usa‐iran: dopo le sanzioni, l`ora del dialogo
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usa‐iran: dopo le sanzioni, l`ora del dialogo
Analysis,21Novembre2013 USA‐IRAN:DOPOLESANZIONI, L’ORADELDIALOGO DavideBorsani On the eve of a new round ofthe Genève nucleartalks betweenthe P5+1 and Iran, the US Senate is weighing the possibility of approving the Nuclear Iran Prevention Act (Nipa) of 2013, i.e. a new law thatwouldimposeadditionaleconomicsanctionsonTehran.However,itwouldbewisetoconsiderif the Nipa would be useful to achieve a diplomatic compromise at the negotiating table. This paper analysesintheshadowofthe‘dualtrackpolicy’howthesanctionshurtstheIranianeconomy,andthe ‘hawkish’and‘dovish’approachespursuedintheUSbytheObamaadministration,thelawmakersand thepublicopinion.Intheend,theauthorconsidersthenewrelaxeddiplomaticenvironmentofrap‐ prochement and how the leading negotiating power, the US, could behave toward its (old?) Iranian enemy. ©ISPI2013 Davide Borsani, PhD Candidate in Storia delle Relazioni e delle Istituzioni Internazionali (Università CattolicadelSacroCuore). 1 Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI. Le pubblicazioni online dell’ISPI sono realizzate anche grazie al sostegno della Fondazione Cariplo. Introduzione Uno dei grandi dibattiti in seno alla disciplina delle relazioni internazionali riguarda l’utilità delle sanzioni economiche come strumento coercitivo di politica estera, talvolta considerato alternativo all’uso della forza armata per piegare la volontà del nemico secondo i propri desiderata1. Al di là della diatriba teoretica, l’attualità offre un caso studio, quello iraniano, di particolare rilevanza. Riluttanti ad assumere altri oneri militari in Medio Oriente, gli Stati Uniti di Barack Obama, soprattutto dopo le fallite manifestazioni dell’Onda Verde, hanno favorito una politica d’isolamento economico dell’Iran con l’obiettivo di convincerlo a riaprire i negoziati diplomatici e, at the end of the day, di dissuaderlo dall’ottenere la tanto temuta arma atomica. A distanza di alcuni mesi dall’elezione a presidente iraniano di Hassan Rouhani, tale dual track policy, che combina sanzioni e diplomazia, pare in effetti aver dato i suoi primi frutti, riportando Teheran al tavolo dei negoziati in una posizione – al di là della sua retorica nazionalista – di debolezza. «Sanctions work and that's why [Iran is] talking now»2 Come evidenzia un recente report del Congressional Research Service3, infatti, le sanzioni fin qui adottate dalla comunità internazionale, in particolare dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, hanno causato la contrazione più imponente dell’economia iraniana da circa due decenni. Il Fondo Monetario Internazionale ritiene che da marzo 2012 a marzo 2013, il Pil dell’Iran sia diminuito dell’1,9%, con una proiezione di un’ulteriore contrazione dell’1,3% fino a marzo 2014. La disoccupazione è salita a circa il 20% della forza lavoro, mentre l’inflazione su base annuale secondo i dati ufficiali si assesta tra il 30% e il 45%, benché per gli analisti indipendenti vada anche oltre il 50% fino a un ipotetico 70%. L’export di petrolio ©ISPI2013 1 Richard Haass ricordava equilibratamente nel 1998 che «As is the case with most any other policy tool, the answer to the question “Do sanctions work?” must necessarily be “It depends.”». Di recente, alla luce di vari casi studio, Jean-Marc Blanchard e Norrin Ripsman hanno concluso che «economic statecraft [i.e. sanctions and incentives] is not a panacea, but neither does it represent a chimera if used prudently». Cfr. R.N. HAASS (edited by), Economic sanctions and American diplomacy, Brookings Institution Press, New York, 1998; J.M.F. BLANCHARD – N.M. RIPSMAN, Economic Statecraft and Foreign Policy. Sanctions, incentives, and target state calculations, Routledge, New York, 2013. 