. Il ruolo del pediatra di famiglia. Riv Ital Ped 1999; 25:17-22 a cura di Vincenzo De Sanctis, Ed. Pacini Pisa 2002; 1.1:13-15. Saggese G, Bertelloni S. I bilanci di salute nell’adolescente. Riv Ital Pediatr 2001; 27:656-659 De Luca G. I bilanci di salute all’adolescente. Atti del Congresso “Giornate pediatriche meridionali FIMP” Giugno 2003, in corso di pubblicazione Marinello R. Il problema dell’accesso ai servizi degli adolescenti. Riv Ital Pediatr 2001; 27:670-673. De Toni E, Aicardi G, De Toni T et al. Le esigenze di salute dell’adolescente. Riv Ital Pediatr 1985; 11:252-267. Piano Sanitario Nazionale 1998-2000.“Un patto di solidarietà per la salute”. DPR 15.05.1998. DPR 28 luglio 2000 n° 270 e n° 272. G.U. del 2 ottobre 2000. Saggese G, Bertelloni S. L’adolescente: una competenza del pediatra! Riv Ital Pediatr 2000; 26:263-265. American Medical Association. Guidelines for adolescent preventive services. Chicago Ill: American Medical Association, 1992. American Academy of Pediatrics: Committee on practice and ambulatory medicine. 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Giampaolo De Luca Via Tevere 9/b - 87032 Amantea (CS) I nostri obiettivi Chi siamo Un’Associazione di volontariato, senza scopi di lucro con l’intento di sostenere il progetto di uno “Studio Italiano Sindrome di Klinefelter”, nata dalla volontà di un gruppo di portatori della sindrome stessa che sulla base della loro esperienza personale, si sono resi conto dell’informazione insufficiente e, a volte, inesatta che si riscontra purtroppo fra buona parte degli operatori sanitari, che mostrano un approccio sbagliato alla sindrome di Klinefelter (SK) e di conseguenza anche ad un atteggiamento “non adeguato” per i loro pazienti. Tale situazione contribuisce ad aumentarne i problemi di natura psicologica (al momento della diagnosi può venir detto loro che sono destinati ad una morte prematura, che possono avere problemi di orientamento sessuale, ecc). Sarebbe invece indispensabile fornire tutto il supporto necessario a migliorare la loro qualità di vita. Vogliamo evitare che nuovi individui portatori della SK, debbano subire lo stesso calvario. L’Associazione ha un Comitato Scientifico di Ricerca, per realizzare una casistica odierna ed uno studio aggiornato sulla SK, ritenuta erroneamente una sindrome rara.In realtà la sua incidenza è tale da interessare un individuo maschio su 500 nuovi nati (secondo recenti studi condotti in Danimarca, la frequenza potrebbe essere di 1:400) e se diagnosticata precocementepossono essere prevenute o più adeguatamente trattate le complicanze a carico di diversi organi ed apparati (disturbi del linguaggio e della socializzazione, deficit di androgenizzazione, osteoporosi, cancro alla mammella, disfunzione tiroidea, , diabete, sterilità, ecc….). INFORMAZIONE CAPILLARE su tutto il territorio nazionale, rivolta agli operatori delle strutture sanitarie oltre che ad insegnanti ed educatori in genere (in un bambino la SK si manifesta di solito con problemi di natura “comportamentale”) SENSIBILIZZARE cittadini, Enti Pubblici e Privati, Autorità, Medici ecc… sui problemi dei soggetti affetti da SK, promuovendo interventi per il potenziamento della ricerca scientifica e genetica ed incentivando altresì l’elaborazione di terapie per la gestione e cura della sindrome stessa o delle sue complicanze. PROMUOVERE interventi legislativi a favore dei soggetti affetti da SK e servizi pubblici atti ad assicurare maggiore attenzione assistenziale ai portatori della sindrome ed alle loro famiglie (esenzione totale del ticket, somministrazione gratuita di testosterone similmente a quanto accade per altre patologie in cui sono presenti deficit ormonali, istituzione di un’anagrafe genetica utile anche per altre patologie sostenute da anomalie cromosomiche, ecc…) FORNIRE alla Ricerca il supporto necessario alla realizzazione di un iter diagnostico e terapeutico tale da inserire la SK fra le patologie più frequenti tra quelle a base genetica, dando la possibilità a coloro che ne sono affetti di poterci convivere evitando tutte le patologie che ne possono derivare; ciò è possibile soltanto con una diagnosi ed una terapia effettuate precocemente, fin dalla pubertà EDUCARE alla giusta interpretazione della SK, che è a tutt’oggi considerata dai più una sindrome a decorso “deficitario”, soprattutto dal punto di vista intellettivo e delle capacità cognitive, secondo uno stereotipo non sempre corrispondente alla realtà, soprattutto per il cariotipo 47,XXY. Come puoi aiutarci Ti puoi associare in qualità di: – Socio Ordinario: versando una quota annuale di Euro 25,00 e partecipando attivamente alle nostre iniziative ed attività nel tuo tempo libero – Socio Sostenitore: versando un contributo a partire da Euro 35,00 In entrambi i casi, verrai costantemente informato degli obiettivi raggiunti e delle modalità con cui l’Associazione opera. N.B : Tutti i contributi devono essere versati sul c/c bancario n° 2098/03 –Banca Toscana Ag. 1-P.zza Cavour,18- Livorno Cod. ABI 3400 Cod. CAB 13901 intestato a: ONLUS KLINEFELTER ITALIA, indicando sempre la causale del versamento. Non esiste nessun nostro Associato, autorizzato a richiedere somme di denaro contante. Il nostro sito web è: www.klinefelter.it, la e-mail è: [email protected] 30 Istruzioni agli Autori Obiettivo della rivista La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, organo ufficiale della Società Italiana di Medicina dell'Adole-scenza, si propone di favorire la cultura e la conoscenza degli aspetti medici, etici, educativi e psicosociali della età adolescenziale con l’obiettivo di migliorare l’approccio all’assistenza ed alle problematiche dell’età evolutiva. La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza pubblica articoli di aggiornamento, articoli originali, casi clinici, note di laboratorio, rassegne specialistiche di Esperti di diverse discipline mediche (pediatria, medicina legale, dermatologia, ginecologia, andrologia, odontoiatria, diagnostica di laboratorio e per immagini, medicina dello sport). Articoli in supplementi al fascicolo Payne DK, Sullivan MD, Massie MJ. Women’s psychological reactions to breast cancer. Semin Oncol 1996; 23 (Suppl 2):89 Preparazione degli articoli Gli articoli devono essere dattiloscritti con doppio spazio su fogli A4 (210 x 297 mm), lasciando 20 mm per i margini superiore, inferiore e laterali. La prima pagina deve contenere: titolo, nome e cognome degli autori, istituzione di appartenenza e relativo indirizzo. La seconda pagina deve contenere un riassunto in italiano ed in inglese e 2-5 parole chiave in italiano ed in inglese. Per la bibliografia, che deve essere essenziale, attenersi agli “Uniform Requirements for Manuscript submitted to Biomedical Journals” (New Eng J Med 1997; 336:309). Più precisamente, le referenze bibliografiche devono essere numerate progressivamente nell’ordine in cui sono citate nel testo (in numeri arabi tra parentesi). I titoli delle riviste devono essere abbreviate secondo lo stile utilizzato nell’Index Medicus (la lista può essere eventualmente ottenuta al seguente sito web: http://www.nlm.nih.gov). Figure e Tabelle Per favorire la comprensione e la memorizzazione del testo è raccomandato l’impiego di figure e tabelle. Per illustrazioni tratte da altre pubblicazioni è necessario che l’Autore fornisca il permesso scritto di riproduzione. Le figure (disegni, grafici, schemi, fotografie) devono essere numerate con numeri arabi secondo l’ordine con cui vengono citate nel testo ed accompagnate da didascalie redatte su un foglio separato. Le fotografie possono essere inviate come stampe, come diapositive, o come immagini elettroniche (formato JPEG; EPS, o TIFF). Ciascuna tabella deve essere redatta su un singolo foglio, recare una didascalia ed essere numerata con numeri arabi secondo l’ordine con cui viene citata nel testo Articoli standard di riviste Parkin MD, Clayton D, Black RJ, Masuyer E, Friedl HP, Ivanov E., et al. Childhood leukaemia in Europe after Chernobil: 5 year follow-up. Br J Cancer 1996; 73:1006 Libri Ringsven MK, Bond D. Gerontology and leadership skill for nurses. 2nd ed. Albany (NY): Delmar Publisher; 1996 Capitolo di un libro Phillips SJ, Whisnant JP. Hypertension and stroke. In: Laragh JH, Brenner BM, editors. Hypertension: pathophysiology, diagnosis, and management. 2nd ed. New York: Raven Press; 1995, p.465 Come e dove inviare gli articoli Oltre al dattiloscritto in duplice copia, è necessario inviare anche il dischetto magnetico (formato PC o Mac) contenente il file con il testo e le tabelle. Gli articoli vanno spediti al seguente indirizzo: Dott. Vincenzo De Sanctis Società Italiana di Medicina della Adolescenza Arcispedale S. Anna Corso Giovecca 203 44100 Ferrara Articoli con organizzazioni come autore The Cardiac Society of Australia and New Zealand. Clinical exercise stress testing. Safety and performance guidelines. Med J Aust 1996; 164:282 E-mail: [email protected] 32 Caso Clinico Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Una giovane adolescente con amenorrea primaria e dolori addominali ricorrenti Riassunto La sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser (MRKH) è una rara causa di amenorrea primaria caratterizzata da malformazioni delle strutture mülleriane (utero, 2/3 posteriori della vagina) (100%), eventualmente associate ad anomalie del tratto urinario (36%) e dello scheletro (colonna vertebrale) (10-20%). Meno frequentemente si possono presentare deficit staturale e sordità. Il cariotipo è femminile normale (46, XX) e ciò permette la diagnosi differenziale con alcune forme di pseudoermafroditismo maschile, come la sindrome di Morris o il deficit di 17β-idrosteroidodeidrogenasi, in cui si ha fenotipo femminile e assenza di derivati mülleriani ma cariotipo 46, XY. Viene descritta una giovane adolescente (età 13, 6/12) con storia clinica di dolori addominali ricorrenti, agenesia renale monolaterale, normale sviluppo puberale e amenorrea primaria affetta da sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser. Vengono inoltre delineati i vari quadri clinici con cui si può manifestare la sindrome e i possibili trattamenti. Silvano Bertelloni1, Franca Fruzzetti2, Piernicola Garofalo3 2 1 Sezione di Adolescentologia, Divisione di Pediatria II Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Università di Pisa, Ospedale Santa Chiara, Pisa 3 Divisione di Endocrinologia, Ospedale “V. Cervello”, Palermo Presentazione del caso