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n° 328 - gennaio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Silvestro Lega I Macchiaioli e il Quattrocento La sua pittura discreta, intima e poetica riflette più e meglio di quella degli altri Macchiaioli gli aspetti distintivi della grande tradizione dell’arte italiana, il culto del disegno e il rispetto della forma Nessuno come Silvestro Lega ha saputo impaginare i sentimenti moderni dentro l’austera bellezza del Beato Angelico, del Botticelli e del Ghirlandaio Antonio Paolucci L’ampia retrospettiva che la città di Forlì dedica a Silvestro Lega dal 14 gennaio al 24 giugno, presso la nuova sede dei Musei di San Domenico, segue a oltre dieci anni di distanza la rassegna monografica con la quale si era celebrato nel 1995 il centenario della morte dell’artista. Originale e interessante appare il taglio che i curatori hanno voluto dare all’esposizione forlivese, proponendo un raffronto fra i Macchiaioli, e particolarmente Lega, e la grande tradizione figurativa del Quattrocento fiorentino; questo accostamento, proposto per la prima volta agli inizi del Novecento dal grande critico Aby Warburg, che riteneva la pittura di Lega come direttamente ricollegabile con le predelle del Quattrocento toscano, viene ripreso da Antonio Paolucci nel saggio che apre il catalogo della mostra: «Di fronte al Canto dello Stornello o a Curiosità di Silvestro Lega noi ci accorgiamo che nessuno come lui ha saputo impaginare l’inti- mismo borghese dentro l’austera luminosa bellezza del Quattrocento toscano. Di fronte alle sue composizioni di taglio rettangolare, attentamente calibrate nella giustapposizione dei volumi e nei bilanciamenti prospettici [...] affiora spontanea la memoria dei grandi maestri antichi». Modigliana, dove Silvestro Lega nacque nel 1826, è situata nel territorio che viene definito “Romagna toscana”: pur trovandosi infatti oltre lo spartiacque appenninico, la zona gravitò nell’area fiorentina dalla seconda metà del Cinquecento, con l’espandersi dei domini medicei, e continuò a far parte della provincia di Firenze fino agli anni Trenta del Novecento. Terra di confine tra il Granducato di Toscana e lo Stato della Chiesa, vide per vari decenni dell’Ottocento la presenza di personaggi e gruppi legati ai movimenti liberali del Risorgimento, tra i quali spicca la figura di don Giovanni Verità, passato alla storia per aver dato asilo nel 1849 a Garibaldi in fuga dagli Austriaci. Lega, unito al sacerdote da rapporti di amicizia e di militanza politica, aderiva agli ideali mazziniani, e partecipò alla prima guerra di Indipendenza insieme con un gruppo di pittori attivi a Il canto di uno stornello - Firenze, Galleria d’Arte Moderna Firenze che si erano arruolati tra i volontari mazziniani toscani e avevano combattuto a Curtatone e Montanara. Silvestro Lega si era stabilito dal 1843 nel capo- pag. 2 luogo toscano, dove aveva frequentato per due anni l’Accademia di Belle Arti, entrando poi nello studio di Luigi Mussini, esponente del movimento purista, che dichiaratamente si ispirava alla pittura dei maestri quattrocenteschi. Dal 1849, dopo la partenza di Mussini per Parigi, Lega divenne allievo di Antonio Ciseri – alla cui scuola si formò anche Giovanni Fattori – dedicandosi prevalentemente alla pittura di soggetto biblico e storico e al ritratto, seguendo in questo le orme del suo maestro. Dalla formazione accademica e da queste frequentazioni, che avevano luogo in un ambito nel quale si attribuiva al disegno un’importanza fondamentale, considerandolo l’elemento portante della figurazione, Lega trasse una notevole sicurezza nel tratto, unendola alla nativa abilità di colorista. Risale ai primi anni Cinquanta l’unico Autoritratto che il pittore abbia eseguito, caratterizzato da una pennellata libera e vibrante, piena di freschezza e spontanietà, che prelude alle opere dell’età matura: più tardi, Lega indicherà nell’anno 1857 il momento in cui iniziò a distaccarsi dall’insegnamento dei maestri per assumere una personalità autonoma, identificandolo con la prima commissione importante, quattro lunette per un oratorio a Modigliana. Questi anni vedono Lega presente nell’ambiente artistico fiorentino che si riuniva al Caffè Michelangiolo, al quale facevano capo pittori come Signorini e Cabianca, impegnati nella definizione della “poetica della macchia”. Fra il ’61 e il ’62 Lega realizza alcuni dipinti ispirati a episodi delle guerre risorgimentali - come i Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci – opere