2 Così il senatore repubblicano, Richard C. Shelby, chairman del Banking Committee del Senato, Senators May Give Obama More Time on Iran, in «Real Clear Politics», November 20, 2013 http://www.realclearpolitics.com/articles/2013/11/20/senators_may_give_obama_more_time_on_ir an_120724.html. 3 K. KATZMAN, Iran Sanctions, Congressional Research Service Report 20871, October 11, 2013 www.fas.org/sgp/crs/mideast/RS20871.pdf. 2 Adistanzadialcuni mesidall’elezionea presidenteiranianodi HassanRouhani,la dualtrackpolicy,che combinasanzionie diplomazia,parein effettiaverdatoisuoi primifrutti,riportando Teheranaltavolodei negoziatiinuna posizione–aldilàdella suaretorica nazionalista–di debolezza grezzo, da considerarsi la maggiore fonte di introiti per Teheran, tra il 2011 e il 2013 è calato di circa il 60%. Nonostante non vi siano dati precisi, è inoltre lecito supporre che le riserve iraniane di valuta forte siano crollate dai 101 miliardi di dollari di fine 2011 ai circa 60-80 miliardi di dollari di ottobre 2013. Se da una parte i dati macroeconomici dimostrano quanto l’impatto delle sanzioni sia stato davvero considerevole, dall’altra non esauriscono la riflessione. Sono difatti le conseguenze politiche a costituirne il risvolto più significativo. Il neoeletto Rouhani, forte di un solido mandato popolare, a differenza del suo predecessore Mahmoud Ahmadinejad ha favorito il rapprochement con il “Grande Satana” al fine di alleviare prima e rimuovere poi il peso delle sanzioni, anche al prezzo di accordare concessioni sulla questione nucleare. Da un lato, nelle parole del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, «Considering the confidence-building measures taken by the Islamic Republic of Iran in the course of the negotiations […], I hope that the necessary mechanism would be put in place for the removal of illegal sanctions»4. Dall’altro lato, però, Rohuani ha anche sottolineato in un op-ed per il Washington Post che «our peaceful nuclear energy program […] is about who Iranians are as a nation, our demand for dignity and respect and our consequent place in the world»5. Washington tra nuove sanzioni e confidence-building Per Washington si è così aperta a livello diplomatico una nuova finestra di opportunità, probabilmente la più importante dalla Rivoluzione Islamica del 1979, che consentirebbe, almeno nelle aspirazioni di Foggy Bottom e della Casa Bianca, di annullare il pericolo di un’arma atomica in possesso degli Ayatollah e quindi, al contempo, di cassare l’opzione militare ancora sul tavolo di Obama. Un compromesso capace di soddisfare ambo le parti è certamente l’opzione caldeggiata da quattro americani su cinque, per i quali Teheran non rappresenta una minaccia che richieda un attacco militare preventivo; per di più, per circa due su tre inasprire ulteriormente le sanzioni economiche non comporterebbe l’abbandono da parte iraniana del programma nucleare militare6. Come ha ef ©ISPI2013 4 Zarif hopes for removal of sanctions, in “Islamic Republic of Iran Permanent Mission to the United Nations” website, 19 novembre 2013, http://www.iran-un.org/en/2013/11/01/zarif-hopes-forremoval-of-sanctions/. 5 H. ROUHANI, Why Iran seeks constructive engagement, in «The Washington Post», 19 settembre 2013 http://www. articles.washingtonpost.com/2013-09-19/opinions/42214900_1_violence-worldleaders-hassan-rouhani. 6 http://www.pollingreport.com/iran.htm. 3 IlneoelettoRouhani, fortediunsolido mandatopopolare,a differenzadelsuo predecessoreMahmoud Ahmadinejadha favoritoil rapprochementconil “GrandeSatana”alfine dialleviareprimae rimuoverepoiilpeso dellesanzioni,ancheal prezzodiaccordare concessionisulla questionenucleare ficacemente sintetizzato il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney: «The American people justifiably and understandably prefer a peaceful solution that prevents Iran from obtaining a nuclear weapon, and this agreement, if it’s achieved, has the potential to do that. The alternative is military action. The American people do not want a march to war»7. A Capitol Hill, tuttavia, molti lawmakers condividono solo in parte la percezione popolare. Se da un lato né tra i democratici né tra i repubblicani vi sono deputati o senatori che sostengano realisticamente la necessità di un immediato attacco