Ma sarà davvero una `distruzione creativa`?

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Ma sarà davvero una `distruzione creativa`?
Summit UPA sulla comunicazione
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Ma sarà davvero una
‘distruzione creativa’?
Il convegno ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’, promosso da UPA, ha visto sul palco le migliori menti del
settore per riflettere su un mondo che si muove alla velocità della luce. La crisi finanziaria paralizza tutto e tutti: come uscirne? E quale ruolo giocherà la comunicazione per rilanciare il mercato?
di Raul Alvarez
Presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma si è svolto il summit promosso da UPA in collaborazione con AssoComunicazione ‘Tutto cambia. Cambiamo tutto?’. Una
domanda da giocare all’Enalotto. Gli
scaramantici cominceranno a sospettare che la città eterna non sia di
buon auspicio per il mondo della comunicazione: l’ultimo appuntamento romano fu infatti per il Congresso Nazionale della Pubblicità del
2001, a ridosso di quell’11 settembre
che ha cambiato il mondo. Il nuovo
summit arriva invece nel pieno di una
crisi finanziaria che sta seminando il
panico nei mercati. Ma l’organizzazione ha fornito ai congressisti un
badge propiziatorio: un faccino sorridente con una scritta rassicurante,
“Io ho fiducia”. E i congressisti lo
ostentano con orgoglio, o forse solo
con speranza.
Media sull’orlo di una crisi
di nervi
In effetti di fiducia ce ne vuole, e tanta, ascoltando le relazioni sullo stato del mercato pubblicitario. “La
pubblicità arranca”, ammette Lorenzo Sassoli de Bianchi, Presidente di
UPA. “L’andamento dei primi due
mesi dell’anno è preoccupante. Ma
all’ottimismo e alla fiducia non c’è
alternativa”. Dopodiché passa al vademecum dei rimedi: “Primo, rimettersi in discussione. Secondo,
puntare di più sull’innovazione, aggiungendo nuovi paradigmi ai nostri
prodotti e valore alle azioni verso un
consumatore che si sta riposizionando, e non sappiamo ancora in quale
direzione. Terzo, aiutarci tutti quanti. Da agenzie e centri media ci aspettiamo maggiore partnership”. Per concludere, un invito alla speranza: “Le
marche che terranno il timone fermo
sugli investimenti in comunicazione
saranno le prime ad approdare a terra sane e salve, dopo la tempesta. La
comunicazione ci permetterà di remare contro”.
Al convegno non si fanno cifre ufficiali. Anche Enrico Finzi, Presidente di Astra Ricerche, di solito
accompagnato dalle sue torte, si limita alle parole e a qualche dato ufficioso. “Si prevede un calo reale del
mercato pubblicitario di circa il 10%”,
sostiene, “e una ripresa lenta. Il pri■ Lorenzo Sassoli de Bianchi,
Presidente di UPA.
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mo trimestre del 2010 potrebbe essere il momento di inversione del ciclo. Ma ci vorranno almeno due anni per tornare al livello pre-crisi. I settori che continuano a reggere sono la
telefonia e il fitness. Ci stiamo avviando verso un nuovo tipo di consumo: prezzi più bassi, meno spreco,
più selettività. Il prezzo acquista un
ruolo centrale che non ha mai avuto
prima in modo così preponderante.
Si afferma la cultura del low cost. Ragionare per target diventa più difficile. Siamo bravi a fare proiezioni sull’evoluzione dei mercati, assai meno
a gestire la discontinuità. La crisi porterà alla riduzione dell’innovazione
tecnologica. Entreranno sul mercato
nuovi player, indebolendo le rendite
di posizione. Tenderanno a scomparire le distinzioni fra marketing e comunicazione. Si creeranno nuove professionalità integrate. È il capitalismo
che si rinnova attraverso una ‘distruzione creativa’. Il nostro timore è che,
dopo la crisi, ci sia una riduzione della profittabilità. Aspettiamocelo. Ma
nonostante ciò dobbiamo leggere la
crisi anche come un’opportunità”. Il
bicchiere, insomma, è ancora mezzo
pieno.