Una giovane adolescente di 13 anni e 6/12 viene ricoverata per “amenorrea primaria in soggetto con dolori addominali ricorrenti”. Pz. è nata da terza gravidanza, preceduta da due aborti e decorsa regolarmente; parto eutocico a 38 settimane; peso alla nascita g. 2950. Il periodo perinatale e lo sviluppo psicomotorio vengono riferiti nella norma. Anamnesi familiare e patologica remota senza note di rilievo. All'età di 10.5 anni, la bambina ha iniziato a presentare dolori addominali ricorrenti per i quali il pediatra ha predisposto un ricovero presso una struttura ospedaliera durante il quale sono stati effettuati vari esami risultati nella norma, ad eccezione di un'ecografia renale dalla quale emergeva l’assenza del rene di sinistra con rene destro vicariante. La funzionalità renale risultava conservata e non vi erano segni clinici o di laboratorio di infezioni delle vie urinarie. A quel momento, la ragazza presentava una crescita nella norma per le potenzialità genetiche [statura cm 134 (25-50° centile), statura bersaglio cm 155.0 (10-25° centile)], un sovrappeso (eccesso ponderale 15% rispetto al peso ideale per la statura), ed una certa progressione dello sviluppo puberale (stadio puberale B2/3; Ph2). Una radiografia del polso e della mano sinistra dimostrava un'età ossea di 11.5 anni. Circa tre anni dopo, perdurando il dolore addominale e non avendo ancora avuto il menarca nonostante lo sviluppo somatico ormai completato, la giovane giunge alla nostra osservazione. All’ingresso, i genitori riferiscono che la ragazza non presenta abitudini dietetiche anomale, anche se saltuariamente adotta regimi nutrizionali leggermente restrittivi per non aumentare di peso; non beve alcolici e non fuma. I dolori addominali e si presentano ancora con una certa ciclicità e recedono con l’assunzione di antidolorifici. All’esame obiettivo, la giovane presenta uno sviluppo puberale quasi completato, ma non ha avuto menarca; esiste una certa disarmonia tra sviluppo del seno e quello della peluria androgeno-dipendente (Tabella 1); la statura è adeguata a quella bersaglio e l’età ossea avanzata di 1 anno rispetto a quella cronologica. Nonostante un leggero deficit ponderale, il peso risulta nella norma per la statura (Tabella 1). Anche i comuni esami di laboratorio e la funzionalità renale risultano nella norma. La valutazione endocrinologica mette in evidenza livelli sierici di gonadotropine e di steroidi ovarici e sur- Parole chiave: Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser, amenorrea primaria, agenesia utero-vaginale, agenesia renale. Primary amenorrhea and cyclic abdominal pain in a young adolescent Summary Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser syndrome is a rare disorder characterized by the congenital absence of müllerian structures (i.e. uterus and vagina) (100%). Renal and/or urinary tract abnormalities (30%) as well as spine defects (10-20%) may also be present. Other abnormalities, as growth delay and deafness, may be associated with a lesser frequency. Karyotype is normal female (46, XX); this finding permits to differentiate the syndrome from some forms of male pseudohermaphroditism with complete female phenotype, as complete androgen insensitivity syndrome or 17β-hydroxysteroid deydrogenase deficiency, in which karyotype is 47, XY. A young adolescent (13.5 years) with normal pubertal development but primary amenorrhea, cyclic abdominal pain, and unilateral renal agenezia was reported, in whom the diagnosis of Mayer-Rokitansky-KusterHauser syndrome was made. The clinical spectrum of the syndrome is detailed and the treatment and adult outcome are also outlined. Key words: Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser syndrome, primary amenorrhea, uterus and vagina agenesia, renal agenesia. renalici nella norma per l’età (Tabella 2). L'ecografia addominale conferma l'agenesia renale sinistra (Figura 1a); viene inoltre eseguita un’ecografia pelvica che dimostra la presenza di un corpo uterino ipoplasico (Figura 1b). Alla visita ginecologica si riscontra l'assenza dell'orifizio vaginale, associato ad un orifizio uretrale spostato in basso con ipertrofia delle piccole labbra, mentre il clitoride e le grandi labbra risultano nella norma. Il cariotipo è 46, XX. La laparoscopia conferma la presenza di un abbozzo di corpo uterino, l’assenza della cervice e della parte superiore della vagina. 33 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Figura 1a e 1b. Ecotomografia dell’addome inferiore dimostrante l’agenesia uterina e renale. A B Diagnosi Tabella 1. Valutazione auxologica. Età cronologica, anni: 13, 6/12 Età ossea, aa*: 14, 6/12 Altezza, cm: Sindrome di Mayer-Rokitansky-KusterHauser (MRKH) (OMIM 277000) 159.0 (50° centile) Peso, kg: 49.3 Deficit ponderale, %: –5.2 Stadio puberale (Tanner): B5 Ph3 I2 Statura bersaglio, cm: 155.0 (+8.5) Statura bersaglio, SDs: –1.20 Statura prevista, cm**: 161.2 Statura prevista, SDs: –0.20 Si tratta di una rara patologia congenita (incidenza 1 : 5.000 nati femmine) (1), ma che rappresenta la seconda causa di amenorrea primaria (2). La patogenesi della sindrome di MRKH è riconducibile ad un’alterazione nello sviluppo embrioniario dei dotti paramesonefrici di Müller, che sono responsabili della formazione delle tube, dell'utero e dei 2/3 posteriori della vagina (2). Alcuni autori indicano la sindrome con il termine di “aplasia mülleriana” (OMIM #158330), ma questo termine andrebbe riservato ad una condizione in cui vi è anche assenza o ipoplasia delle tube, probabilmente legata a mutazioni nel gene che codifica per il fattore di trascrizione epatica-2 (3). La ricorrenza in più membri di una stessa famiglia ha suggerito una possibile origine genetica anche per la sindrome di MRKH (3). Tuttavia, ad oggi non è stato individuato alcun singolo gene responsabile di questa anomalia, nonostante i molti che sono stati esaminati (4, 5). Si ritiene pertanto più plausibile un’ereditarietà di tipo poligenico/multifattoriale con un basso rischio di ricorrenza (1-2%) (5). Dal punto di vista clinico, la sindrome di MRKH si caratterizza per l’assenza della vagina, che di solito è rappresentata da un breve canale che termina a cul di sacco, di lunghezza intorno a 1-2 cm, che deriva dall’invaginazione del seno urogenitale (2, 5). In alcune pazienti la vagina può essere di maggiori dimensioni e permettere rapporti sessuali soddisfacenti (5). Per definizione, si ha agenesia o grave ipoplasia dell'utero (2). Possono comunque essere presenti dei residui uterini con zone endometriali funzionanti, che determinano l’insorgenza di dolori addominali ciclici al momento dello sviluppo puberale (2, 6). La funzionalità ovarica, lo sviluppo dei caratteri * valutata con il metodo di Greulych & Pyle; **valutata con il metodo di Bayley e Pinneau. Tabella 2. Valutazione endocrinologica. Pz. Valori normali* LH, mU/ml 6.9 2-15 (FF) FSH, mU/ml 8.7 2-12 (FF) 17-β-estradiolo, pg/ml 72.1 20-90 (FF) Progesterone, ng/ml 5.8 0.1-3 (FF) Cortisolo, ng/ml 220 60-300 17-idrossiprogesterone, ng/ml 0.7 0.1-0.8 (FF) DHEAS, µg/dl 90.7 0.3-4 Testosterone, ng/ml 0.1 0.1-0.8 *Post-puberali (Laboratorio di Endocrinologia Ginecologica, Università di Pisa); Pz. = paziente; FF = fase follicolare. 34 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Una giovane adolescente con amenorrea primaria e dolori addominali ricorrenti sessuali secondari e l'accrescimento staturale sono usualmente nella norma (2). La diagnosi viene usualmente posta al momento della pubertà per l'assenza del menarca in un soggetto con normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Il cariotipo è femminile normale (46, XX) (2, 6). Sono state comunque descritte delle rare pazienti con associata insufficienza ovarica, eventualmente associata a mosaicismo dei cromosomi sessuali (5). Alcuni autori distinguono due forme cliniche distinte, una forma classica di sindrome MRKH, in cui sono presenti solo le anomalie uterine e vaginali, ed una forma più complessa o non classica nella quale sono presenti anche altre anomalie, principalmente a carico del rene (30%), della colonna vertebrale (10-15%) e dell’apparato uditivo (10%) (7); per quest’ultima condizione è stato proposto il termine di sindrome GRES [genital (G), renal (R ), ear (E), skeletal (S)] (7). Un’aplasia dei derivati mülleriani può inoltre essere presente in alcune sindromi polimalformative (Tabella 3) (5), suggerendo la necessità di un’accurata valutazione clinica e strumentale in tutte le pazienti con anomalie di sviluppo dell’utero e della vagina. Diagnosi differenziale Le principali forme di amenorrea primaria dalle quali la sindrome di MRKH deve essere differenziata sono rappresentate dalla sindrome di Turner (disgenesia gonadica) e da alcune forme di pseudoermafroditismo maschile, come l’insensibilità completa agli androgeni (o sindrome di Morris) e il deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi (8, 9) (Tabella 4). Tabella 3. Sindrome MRKH: forme cliniche. Forma Caratteristiche Classica Non classica o complessa* Tabella 4. Principali cause di amenorrea primaria. Aplasia isolata di utero, cervice e vagina Aplasia dei derivati mülleriani Anomalie renali** Anomalie scheletriche Sordità congenita Disgenesia gonadica Sindrome di Turner disgenesia gonadica XX pura Malformazioni Sindrome di MRKH (aplasia mülleriana) atresia vaginale-setto vaginale trasverso imene imperforato Pseudoermafroditismi maschili Resistenza completa agli androgeni Deficit di 17β-idrossisteroido deidrogenasi Associata a sindromi S. di Wolf-Hirschhorn (o delezione 4p) malformative S. di Goldenar (o facio-auricolo-vertebrale) S. di Al-Awadi (o ipoplasia gambe-pelvi-utero) S. di Roberts Associazione MURCS*** Embriopatia da talidomide Ritardo semplice del menarca *sindrome GRES; **l’associazione tra agenesia uterina e difetti di sviluppo renale è a volte indicata con il termine “adisplasia urogenitale”; ***MU: aplasia mülleriania; R: aplasia renale; CS: displasia dei somiti cervico-toracici. Iperandrogenismo- Sindrome dell’ovaio policistico Insufficienza gonadotropinica Anoressia mentale Iperprolattinemia - Adenomi ipofisari o masse della regione ipotalamica Ipotiroidismo dell’adolescente Malattie croniche non endocrine Tabella 5. Sindrome di MRKH: diagnosi differenziale. Criterio clinico Sindrome di MRKH Sindrome di Turner Sindrome di Morris Deficit di 17β-idrossisteroidodeidrogenasi Sviluppo mammario normale assente o ridotto normale assente o ridotto Peluria