le particelle elementari

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le particelle elementari
LE PARTICELLE ELEMENTARI
Sito: http://www.elementarteilchen.film.de/
Anno: 2006
Titolo originale: ELEMENTARTEILCHEN
Altri titoli: THE ELEMENTARY PARTICLES
Data di uscita: 21/4/2006
Durata: 105
Origine: GERMANIA
Genere: DRAMMATICO
Tratto da: ROMANZO OMONIMO DI MICHEL HOUELLEBECQ
Produzione: OLIVER BERBEN, BERND EICHINGER, DAVID GROENEWOLD PER BERND
EICHINGER/CONSTANTIN FILM IN ASSOCIAZIONE CON MOOVIE - THE ART OF ENTERTAINMENT
Distribuzione: LUCKY RED
Regia: OSKAR ROEHLER
Attori:
MORITZ BLEIBTREU
BRUNO
CHRISTIAN ULMEN
MICHAEL
MARTINA GEDECK
CHRISTIANE
FRANKA POTENTE
ANNABELLE
NINA HOSS
JANE
UWE OCHSENKNECHT
PADRE DI BRUNO
CORINNA HARFOUCH
DOTT.SSA SCHAFER
ULRIKE KRIENER
MADRE DI ANNABELLE
JASMIN TABATABAI
YOGINI
MICHAEL GWISDEK
PROF. FLEISSER
HERBERT KNAUP
SOLLERS
TOM SCHILLING
MICHAEL DA GIOVANE
THOMAS DRECHSEL
BRUNO DA GIOVANE
NINA KRONJAGER
KATJA
UWE-DAG BERLIN
MEDICO DI ANNABELLE
HERMANN BEYER
PADRE DI ANNABELLE
SIMON BOER
AMANTE DI JANE
TIGAN CEESAY
BEN
DEBORAH KAUFMANN
HANNELORE
RUDIGER KLINK
UWE
EVA-MARIA KURZ
HIPPY
SHAWN LAWTON
WALSER
THORSTEN MERTEN
HUBERT
KATHARINA PALM
INFERMIERA CLARA
ANNETT RENNEBERG
KLARA
FRANZISKA SCHLATTNER
ELLEN
BIRGIT STEIN
ANNE
JENNIFER ULRICH
JOHANNA
JELENA WEBER
ANNABELLE DA GIOVANE
INGEBORG WESTPHAL
HIPPY
Soggetto: MICHEL HOUELLEBECQ
Sceneggiatura: OSKAR ROEHLER
Fotografia: CARL-FRIEDRICH KOSCHNICK
Musiche: MANFRED BANACH
Montaggio: PETER R. ADAM
Scenografia: INGRID HENN
Costumi: ESTHER WALZ
Trama:
1
Michael Djerzinski, biologo molecolare, e Bruno Clément, insegnante, sono fratellastri e non potrebbero essere più diversi. In
comune hanno solo la madre Jane e il fatto che, cresciuti lontano da lei, sono stati allevati ognuno dalla propria nonna paterna.
Michael è introverso, ha come unico interesse le sue ricerche genetiche ed è tanto disinteressato al sesso quanto invece Bruno
ne è ossessionato. Poi un giorno tutti e due incontrano l'amore: Michael ritrova Annabelle, una compagna di scuola, e Bruno
conosce Christiane durante una vacanza. La felicità sembra finalmente aver bussato alla loro porta finché le due donne non si
ammalano gravemente...
Critica:
Michel Djerzinski e Bruno Clément sono due fratellastri abbandonati a loro stessi da una madre postsessantottina convertitasi
al misticismo new age. Nel corso di esistenze opposte e speculari uno diventerà biologo di fama, l'altro mediocre insegnante.
