Viscardo da Manfredonia. Romanzo storico opera di Francesco

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Viscardo da Manfredonia. Romanzo storico opera di Francesco
Antonio Latino
Viscardo da Manfredonia. Romanzo storico opera
di Francesco Prudenzano pubblicato nel 1854
Dramma ambientato nei castelli di Monte Sant’Angelo
e Manfredonia nel XVII secolo
di Antonio Latino
Nel secolo che vide il fiorire di questo genere letterario reso celebre dal divo
Alessandro Manzoni e coltivato da suo genero, il Conte Massimo d’Azeglio, nell’opera Ettore Fieramosca e la disfida di Barletta, anche il nostro Gargano può
vantare un’opera, pur se minore e quasi sconosciuta rispetto ai più celebrati esempi
sopra citati, ma non per questo non interessante per gli appassionati di storia patria, ascrivibile a detta categoria.
Più di dieci anni addietro, curiosando nella vetrina di un negozietto di antiquariato della centralissima via San Felice in Bologna, la mia attenzione fu carpita
da un elegante volumetto sulla cui copertina in cartone pressato era raffigurato il
mezzobusto di un cavaliere seicentesco in armatura d’epoca. Cercai di focalizzare
meglio per ovvi problemi di miopia e quale sorpresa nel leggervi un titolo in cui
mai avrei sperato di imbattermi: Viscardo da Manfredonia di Francesco Prudenzano.
Non nascondo che il prezzo rivelatomi dall’antiquario, all’incirca trecentomila lire del vecchio conio scoraggiò il mio entusiasmo fino a farmi desistere
dall’acquisto.
A distanza di pochi giorni, con malcelato disappunto ma nel contempo con
una gioia indescrivibile, ebbi a scoprire che la mia consorte me ne avrebbe fatto
dono in occasione del mio trentasettesimo compleanno.
Dopo questa scusabile digressione da amarcord familiare torno volentieri
all’oggetto di questa chiacchierata.
L’opera vide la luce in Napoli, presso gli editori proprietari dello stabilimento tipografico Dell’Ancora Pasquale Androsio in vico Celzo a Toledo 22,
probabilmente come romanzo di appendice consistente in fascicoli per un totale
di cinque puntate e mezzo. Prezzo di ogni puntata grani 20 (siamo ancora in età
borbonica). Il racconto è articolato in due volumi rilegati insieme, di dieci capitoli
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Viscardo da Manfredonia
ciascuno e la copia in nostro possesso corrisponde già alla seconda edizione. Sempre dal frontespizio apprendiamo che l’autore Francesco Prudenzano, nativo di
Manduria e affermato letterato, aveva casa in Napoli in via Carminiello a Toledo
n.51 al secondo piano.
Nell’interno della copertina si legge questa specie di recensione: «Manifesto.
I più distinti pregi di questo romanzo sono: 1° Novità di genere. – 2° vastità di
materie.- 3° Compenetrabilità di ben dipinte passioni.- 4° Quantità esuberante di
storiche, mitologiche, scientifiche e letterarie erudizioni.- 5° Sunte dell’intera storia patria.- 6° Ottimi risultati morali etc. etc.».
Ma veniamo alla intricata trama che, dopo una non indifferente descrizione
dei luoghi che dal Gargano spaziano fino alla marina, e del contesto storico (siamo
nel 1620), si dipana da queste pagine, ingiallite dall’incedere del tempo.
La vicenda narra dell’amicizia, coltivata fin dall’infanzia, tra due rampolli
della nobiltà tardo feudale del tempo, nonché dimoranti nei prospicienti castelli
svevo-angioino-aragonese: Gabriella, figlia di Raimondo della Scala (nome evocante poco probabili origini venete), truce Barone di Monte Sant’Angelo e della di
lui moglie, la pia Eleonora Grimalda (Grimaldi), con Viscardo Alderani, giovane e
audace Conte di Manfredonia, il protagonista a cui è intitolato il nostro racconto.
Nell’occasione della festa di fine estate di San Michele le sale del castello di
Monte Sant’Angelo ospitano un gran ballo di gala cui, oltre al Conte Alderani, prende parte la trista figura di Ugo di Rocciglione Duca di San Giovanni Rotondo nonché vedovo della giovane Duchessa Maria Cavaniglia, uccisa per mano del bravo (di
manzoniana memoria) Caino da Monteforte, al soldo del di lei marito. Inutile dire
che il Duca si innammora perdutamente della giovane e bella baronessina Gabriella,
amore non corrisposto perché già nell’intimo promessa al giovane Alderani.