ascellare e/o pubica: presente presente assente o scarsa irsutismo marcato Vagina assente o corta normale normale o corta normale o corta Clitoride normale normale normale o ipoplasico normale o ipertrofico Ernia inguinale mono/bilaterale assente assente spesso presente (40-50%) presente (~100%) Livelli di testosterone femminili normali femminile normali/ridotti maschili normali/elevati maschili normali Livelli di estrogeni femminili normali ridotti o indosabili maschili aumentati maschili normali Livelli di LH normali elevati normali o aumentati normali o aumentati Livelli di FSH normali elevati normali o aumentati normali o aumentati Cariotipo 46, XX 45, X/vari mosaici 46, XY 46, XY – – mutazioni gene AR mutazioni gene 17βHSD3 Anomalia genetica 35 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Nella sindrome di Turner la diagnosi viene di solito posta in età prepuberale per la presenza di bassa statura associata a segni dismorfici, come pterigium colli, cubito valgo, basso impianto delle orecchie, epicanto, ptosi palpebrale, torace largo, nei multipli, brachimetacarpia (8); nelle pazienti con diagnosi tardiva, l’assenza o l’arresto dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari associati ad elevati livelli di gonadotropine permettono di sospettare la sindrome che sarà confermata dall’esecuzione del cariotipo (cariotipo 45, X o vari mosaicismi); all’ecografia l’utero, benché infantile, è normalmente presente (8). Le pazienti con sindrome di Morris (Tabella 5) giungono frequentemente all’osservazione per amenorrea primaria, ma dal punto di vita clinico presentano una peluria androgeno dipendente del tutto assente o molto scarsa con normale sviluppo del seno; possono inoltre presentare ernia inguinale mono o bilaterale, che a volte consente la diagnosi già in epoca prepuberale (9). Dal punto di vista di laboratorio, all’agenesia uterina e vaginale si associano livelli di testosterone nel range di normalità per un soggetto di sesso maschile. Il deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi presenta molti caratteri in comune con la sindrome di Morris (Tabella 5), ma dal punto di vista clinico si differenzia per la notevole virilizzazione del fenotipo, con marcato sviluppo della peluria androgeno-dipendente e clitoridomegalia, ma assenza completa o parziale di sviluppo del seno. In quasi il 100% dei soggetti è presente un’ernia inguinale contenente i testicoli (10). In ambedue queste ultime condizioni il cariotipo è 46, XY e la diagnosi può essere confermata da indagini di biologia molecolare che permettono di mettere in evidenza specifici difetti genetici (Tabella 5). Tabella 6. Sindrome di MRKH: successo delle tecniche di ricostruzione della vagina (11). Metodo n Successo funzionale, % Dilatatori 334 86 Neovagina cutanea 1311 92 Vaginoplastica intestinale 152 93 Vaginoplastica peritoneale 268 77 Intervento di Vecchetti (convenzionale) 548 100 Intervento di Vecchetti (laparoscopico) 65 95 È inoltre possibile una gravidanza surrogata con l’utilizzo di tecniche di fertilizzazione in vitro e donatrici di utero (2, 11). Bibliografia Evoluzione in età adulta e terapia La sindrome di MRKH non compromette né il potenziale di vita né la funzione gonadica delle pazienti, ma naturalmente ha un importante impatto sul benessere psico-sociale della donna, poiché alla sindrome conseguono infertilità per cause anatomiche e, in molte pazienti, impossibilità parziale o totale ad avere rapporti sessuali completi soddisfacenti (2, 6, 11). Vi è quindi la necessità di un follow-up prolungato di queste pazienti da parte di un team che comprenda almeno ginecologo, neuropsichiatra e psicologo, anche per gli importanti risvolti psicologici nelle pazienti (2, 11) (The missing vagina monologue: ”il mio problema non è capire come o perché si è realizzata la malattia, ma come poter convivere normalmente con essa”). A questo riguardo, può essere di particolare rilevanza l’apporto dato da gruppi di supporto e associazioni di pazienti (per esempio www.mrkh.org). Dal punto di vista pratico è possibile effettuare interventi di chirurgia plastica, anche in laparoscopia o mediante l’applicazione di intrusi, che portano alla formazione di un canale vaginale in grado di permettere alla maggioranza di queste donne una normale vita sessuale (Tabella 6) (11). 1. Aittomäki K, Hille H, Kajanoja O. A population-based study of the incidence of müllerian aplasia in Finland. Fertil Steril 2001; 76: 624-625 2. Carter SM, Gross SJ. Mayer-Rokitasnky syndrome. www.emedicine.com/ped/topic1381.html (access december 1, 2003) 3. McKusick VA. Mullerian aplasia. www.ncbi.nlm.nih.gov:80/omim (access december 1, 2003) 4. Timmreck LS, Pan HA, Reindollar RH, Gray MR. WNT7A mutations in patients with Mullerian duct abnormalities. J Pediatr Adolesc Gynecol 2003; 16: 217-221 5. Simpson JL. Genetics of the female reproductive ducts. Am J Med Genet 1999; 89: 224-239 6. Speroff L, Glass RH, Kase NG. Amenohrrhea. In: Clinical gynecologic endocrinology and infertility. Baltimore: Williams and Wilkins, 1994: p. 401-456 7. Strubbe EH, Cremers CW, Willemsen WN, Rolland R, Thijn CJ. The Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser (MRKH) syndrome without and with associated features: two separate entities? Clin Dysmorphol 1994; 3: 192-199 8. Balestrazzi P, Lorenzetti ME, Ingrosso MR, Pietta R, Massari A, Utta M. La sindrome di Ullrich-Turner. In: Balestrazzi P (ed) "Linee guida assistenziali nel bambino con patologia malformativa", Milano, Editrice CHS 1994, p. 187-203 9. Bertelloni S, Saggese G. Pseudoermafroditismi maschili. In: De Sanctis V, Bertelloni S (eds): Andrologia endocrinologica dell'età evolutiva. Roma: Mediprint, 2000; p. 77-89 10. Bertelloni S, Federico G, Hiort H. 17β-hydroxysteroid deydrogenase-3 deficiency: genetics, clinical findings, diagnosis and molecular biology. Ital J Pediatr, in press 11. Edmonds DK. Congenital malformations of the genital tract and their management. Best Pract Res Clin Obstet Gynaecol 2003; 17: 19-40 Corrispondenza: Dr. Silvano Bertelloni Sezione di Adolescentologia, Divisione di Pediatria II Università di Pisa, Via Roma, 67 - 56125 Pisa e-mail: [email protected] 36 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Sportello andrologico permanente Mattia Maria Sturniolo 1, Maria Carlucci 2, Carmine Curcio 2, Alessandro Papini 3, Mirella Cruscomagno 4, Loredana Vulcano 1, Francesco Salvestrini 2 1 U.O. Educazione Sanitaria A.S. 2 – Castrovillari (Cosenza) Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica Sezione di Urologia, Università degli Studi di Siena 3 U.O.di Urologia - Arezzo 4 Insegnante referente alla salute – Istituto Alberghiero di Stato – Castrovillari (Cosenza) 2 L a decisione di sviluppare un progetto di prevenzione andrologica a livello della scuola media superiore è nata dalla constatazione che durante questa età si possono sviluppare alcune patologie che possono avere importanti ripercussioni sulla fertilità e sul comportamento sessuale in età adulta. La scuola rappresenta l’ambiente ideale per sviluppare progetti di educazione alla salute in quanto in essa è possibile creare spazi protetti di “ascolto” atti a favorire un contatto tra adolescenti e medici. L’Istituto Alberghiero (IPSSAR) di Castrovillari, raccogliendo la richiesta di un progetto preventivo in campo andrologico (Tabella 1), si è reso disponibile come “scuola pilota” a collaborare con l’U.O. di Educazione alla Salute, dimostrando grande sensibilità alle problematiche della salute fisica e mentale maschile. Durante l’anno scolastico 2002/03 è stato istituito all’interno dell’Istituto Alberghiero uno “Sportello Andrologico permanente” settimanale mirato a fornire agli studenti, che ne facevano richiesta, informazioni atte a promuovere la tutela della salute riproduttiva e sessuale maschile. Tabella 1. Obiettivi del progetto 1. Fornire un’adeguata e completa informazione sulle probematiche della salute maschile. (Tale azione preventiva risulta importante e necessaria per contrastare informazioni distorte, reticenze e pregiudizi sulla salute sessuale e riproduttiva). 2. Offrire durante la vita scolastica l’opportunità di incontri individuali e/o di gruppo con un medico competente su problemi andrologici e di educazione alla salute. (Porgere informazioni corrette; approfondire, accogliere e sostenere i ragazzi durante lo sviluppo sessuale e riproduttivo). 3. Aiutare a superare il comune pudore della visita medica alla quale purtroppo molti giovani e adulti sfuggono. Come il progetto è stato strutturato È stato adottato il metodo dell’educazione tra pari, attivato in molti programmi di prevenzione, nel quale è determinante l’abbandono di comportamenti dannosi e l’adozione di atteggiamenti a tutela della salute. Durante gli incontri particolare attenzione è stata rivolta al processo comunicativo ed agli aspetti fisiologici. Il medico è stato accompagnato nelle classi dall’insegnante referente alla salute, figura a cui gli studenti si affidano ed espongono le loro problematiche fin dal primo anno di Istituto. Allo scopo di sensibilizzare gli studenti al progetto, il percorso formativo è stato presentato da un medico agli studenti delle classi quarte e quinte. L’operatore ha ritenuto opportuno far partecipare a questa fase del programma anche le studentesse, poiché le tematiche avrebbero affrontato anche i problemi di coppia. Inoltre le ragazze, più abituate alla visita ginecologica, hanno potuto contribuire a convincere i loro compagni di classe a sottoporsi alle visite andrologiche, con meno timori. 