L'assenza affettiva originale condizionerà le loro vite producendo esiti diversi: il geniale Michel, 4Oenne vergine incapace di
qualsivoglia contatto fisico, arriverà alle soglie di una scoperta in grado di trasformare le sorti dell'umanità, il fragile Bruno
tenterà di risolvere la dipendenza sessuale e l'instabilità emotiva che lo accompagnano dall'adolescenza. L'occasione di un
amore ideale si presenterà a entrambi lasciando intravedere una possibile felicità. Alla sua uscita l'omonimo libro di Michel
Houellebecq produsse una piccola scossa nel sonnacchioso universo letterario: se ne sottolinearono le contraddizioni,
riconoscendone però l'incontestabile interesse. Il regista tedesco Oskar Roehler, innamorato del romanzo, ne sfida la struttura
costantemente in bilico tra scientifico e metafisico, scegliendo da una parte di alleggerire le atmosfere Eyes Wide Shut della
vita di Bruno, dall'altra rinunciando coraggiosamente all'abusata soluzione del voice off, forse il solo mezzo in grado di
mantenere in vita quella "agiografia della scienza" che attraversa le pagine di Houellebecq. Resta però intatto l'originale
registro sospeso, tra affresco sociale e provocazione pop, che è il vero baricentro attorno al quale ruotano le esistenze di questi
contemporanei Narciso e Boccadoro. (Alberto Berardi, Rolling Stone - 27/04/2006)
Su Michel Houellebecq la critica letteraria è divisa: per qualcuno l’autore di «Le particelle elementari» (Tascabili Bompiani) è
uno dei più interessanti tra gli scrittori europei, mentre altri si sono addirittura meravigliati che il regista Oscar Roehler abbia
portato il romanzo sullo schermo. Indipendentemente da ogni giudizio di valore, una spiegazione sta di sicuro nel fatto che
Elementartailchen ha venduto in Germania qualcosa come 300 mila copie ed è stato messo in scena da vari teatri.
Biologo molecolare in odore di Nobel, il frigido Michael (Christian Ulman) auspica e prepara un mondo in cui la riproduzione
avverrà per vie sintetiche e senza più bisogno degli aborriti contatti sessuali. Per contrasto il fratellastro Bruno (Moritz
Bleibtreu, Orso d’argento alla Berlinale) è un modesto professorino che da autentico satiro ci prova con tutte le studentesse. È
evidente che i protagonisti, in modo opposto, detestano le donne; e ciò a causa di una snaturata madre hippy che li abbandonò
bambini per fuggire in India. Ed ecco che in sincrono arriva per tutti e due la freccia di Cupido: Michael ritrova Annabelle
(Franka Potente), un’amichetta degli anni verdi rimasta ad attenderlo da allora, e in un villaggio di nudisti Bruno incontra
Cristiane (Martina Gedeck), che ha un debole per lo scambismo. Tutto bene? Neanche per idea. Il pessimismo dell'autore si
accanisce sulle nascenti coppie con disgrazie varie e in uno dei due casi scivola addirittura nella tragedia.
Se va dato atto a Roehler di aver attenuato il lato sadico e parapornografico del romanzo, bisogna pur dire che ne ha
annacquato fino quasi a cancellarli i contenuti filosofici, limitandosi a corredare l’intreccio melodrammatico con qualche
fantasticheria di tipo biologico. Efficacemente costruito e recitato, Le particelle elementari ha avuto in Germania buon
riscontro, ma Houellebecq, insoddisfatto della chiave di lettura, ha dichiarato che il prossimo film se lo dirigerà da sé.
(Alessandra Levantesi, La Stampa - 21/04/2006)
Noti romanzieri francesi talora ispirano meno noti registi tedeschi, come Oskar Roehler, che ha portato sullo schermo Le
particelle elementari di Michel Houellebecq (Bompiani). Figli di madre gaudente e assente (Nina Hoss), metà opposte l'uno
dell'altro, l'insegnante infoiato (Moritz Bleibtreu, premiato al Festival di Berlino per l'interpretazione) e lo scienziato scostante
(Christian Ulmen) cercano uno spiraglio di felicità.
Ma il personaggio del romanzo è brutto tanto quanto Bleibtreu è bello e ciò rende incongrui i suoi problemi di accoppiamento.