Ottimista convinto è Giulio
Adreani, Presidente di Publitalia: “La
crisi, cominciata alla fine della primavera dell’anno scorso”, precisa, “ha
raggiunto l’apice tra novembre e dicembre e la situazione non è migliorata. Nella seconda parte dell’anno,
tuttavia, potrebbero esserci segni di
ripresa”.
Pessimistiche, invece, le previsioni della Fieg. L’allarme lo lancia
il Presidente, Carlo Malinconico. È
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Summit UPA sulla comunicazione
■ Il summit ‘Tutto cambia. Cambiamo
tutto?’, promosso da UPA in
collaborazione con
AssoComunicazione, si è svolto a
Roma presso l’Auditorium Parco
della Musica.
con tono dimesso e un’aria vistosamente preoccupata che annuncia: “Secondo gli ultimi dati, la stampa perde il 30-40% in termini di pubblicità rispetto allo scorso anno, e nulla
può far immaginare un andamento
migliore. Da qui l’esigenza di misure urgenti per sanare gli squilibri di
mercato che penalizzano l’editoria”.
Tra le proposte della Fieg, “il ripensamento dei limiti anti-trust per la
raccolta pubblicitaria” e “una riflessione sul ruolo della Rai e sui relativi spazi pubblicitari”. Sulla ricezione
della nuova direttiva europea sul product placement (l’inserimento di marchi all’interno delle produzioni televisive), Malinconico ha auspicato una
soluzione che non comprima ulteriormente le potenzialità della carta
stampata. Infine, considerando che
siamo di fronte a una crisi straordinaria, la Fieg – assicura Malinconico
– proporrà a Governo e Parlamento
cinque misure straordinarie: 1) rifinanziamento del credito agevolato;
2) previsione di un fondo per nuova
occupazione e multimedialità; 3) reintroduzione del credito di imposta per
acquisto e consumo della carta per
quotidiani e periodici; 4) forme di
sostegno per la modernizzazione della rete di vendita/distribuzione dei
giornali; 5) liberalizzazione del mercato delle spedizioni postali.
Maurizio Braccialarghe, Amministratore delegato di Sipra, annuncia con enfasi: “La rivoluzione digitale non sostituirà i vecchi media
ma ricollocherà diversamente tutto il
sistema mediale, con intrecci reciproci
sempre più intensi, generando una
richiesta di contenuti e generi televisivi sempre più ampia che dovranno
essere concepiti per un mondo multipiattaforma. Ciascun titolo seguirà
più percorsi e si rivolgerà a più pubblici”. Infine Braccialarghe propone
– con il plauso dei convegnisti – che
le banche finanzino quelle aziende
che mantengono o incrementano gli
investimenti in comunicazione.
“Perché pianificare la stam■ A sinistra, Giulio Adreani,
Presidente di Publitalia. A destra,
Maurizio Braccialarghe,
Amministratore delegato di Sipra.
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pa?”, si chiede Raimondo Zanaboni,
Amministratore delegato di RCS Pubblicità: “Oggi non possiamo più parlare di un media ma di integrazione
fra i mezzi. Lo sviluppo della nostra
offerta è sui contenuti”. A far eco a
Zanaboni interviene Angelo Sajeva,
Presidente e Amministratore delegato di Mondadori Pubblicità: “Le concessionarie hanno capito che dovevano cambiare, ma dobbiamo lavorare sui prodotti offrendo maggiore
qualità, contenuti migliori, strumenti
più trasparenti”. Fabio Vaccarono,
Amministratore delegato di Manzoni & C., ricorda che “il tempo che le
persone dedicano ai media è in aumento. Sarà un effetto della crisi? Può
darsi. Siamo entrati nell’era della ‘economia dell’attenzione’. Emergono
nuove forme di comunicazione, come Facebook, ma non sanno ancora
fare pubblicità”. Poi Vaccarono evidenzia il ruolo chiave dei centri me-
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■ Layla Pavone, Presidente di IAB
Italia.
dia: “Sono una soluzione per la crisi.
Sono i soli che hanno cercato di mantenere le ricerche sul consumatore. E
ci hanno aiutato a passare da un’ottica di vendita a una di consulenza”.