37 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Il numero degli studenti che ha richiesto un colloquio individuale o la visita è costantemente aumentato dopo i primi riscontri positivi dei loro coetanei. Gli studenti hanno espresso impressioni positive su tutto il percorso e hanno dichiarato di aver percepito il beneficio dal “sentirsi presi in seria considerazione per le loro problematiche”. Dagli incontri, sono emerse importanti tematiche della sfera fisica, sessuale, comportamentale, taciute o misconosciute fino a quel momento. Per spiegare l’utilità, i vantaggi, lo scopo dell’iniziativa che la scuola offriva loro, è stata adottata una terminologia semplice adatta all’età e al livello delle conoscenze degli studenti. È stata sottolineata la disponibilità all’ascolto e la rigorosa riservatezza. Inoltre, è stato ampiamente spiegato che la sessualità è qualcosa di cui si può parlare e, soprattutto, di cui un esperto si può far carico. Dopo questa prima fase informativa, l’operatore medico si è reso disponibile, con cadenza settimanale, per colloqui individuali o di piccoli gruppi. Durante i colloqui l’operatore ha cercato di creare un’atmosfera accogliente, di massima riservatezza e con disponibilità all’ascolto, evitando coinvolgimenti di tipo emotivo e/o giudicante. Alle domande e alle dichiarazioni di disagio, o preoccupazione, sono state date risposte ampie e chiare con spontaneità ma senza rinunciare al rigore scientifico. Inoltre, l’operatore, di fronte alla percezione di un disagio non verbalmente espresso, ha cercato di attivare opportune strategie per far emergere il “non detto”. Ad esempio discutendo casi generici nei quali l’intervento del medico è stato determinante per la risoluzione di un evento condizionante una relazione affettiva. Dalla prima fase di sensibilizzazione e dai colloqui, si è passati alla seconda fase del progetto, cioè l’esecuzione di uno screening andrologico. Hanno aderito 85 ragazzi dei 125 che frequentavano le classi IV e V. Dopo un’accurata anamnesi, sono state eseguite la visita clinica e l’ecografia uro-genitale, secondo le descrizioni semeiologiche e strumentali riportate in letteratura. Figura 1. Numero di patologie andrologiche rilevate in 40 studenti. Seconda fase Sessanta degli 85 ragazzi che avevano aderito alla seconda fase, sono stati visitati (70.5%). Dei 25 ragazzi non sottoposti a visita clinica, 5 erano assenti per motivi di salute e 20 perché impegnati in attività scolastiche in altra sede. In 20 su 60 ragazzi che sono stati visitati (33.3%), non è stata rilevata alcuna condizione patologica a carico dell’apparato riproduttivo; negli altri 40 soggetti è stata individuata una (n = 22) o più patologie andrologiche (Figura 1 e Tabella 2). La lunghezza del pene in stretching è risultata pari a cm 12.4±1.8 (media + DS) e la sua circonferenza pari a cm 9.6 ± 1.0. Tutti i ragazzi avevano completato lo sviluppo puberale. La presenza di eccesso ponderale ed obesità (BMI > 25) è stata rilevata nel 33% degli adolescenti (Figura 2). Numero degli studenti 25 22 20 15 12 10 5 5 1 0 1 2 3 Numero delle patologie 4 Figura 2. Percentuale di eccesso ponderale ed obesità (BMI > 25) negli studenti dell’Istituto Alberghiero di Castrovillari. Risultati Prima fase Durante gli incontri, sono stati osservati nei ragazzi vari atteggiamenti: scostanti, burloni, silenziosi, ipercritici. Tali comportamenti spesso celavano l’esigenza di essere “riconosciuti” e presi in considerazione. 38 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Esperienza sul campo Conclusioni Tabella 2. Principali tematiche emerse durante gli incontri L’istituzione dello “Sportello Andrologico permanente” durante l’anno scolastico 2002-03 in una scuola media superiore è stato motivato dall’esigenza di diffondere la cultura andrologica, consapevoli dell’importanza di una prevenzione primaria e secondaria preceduta da una fase di informazione e di educazione. Proporre una visita andrologica preventiva non è semplice. Molti giovani, e spesso anche gli adulti, risentono di retaggi culturali ancora esistenti, per cui effettuare programmi di prevenzione in questo campo richiede il dispendio di molte energie. A differenza di quanto è stato osservato in altre indagini, fin dal primo incontro, la maggioranza dei ragazzi ha manifestato un’immediata disponibilità per l’opportunità che si stava offrendo loro: uno spazio per essere ascoltati da una figura competente (medico) in grado di porgere elementi di confronto e di sicurezza evitando inquinamenti affettivi e giudicanti. La scuola è un luogo non solo di apprendimento di insegnamenti tradizionali, ma anche di socializzazione, di solidarietà e di confronto nel gruppo dei pari. Queste peculiarità facilitano la possibilità di prendersi cura degli adolescenti sia dal punto di vista medico che psicosociale. Sostenere i ragazzi e dare evidenza scientifica alle loro emozioni e alle loro relazioni sentimentali, considerandole operazioni fondamentali della mente, ha facilitato l’intervento di prevenzione e di convincimento alla visita andrologica. Sulla base dei risultati del primo anno di attività e la positiva ricaduta sul benessere dei giovani, l’IPSSAR ha confermato anche quest’anno lo ”Sportello Andrologico” dando l’opportunità ai suoi studenti di poter usufruire di un progetto educativo sulla salute sessuale maschile, convinti che la conoscenza induca a modificare comportamenti errati, pregiudizi e tabù che influenzano negativamente la sessualità e la vita riproduttiva in età adulta. rapporti sessuali protetti e non protetti non conoscenza di una sana igiene intima eiaculazione precoce e condizioni di stress relative infezioni difficoltà a trovare il tempo da trascorrere con la ragazza perché studenti lavoratori informazioni sul funzionamento degli anticoncezionali timori di affezioni patologiche a livello testicolare (varicocele) domande sulle esigenze dei partner carenze lessicali riferite problematiche di performance da parte di coloro che praticavano sport I risultati della visita clinica e la necessità di eventuali approfondimenti diagnostici, sono stati illustrati ad ogni singolo ragazzo, ed i risultati sono stati consegnati in busta chiusa ai genitori o ai medici curanti. È stato, inoltre, distribuito un opuscolo divulgativo sulla prevenzione andrologica. Tabella 3. Patologie andrologiche rilevate in 40 adolescenti dell’Istituto Alberghiero di Castrovillari (età: range 17-20 anni) Patologia n. casi Varicocele sinistro* Varicocele destro* Varicocele bilaterale* Disvolumetrie testicolari Recurvatum penieno dorsale Recurvatum penieno laterale sinistro Recurvatum penieno laterale destro Frenulo corto Fimosi Balanopostite aderenziale Cisti epididimo Criptorchidismo sinistro Idrocele bilaterale Ginecomastia bilaterale Ipotrofia testicolare bilaterale Oligospermia severa 28 1 1 6 1 3 1 7 8 1 3 1 1 1 1 1 Bibliografia essenziale Da Cortà Fumei M. Identità di genere, relazioni, sessualità, prevenzione: il ruolo della scuola. 1° Congresso Nazionale “La Prevenzione in Andrologia” Arezzo 19-20 maggio 2000 Rifelli G. Psicologia e psicopatologia della sessualità. Ed. Il Mulino, Bologna, 1998 Papini A. et al. Screening andrologico pediatrico. Nostra esperienza di due anni. Giornale Italiano di Andrologia 1997; 2:95 Sturniolo MM. et al. Indagine conoscitiva dei comportamenti di un campione di adolescenti che praticano sport. Min Ped 2002; 6:672 Skoog SJ, Roberts KP, Goldstein M, Pryor JL. The adolescent varicocele. What’s new with an old problem in young patients? Pediatrics 1997; 100:112 Corrispondenza: Dott.ssa Mattia Maria Sturniolo * di cui 17 di 1° grado, 7 di 2° grado, 6 di 3° grado Via San Giovanni Vecchio, I Traversa n. 6 - 87012 Castrovillari (CS) e-mail: [email protected] 39 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 Commento L’educazione alla salute può essere definita “l’insieme delle attività, procedure e proposte tecniche finalizzate al migliore sviluppo del benessere psicofisico degli adolescenti”. La scuola italiana, da alcuni anni, sta attraversando un periodo di trasformazioni dirette a realizzare progetti nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio, dell’educazione alla sessualità ed affettività, educazione alla salute, all’ambiente ed alla gestione delle emozioni. Agli insegnanti spetta il compito, oltre alla trasmissione di informazioni culturali, di svolgere un’educazione più ampia che aiuti i giovani a costruire una buona identità individuale e sociale. La ridefinizione dei processi educativi spesso avviene con la partecipazione degli operatori della sanità, che possiedono competenze nell’ambito dei meccanismi fisiopatologici dell’età evolutiva. Il progetto di Sturniolo e coll. è stato sviluppato per fornire, agli adolescenti dell’Istituto Alberghiero di Castrovillari, un’adeguata e completa informazione sulle problematiche della salute maschile (“Sportello andrologico permanente”). Oltre all’aspetto metodologico, che richiede abilità tecniche di insegnamento e padronanza relative all’educazione sessuale, tre aspetti che meritano di essere presi in considerazione: 1. il riscontro positivo, da parte degli adolescenti, per l’iniziativa proposta dai Medici e dalla Referente alla Salute della scuola; 2. l’interesse, da parte della scuola, di dare continuità al progetto andrologico; 3. il riscontro, alla visita medica, di patologie andrologiche non accertate in precedenza. Un recente studio da noi condotto in collaborazione con 31 pediatri di famiglia, che avevano in carico 4.577 ragazzi di età compresa tra i 10 e 14 anni (De Sanctis V e coll. “Il pediatra di famiglia e le patologie andrologiche: risultati di una indagine condotta con la collaborazione di 31 pediatri di base”. X Congresso Nazionale SIMA – 22-24 Ottobre 2003, pag. 135), ci ha convinti della necessità di dedicare più spazio, nei convegni di aggiornamento, ai problemi andrologici dell’adolescente. A nostro avviso la maggior parte dei pediatri ha bisogno di ricevere informazioni di base che gli consentano di inquadrare le problematiche andrologiche dell’età evolutiva, di conoscere i quadri clinici di più comune osservazione e di poter iniziare un adeguato iter diagnostico. Ciò non stupisce perché la situazione rispecchia abbastanza fedelmente ciò che accade nel campo della medicina dell’adulto, nel quale la ginecologia ha avuto sempre un grande spazio, mentre minore attenzione è stata riservata alle problematiche andrologiche. Vincenzo De Sanctis Ferrara 40 Insegnare la prevenzione Mirella Strambi Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione Sezione di Pediatria e Neonatologia, Università di Siena Dalla metà degli anni ‘50, l’aumento della criminalità giovanile e del tasso di povertà unitamente ai cambiamenti nell’organizzazione sociale e nella struttura del nucleo familiare con incremento delle separazioni, delle nascite fuori dal matrimonio, della mobilità delle famiglie hanno reso necessari maggiori investimenti ed iniziative per l’infanzia e l’adolescenza a livello scolastico, sociale e sanitario, aumentando il senso di responsabilità per la “care” dei giovani. Inizialmente, gli interventi sono stati programmati per rispondere alle crisi già esistenti e polarizzati su specifici obiettivi, come il contenimento e la riduzione dei crimini giovanili o la trasformazione dei caratteri deboli in personalità con un più elevato contenuto morale, ad