La sostanza del film è però una somma di dolori: quelli di Houellebecq (1958), abbandonato dalla madre; e quelli di Roehler
(1959), la cui madre s'è suicidata. Quest'infelicità originaria degli autori indirizza i loro personaggi alla pornografia (tutto col
sesso) o alla scienza (nulla dal sesso). Nonostante evochi Huxley, Le particelle somiglia - in chiave più disperata - a Bianca di
Moretti. Ma lì talora ci si divertiva: Le particelle invece sono noia pura. (Maurizio Cabona, Il Giornale - 21/04/2006)
Due fratelli. Figli di due padri diversi e segnati, fin dall’infanzia, da una madre sessualmente disinibita causa per entrambi di
molti traumi. Uno dei due, soprattutto, Bruno, adesso insegnante in un liceo, ha fatto del sesso quasi la sua principale ragion di
vita. L’altro, Michael, forse per reazione, il sesso lo ha quasi ignorato, dedicandosi per intero a delle difficili ricerche
scientifiche. Si frequentano poco, però li riunisce non solo la morte della madre ma, nonostante i loro caratteri opposti, un
destino quasi simile sul piano sentimentale perché Bruno, finalmente innamorato sul serio, vedrà morire la donna che ama,
suicida dopo una grave malattia, e Michael, che ha trovato l’amore in una donna cui era stato timidamente legato fin
dall’infanzia, la vedrà colpita da una grave menomazione. Potendole però restare vicino e continuare con successo i suoi studi.
Mentre Bruno finirà in una clinica psichiatrica. Alla base, un romanzo di egual titolo firmato da uno degli autori più discussi
della letteratura francese contemporanea. Michel Houllebecq, noto per le sue provocazioni non solo in campo erotico ma in
quello sociologico, a sostegno, sempre, di posizioni, anche politiche, estreme. Il regista tedesco Oskar Roehler si è assunto la
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non facile impresa di riscriverlo per il cinema e poi rappresentarlo, trasferendo l’azione dalla Francia alla Germania,
sfrondando molto le pagine in cui il sesso si faceva avanti di prepotenza (e senza remore), riassumendo i complicati intrecci
del testo letterario in un racconto il più lineare possibile e precisando i numerosi lati oscuri dei vari personaggi con qualche
flash-back adatto a chiarire, con il passato, i momenti più stravolti del presente. Il risultato è soprattutto plausibile quando
l’azione si stringe attorno alle vicende parallele dei due fratelli, la possibilità, per Bruno, di riuscire a vincere con l’amore
l’ossessione del sesso, la scoperta, per Michael, di sentimenti gentili, accantonati nell’infanzia e oggi di sostegno, anziché di
ostacolo, ai suoi studi scientifici. Con pagine piuttosto intense quando entrambi, uscendo dai loro mondi, cercano di affidarsi a
quel legame reciproco che non tarderà a unirli all’insegna di una solidarietà fraterna. Esprime bene questi tormenti e quel
legame pacificatore soprattutto, nei panni di Bruno, Moritz Bleibtreu, in equilibrio tra le nevrosi e i coinvolgimenti morbosi.
Attento Christian Ulmen, l’altro fratello, nitide le due donne al loro fianco, Martina Gedeck e Franka Potente. Con meditate
tensioni. (Gian Luigi Rondi, il Tempo - 21/04/2006)
Film inguaribilmente e stilisticamente «old world», anche quando fa la parodia della sensibilità new-age, Le particelle
elementari, diretto dal tedesco Oskar Roelher è ambientato in Germania ma è tratto dal best seller francese di Michel
Houllebecq, lo scrittore che offende l'islam con più tatto di Oriana Fallaci e Theo Van Gogh messi insieme.
Un libro cult, pubblicato in Italia da Bompiani, che il film, eugeneticamente più estremista, non riesce a catturare nello spirito,
visto che la scritta finale esplicativa ci informa che la scienza sta per isolare quelle cellule che, responsabili delle nostre
pulsioni sessuali più aggressive, sarebbero poi causa di inenarrabili violenze e guerre.