“Anche la radio deve ripensare sé stessa”, afferma Eduardo Montefusco, Presidente di RNA, “e fornire il miglior supporto possibile, soprattutto ora che paura, immobilismo e riduzione degli investimenti
potrebbero causare danni incalcolabili al nostro mercato”.
“L’esterna è l’unico media
sempre connesso con la mobilità degli individui”, spiega Francesco Celentano, Presidente di AAPI, “quale
che sia il tempo, il luogo o il mezzo
di spostamento, in quanto parte integrante di quel palinsesto che è il
contesto urbano in cui viviamo. L’ingresso delle multinazionali ha portato a quella concentrazione dell’offerta e a quell’affidabilità richiesta dal
mercato. Lo sfoltimento dell’impiantistica pubblicitaria, l’innalzamento della qualità nell’impiantistica e nell’arredo urbano hanno allineato il mezzo con gli standard europei. E infine la nascita di Audiposter, con la misurazione dell’audience dell’esterna, ha fornito Grp’s, dati e informazioni, colmando il gap
storico con tutti gli altri media”. In
conclusione, a parere di Celentano,
oggi l’esterna si pone come il mezzo
più idoneo per comunicare col maggior numero di utenti.
Mainardo De Nardis, Chief
executive officer di OMD Worldwide, uno dei pochi italiani nel settore
dei servizi di comunicazione e marketing ad aver intrapreso una carriera internazionale, rispondendo alla
domanda del summit sostiene: “È già
cambiato tutto, anche se non ce ne
siamo accorti. Il ruolo delle agenzie
è radicalmente diverso. I bisogni dei
clienti si stanno modificando, pretendono sempre di più dalle agenzie,
ci trattano come partner. Anche i consumatori sono cambiati. La recessione ha accelerato questi fenomeni”.
L’accelerazione della crisi impone di
muoversi velocemente per essere
pronti al momento della ripresa.
A questo proposito De Nardis illustra la sua ricetta in nove punti: 1) ascoltare, capire che cosa sta succedendo e che soluzioni trovano gli
altri; 2) usare la testa, pianificare; 3)
tagliare profondo e veloce, senza perdere i talenti; 4) pensare a breve termine, sopravvivere; 5) dar prova di
leadership e mostrare la faccia alla
gente; 6) misurare, misurare, misurare, perché si è ciò che viene fatto;
7) abbracciare il cambiamento, non
solo nelle crisi ma sin da prima; 8)
vincere, perché senza crescita si muore; 9) essere pronti a gestire la ripresa: se non scoppia tutto, un giorno la
crisi finirà.
I new media salveranno il
mondo?
Mentre i vecchi media si lamentano o battono la fiacca, quelli
nuovi sembrano godere di ottima salute. A tesserne le lodi è Layla Pavo■
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ne, Presidente di IAB Italia ed esperta di advertising online. “In Italia ci
sono 21 milioni di utenti internet fra
i 25 e i 45 anni”, sostiene, “che passano in media un’ora e mezza al giorno sul web (dati Audiweb). Internet
sottrae tempo e spazio ai media tradizionali, e cambia le abitudini. È uno
strumento di informazione ma anche
di intrattenimento. Aggrega le persone ed è un potentissimo mezzo di
influenza sociale. Internet ci aiuta a
profilare meglio l’audience e fornisce
misurazioni più precise della Rai”.
A rinforzare il culto di internet si aggiunge Arianna Huffington,
co-fondatrice ed editrice di The Huffington Post, una delle fonti di notizie online più lette e citate, autrice di
numerosi libri sui new media. “Internet è stata la chiave del successo di
■ Fabio Vaccarono, Amministratore delegato di
Manzoni & C.
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Summit UPA sulla comunicazione
■ A sinistra, Arianna Huffington, co-
fondatrice ed editrice del sito di
news The Huffington Post (in
basso). A destra, Martin Sorrell,
Chief executive officer di WPP.