che l’autore stesso definì “di circostanza”, ma che in qualche brano cominciano a mostrare gli indizi di un nuovo modo di fare pittura, tendente ad affrancarsi dalla rappresentazione immobile e cristallizzata dell’oggetto, propria della pittura purista. Si apre quindi la stagione dei primi capolavori, realizzati en plein air, nei quali l’adesione alla poetica macchiaiola trova pienamente espressione. Il gruppo dei Macchiaioli si reca a dipingere sull’Appennino e a Castiglioncello ma soprattutto, a partire dal 1862, si costituisce nella campagna alla periferia di Firenze un cenacolo di artisti, la cosiddetta “Scuola di Piagentina”, dal nome della località in cui si riuniscono Lega, Sernesi, Signorini, Borrani e Abbati. Qui Lega non trova solo una scenografia naturale ricca di elementi di ispirazione, ma anche la condizione ideale per il proprio lavoro, trascorrendo giorni sereni presso la famiglia Batelli, anche grazie alla presenza della figlia maggiore, Virginia, con la quale instaura un legame affettivo. Fra le prime opere di questo periodo, Una veduta in Piagentina, del 1863, evoca un mondo sereno fatto di gesti quotidiani e consuetudini domestiche, in un’armonia esistenziale di cui è partecipe la figura umana, immersa nella natura che la circonda, senza turbarla ma divenendo anzi parte integrante di essa; una natura dai toni pacati, “civile”, quale era la cam- Bersaglieri che conducno prigionieri austriaci - Firenze, Galleria d’Arte Moderna pagna fiorentina appena fuori le mura, prima che l’abbattimento di queste cancellasse la cesura fra il tessuto urbano e la zona ricca di orti, giardini e campi coltivati che circondava la città. Nella ricerca di spunti paesaggistici e di scene di vita rurale che conduceva insieme a Telemaco Signorini, Lega andava scoprendo la propria consonanza spirituale con questi soggetti. Ne Il bindolo (un sistema di irrigazione azionato da un asino) tutti i particolari dell’ambiente, per quanto minimi e insignificanti possano apparire, sono precisati con una cura amorevole dei dettagli che se da un lato nasce dall’accuratezza del disegno - derivante dai trascorsi in ambito purista - dall’altro ha origine La visita alla balia - Firenze, Galleria d’Arte Moderna pag. 3 dalla partecipazione di Lega a quella predilezione per i soggetti tratti dalla vita quotidiana che caratterizzò i pittori di Piagentina, e che gli attirò da parte di un critico dell’epoca l’epiteto ironico di “benemerito illustratore di orti”. A questi anni appartiene una serie di opere che costituiscono momenti di una sorta di poema pittorico, percorso dalla stessa costante emozione espressa mediante lo studio della realtà quotidiana; nascono in tale clima alcuni fra i dipinti più famosi di Lega, il Canto di uno stornello del 1867 e Una visita, dell’anno seguente. Nel primo, la luce del cielo estivo che entra dalla finestra aperta sulla visione delle colline - quasi una citazione dei paesaggi che fanno da sfondo a tante pitture dei maestri quattrocenteschi - si riverbera sui volti e le vesti delle ragazze intente al canto, riflessa anche dalla tastiera del pianoforte che diviene così una seconda fonte luminosa. L’incontro fra il clima raccolto dell’ambiente familiare e la classicità d’impianto nella struttura delle figure e nell’impostazione della scena, hanno fatto parlare di uno “straordinario sapore di pala domestica”, riprendendo un’intuizione già espressa da Telemaco Signorini nel 1869, quando affermava che Lega era sempre rimasto fedele «al suo programma di produrre un’arte dove la sincerità di interpretazione del vero reale dovesse [...] ritornare ai nostri quattrocentisti e continuare la sana tradizione, non più col sentimento divino di quel tempo, ma col sentimento umano dell’epoca nostra». Nell’equilibrio fra il sentimento che percorre sotterraneo l’immagine con un pathos contenuto, e la costruzione meditatamente calibrata del quadro, il percorso artistico di Lega tocca forse il suo momento più alto, in cui trovano armoniosa espressione tutti gli elementi costitutivi della sua pittura, conciliando in un unicum irripetibile la ragione e il cuore. Una visita è forse l’opera di Lega più nota, molto vicina al Canto per l’impostazione che si rifà a esempi illustri, richiamando nella struttura della composizione e nella forma allungata le predelle delle pale quattrocentesche. I toni cupi rendono l’atmosfera della giornata invernale, sottolineata dei grigi e neri delle vesti della padrona di casa e di due ospiti, mentre la terza sembra attardarsi a contemplare la