Ovvio che siano state già isolate e messe al lavoro, al di sotto della paga sindacale, quelle cellule. Ma che c'entra la scritta con
il film che abbiamo visto? Il romanzo si dilungava, per esempio, sul turismo sessuale, sulle violenze contro minori, sui
rapporti sadici, con particolare riguardo verso le bambine brutte e grasse? Qui la sfilata è solo di bellissime donne, vogliose e
tentatrici come solo l'immaginario maschile gay più maschilista e noioso potrebbe mai descrivere.
Il film infatti racconta, con l'ostinazione di chi pensa di essere trasgressivo solo creando personaggi compiaciuti della propria
degradazione, la vita parallela di due fratelli, Michael e Bruno. Il primo è un insegnante di lettere semi-anticonformista, che
cita Baudelaire e Nietsche, ma non li ha capiti molto bene visto che è anche razzista e maniaco sessuale, che finirà pazzo
(forse perché da adolescente era un militante per la liberazione di Baader e Meinhof dal lager delle torture di allora,
Stemmheim?); il secondo è un biologo molecolare, sessualmente spento, che finirà accasato con l'unica ragazza che abbia
frequentato.
Insomma entrambi sono il frutto marcio dei sogni utopici e criminalmente egoisti delle generazioni sessantottine, due ragazzi
traumatizzati per essere stati completamente abbandonati da piccoli. Colpa della madre bella, sexy e spietata hippie «a tempo
pieno»: ma gli hippie non erano quelli che inventavano tutti quei coadiuvanti biodinamici per aprire la coscienza e la
sensibilità e rendere i loro anti rampolli dei magnifici «figli dei fiori»? (Roberto Silvestri, Il Manifesto - 24/04/2006)
Bruno e Michael. Stessa madre disinvolta ma vite parallele, diverse, lontane. Fratellastri antipodali. Il primo è un erotomane
che affoga negli amplessi, spesso autoprovocati, il proprio male di vivere. Il secondo è un timido e (apparentemente) fragile
scienziato, a un passo dalla scoperta del secolo (la clonazione umana). Il rapporto con due donne sembra offrire a entrambi
una svolta, ma il destino riserva altre sorprese, drammatiche. Orso d'argento a Berlino e tratto dal secondo romanzo di
Michelle Houellebecq, il film di Roehler non va al di là della scolastica trasposizione di un testo letterario. Dello scrittore
france se manca completamente il malessere, e se la traccia narrativa in quanto tale viene trattata con rispetto ed equilibrio anche per merito dei bravi protagonisti - è lo "sfondo" a deludere. Quella di Houellebecq è sempre la rappresentazione dolente
e feroce di un mondo, il nostro, che soverchia, per significato, le storie e i personaggi. Roehler invece si confronta solo con i
caratteri, resta in superficie, non riesce a cogliere, tra le righe, il fantasma della decadenza che nel romanzo è tutto. Brutto
leggere in parallelo un film e un libro, ma in questo caso l'intraducibilità del secondo dimostra pienamente il fallimento del
primo. (Mauro Gervasini, Film TV - 27/04/2006)
Si sfiora il ridicolo solo all'inizio, quando la goccia di sperma cancella l'inchiostro sul tema della lolita adolescente che
l'arrapatissimo professor Bruno sta correggendo a modo suo. Ma trattandosi di Le particelle elementari, il film di Oskar
Roehler tratto dal romanzo dello scorrettissimo Michel Houellebecq, quell'attimo è da considerare fuggente, un picco di
cattivo gusto che non stona, anzi predispone. L'insistenza sul mauvais ton nel film è ben sottolineata, ma certo meno colta,
tormentata e filosofica che nel romanzo. Non so se sia un bene o un male. So che il film è un'esperienza dolorosa, che
tradendo il testo nella sostanza coglie bene l'assoluto disagio di vivere narrato dallo scrittore tra xenofobia, ossessione erotica,
elogio del brutto e del degrado.