Barack Obama”, sostiene senza mezzi termini. “Il suo è il caso eclatante
di un Presidente che, prima ancora
di essere eletto, si è posizionato sulla
rete con la forza di un brand. Lui non
legge i blog ma li scrive. Quando è
stato attaccato dai suoi avversari, ha
usato internet per smontare le accuse. La gente vuole interagire con l’informazione, è questa la novità. E internet lo consente. Tuttavia”, precisa
per ribilanciare il potere dei media,
“nel futuro vedo un sistema ibrido,
dove tv e internet si integreranno. Io,
per esempio, leggo i giornali per gli
approfondimenti e per appagare le
sensazioni tattili. E così anche le mie
figlie: si informano attraverso internet, ma poi sfogliano anche Vanity
Fair. Le news e i giornali non si escludono a vicenda, semmai si integrano”. Sospiro di sollievo in sala.
Ma sulle news il sito della
Huffington si caratterizza, rispetto ai
giornali, per la continuità dell’informazione su uno specifico caso. “Con
le news online non bruciamo le notizie all’istante, come i media tradizionali”, spiega. “Tendiamo a portare una storia avanti nel tempo, ad approfondirla. Per esempio, sulla guerra in Iraq continuiamo a dare notizie
di primo piano mentre molti giornali
importanti l’hanno retrocessa in seconda pagina. Altre volte mettiamo
in risalto notizie cui i giornali danno
poca risonanza ma che noi riteniamo
importanti”.
Insomma, internet è il regno
della differenziazione. Dei 3000 blog
ospitati su The Huffington Post, Arianna enfatizza una qualità che caratterizza tutti i new media: il pluralismo
delle idee. “Sui nostri blog”, spiega,
“accogliamo idee anche contrarie alle nostre. Ma un problema difficile
da gestire sono i troll (autori di insulti e attacchi anonimi) che impediscono una discussione civile”.
Arianna Huffington conclu-
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de segnalando tre trend da non perdere di vista: 1) i giovani vivono online; 2) non si può più essere gli unici a parlare, bisogna saper ascoltare
l’utente; 3) l’utente è un’interessante fonte di notizie.
Anche Martin Sorrell, Chief
executive officer di WPP, leader nei
servizi per la comunicazione, osserva
l’incremento dei settori digital e interactive nell’ambito delle relazioni
pubbliche. L’attenzione per i nuovi
media è in aumento, la gente spende
ormai il 20% del proprio tempo online. Sorrell evidenzia lo spostamento della ricchezza (da ovest a est) e la
rapida crescita dei paesi emergenti
(quelli asiatici, il Brasile e il Messico). Alla luce di questo trend, sostiene che nei prossimi 5-10 anni WPP
sarà più asiatica, più sudamericana e
più africana che nordamericana. Ma
anche più lontana dai media tradizionali, più incentrata sui nuovi media e più attenta alla misurazione. Il
ROI sarà sempre di più la chiave per
i clienti. Le agenzie stanno cambiando modello di business, bisognerà
reinventarsi, come è successo a Dell
nell’ambito dell’informatica. Infine
un messaggio di speranza: “Tutte le
ricerche dimostrano che i clienti che
investono nei brand vanno meglio
durante la recessione e ne escono con
marchi e prodotti/servizi più forti,
posizionati in modo da trarre vantaggio dalla fase critica”.
Infine Reid Hoffman, Presidente di Linkedin (sito di social net-
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■ Diego Masi, Presidente di
AssoComunicazione.
working con 37 milioni di iscritti),
analizza il fenomeno dei social network affermando che, riguardo alla
pubblicità, sono ancora alla ricerca di
un equilibrio tra la libertà che gli utenti cercano e i messaggi che i brand
vogliono lanciare.
Diego Masi, j’accuse
“Il concetto di innovazione è
spesso collegato a internet, ma attenzione”, avverte Diego Masi, Presidente di AssoComunicazione: “internet non è la panacea di tutti i mali. L’innovazione e il cambiamento
passano per le agenzie anche dal digitale, ma non è il digitale a fare la
differenza”.
Dopo questa precisazione,
Masi torna al tema del convegno: “La
crisi ha un vantaggio: ci impone di affrontare un cambiamento strutturale
che era già nell’aria, ma al quale non
avevamo il coraggio di porre mano.
Questa è una crisi di sistema (energetica, finanziaria ecc.), e quando finirà ci lascerà un mondo diverso”.