esempio sviluppando le Case residenziali per ragazzi con disturbi della personalità. Successivamente, le nazioni (occidentali?) si resero conto che i problemi dei giovani diventavano più gravi e la società ne subiva sempre più gli effetti negativi, si svilupparono metodi di intervento e di trattamento a più ampio raggio. L’ultimo trentennio ha quindi visto lo sviluppo di numerosi servizi e di strategie politiche per cercare di ridurre il disagio giovanile. Inizialmente studiati per aiutare la famiglia, la scuola e la comunità, questi interventi sono poi stati rivolti al miglioramento delle condizioni di vita dei giovani. Avendo lo scopo di realizzare un trattamento precoce, la maggior parte di tali programmi è stata focalizzata alla prevenzione di singoli problemi e, non essendo realizzati tenendo conto delle teorie o dei modelli di ricerca basati sullo sviluppo psicofisico del bambino, si sono mossi in maniera disorganica e spesso in direzioni non univoche. Studi di risultato dimostrarono che questo approccio metodologico aveva scarsi effetti positivi sulle problematiche della salute dell’adolescente, come abuso di sostanze, gravidanza, malattie sessualmente trasmesse, abbandono scolastico, ingresso in percorsi di vita violenti e delinquenziali. Si iniziò quindi un percorso di rivalutazione critica dei precedenti interventi che, attraverso studi longitudinali, ha portato allo sviluppo di una seconda generazione di programmi di prevenzione; nei quali si è cercato di identificare i fattori di rischio più strettamente correlati ai disturbi del comportamento. Esempi di questa nuova metodologia d’intervento sono l’identificazione delle influenze esercitate da gruppi di pari sull’abuso di droghe, sull’attività sessuale precoce e sui modelli che favoriscono il reclutamento in questi stili di vita. Intorno al 1990 iniziò una profonda riflessione sugli sforzi di prevenzione che sino ad allora erano stati realizzati e che si indirizzavano solamente alla risoluzione di una singola problematica. I modelli correnti furono criticati perché ignoravano la coesistenza di più disturbi del comportamento in un singolo soggetto, ignoravano i fattori di rischio, dimenticavano di associare i fattori di rischio ambientali e personali e l’interazione tra l’individuo e l’ambiente, ed ignoravano i fattori positivi che promuovono un sano sviluppo psico-fisico. Tale riflessione ha portato ad una visione più globale del problema “prevenzione”, arrivando al convincimento che l’età di transizione tra quella del bambino e quella dell’adulto richiede molto più che evitare la droga, la violenza o l’attività sessuale precoce. Si dovrebbe cioè garantire uno sviluppo globale ed armonico del bambino in ambito sociale ed emotivo, rappresentando questo l’aspetto più importante per prevenire ogni condizione di disagio. Un sicuro legame di attaccamento con coloro che ne hanno cura serve al bambino come base per la separazione e l’esplorazione del mondo circostante, costruisce abilità e sviluppa quelle competenze sociali, emozionali, cognitive, comportamentali e morali che lo portano ad uno stabile senso di identità da cui dipende la stabilità nelle età successive. L’identità dell’adolescente è quindi strettamente connessa con le esperienze e con lo sviluppo della consapevolezza di sé che ha maturato nell’infanzia e nella pre-adolescenza, mentre uno sviluppo psico-affettivo insoddisfacente determina nel giovane la mancanza di un senso delle regole emozionali, delle proprie competenze, dell’efficacia interpersonale. La promozione della salute richiede oggi un nuovo sforzo per guardare ai temi della salute in positivo. Si tratta cioè di sviluppare per l’adolescenza una serie di azioni che mettano al centro del percorso l’adolescente nella sua interezza psico-fisica, superando i “vecchi” programmi centrati sulle malattie, sui malesseri, sulle situazioni a rischio. Pensare con maggiore efficacia alla prevenzione negli adolescenti sembra oggi possibile solo all’interno di una prospettiva promozionale, che ponga l’accento sull’aumento di occasioni, di spazi “da vivere”, di elementi propositivi. La prevenzione diviene, pertanto, un compito molto più complesso perché deve affrontare fenomeni multifattoriali, senza restringere in senso troppo patologico il campo, prefigurando un’ampia gamma di interventi, che in rapporto ad analisi ed obiettivi specifici, possano essere orientati maggiormente verso il sostegno a bisogni naturali di crescita piuttosto che alla riduzione di fattori di rischio e al contenimento di situazioni problematiche, in un continuum che va dalla promozione della qualità del processo di crescita, alla prevenzione delle diverse forme di devianza sia auto- che etero-distruttive. Si dovranno pertanto incentivare situazioni di cui gli adolescenti e i giovani non siano soltanto i destinatari o gli utenti, ma i reali protagonisti delle varie iniziative. Il mondo adulto deve saper accogliere la disponibilità, la creatività, la fantasia, la carica emotiva che gli adolescenti esprimono e, nel con- 41 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza Volume 2, n. 1, 2004 lo di curare i malati ed i giovani che scelgono di studiare Medicina lo fanno con questa idea. Per molti di essi, il fondamento della loro successiva etica professionale sarà prevalentemente quello di assumersi la responsabilità dei pazienti a loro affidati; in alcune specialità questo approccio centrato sulla cura dell’individuo malato è così dominante da escludere quasi completamente ogni visione degli altri problemi sanitari. Eppure se la malattia e la disabilità sono definibili, in negativo, come la perdita dello stato di salute, lo stato di salute altro non è se non l’equilibrio dell’uomo con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. Salute è armonia, salute significa rispetto tra uomini di etnie diverse e religioni diverse, fra uomini ed ambiente, fra le varie comunità degli studenti, fra docenti e studenti, tra Università, scuola e territorio. La personalizzazione dei curricula da parte delle Università ha offerto un’occasione importante per inserire gli opportuni messaggi sulla promozione della salute in tutte le discipline sanitarie. In questo senso, tutto il percorso formativo dovrebbe venire coinvolto in questi programmi, come suggerito dal network europeo organizzato dall’ufficio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulle Scuole che promuovono salute. Infatti, un’adeguata formazione degli operatori rappresenta il primo passo per dare valenza, struttura e continuità agli interventi di prevenzione finalizzati al benessere degli adolescenti. tempo, deve anche saper accettare la loro discontinuità, incoerenza e provocazione. Un’azione portante deve riguardare lo sviluppo di processi di integrazione che promuovano lo scambio di sapere, di saper fare e di informazione tra le varie risorse ed agenzie educative presenti sul territorio e tra queste e gli adolescenti, in modo da costruire una rete in grado di contenere e sostenere gli adolescenti ed i giovani nel loro percorso di crescita, promuovendo, di conseguenza, interventi preventivi realmente adeguati alle esigenze della famiglia, della scuola, della comunità. Si tratta di costruire un’azione di diffusa presa di coscienza che determini un salto qualitativo significativo, partendo da una situazione attuale nella quale si finisce sempre per affrontare, anche nel percorso di formazione, i problemi patologici anche se per discuterne in termini di prevenzione. Questo “nuovo” metodo di fare la prevenzione richiede ovviamente un’elevata professionalità di tutti i soggetti coinvolti, l’acquisizione della capacità di lavorare “insieme” da parte di soggetti differenti (famiglia, scuola, sociale, sanità, privato no profit) e l’esigenza di programmi di formazione alla prevenzione. Da questo nuovo percorso formativo non può essere estranea l’Università, ed in particolare la Facoltà di Medicina e Chirurgia. In tutte le società, il ruolo principale del medico viene visto come quel- Il costo dell’abbonamento annuale alla Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza è di euro 30,00 (3 numeri) da pagarsi sul conto corrente postale n. 20350682 intestato a Edizioni Scripta Manent via Bassini 41 20133 Milano. Gli abbonati riceveranno gratuitamente anche gli Atti del Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza 42 Gli adolescenti “attardati” Sara Ciacci, Fabio Franchini Dipartimento di Pediatria, Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze L’adolescenza, cioè la fase di sviluppo situata tra fanciullezza ed età adulta, è caratterizzata da specifici pattern psicologici che possono creare, nei giovani, un senso di inadeguatezza per una diversa percezione del sé con un senso di infelicità esistenziale ed una situazione di conflittualità con le persone circostanti. Alcuni Autori distinguono tra “pubertà”, riferendo questo termine soprattutto agli eventi clinici ed ormonali che caratterizzano lo sviluppo dei caratteri sessuali, e “adolescenza”. Questo secondo termine indicherebbe più propriamente l’accrescimento somatico generale e lo sviluppo psicologico. Molti ritengono che, indipendentemente dall’età, i comportamenti psico-sociali tipici dei teen-ager non si osservano finché il giovane non presenta le modificazioni ormonali che contraddistinguono la pubertà. Altri sostengono, invece, che i mutamenti psicosociali dei teen-ager si manifesterebbero anche nei giovani con ritardo puberale. La pubertà e lo sviluppo psico-sociale sono comunque tra loro interconnessi ed entrambi risultano essere importanti nella valutazione e nell’assistenza sanitaria dei giovani. Le ragazze manifestano i primi segni della pubertà tra gli 8 e i 10 anni di età. Nei ragazzi, i primi segni della pubertà compaiono circa due anni dopo rispetto alle ragazze, cioè fra i 10 e i 12 anni d’età. Sia nei ragazzi, sia nelle ragazze, le modificazioni somatiche della pubertà richiedono circa quattro anni per completarsi. L’adolescenza “avanzata”, cioè quella dopo il completamento dello sviluppo puberale tra i 18 ed i 25 anni o poco più, è rivolta essenzialmente all’assolvimento di alcuni “impegni”: ricerca della stabilità sociale ed economica; sviluppo dei valori; verbalizzazione dei concetti; ricerca del partner. Nella nostra società, vengono esercitate forti pressioni sugli studenti delle scuole medie-superiori, affinché prendano decisioni concernenti il loro futuro; entrando successivamente all’università o