I due fratelli, interpretati da Christian Ulmen e Moritz Bleibtreu, sono perfetti: il gelido e attonito ricercatore che vuole
mettere a punto la clonazione che consentirà di riprodursi senza le noie del sesso e l'esasperante Bruno, accecato dal
testosterone e malinconicamente afflitto dai propri fantasmi e dalle medicine per scacciarli. Un uomo in tragico transito
dall'amore ideale con la scambista alle corsie degli istituti psichiatrici. E, se la mamma hippy che li ha generati, abbandonati e
a volte recuperati per vacanze a sesso tutto libero, è naturalmente la causa di ogni male, è altrettanto vero che la scena
tremenda della sua agonia è forse il più crudo addio a un genitore che mai si sia visto sullo schermo.
Ancor più del romanzo, il film è scioccante e tenero, disturbato e disperato, intriso di quel romanticismo nero che ovviamente
ha fatto parlare i critici di banalizzazione. Si potrebbe forse distogliere lo sguardo dalla decomposizione, ma il malessere di
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Bruno, il suo disdegno delle regole della società ti spaccano alla fine il cuore in due. Merito grande dell'interprete Montz
Bleibtreu, premiato a Berlino. (Piera Detassis, Ciak - 28/04/2006)
Se non avete letto il romanzo di Michel Houellebecq è arrivato il momento di farlo. Dopo averlo letto vi chiederete come
abbia fatto Oskar Roehler a trarne un film. Perché, pur con molti cambiamenti rispetto al testo originale, c'è da rimanere
stupiti di fronte alla scorrevole traduzione cinematografica di un testo così ostico e controverso. Per Roehler «Il romanzo è un
momento chiave per comprendere la società». La chiave deriva dalle vicende parallele di due fratellastri. Uno è scienziato di
notevole spessore, che ha rinunciato a qualsiasi rapporto con le donne. L'altro è praticamente ossessionato dal sesso. Tutto
deriva dalla figura materna. Una hippy spumeggiante che ha puntato sull'india lasciando che i pargoli venissero allevati dalle
nonne. Ormai adulti si ritrovano al suo capezzale e volano insulti irripetibili. Perché la provocazione è in agguato. Come
l'amore, forse tardivo, che entrambi trovano. Uno nella donna in cui si è trasformata la ragazzina della porta accanto, di cui è
sempre stato timidamente innamorato, l'altro in una sfrenata scambista. Ma il destino è cinico, ha disegni perversi, all'insegna
di un pessimismo cosmico («è proprio questo pessimismo che mi ha incuriosito», sottolinea Roehler). Nella trasposizione si è
dissolto l'erotismo al limite della pornografia e alcune esasperazioni, oltre al finale. Ma paradossalmente è rimasto integro lo
spirito di un racconto spiazzante e imprevedibile. A Berlino Moritz Bleibtreu (i1 fratello assatanato) ha ottenuto il premio
come miglior interprete maschile. (Antonello Catacchio, Ciak - 13/04/2006)
"Non c'è rifugio per i protagonisti di 'The Elementary Particles', incapaci di tornare all'infanzia forse perché un'infanzia non
l'hanno mai avuta e sono dunque condannati ai più cocenti scacchi esistenziali. (...) La prima parte del film è tutta giocata
sullo humour noir, ingrediente ormai inflazionato, e sulla satira: una satira spuntata e priva di sottigliezza però oltre che
immemore della complessità di pensiero depositata nella scrittura di Houellebecq. Sfilano le miserie sessuali di Bruno,
masturbatore, molestatore, iniziato al sesso da adolescente durante i funerali della nonna e futuro scambista ma sempre
infelice; l'egoismo di una madre hippy e troppo impegnata a seguire le mode e i maschi del momento per occuparsi dei figli; le
disavventure fantozziane di Bruno adulto e divorziato in un campeggio new age tutto nudismo e libertà sessuale. Mentre
l'asessuato Michel conosce un'intermittente felicità accanto all'amore della sua infanzia, che si decide a impalmare ormai
prossimo alla quarantina. Perfino la morte della madre bella e incosciente, rantolante incartapecorita fra le candele come
Dracula (chiaro, per i figli è stata un vampiro), è risolta in chiave grottesca. Il che rende ancora più improbabile la brusca
sterzata drammatico-realistica del finale con malattie, suicidi, ennesimo crollo nervoso del povero Bruno. E incongruo finalino
a suo modo ottimista. Una vera delusione: eppure gli attori sono bravi, il romanzo importante, e il regista aveva già dato
ottime prove con film drammatici come 'Hannah Flanders', visto anche in Italia, altra storia (autobiografica) di una madre
indegna, guardacaso. Cose che succedono quando si cerca la ricetta per trasformare un best-seller in un campione d'incassi."
(Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 12 febbraio 2006)
"I film tedeschi da noi valgono zero al botteghino: senza opinare se è giusto o non è giusto, bisogna impedire che capiti lo
stesso a 'Le particelle elementari' di Oskar Roehler. Il film presenta qualche punto debole, edulcora (come vedremo) il
romanzo originario, insomma è tutt'altro che perfetto; sta di fatto, però, che ha l'immenso merito di affrontare con sintonia di
fondo un testo che sembrerebbe intraducibile e di dare ulteriore visibilità (è proprio il caso di dirlo) alle pagine più audaci e
affascinanti pubblicate negli ultimi dieci anni. Sulla cosiddetta caduta dei valori nell'Occidente democratico, per la verità,
siamo letteralmente soffocati dalle chiacchiere, vomitate vuoi dai politici e dai preti, vuoi dai sociologi e dai documentaristi,
vuoi soprattutto dagli artisti. Michel Houellebecq ci ha, invece, dimostrato con quel libro che un barlume di verità può
accendersi solo grazie alla fusione tra brutalità e (com)passione della vita: mentre un plotone di mediocri se la cava con il tifo
ideologico da curva, gli accattonaggi del tempo perduto, le polluzioni terzomondiste, le pantomime sapienziali o i surrealismi
da discarica, lo scrittore francese ritrae la sofferenza umana nella sua cruda materialità, nella sua predestinata fragilità e nei
suoi aneliti tragicomici. Nel film, certo, questo 'nichilismo attivo' si semplifica nell'itinerario parallelo di due fratellastri che
imparano dolorosamente a conoscersi e (forse) amarsi nella giungla che è succeduta al crollo dei moderni rapporti
interpersonali. Del resto, il procedimento di Houellebecq - basato sulla simultaneità di fatti e pensieri - era praticamente
inestricabile e il giovane regista tedesco ha sunteggiato le tappe dell'incontro/scontro ricorrendo a troppi flashback ed
esplicitando più del dovuto il coté melodrammatico. Grazie agli attori estremamente sorvegliati, però, la cruciale
contrapposizione tra i diversi stili di vita - che è ben diversa dalla solita igienica e tartufesca critica sociale - viene fuori in
tutta la sua devastante intensità." (Valerio Caprara, 'Il Mattino', 12 febbraio 2006)
"Per risultare più credibile il film taglia il male a metà e salva uno dei due amori, facendone il puntello esistenziale per il
fratello meno fortunato. A bizzarre pagine di fantabiologia avveniristica il libro alterna sgradevoli insistenze sadiche e
titillamenti pornografici. Ma Roehler, anziché calcare la mano come accade spesso sullo schermo, riesce a mantenersi su una
linea più sobria, fermo restando che in sottofinale il racconto zoppica. Forse per questo, nonostante l' enorme pubblico che
affollava speranzoso il Palast, l'applauso è stato misero." (Tullio Kezich, 'Corriere della Sera', 12 febbraio 2006)
'Le particelle elementari' presenta punti deboli ed edulcora il romanzo originario; sta di fatto, però, che ha il merito di
affrontare con sintonia di fondo le pagine più audaci e ciniche pubblicate negli ultimi dieci anni. Michel Houellebecq vi ha
dimostrato che un barlume di verità può accendersi solo grazie alla fusione tra brutalità e (com)passione della vita: mentre un
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plotone di colleghi se la cava con gli accattonaggi del tempo perduto o le solite fumisterie intellettuali, lo scrittore francese
ritrae la sofferenza umana nella sua cruda materialità, nella sua predestinata fragilità e nei suoi aneliti tragicomici. Nel film
questo nichilismo cosmico si semplifica nell'incontro/scontro tra due fratellastri che imparano a conoscersi e (forse) amarsi
nella giungla dei rapporti interpersonali; del resto il procedimento basato sul flusso coscienziale resta intraducibile e il regista
tedesco ricorre a troppi flash-back ed esplicita più del dovuto il coté melodrammatico. Ciò nonostante la contrapposizione tra i
diversi stili di vita - che è ben diversa dalla solita e tartufesca critica sociale - viene fuori nella sua cupa intensità." (Valerio
Caprara, 'Il Mattino, 22 aprile 2006)
"Dal chiacchierato romanzo del francese Houellebecq che a qualcuno fa venire in mente Camus e finisce scartando l'amore
per la clonazione, ecco il bellissimo film che ne ha tratto il tedesco Oskar Roehler, premiato a Berlino anche per la furibonda,
magistrale prova di Moritz Bleibtreu. (...) Non si salva e non si giudica nessuno: ma se nei gialli l'assassino è il maggiordomo,
in Freud la colpevole è sempre la mamma. Non è il mezzo scandalo la promessa del film, ma l'analisi spietata delle
contraddizioni nel campo affettivo e un pessimismo cosmico che non risulta mai gratuito per l'ellittica espressiva narrazione."