Molto bella la descrizione della città montanara, immersa nella festività dell’Arcangelo protettore, e della sua Basilica scavata nella roccia e impreziosita dall’arte dell’uomo.
A distanza di qualche mese da quegli avvenimenti, muore prematuramente
l’ancor giovane, ma molto provata nel fisico, baronessa Eleonora tra le braccia dei
due giovani, benedicendo il loro amore, da sempre segretamente reciprocamente
condiviso.
Il Conte Alderani è un giovane di belle speranze: ha girato per le più importanti corti principesche italiane da quella dei Gonzaga di Mantova a quella Estense
di Ferrara, cimentandosi in ardimentosi tornei cavallereschi, ma anche confrontandosi con personaggi della cultura come il filosofo Tommaso Campanella o della
fede come il Cardinale Federigo Borromeo (l’aria manzoniana si respira a pieni
polmoni specialmente quando, nel prosieguo della trama, il riferimento alla Provvidenza diventerà l’elemento portante).
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Questo amore sincero e pulito non avrà, come prevedibile, vita facile: nel
frattempo infatti Raimondo, il Barone padre di Gabriella, ha raggiunto un accordo
segreto con Ugo Duca di San Giovanni: il matrimonio di questi con sua figlia costituirà la premessa per il conseguimento della egemonia politico-militare su tutto
il feudo garganico.
Trascorso il periodo di lutto, il Barone rivela a sua figlia il suo piano scellerato ricevendone un netto rifiuto. Viscardo, inspiegabilmente per lui, viene bandito
dal Castello di Monte Sant’Angelo. Ma nel frattempo Gabriella riesce attraverso
un eremita, suo confessore, ad informare l’amato Conte che, intanto, aiutato dal
sacerdote, organizza le nozze segrete.
A distanza di qualche giorno, in una chiesetta agreste, nel bel mezzo della
celebrazione nuziale, irrompe, informato dalle sue spie, il Barone padre della ragazza e uccide il Santo uomo, mentre Viscardo, dopo aver tentato il tutto per tutto
per sottrarre Gabriella dalle grinfie paterne, fugge precipitosamente a valle, alla
volta dei suoi possedimenti, ferito ma salvo.
Ma a rimestare le carte in tavola interviene, nel giro di qualche tempo, la notizia portata da un messo della Repubblica veneziana, impegnata in quei mesi nella
difesa di Candia, isola della costa dalmata assediata da vari mesi, dell’imminente
sbarco dei turchi capitanati da Alì Pascià. La città di Manfredonia si stringe intorno
al suo valoroso ed amato capitano nonché Conte Viscardo Alderani che, senza risparmio di mezzi e di uomini, appronta le opere atte alla difesa: pagine intense che
descrivono, ricche di pathos, quei momenti eroici e nel contempo angoscianti.
Il Barone della Scala, che pur pressato dal sodale Duca di Rocciglione, ancora non ottiene il consenso alle nozze di Gabriella (questa invero preferirebbe il
chiostro o la morte pur di non rinunciare al suo Viscardo), trema nell’apprendere la notizia dell’imminente sbarco dei maomettani e con cinica determinazione,
consapevole che solo Viscardo può ergersi a difesa per tutto il territorio, Monte
Sant’Angelo compresa, lo convoca e, a sorpresa, per la ragion di stato, concede al
Conte la mano di sua figlia, a condizione che questi risulti vincitore sul nemico
infedele.
Pur nel dolore per la battaglia alle porte, esplode la gioia tra i due giovani e
Gabriella promette di assistere abbracciata ad un bianco vessillo dal torrione più
alto del castello montanaro alla battaglia che si profila nel golfo di Manfredonia.
Battaglia che di lì a poco esploderà non solo metaforicamente : infatti se
tutto il romanzo, personaggi compresi, è frutto della fertile fantasia del Prudenzano, non altrettanto può dirsi dell’assalto consumato dai turchi contro la città di
Manfredonia, storicamente vero e teatro di quella vicenda reale nota come il ratto
della sultana Beccarini, ma questa è un’altra storia.
Torniamo ai nostri fatti. Preso da rinnovato slancio guerriero, forte della
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promessa nuziale testè ricevuta, Viscardo si pone alla testa delle sue truppe, o meglio dell’intera popolazione pronta a combattere anche con armi di fortuna e si
accinge ad accogliere l’Infedele invasore sul lido sipontino, pronto ad imbarcarsi
sulla nave ammiraglia, a guida della flotta manfredoniana.