iniziando un lavoro. Il proseguimento dell’istruzione comporta spesso il mancato raggiungimento della libertà economica, poiché la maggior parte degli studenti universitari continua a dipendere finanziariamente dai genitori. Questo fatto può essere fonte di conflitti per molti giovani. La scelta professionale, nei Paesi in cui non è istituito un servizio sociale di orientamento professionale non è, a volte, fondata sulla constatazione delle attitudini necessarie per l’esercizio di un mestiere o di una professione, ma è il frutto di diverse condizioni: capricci dei giovani, errori o ambizioni dei genitori, influenza dell’ambiente, eccetera. Da ciò può scaturire una condizione di disagio psicologico, per quei giovani che, oltre a non tenere conto delle proprie inclinazioni naturali, non hanno avuto nessuno che li orientasse. Gli adolescenti “avanzati” sono impegnati anche nell’elaborazione di un sistema di valori applicabili agli eventi della vita; questo spiega, in parte, perché i giovani universitari evidenziano un inevitabile idealismo. Durante questo periodo, gli atteggiamenti ascetici sono comuni e molti giovani si uniscono a vari tipi di movimenti come gruppi religiosi. L’adolescente “avanzato” abbraccia le varie cause con estremo zelo, considerando spesso cose ed eventi in termini di “bianco o nero” e con apparente giusta indignazione. Questi atteggiamenti, possono essere per gli adulti (genitori ed insegnanti compresi), fonte di difficoltà di comunicazione, in quanto questo idealismo può portare a forme di esasperazione comportamentale. Parte dello sviluppo psicologico dell’adolescenza riguarda le capacità cognitive. Gli adolescenti “avanzati” hanno generalmente raggiunto la capacità di verbalizzare i loro concetti. I diciannovenni sono capaci di discutere per ore su argomenti che a loro interessano particolarmente a differenza dei teen-ager dove questa caratteristica sembra essere del tutto assente. Nella fase dell’adolescenza “avanzata”, il far parte di un gruppo diviene inoltre meno importante rispetto allo sviluppo di un’intima e stretta relazione con un individuo del sesso opposto. Questo tipo di relazione è diversa dalle precedenti esperienze eterosessuali, poiché comporta la creazione di un’intimità e di un interesse molto più profondo nei confronti dell’altro individuo. Gli adolescenti più giovani tendono invece a considerare la persona del sesso opposto come un “oggetto” da usare, piuttosto che un “individuo” del quale occuparsi intimamente. Sarebbe quindi necessario che oltre alle figure educative (insegnanti/genitori) il medico pediatra offrisse assistenza non solo ai “giovani” adolescenti, ma anche a coloro che hanno raggiunto l’adolescenza “avanzata”, seguendoli in quello che è il passaggio dall’assistenza di tipo pediatrico a quella propria dell’adulto. Inoltre, ai giovani che stanno raggiungendo l’età adulta sarebbe utile fornire un elenco di medici locali e dei centri assistenza che si occupano dei giovani. In tal modo, il rapporto tra il paziente e il pediatra, associato ad altre figure professionali, diventerebbe più professionale ed incoraggerebbe i giovani ad assumersi la responsabilità della propria salute fisica e psicologica. Bibliografia 1. Franchini F. Il pediatra e la personalità dell’adolescente. Centro Duplicazione Offset, Firenze, 1998. 2. Sacchi D. Apprendisti adulti. Bologna, McGraw-Hill 2003. 3. Savater F. Etica per un figlio. Roma, Laterza 1992 4. Vullo C., De Sanctis V. Curare gli adolescenti. Roma, NIS 1992 43 “Inventare” la propria identità Eugenia Bonfiglioli Studentessa Liceo Classico L. Ariosto di Ferrara Il grande tema di questi ultimi anni è l’adolescenza. Molti adulti si stupiscono di come i tempi siano cambiati, di come la nostra generazione sia così vuota di sentimenti e valori, oppure cerca solo di nasconderli. Una volta i giovani trasgredivano per ottenere qualcosa (il 1968 e le lotte studentesche), mentre oggi si ha tutto e si trasgredisce contro la propria persona. Tutti noi, durante il periodo che va da 13-20 anni, cerchiamo di inventare un’identità, il più possibile diversa dagli standard visti finora. Quante volte si vedono ragazzi che cambiano il loro modo ”d’essere” o meglio dire “d’apparire” perché solo così possono sentirsi amati e rispettati dalla società, vittime di una realtà sempre più martellante e complessa? Forse la risposta va cercata e sicuramente viene trovata nella nostra società che ci bombarda di pubblicità e ci costringe, già dall’infanzia, ad essere competitivi ed allo stesso tempo insicuri. Tutto questo iter porta poi a tragiche conseguenze, quali la droga, l’alcol e le numerose malattie alimentari e psicologiche, e una continua ricerca di un’identità mai avuta. Dunque riguardando il mio passato di studentessa, pur brillante e pieno di soddisfazioni, scopro che nel mio percorso scolastico è mancata proprio un’educazione alla salute che potesse responsabilizzare gli adolescenti. Il giovane italiano d’oggi è essenzialmente portato a non occuparsi della propria salute poiché vi sono scarse informazione e discussione sulle problematiche legate alle dipendenze, all’alimentazione e alle malattie. Ora nella scuola sono presenti molti progetti che si prefiggono di creare e di potenziare l’identità e la cittadinanza europea. Io stessa sono stata coinvolta in progetti come scambi con la Germania e ho frequentato corsi in alcuni paesi europei dove si è a contatto con altri popoli. Sinceramente mi è parso che le altre gioventù siano più responsabili, e questo mi ha fatto porgere una domanda: perché l’Italia? In un paese come il nostro, i giovani non hanno un ruolo molto importante. Basti vedere la nostra scuola, di certo non è né una delle più qualificate né moderne. E poi è difficile inserirsi nel mondo del lavoro, a causa anche del continuo invecchiamento delle istituzioni e quindi il giovane italiano tende a liberarsi delle sue responsabilità, non vedendo i coetanei che lavorano per la comunità. L’identità, però, va costruita principalmente credendo nelle proprie potenzialità, sia fisiche che intellettuali, portando enorme rispetto alla propria persona. Un grosso ruolo l’ha quindi la scuola, nella quale noi passiamo quasi la metà del nostro tempo, poi la famiglia, nella quale molti giovani d’oggi non trovano né appoggio e né conforto. Sinceramente è complicato consigliare un modo per poter annientare questi problemi. La comunicazione sta di certo alla base dell’esito della ricerca delle proprie identità e consapevolezza. Nell’era della tecnologia è sempre più difficile esporre la propria idea e la propria opinione, sia tra amici che in casa. Quindi il mancato dialogo in famiglia, la dimenticata comunicazione sono le cause delle malattie psico-alimentari e delle dipendenze. In conclusione, le campagne per la salute sono utili, ma devono essere incentivate e rafforzate da una comunicazione efficiente, che possa sensibilizzare tutti gli adolescenti e che possa agire già dalla prima infanzia. 44 Argentina Cyprus Egypt Greece India Iran Israel Italy Jordan Portugal Qatar South Arabia Spain Switzerland Turkey U.S.A. MEDITERRANEAN ACTION GROUP ON ADOLESCENCE MEDICINE (MAGAM) Dear Colleagues and Friends, Welcome to MAGAM Notes, a section of RIMA (Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, the official Journal of the Italian Society for Adolescent Medicine) dedicated to those who provide health services to adolescents in countries in the Mediterranean area. We hope that these pages will serve as forum of exchange for medical, psycho-social, ethical and educational matters concerning adolescents and their health-care practitioners in these countries, in accordance with the aims of MAGAM. These goals include the promulgation of adolescent medicine as a distinct field, the organization of health services specifically for adolescents, and the education of personnel in the care of teens. For those of you who are not acquainted with MAGAM, our organization was formed subsequent to a workshop with delegates from 9 Mediterranean countries that took place in 2001 under the auspices of SIMA (the Italian Society for Adolescent Medicine) and the Pediatric and Adolescent Unit of the Arcispedale Sant’Anna of Ferrara, Italy. The group included adolescent medical specialists, general pediatricians, pediatric endocrinologists, and chronic disease specialists who were determined to foster the theory and practice of adolescent medicine in this region. Since that time, the group has enlarged in size and scope with two additional annual workshops, representatives from all the countries listed at the left, and other activities, including surveys, publications and research programs. MAGAM Notes opens with an instructive article by Professor Christos Kattamis of Athens, and will become a regular feature of RIMA. We encourage your contributions in the form of original articles, review papers, brief communications and experiences, letters and notices, written in English. Please direct your correspondence to Dr. de Sanctis at the address on the Istruzioni agli Autori page in the back of this Journal. Bernadette Fiscina New York - Member of Mediterranean Action Group for Adolescent Medicine (MAGAM) Coordinator Vincenzo De Sanctis Pediatric & Adolescent Medicine Unit C.so Giovecca, 203 - 44100 Ferrara - Italy Tel. 0532-236.934 - Fax 0532-247.107 E-mail: [email protected] Secretary S. Bertelloni Dept of Pediatrics, University of Pisa – Italy Tel. 050-922743 - Fax 050-550595 E-mail: [email protected] MAGAM NOTES Epidemiology of chronic diseases in adolescence in Mediterranean populations Section Editor: Bernadette Fiscina, New York Christos Kattamis Emeritus Professor of Pediatrics - Medical School - University of Athens, Greece Summary In order to present a population-based view of a chronic disease of adolescence, we review some basic principles of epidemiology and genetics, and then discuss the condition of thalassemias in the Mediterranean area as a prototype of the use of epidemiological studies in genetic disease. Clinical epidemiological studies are important in adolescent medicine, since the data gathered can be used a) to estimate the burden of disease in the population, b) to formulate programs for prevention and treatment and c) to evaluate the effectiveness of these programs. It is estimated that nearly 10% of adolescents suffer from chronic diseases. Genetic diseases comprise a major group of chronic disorders, and hemoglobinopathies are