scena, venendo a costituire con il mantello di colore bruno un punto di passaggio, prospettico e cromatico, fra il primo piano e lo sfondo che si apre alla visione dei lontani colli. Qui, come nel Canto, la figura centrale (la padrona di casa nella Visita, la pianista nel Canto) è stata identificata in Virginia Batelli. In entrambi i dipinti il soggetto è legato al mondo femminile, come accade frequentemente in Lega: figure di donna sono una presenza costante nella sua opera, così come la particolare attenzione riservata dall’artista al mondo degli affetti e della vita domestica, che trova nella donna il proprio centro animatore. Nel giugno 1870, dopo la morte di Virginia, che seguiva a breve distanza la sorte della sorella minore, Una visita - Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna Tra i fiori del giardino - Collezione privata stroncate entrambe dalla tisi, Lega si ritirò per quasi un anno a Modigliana, lasciando l’ambiente di Piagentina e gli amici con cui aveva condiviso passione politica ed esperienze artistiche: scomparsi Sernesi e Abbati il gruppo si andava disperdendo e mentre Signorini appariva sempre più incline a seguire le lusinghe del gusto corrente, Lega restava intransigente sulla propria linea e nelle sue opere continuava ad aleggiare lo spirito che aveva riunito e ispirato il gruppo di Piagentina. Il Paesaggio romagnolo, dipinto quasi certamente durante il soggiorno a Modigliana, segna un momento di passaggio Passeggiata in giardino Firenze, Galleria d’Arte Moderna pag. 4 dalla limpida chiarezza dello stile di Piagentina al tratto più mosso e animato delle opere successive. Anche il taglio della composizione è del tutto nuovo, passando dagli orizzonti aperti e luminosi della campagna fiorentina a una prospettiva costruita verticalmente, chiusa sullo sfondo dalla montagna che sale ripida fino a ostruire quasi completamente la veduta del cielo; i colori assumono toni più caldi del consueto e ha qui inizio quel processo di disgregazione della forma che si andrà accentuando negli anni successivi, anche per l’influenza che la pittura del naturalismo francese esercitò sulla seconda generazione dei Macchiaioli. Agli inizi degli anni Settanta, Lega cominciò ad accusare i disturbi alla vista che avrebbero finito per condurlo alla quasi totale cecità: per alcuni anni abbandonò la pittura, limitando l’attività in campo artistico all’apertura di una Galleria d’arte contemporanea nel centro di Firenze, insieme con l’amico Odoardo Borrani. Nelle opere successive al 1878, quando l’artista riprese a dipingere, si avverte chiaramente - soprattutto nel cromatismo intenso e luminoso e nella vibrazione atmosferica, sottolineata da pennellate brevi, frantumate in piccoli tocchi - l’influenza della lezione innovativa del linguaggio impressionista, che ormai andava diffondendosi anche in Italia. Per il tramite di Angelo e Lodovico Tommasi, due giovani allievi, Lega entrò in contatto con la famiglia Bandini, che possedeva una tenuta al Gab- Il pergolato - Milano, Pinacoteca di Brera bro, nei pressi di Livorno, dove l’artista trascorse lunghi periodi dalla fine degli anni Ottanta, insegnando pittura alle cinque figlie, considerato dalla famiglia «come una specie di vecchio parente bisbetico e stravagante, ma in fondo piacevole e caro», come ricordava Giulia Bandini, la più assidua fra le sue allieve. Pur nel rapido declinare delle facoltà visive, Lega continuava a dipingere, eseguendo una serie di paesaggi e ritratti femminili in condizioni proibitive; è ancora Giulia Bandini che testimonia questa caparbia e indomabile volontà di continuare a lavorare sotto l’impulso di una esigenza interiore che non accettava la resa: «Gradatamente andò vedendo sempre meno i particolari; quando lavorava distingueva sempre meno i co- lori [...] Mi sorprendeva che, vedendo così poco, potesse far cose tanto buone e lavorare con tanta passione»; ma le parole più toccanti restano quelle dell’artista che, fino alla fine, non cessò di voler fissare sulla tela ciò che ormai vedeva quasi soltanto con gli occhi della mente: «Fino ad ora mi sono fatto coraggio, e me lo vorrei fare ancora, ma quando sono davanti al vero, sento maggiormente la mia sventura - è la terza volta che ricopro una tela, accorgendomi che mi è impossibile realizzare come vorrei il mio concetto - ieri feci fare un volo al quadro e lo raccattò la modella. Oggi ritenterò, ma sempre più dovrò soccombere perché il pubblico vuol capire anche più in là di quello che sarebbe necessario all’arte...». donata brugioni