Detto ciò, dà il via a un vibrante ‘J’accuse’. “Fra le nostre agenzie nessuna ha segnato una via italiana alla comunicazione, eccetto forse
Armando Testa. Di chi è la colpa?
Della scarsa forza del nostro settore
produttivo e dell’invasione delle imprese straniere. Oggi il 65% degli investimenti in comunicazione viene
fatto da aziende a capitale straniero”.
Uno dei problemi delle nostre agenzie è il fenomeno della specializzazione, che ha portato il mercato a frammentarsi, impoverendo il
know-how dell’agenzia creativa. Sono finiti i tempi delle agenzie a servizio completo. Il colpo è arrivato con
lo scorporamento dei centri media
dalle agenzie. “È difficile affrontare
un progetto creativo senza poter ragionare anche sul mezzo”, spiega Masi. “La frammentazione è stata fatta
dai grandi gruppi che hanno comprato le specializzazioni. E quando si
cominciava a dare il via alla ricomposizione è arrivato internet, minacciando ritardi e sospetti di invecchiamento”.
L’accusa di Masi prosegue su
altri bersagli: “Oggi si fa un gran parlare di creatività e innovazione”, sostiene, “ma la creatività non è più remunerata. Ciò che i clienti pagano è
solo l’esecuzione. Senza riconoscere
un ‘valore economico’ alla creatività,
è difficile ottenere idee innovative. E
ancora di più se si continuano a ridurre i prezzi dei nostri servizi”. Il
colpo finale lo riserva alla Pubblica
Amministrazione: “Lo share di investimento di enti e istituzioni, rispetto al totale rilevato sui mezzi classici
nel 2007, è pari all’1,7%. In dieci anni è cresciuto appena di 0,4 punti percentuali. Il sistema di gare pubbliche
adotta per la pubblicità le stesse leggi con cui si concorre all’appalto per
il Ponte di Messina. Continua a vincere il prezzo più basso. Ma noi vogliamo essere trattati da consulenti,
non da semplici fornitori”, ha chiarito Masi, accompagnato da un grande applauso.
Prima di lasciare il palco, Masi ha lanciato alcune idee per le agenzie del futuro, riassumendole in tre
parole-chiave.
Consumer insight. Significa
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shopper marketing, cioè capire sino
in fondo l’ultimo metro d’acquisto.
La società oggi è troppo differenziata per poterla risolvere con target 2564 anni. Scompare la classe media,
aumentano i single e gli stranieri. Chi
acquista oggi è spesso qualcuno diverso dal target di riferimento, basti
pensare all’oltre un milione di badanti
che comprano per gli anziani. “Allora chi è il target cui dobbiamo rivolgerci”, si chiede Masi, “l’anziano o la
filippina?”. La comunicazione sta diventando one-to-one, il fenomeno
dei blogger è in crescita. Consumer
insight, dunque, implica anche più
ricerche e maggiore capacità di segmentazione.
Multidisciplinarità. Le agenzie di domani dovranno avere tante
figure che conoscano a fondo le nuove discipline.
Long term partnership. Se in
futuro bisognerà conoscere il consumatore e affrontarlo con una precisa
strategia, il ritorno dei lunghi rapporti è uno dei nostri obiettivi. Altrimenti il rapporto con l’agenzia diventa solo una prestazione occasionale o un mercanteggio al ribasso.
Il guru della crescita
economica: Jacques Attali
Al summit della comunicazione arrivano anche star di spicco,
prima fra tutte l’attesissimo Jacques
Attali, personaggio di rilievo della cultura francese e non solo. Economista
e membro onorario del Consiglio di
Stato francese, è stato responsabile e
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Summit UPA sulla comunicazione
■ Jacques Attali, economista, scrittore e
banchiere francese. Il volume Liberare la
crescita presenta le 300 proposte formulate
dalla commissione per la liberazione della
crescita, istituita da Nicolas Sarkozy nel 2007
e da lui diretta.
coordinatore della commissione per
la crescita economica costituita su
mandato del Presidente Nicolas Sarkozy. Le 300 decisioni emerse dalla
commissione sono state raccolte e pubblicate in Liberare la crescita, edito da
Rizzoli. Versatile nei temi, illuminante
nelle sue tesi, autore di testi che fanno testo come Breve storia del futuro
o Amori (entrambi editi da Fazi), fondatore di Placet Finance, un’organizzazione internazionale non profit che
promuove il microcredito nel mondo, da un anno operativa anche a Milano, Attali è lungimirante, al punto
che aveva previsto la crisi attuale molto tempo prima che arrivasse. È questo, infatti, il tema del suo ultimo libro La crisi, e dopo? (da aprile in Italia per Fazi editore).