the most common single gene disorder. Thalassemias are found in all of the Mediterranean countries, in Africa, the Near and Middle East, India and Asia. In affected populations, the distribution of the genetic defects for hemoglobinopathies is extremely varied, as shown in studies in Greece and Italy. Recent molecular epidemiological studies of thalassemias have disclosed that only a few mutations, of the nearly 200 identified, are common and that 3-5 mutations are specific for any population. Some mutations have been associated with severe, and others with milder forms of the disease. Molecular epidemiological studies have greatly facilitated the implementation of preventive measures through prenatal diagnosis, the understanding of pathogenesis and genotype-phenotype relationships, the prediction of disease severity and the monitoring of treatment programs. Keywords: epidemiology, adolescence, genetic diseases, hemoglobinopathies, Mediterranean populations Introduction to avoid responsibility, or to justify their unwillingness to grapple with the different challenges of growing maturity. Familiarity with the epidemiology of chronic disease in adolescence is therefore important to practitioners of adolescent medicine, as it involves the description of aspects of the disease in relation to the characteristics of the population affected. Studies in clinical epidemiology examine disease occurrence and its clinical manifestations, the population characteristics, and the mode of prevention and management. In the case of infectious diseases the field is extended to the characteristics of the causative organism and the mode of transmission. It is estimated that nearly 10% of adolescents confront the challenge of living with a chronic disease in parallel to the developmental tasks of their age. Thus, in these patients, the impact of chronic illness becomes more complex, when manifestations of a disease or its treatment alter the developing body size and shape; the condition may have an adverse effect on self-esteem and body image of the patient (1, 2). Chronic disease interfering with normal adolescent development can also create conflicts between teenagers and parents, as they provide parents with a justification for holding onto their teenager. In turn, adolescents may use their illness to manipulate their parents, 47 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004 MAGAM NOTES Thus, epidemiological data constitute the basis for the estimation of the burden of a disease in a population, the formulation of programs for prevention and management, and the evaluation and follow–up of these programs (3). Epidemiological studies are divided into three major types: Table 1. Common chronic diseases in childhood and adolescence. Common in both Age groups 1. Genetic disorders (e.g. hemoglobinopathies, cystic fibrosis) 2. Chronic Infectious diseases (tuberculosis – chronic hepatitis B, C) 3. Respiratory diseases (asthma) 4. Neurological disorders (seizures) 5. Endocrinological (obesity – diabetes) 6. Gastrointestinal disorders (Crohn disease) 7. Malignancies 1. Descriptive Epidemiology records the incidence and prevalence of death, disabilities and diseases of various types and causes. As a rule, several agencies (international, national, local health departments, etc.) tabulate current information about health and disease. 2. Causative or Analytic Epidemiology searches for clues to the causes of a disease, based on the fact that the disease does not occur randomly in the population. In analytic epidemiology three subtypes of studies are used: a) The cross sectional study surveys the prevalence of a disease in various segments of the population (for example, among age groups) at a particular time. Predominantly in Adolescence 1) Accidents sequelae 2) Psychosocial problems Substance abuse (drugs – alcohol – smoking) Anorexia nervosa Depression 3) Sexually transmitted diseases (HIV) b) The prospective study identifies a cohort of individuals who exhibit a particular characteristic and follows them over time for the development of a disease and c) The retrospective study identifies a disease, and searches for previous differences in exposure or other characteristics between groups of affected and unaffected individuals. 3. Experimental Epidemiology utilizes clinical trials to evaluate responses to various therapies in groups of subjects. An important use of chronic disease epidemiology is the quantification of the distribution of a disease, which is described either by its incidence rate or its prevalence. The incidence rate indicates the number of persons newly affected by a disease in a given population during a period of time, and is usually reported as annual rate per 100,000. In contrast, the prevalence of a disease indicates the total number of persons in a population affected by the disease in a defined period. The prevalence index is mainly used for permanent or chronic nontreatable diseases. Frequently, there are difficulties in interpretation and comparison of the data in adolescence obtained by both indices, because of variation in the definition of the age bracket, i.e. 10-19, 12-19, or 15-24 years (3). The wide spectrum of chronic diseases in puberty and adolescence can be divided into two groups: those common in childhood and adolescence and those predominant solely in adolescence. Relevant examples of common chronic diseases in the two groups are listed in Table 1. Genetic disorders are among those chronic diseases with major impact on public health during puberty and adolescence. We have chosen to discuss the management of these disorders, in particular the hemoglobinopathies prevailing in Mediterranean populations, as a prototype of the use of clinical epidemiological studies in this area. Genetic Diseases The genetic diseases are classified into major groups according to the specific defect, as listed in Table 2. There are several thousand currently known genetic diseases, with new entities being described on a regular basis. Thankfully, the majority of these illnesses are extremely rare, and only few have an incidence that places an appreciable burden on public health. Most genetic diseases are chronic and are clinically expressed in childhood and adolescence. Table 2. Major Groups of Genetic Diseases. - Single gene disorders - Chromosomal abnormalities - Congenital malformations - Diseases with polygenic inheritance - Common diseases with significant genetic component - Mitochondrial DNA disorders - Somatic cell mutations 48 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004 MAGAM NOTES Others are lethal at birth or shortly thereafter, while still others appear during middle or late adult life. It is roughly estimated that one in 20 newborns carries an abnormal genetic load that may lead to a chronic health problem. Epidemiological studies have demonstrated that the incidence of chromosomal abnormalities and congenital malformations are rather homogenous in various populations worldwide. In contrast, the prevalence of many single gene disorders varies considerably among populations (4). Single Gene Disorders Single gene defects are inherited in four well-defined modes: autosomal dominant, autosomal recessive, and X-linked recessive or dominant. A grand total of 10,174 monogenic diseases are listed in McKusick’s Mendelian Inheritance in Man in 1998. Of these phenotypes 8,005 are classified as autosomal dominant, 1,730 as recessive, 412 as XLinked and 27 as Y-Linked (6). In some western European countries epidemiological studies of the prevalence of the more common monogenic diseases have been performed (4); most of the surveys are based on the detection of heterozygotes in a representative sample of the population. When detection of heterozygotes is not done, the prevalence of the disease is estimated from the detection and registration of homozygotes. Original surveys demonstrated remarkable variation in the frequency of certain monogenic diseases among different populations. Chromosomal Abnormalities The common chromosomal abnormalities and their prevalences are listed in Table 3. The total incidence of chromosomal defects is estimated at 0.7-0.8% of live births. The numerical abnormalities of sex chromosomes are the most frequent while the most severe are those with numerical autosomal chromosome abnormalities; among the last the most common and well known is trisomy 21 or Down syndrome (5). Table 4. Differences in the Frequency of Genetic Diseases. Table 3. Prevalence of common chromosome disorders. Condition Frequency/1000 births I. Numerical Sex chromosomes 45XX 47XXX 47XXY 47XYY Disease Population Frequency/1000 births Thalassemia Mediterranean-Oriental 5-15 0.1 1.0 1.3 1.0 Sickle Cell Anemia 5-15 Autosomal Trisomy 21 Trisomy 18 Trisomy 13 Others 1.4 0.1 0.1 0.2 Tay-Sachs II. Structural Balanced Translocation Unbalanced Total 2.0 0.5 7.7 Africans Androgenital Yupik Eskimos Syndrome North Americans Ashkenazi Jews Sephardic Jews 2.0 0-0.25 0.2-0.4 0.001-0.003 Source: Weatherall 1991 (Modified) This is the case with thalassemias, which affect Mediterranean and Oriental populations but in general not the northern Europeans (4, 7). A list of monogenic diseases, with differences in frequency among various population groups, is shown in Table 4. Several theories exist to explain the discrepancies in prevalence among populations. One hypothesis is that a high frequency may reflect heterozygote advantage for the abnormal gene in a particular environment. This seems to be the case for the genes of thalassemias, sickle cell anemia and G6PD deficiency, which reached their extraordinary frequencies because carriers are protected against P. falciparium malaria infections. This is an elegant example of balanced polymorphism (4). Source: Weatherall 1991 In developed countries, the incidence of chromosomal abnormalities has changed over the past decades, thanks to the institution of prevention programs in couples at risk. Procedures for accurate screening and antenatal diagnosis are consistently improving, resulting in progressive decline of the prevalence of these abnormalities, mainly that of trisomy 21 (5). A similar decline has been observed for severe congenital abnormalities after implementation of appropriate intervention programs for early prenatal diagnosis. Haemoglobinopathies In 1983, a conservative estimate by WHO revealed that nearly 250 million people worldwide are heterozygo- 