All’apparire dei legni issanti la bandiera con la mezza luna, una sensazione
di liberazione, ma nel contempo di sgomento si diffonde tra gli astanti, superata la
quale tutti si accingono eroicamente ad affrontare la cruenta battaglia prima navale,
poi sulla terra ferma.
Fallito sul nascere un tentativo di pacificazione offerto da una ambasceria turca dietro un compenso ritenuto oltraggioso e non accettabile in nessun caso da parte
italiana, anche per la richiesta di un certo numero di giovani vergini per arricchire
l’harem del Sultano ottomano, accanto ad oro e viveri per la flotta, lo scontro inizia
più cruento che mai con il bombardamento navale del castello di Manfredonia.
Ma la perizia militare del giovane conte riesce ad arginare l’attacco e a ribaltare le
sorti della battaglia. Dopo un susseguirsi di capovolgimenti di fronte, proprio quando
ormai sembrava imminente la ritirata dell’esercito invasore, un colpo di cannone ben
assestato cola a picco la nave ammiraglia con conseguente cattura del Conte.
Proprio in quel mentre questi, levando gli occhi al castello di Monte Sant’Angelo vede un fulmine abbattersi sul torrione più alto presidiato dall’amata Gabriella
e il bianco stendardo da lei issato bruciare irrimediabilmente. Vittima due volte, negli
affetti e nella patria, Viscardo si lascia catturare mentre Manfredonia, preda delle scimitarre ottomane è posta a ferro e fuoco, un saccheggio che dura diversi giorni con
migliaia di vittime e deportazioni verso i lidi levantini.
Ma lo sconforto che più grava sulla vinta popolazione è sapere il suo duce
sconfitto e prigioniero senza possibilità di ritorno alcuno.
Gabriella intanto, dopo giorni trascorsi tra la vita e la morte, sembra migliorare pur sanguinando ancora la pena d’amore che le trafigge il cuore.
Sconfitto Viscardo, il perfido Barone Raimondo ritiene venuto meno il presupposto della promessa nuziale tra di loro convenuta e, non avendo mai del tutto desistito dal progetto che lo accomunava al duca di San Giovanni Rotondo, torna a tramare
con quest’ultimo per carpire il consenso di sua figlia al piano infernale, insinuando nel
suo animo menzogne sul conto dell’amato spasimante.
I due congiurati usano perfino l’arte della stregoneria per dimostrare a Gabriella come Viscardo, di cui in prigionia si sarebbe invaghita la figlia del Sultano,
avesse finito per abiurare la fede di Cristo per impalmare la bella odalisca. Ma Gabriella, intuito l’inganno, fugge terrorizzata da tanto scempio.
Non pago dell’insuccesso, il duca ci riprova dando incarico al suo bravo
Caino che, con un abile travestimento, consegna a Gabriella una falsa lettera di Viscardo scritta poco prima di convolare a giuste nozze. Questa volta Gabriella, già
sfinita dalle precedenti cattiverie, cade a terra priva di sensi iniziando una agonia
che durerà diversi giorni.
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Viscardo in realtà è sottoposto ad una dura segregazione, ma il pensiero di
Gabriella stretta a quel vessillo in fiamme, lo tormenta più di ogni altra cosa.
Dopo mesi di sofferenze fisiche e morali il destino mostra uno spiraglio di
salvezza: un violento terremoto apre alcune crepe nelle mura della fortezza in cui è
rinchiuso e nel fuggi fuggi generale di guardie e prigionieri, riesce a dileguarsi celato
sotto un mantello di foggia turca sottratto ad una vittima del sisma.
Raggiunta la vicina spiaggia, intravista all’orizzonte una imbarcazione battente la bandiera di San Marco la conquista a nuoto e a bordo di essa è tradotto in
territori amici sotto la protezione della Repubblica veneziana.
Ma torniamo ai nostri lugubri due personaggi rinchiusi nel castello di Monte
Sant’Angelo al capezzale di Gabriella ormai morente che, sfinita dalle loro cattiverie,
spira irrimediabilmente tra le braccia della fida damigella Elena.
Nel frattempo ecco sopraggiungere, a feretro ancora aperto, un viandante
apparentemente accorso a rendere omaggio alla nobile giovane baronessina testè
scomparsa.