(Maurizio orro, 'Corriere della Sera', 21 aprile 2006)
"Trasposta in immagini, la storia un tantino menagrama e largamente filosofeggiante di Houellebecq acquista una concretezza
forzata; nel contempo, le opposte solitudini e il caos di un mondo dominato da desideri di plastica perdono una quota del
valore emblematico d'origine. Ne esce un racconto un po' confuso (specie nella seconda parte), eppure condotto con un certo
talento e bene interpretato da tutti." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 21 aprile 2006)
Paragonato a Camus, di cui sarebbe un epigono di fine millennio, oggetto di culto estremo o di estrema repulsione, Michel
Houellebecq è sicuramente uno degli scrittori più interessanti, e controversi, della letteratura contemporanea. Ed è uno
scrittore che distorce la narrativa in uno stile concettuale e saggistico che sembra assai poco adatto al cinema. Ecco dunque il
principale problema del film di Oskar Roehler, che a Berlino ha comunque lasciato il segno (Orso d’argento alla star di casa, il
bruno e virile Moritz Bleibtreu) destando però qualche perplessità. Roehler ha estrapolato, infatti, dalla magmatica e ambigua
complessità de Le particelle elementari (1998) la trama pura e semplice, come in uno sceneggiato (viene in mente quell’altra
storia tedesca, tra esistenzialismo e pubblica viziosità che era Il tamburo di latta) destinato a fare grandi incassi soprattutto
grazie all’ottimo cast: il meglio della scena tedesca attuale, piegato alla formula del produttore, lo smaliziato Bernd Eichinger,
che non appena ha letto il romanzo ha pensato di trasformarlo in una sorta di American Beauty all’europea.
Ma cosa racconta dunque Le particelle elementari? È la doppia storia di Michel Djerzinski e Bruno Clément, figli della stessa
madre – una hippy procace che li ha abbandonati per seguire il vento incostante degli anni ’70 - e di padri diversi quanto
ignoti. I loro destini si sono divaricati a tal punto da farne due perfetti estranei, ma anche due facce della stessa medaglia.
Michel è un asettico scienziato: i suoi studi di biologia molecolare potrebbero portarlo al Nobel, ma la sua vita privata è un
deserto con l’eccezione del suo unico amore, l’amica d’infanzia che ancora gli resta fedele seppure a distanza. Dunque Michel
è ancora vergine, a quasi quarant’anni, e progetta di clonare gli esseri umani, elidendo la sessualità dalla riproduzione per
rendere la vita perfetta e perfettamente felice. Bruno, viceversa, è un uomo laido e mentalmente disturbato, un professore
morbosamente attratto dalle sue studentesse adolescenti, dedito alla prostituzione, convinto onanista, autore di deliranti
pamphlet che propagandano idee razziste, ma in sostanza scrittore fallito.