Quando sale sul palco, l’attenzione è alle stelle. Spente le luci,
Attali da il via alla sua conferenza.
Inizia con una citazione biblica: “Non
c’è nulla di nuovo sotto il sole. Molti se lo aspettavano, ma se vuoi trovare qualcosa di nuovo devi andare
oltre il sole”. Il silenzio in sala si taglia con il coltello. “Non c’è nulla di
nuovo nel vecchio paradigma. La civiltà occidentale ha collegato il nuovo alla libertà individuale. La crisi di
oggi è legata a questa priorità etica
nata 25 secoli fa. Lottiamo per la libertà individuale e la chiamiamo libero mercato. Come conciliare libertà,
mercato e democrazia? Crisi vuol dire che abbiamo sbagliato le nostre
previsioni. Dalle crisi del passato abbiamo imparato che la carta vincente consiste nell’avere una visione del
futuro. I perdenti sono quelli che credono che dopo la crisi tutto tornerà
come prima. La supremazia del dollaro e della piazza londinese verrà meno. Quello di oggi è un cambiamento tolemaico, dunque di paradigma.
Agisce alle radici dei nostri modelli
di pensiero. Nei prossimi trent’anni
il mondo ci sembrerà irriconoscibile”. Tremore in sala. “Vedremo cambiamenti di varia natura”, la sua voce si fa profetica, “ideologici, demografici, di governance globale. Ci sarà una crescita esponenziale della popolazione del pianeta, una maggiore
propensione al nomadismo. Le persone si sposteranno con maggiore frequenza in diverse parti del mondo.
Un altro cambiamento riguarderà la
semantica del web, legata alla ricerca
di una libertà individuale. Si svilupperanno le biotecnologie per l’agricoltura, le nanotecnologie, le neuroscienze. E ancora: nella competizione globale occorrerà anche una dose
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di ‘altruismo’, non in senso religioso
ma sociale. È nel nostro interesse che
anche gli altri possano fare progressi. Stiamo entrando in una ‘economia low cost’. L’Africa (due miliardi
di persone) rappresenterà la sfida più
importante del futuro. Sopravviverà
chi sarà in grado di capire qual è il
mondo che ci troviamo davanti dopo la crisi e cosa richiede. Alcuni settori (come auto e banche) dovranno
rinnovare completamente i propri
modelli di business. La musica l’ha
già cambiato da un pezzo. Gli artisti
non guadagnano più dai cd ma dai
concerti. La gente paga per avere contatti live anziché virtuali. Sono state
prese misure colossali per contrastare la recessione, e questo è positivo.
Ma ora inizia la fase decisiva: sapremo dare al mondo delle nuove regole?”. Il cambiamento impone infatti
nuove regole anzitutto, non palliativi. In questo senso siamo di fronte a
una vera rivoluzione dei paradigmi
culturali. E per la chiusura, Attali si
riserva una frase a effetto: “Ma il valore vero continuerà a essere il tempo che passiamo con qualcuno”. Sembrerebbe una citazione dal suo ultimo libro, Amori.
Il guru di Harvard: Alberto
Alesina
Alberto Alesina, professore di
economia alla Harvard University ed
editorialista de Il Sole 24 ORE, ha tenuto una vera e propria lectio magistralis sulla crisi finanziaria, rompendo tabù e stereotipi e lanciando segnali di rassicurazione. Peccato che
le sue oltre venti slide (sintetiche e
chiarissime), proiettate alla velocità
della luce, non siano state messe a disposizione della stampa, altrimenti
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■ A sinistra, Alberto Alesina,
professore di economia alla
Harvard University ed editorialista
per Il Sole 24 ORE. In basso, il
volume Positioning, scritto da Jack
Trout insieme ad Al Ries.
parlerebbero da sole. Perciò della sua
illuminante dissertazione non possiamo che restituirvi alcune schegge.