Alla vista di Gabriella, atterrito dal pallore del suo volto sul letto di morte, preso
da sovrannaturale furore, il personaggio misterioso svela la sua reale identità: non può
che essere Viscardo il quale, rintracciati gli artefici delle sue disgrazie in una sala attigua
alla camera ardente, sferra un pugno ben assestato, forte di un guanto ferrato, sul capo
di Ugo di Rocciglione che cadendo spira subitaneamente.
Altrettanto non fa con Raimondo della Scala che lascia marcire nel rimorso
per il male arrecato in danno di sua figlia Gabriella, fino a condurla alla morte.
Inforcato un cavallo Viscardo, quasi a voler emulare l’eroe Fieramosca, si
lancia al galoppo in una corsa disperata attraverso i dirupi garganici che separano
la dimora arcangelica dalla costa. Ma a differenza del duce della disfida di Barletta,
suicida per amore giù da Monte Saraceno (ma questo episodio è solo il frutto della
fantasia del d’Azeglio), non mette fine alla sua esistenza con un gesto insano, preferendo invece morire da eroe cristiano a distanza di qualche mese combattendo le
ultime fasi dell’assedio di Candia, città assurta a simbolo della resistenza nei valori
della fede, dall’una e dall’altra parte, in uno scontro di civiltà tra cristiani e islamici,
quanto mai attuale ancora ai nostri giorni.
Un racconto non a lieto fine quindi, a conclusione del quale emergono la
figura spirituale di Gabriella che nella fedeltà all’amato preserva la sua purezza
verginale e l’eroismo epico di Viscardo, immolatosi per la salvaguardia della patria
e del suo credo religioso.
Come nel più celebre romanzo manzoniano, ambientato in Lombardia nello
stesso periodo, anche in questo prodotto minore si alternano racconti all’interno
del racconto principale, non privi di spunti tragici come quello relativo al barbaro
assassinio, ad opera di Falco, capo dei bravi al soldo del Duca di San Giovanni,
consumato ai danni di Margherita, una popolana di San Giovanni Rotondo, il cui
vedovo, chiamato Cefalo scappato a Manfredonia per non incorrere nelle ire di
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Viscardo da Manfredonia
Ugo di Rocciglione, dopo aver raccontato l’episodio agli avventori di una taverna
sul porto di Manfredonia, (tra cui spiccano l’imbroglione Lotto Chitarra e compare Basilisco) davanti ad un buon fiasco di vino, morirà eroicamente nella difesa
della città tra le braccia di frà Geremia.
A conclusione l’autore accenna a come, attingendo alla tradizione popolare,
fosse venuto a conoscenza di questi fatti grazie ad un viaggiatore napoletano (l’autore medesimo Francesco Prudenzano in visita nei luoghi della ‘Disfida’), che nell’aprile 1830, approdando nel porto di Manfredonia vide, al tramonto, dal monte
Gargano due colonne di fumo levarsi verso il cielo. Chiestane spiegazione ai marinai locali, gli fu da questi narrato trattarsi delle anime di Viscardo e Gabriella che a
sera si incontrano in vista della loro terra natale per rinnovarsi amore eterno.
Una curiosità da noi carpita, ma stranamente, all’epoca della pubblicazione,
non rilevata dalla severa censura borbonica: l’autore Francesco Prudenzano, nel
descrivere i guasti prodotti dal feudalesimo nel meridione italiano, elogia l’azione
riformatrice di Carlo III di Borbone prima, ma soprattutto di Napoleone poi, artefice della soppressione del secolare potere conferito ai Baroni.
Nel ribadire ancora una volta la fedeltà del racconto ai canoni del romanzo
storico, con trama e personaggi inventati di sana pianta, pensiamo soltanto di aver
proposto all’attenzione di un pubblico più vasto un’opera relativa alla nostra terra,
che l’autore pur non vantando origini locali doveva aver sufficientemente conosciuto desumendo ciò dalle descrizioni dei luoghi degne del pennello del miglior
d’Azeglio, romanziere, ma prima ancora pittore.
Opera non del tutto sconosciuta, semmai dimenticata negli archivi e mai
sufficientemente approfondita, tanto che il compianto autore di storia garganica
Antonio Ciuffreda così ne parla in un breve cenno, nel capitolo in cui si occupa
del seicento, nel suo studio Uomini e fatti della Montagna dell’Angelo: «A voler
usare fantasia si potrebbe prendere lo spunto per una storia romanzesca, intrigata e
misteriosa, come già fece Francesco Prudenzano, che ambientò nel nostro Castello
le vicende del suo romanzo Viscardo da Manfredonia».
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