Il film, con abbondante uso di flashback, ci racconta la speculare storia d’amore di Bruno (Bleibtreu) con Christiane (Martina
Gedeck) e di Michel (Christian Ulmen) con Annabelle (Franka Potente), lasciando del tutto sullo sfondo l’ideologia
Houellebecq: la satira del vangelo della liberazione sessuale e della New Age, la dura requisitoria contro il Sessantotto e la
contestazione, la critica alla società dei consumi, anche culturali, di massa vengono riassunte in altrettante scene grottesche.
Non mancano le descrizioni della vita sessuale di Bruno, da solo o con la compagna Christiane, che ne condivide il gusto per
lo scambismo e le orge: anche se il versante “pornografico” del libro risulta di parecchio addolcito e il sentimentalismo prende
infine il sopravvento. (www.fice.it)
Riduzione ambiziosa e imperfetta. Del romanzo di Houllebecq si perde la capacità di osare
Materia incandescente quella delle Particelle elementari. Famiglie in frantumi. Spersonalizzazione dei rapporti. Clonazione
umana. Ci sono tutti i fantasmi della società occidentale del terzo millennio nel controverso romanzo di Michelle Houllebecq.
Titolo-shock, che nel ’98 ha fatto parlare di sé, per scabrosità, disincanto, opprimente nichilismo. Un’analisi illuminante, l’ha
definita il regista Oskar Röhler, che gli ha fornito “una prospettiva completamente nuova sul mondo”. La missione di portarla
sullo schermo, sembrerebbe a fronte di una simile ambizione quasi impossibile. Rohler si destreggia invece abbastanza bene.
Dalla sua il coraggioso produttore de La caduta Bernd Eichinger e un cast stellare in cui spiccano Moritz Bleibtreu (non a caso
premiato alla Berlinale) e i meno noti Christian Ulmen e Martina Gedeck, punta su una potente edulcorazione degli aspetti più
“pornografici” del romanzo. Smussati gli angoli ed epurate dall’insistenza sul sesso, le sue Particelle elementari rimangono
comunque un fedele specchio di tante paure di oggi. Aspirazione che sottende l’intera storia è quella ad una riproduzione
asessuata, senza contatto e senza conflitti, come chiave di un’esistenza idilliaca. A rappresentarla è sullo schermo il rapporto
fra Bruno e Michael, due fratellastri agli antipodi ma accomunati da esistenze ugualmente fallimentari, figli di una
generazione allo sbando. Bravissimo Bleibtreu nell’incarnare il primo: professore di liceo, frustrato e in preda a sempre più
incontrollabili attenzioni nei confronti delle sue alunne. Ancora superiore, per le sfumature che gli offre il ruolo, è poi Ulmen
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nella parte del biologo molecolare sconfitto e tanto alienato dai rapporti con le donne, da riversare i suoi fantasmi in una
ricerca sulla clonazione che elimini il sesso dai rapporti umani. L’illusoria speranza che i due sembrano ritrovare nell’amore
(incarnato da due ottime comprimarie), si aggiunge poi alla spietata critica del ’68 che Röhler affida al personaggio della
madre hippie. Tutti temi a lui cari, che affronta però con timore quasi reverenziale. Quasi che scottasse troppo, la materia
incandescente del romanzo, per affrontarla con i dovuti eccessi, cede invece spesso alla tentazione dell’alleggerimento e del
grottesco (anche attraverso le musiche). Troppe frenate, per un film che avrebbe trovato la sua forza nel coraggio di tuffarsi
lucidamente nella disperazione da cui proviene. (www.cinematografo.it)
Note:
-BERLIN INTERNATIONAL FILM FESTIVAL 2006
Won Silver Berlin Bear Best Actor: Moritz Bleibtreu
Nominated Golden Berlin Bear: Oskar Roehler
-GERMAN FILM AWARDS 2006
Nominated Film Award in Gold Best Performance by an Actor in a Leading Role (Beste darstellerische Leistung Männliche Hauptrolle): Moritz Bleibtreu
Nominated Best Performance by an Actress in a Supporting Role (Beste darstellerische Leistung - Weibliche
Nebenrolle): Martina Gedeck
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