Cominciamo dalle conclusioni: “Le
crisi finanziarie ci sono sempre state,
anche prima del capitalismo, ed è impossibile evitarle. Non credo che quello che abbiamo di fronte sarà un nuovo ’29. L’economia reale oggi è più
solida di allora. All’epoca l’errore fu
che Herbert Hoover aumentò le tasse e impedì alle imprese di ridurre i
salari. Il New Deal servì a riparare i
suoi errori. Ma non dobbiamo dimenticare che le crisi sono una conseguenza della crescita, e che non c’è
crescita senza rischi. Crisi perciò significa anche rinnovamento, eliminazione del superfluo, miglioramento. In questo senso la crisi può anche
essere una distruzione creativa. Siamo di fronte a un cambiamento radicale? Non credo che cambierà il capitalismo liberale”.
Alesina mette poi in guardia
dai luoghi comuni e dai falsi allarmi:
“Che la globalizzazione renda tutti
uguali è assolutamente falso”, precisa, “così come è falso che la povertà
sia aumentata. Non è mai scesa tanto quanto all’inizio della globalizzazione”. E ancora: “La globalizzazione non aumenta la disuguaglianza,
semmai permette ai paesi di differenziarsi, di trovare una propria specializzazione”. Di fronte a quali rischi ci pone? “Bisogna evitare il crollo della domanda e occorrono stimoli
fiscali, incentivi alle banche a presta-
re soldi e alle imprese a rimanere sul
mercato”.
Un’altra domanda chiave, visto che siamo in un summit sulla comunicazione: che ruolo gioca la comunicazione in questo contesto?
“Enorme”, assicura Alesina, “deve evitare gli eccessi di ottimismo o di pessimismo, informare correttamente gli
investitori, avere memoria storica,
non leggere la realtà solo partendo
dalla situazione contingente. Deve tenere presente la ciclicità delle crisi”.
Il guru del posizionamento:
Jack Trout
Il nome di Jack Trout occupa
un posto d’onore nelle teorie del marketing: è lui l’inventore del posizionamento, concetto che ha divulgato
nel 1972 in un testo ancora oggi considerato uno dei pilastri della materia: The Battle of Your Mind. Quando sale sul palco è accolto con il riguardo che si deve a una star del suo
calibro. “A minacciare il business sono 3C: ‘concorrenza’ crescente, ‘cam-
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biamento’ continuo, ‘crisi’ finanziaria”. Fissati i paletti del suo intervento, Trout vi si addentra con energia ed entusiasmo. “Quando ideai il
positioning”, spiega, “nel mio libro
avevo concepito anche il suo fratello
gemello: il repositioning (riposizionamento), che in pratica significa
cambiare la percezione che le persone hanno di un brand o di un prodotto. Ma all’epoca il ‘gemello’ non
ricevette l’attenzione che meritava.
Oggi, con il terremoto finanziario,
torna improvvisamente di attualità
per almeno tre ragioni: la prima è che
il livello di competizione sta accelerando in tutto il mondo; la seconda
che la velocità del business e della tecnologia stanno aumentando esponenzialmente; la terza, che a causa dei
problemi finanziari mondiali siamo
entrati nell’atteggiamento di crisi e
questo uccide il business. Per tutte
queste ragioni è arrivata l’ora di riposizionarsi. In particolare, quando
la concorrenza è accelerata, abbiamo
una sola arma: sparare sull’avversario
con la pubblicità comparativa. Troviamo il loro difetto, enfatizziamolo,
riposizioniamoci sul valore opposto.
Per esempio, diciamo che i Repubblicani sono incompetenti? Noi puntiamo a un’immagine di competenze e buon governo. Cambiamento significa anche che, se vogliamo sopravvivere, non possiamo seguire la
strada della concorrenza, dobbiamo
distinguerci, riposizionarci. Infine crisi significa che l’ambiente economico richiede alle aziende valore aggiunto. Ma come si aggiunge valore?