49 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004 MAGAM NOTES tes for the major hemoglobinopathies, essenFigure 1. Prevalence of thalassemia trait in Greece. tially β and α thalassemias (more than 180 million) and sickle cell (60 million). Based on demographic data it was also estimated that by the year 2000 about 7% of the world population would be carriers for one of the hemoglobinopathies (8). Studies on the geographical distribution of the thalassemias and of other clinically important abnormal hemoglobins demonstrate that thalassemias are found in the Mediterranean countries, in Africa, the Near and Middle East, India, Asia and South East Asia. Sickle cell prevails in Africa with certain foci in Southern European countries, the Middle East and India while βo thalassemia and HbE are basically found in South East Asia. Previously, hemoglobinopathies were rarely found in northern European populations (9). However, mass migrations from affected areas have changed the distribution of hemoglobinopathies in these countries, to the extent that, in the United States and in some northern European nations, hemoglobinopathies have already become a serious public health problem. In adolescent Mediterranean populations, hemoglobinopathies are the most common chronic monogenic diseases, with thalassemias most frequent, followed by sickle cell disease. Prior to implementation of prevention programs, the numbers of homozygotes born annually were estimated to reach about 200 in Greece and several hundred in Italy, based on the prevalence of β-thalassemia heterozygotes. In Cyprus, Sardinia and other areas with an incidence of heterozygotes of 15-20%, the expected rate of affected newborns To demonstrate the public health burden of the thalassemias, a budvaried from 1 in 177 to 1 in 100. For other Mediterranean countries, get estimated in the 1980’s to control the disease in Cyprus provides especially those of North Africa, extensive and precise epidemiologia good example of use of data. cal studies were scanty (4, 8). Projections showed that without a prevention program, if all children In Greece, Italy and Cyprus, however, epidemiological studies have with thalassemia were kept alive on proper treatment with transfusions formed the basis for assessment of the public health burden of the and chelation, in 20 years the health budget of the island would have hemoglobinopathies, of their clinical and genetic heterogeneity, and to be doubled in order to treat only the thalassemics (8). of the effectiveness of novel treatments and prevention programs. The magnitude of the problem is directly related to the prevalence of In all three countries extensive surveys disclosed a high prevalence of heterozygotes in the country. β-thalassemia, with uneven distributions. An example of this relationship is illustrated in Table 5, in which the In Greece, β-thalassemia is found throughout the country, with wide variation in the frequency of heterozygotes (10). The total number of β-thalassemia heterozygotes is around 8%. There are areas with low frequency (<5%), as in the North, and Table 5. others with moderate (5-10%), high (10-15%) and very high Estimation of expected homozygotes based on epidemiology (>15%) frequency (Figure 1). of the incidence of β-thalassemia heterozygotes. In contrast, sickle cell disease is restricted to a few regions with Incidence per cent Homozygotes previously high rates of malaria. Heterozygotes Gene Incidence Per live births In Cyprus the overall frequency is around 17% with some varia0.05 0.025 0.000625 1:1600 tion, usually higher in the plains and lower in mountainous areas. 0.10 0.05 0.0025 1:400 Even more uneven is the geographical distribution of β-thalassemia in Italy, with high prevalence in Sardinia, Sicily and South 0.15 0.075 0.005625 1:177 Italy. In the North, β-thalassemia trait is basically found in the 0.20 0.10 0.01 1:100 areas drained by the River Po (11). 50 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004 MAGAM NOTES frequency of expected homozygotes is calculated on the basis of the prevalence of heterozygotes. Thus, with a heterozygote prevalence of 5% the expected homozygote frequency is 1 per 1600 births, with 10% there is an increase to 1:400 and with 20% to 1:100 births. In this group of patients the more common mild mutations that, combined with severe types, led to mild thalassemia intermedia were: IVS1-6 (14%), polyA (11%), –101C→T (9%) and –87 (Table 6). The clinical manifestations of these genotypes are generally not severe, with good prognoses without intensive treatment by transfusion and chelation. Because of the mild course of the disease, couples with the above genotypes are, as a rule, excluded from antenatal diagnosis. Thus, molecular epidemiological research has provided useful information on the relation of genotype to the severity of clinical phenotype, characterizing the genotypes of mild thalassemia intermedia that prevail in the population. But the most important contribution of these studies in the management of thalassemias has been to the organization and implementation of prevention programs. Molecular Epidemiology of Thalassemia Since the 80’s, molecular methodology has been progressively introduced in epidemiological surveys of β-thalassemias. With these new techniques, important data have been collected on the distribution of the molecular defects of β-thalassemia in various populations and countries (12). Such studies gave rise to the following conclusions: i) Only a few of the total number of β-thalassemia mutations, which exceed 200, are commonly found. ii) For each population, 3-5 mutations, specific for the population, cover the major percentage of mutations detected. Table 6. Type and incidence of β gene mutations among 448 patients with β-thalassemia major and 57 with intermedia (100 affected chromosomes). iii) In Mediterranean populations the most common mutations are the β0 (CD39, IVS1-1), the β+ (IVS1-110, IVS2-745) and mild β++ (IVS1-6). Further analysis of the distribution of the common mutations reported for Mediterranean populations showed differences between eastern and western Mediterranean countries, as well as between areas of the same countries. In western Mediterranean countries, more than 50% consist of β0 mutations, mainly CD39, while in eastern countries a greater percentage is covered by a milder β+ mutation, namely IVS1-110 (13). In Sardinia more than 90% of mutations are covered by the severe CD39 mutation, while in Sicily the spectrum of mutations is wider and rather similar to the spectrum of mutations in Greece. In Greece, 27 β-thalassemia mutations have been detected. Of those, 14 are β0 mutations that cause complete suppression of β chain synthesis and the remaining 13 are β+ mutations with varying degrees of incomplete suppression, ranging from severe suppression β+ (6), to mild β++ (2) and very mild β+++ (5). Some of the mutations are novel or specific for the Greek population (14). The frequency of these mutations was evaluated in 1010 chromosomes from 505 homozygous patients with β-thalassemia (448 with thalassemia major and 57 with intermedia) (15). Of the total number of affected chromosomes 61% had a β+ and only 38.9% β0 mutations. Nearly 80% of affected chromosomes carried one of the five more common mutations with an incidence above 5%. The most common mutation was IVS1-110 in 45.2%, followed by CD39 (15%) and IVS1-1 (12%). Of interest was the heterogeneity in the spectrum of mutations detected between patients with thalassemia major and intermedia. The more common mutations in patients with thalassemia major were similar to the thalassemic populations as a whole. In contrast, the patients with thalassemia intermedia were compound heterozygotes of severe (β0 or β+ mutation) with mild β++ mutations (16). Mutations Alleles per cent Major Intermedia β0 (severe) Cd 39 IVSI-1 IVSII-1 FSC-6 (δ β0) Sic Cd 6 8 others/<2% 16.5 12.2 2.7 2.1 2.1 0.2 3.2 11.0 7.0 8.5 – 5.0 3.0 – TOTAL 39.0 34.5 β+ (severe) IVS-1-110 IVS-II-745 IVS-5 ≠ Corfu del 3 others/<2% 44.0 5.6 1.1 0.5 13.0 1.0 4.0 – TOTAL 51.2 18.0 β++mild and β+++ very mild IVS1-6 -87 -28 A→G Poly A +1480 (C→T) -101 (C→T) +33p 7.0 1.8 0.2 0.2 – – – 14.0 7.0 3.0 11.0 2.0 9.0 1.0 TOTAL 9.2 47.0 Source: Kattamis C, Kanavakis E, Metaxotou-Mavromati A, Ladis V et al. The genotype-phenotype interaction of β-thalassemia in Greece. Unpublished data. 51 Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004 MAGAM NOTES The experience gained during the last two decades in Cyprus, Italy, Greece and the United Kingdom indicates that prevention is feasible though complicated and expensive; it also necessitates careful consideration and adjustment of the prevention program to special local conditions. In Cyprus preventive programs have resulted in a complete eradication of birth of affected children during the last 10 years; in Sardinia and Greece only very few cases are born annually, while in the United Kingdom, the results of prevention have been rather disappointing (17). References 1. Litt FI. Special health problems during Adolescence. In Behrman ER, Kliegman MR, Nelson EW, Vaughan CV (Eds.) Nelson Textbook of Pediatrics, 15th ed. W.B. Saunders Philadelphia 1996; 541-560. 2. Joffe A. Adolescent Medicine. In: Oski F, De Angelis, Feigin D.F. and Warshaw BJ (Eds). 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At present, effective prevention programs are the best method for the management of hemoglobinopathies. However, organization of effective programs necessitates accurate epidemiological studies, molecularly based if possible, appropriate medical services for prenatal diagnosis and termination of pregnancy if necessary, and access to these services for the population at risk. 6. McKusick VA. Mendelian Inheritance in Man. 12th ed, Baltimore Johns Hopkins Univ. Press, 1998. 7. Connor JM, Ferguson-Smith MA. Essential Medical Genetics. 2nd ed. Oxford, Blackwell Scientific, 1988. 8. World Health Organization. Report on the community control of hereditary anemia. Bull. World Health Org. 1983; 61:63-80. 9. Weatherall DJ, Clegg JB. The Thalassemia syndromes, 4th ed. Oxford, Blackwell Scientific, 2000. 10. Kattamis CA. Screening for haemoglobinopathies. Thalassemias and other abnormal hemoglobins. In: Bickel H, Guthrie R, Hammersey G, (eds.) Neonatal Screening for inborn errors of Metabolism. 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