Un’azienda che produce macchine
per radiografie, per esempio, ha costruito una macchina che si può tenere in mano. Le dimensioni sono il
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Summit UPA sulla comunicazione
■ Gianpaolo Fabris, professore
ordinario di sociologia dei consumi
all’Università San Raffaele di Milano
e pioniere delle ricerche
sull’opinione pubblica in Italia, e
Bernard Cova, professore di
marketing all’Euromed di Marsiglia
e pioniere negli studi di etnosociologia del comportamento del
consumatore.
suo valore aggiunto. Risparmiare tempo e soldi è un altro validissimo valore aggiunto. Perciò, nell’epoca del
‘meno’, facciamo di più: questo significa riposizionarsi in tempo di crisi. E allora”, conclude Trout con un
sorriso accattivante, “usate questa crisi per riposizionarvi”.
Gianpaolo Fabris e Bernard
Cova: a confronto sul
societing
A discutere delle sorti del
marketing sono stati messi a confronto due illustri studiosi: Gianpaolo Fabris, professore ordinario di
sociologia dei consumi all’Università San Raffaele di Milano e pioniere
delle ricerche sull’opinione pubblica in Italia, e Bernard Cova, professore di marketing all’Euromed di
Marsiglia e pioniere negli studi di etno-sociologia del comportamento del
consumatore. Nel suo ultimo libro,
Societing, edito da Egea (2008), Fabris ha adottato questo neologismo
(social + marketing) per sancire l’ingresso di internet nelle strategie di
marketing. “Possiamo continuare a
parlare di marketing quando l’azione richiesta (-ing) continua nella società e non solo nel mercato?”, si chede Fabris nel suo libro. Il societing
cambia ‘verso’ al marketing: da una
filosofia verso il mercato, dove i consumatori sono individuati, mirati e
colpiti, a una filosofia con il mercato, in cui consumatori e fornitori collaborano all’intero processo, sono
coinvolti nella co-creazione di valore. Una novità che rivoluziona le regole del gioco, riconoscendo ai consumatori un ruolo attivo nelle logiche di produzione delle merci e dei
consumi. Si tratta di una vera e propria new age che alcuni hanno ribattezzato marketing 2.0.
“Nell’ultimo decennio”, attacca Fabris, “il marketing ha risentito di una visione statica del consumatore, decisamente fordista. Tuttavia nel frattempo qualcosa è cambiato radicalmente: al centro dell’universo non c’è più l’impresa ma il consumatore. Il marketing tradizionale
ha perso la sua visione strategica, è
diventato tattico, autoreferenziale, e
deve reinventarsi. Anche negli Stati
Uniti perde consensi e legittimità come strumento”.
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“Il marketing tradizionale”,
spiega Cova, “vede due versanti opposti: azienda e consumatore. Ma con
internet questa separazione viene meno. I consumatori vogliono partecipare (com’è nella logica dei social network) mentre il marketing non lo ha
ancora capito, continua a privilegiare un approccio razionale al consumatore, esclude l’ambiguità e cerca
la coerenza. Eppure l’ambiguità è necessaria”.
“Oramai si va verso la co-creazione”, prosegue Fabris, “e invece il
marketing relazionale continua a limitarsi ai call center”. “In periodi di
crisi come questo”, aggiunge Cova,
“bisogna capire dove si spostano i consumi poiché avvengono strani fenomeni. Ci sono alcune settori in crisi
e altri in aumento. Magari si risparmia negli alimentari ma non nella villeggiatura. E al Gran Premio di Le
Mans c’è ancora oggi il pienone”.
“La vecchia scala dei bisogni
è una categoria che sta mutando”,
precisa Fabris. “C’è una dimensione
nuova: il consumatore empowered,
più responsabile e persistente nel perseguire certi valori. È sintomatico,
per esempio, che in un periodo di recessione come questo la gente continui a preferire i prodotti biologici, le
cui vendite quest’anno hanno registrato un aumento del 6%. La pubblicità sta sperimentando cose nuove, e più avanti del marketing”. Applauso in sala. “Le ricerche di mercato fotografano una realtà che non
esiste più. Un’epoca è finita ma il marketing non se n’è accorto. Sappiamo
tutto su quanti vedono un programma, ma pochissimo sul suo impatto”.
E su questo invito al marketing a svecchiarsi, il summit si chiude.
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