militare preventivo all’Iran, dall’altro è vero che vi è un vasto fronte che spinge per ampliare e inasprire le sanzioni a Teheran, presumendo di ottenere maggiori e visibili concessioni al tavolo dei negoziati. Al Senato è infatti in questi giorni oggetto di dibattito il disegno di legge Nuclear Iran Prevention Act (Nipa), già approvato dalla Camera dei Rappresentanti nel luglio scorso con 400 voti favorevoli e 20 contrari, che espanderebbe il numero delle attività economiche iraniane sanzionabili, penalizzerebbe ulteriormente compagnie e banche straniere in affari con Teheran8 e classificherebbe i Guardiani della Rivoluzione (i Pasdaran) – una fonte di potere non certamente secondaria per la Guida Suprema – come organizzazione terroristica straniera, con le inevitabili conseguenze che ne scaturirebbero9. Quattro senatori repubblicani, Mark Kirk dell’Illinois, Marco Rubio della Florida, John Cornyn del Texas e Kelly Ayotte del New Hampshire, non del tutto insensibili a una forte attività di lobbying israeliana10, in una lettera a Obama hanno sostenuto che «rather than forfeiting our diplomatic leverage, we should increase it by ©ISPI2013 7 New Iran sanctions could push U.S. toward war, White House warns, in «Los Angeles Times», 12 novembre 2013, http://www.latimes.com/world/worldnow/la-fg-wn-iran-sanctions-us-war20131112,0,5353351.story#axzz2kzeepSVw. 8 Secondo le stime del Congressional Budget Office, l’inasprimento delle sanzioni avrebbe un impatto pressoché insignificante sull’economia statunitense, valutato in circa 22 milioni di dollari di perdite. Cfr. Congressional Budget Office Cost Estimate, H.R. 850, Nuclear Iran Prevention Act of 2013, 28 giugno 2013 http://www.cbo.gov/sites/default/files/cbofiles/attachments/hr850_0.pdf. 9 K. KATZMAN, op. cit. 10 Come riportato dal «Times of Israel», il ministro israeliano all’Economia e al Commercio, Naftali Bennett, ha ammesso candidamente l’attività di lobbying effettuata al Congresso: «I think that we’ve made some progress. I think we’ve helped many folks in Washington get a broad view». Cfr. Senate set to begin debating new Iran sanctions, in «The Times of Israel», 15 novembre 2013 http://www.timesofisrael.com/iran-lobbying-battle-brings-heavy-hitters-to-the-hill/. 4 Sedaunlatonétrai democraticinétrai repubblicanivisono deputatiosenatoriche sostengano realisticamentela necessitàdiun immediatoattacco militarepreventivo all’Iran,dall’altroè verochevièunvasto frontechespingeper ampliareeinasprirele sanzioniaTeheran, presumendodiottenere maggiorievisibili concessionialtavolo deinegoziati intensifying sanctions until Iran suspends its nuclear and ballistic missile programs»11. Kirk era già andato oltre, prospettando in estate che una riduzione della pressione su Teheran sarebbe stata possibile solo in caso di una transizione da un regime teocratico a un governo davvero libero ed eletto democraticamente12. Anche sul fronte del partito democratico non mancano i sostenitori dell’inasprimento delle sanzioni. È il caso del senatore della Pennsylvania, Bob Casey, e di quello del New Jersey, Robert Menendez, quest’ultimo chairman del Senate Foreign Relations Committee, che si sono dichiarati forti sostenitori del Nipa13. Ciononostante, l’indirizzo dettato da Obama rimane chiaro: «If we’re serious about pursuing diplomacy, then there’s no need for us to add new sanctions on top of the sanctions that are already very effective and that brought them to the table in the first place»14. Di certo, esso gode di un buon sostegno in seno alla fazione democratica, che – va ricordato – costituisce la maggioranza al Senato. Come ben simboleggiato dalle parole della chairman dell’Intelligence Committee della Camera Alta, la democratica Dianne Feinstein, le nuove sanzioni «would not lead to a better deal. It would lead to no deal at all»15. L’attuale amministrazione pare infatti orientata a “vedere” le carte della diplomazia iraniana prima ancora di proseguire sulla via di un’ulteriore pressione politico-economica, anche a rischio di mettere a repentaglio consolidate alleanze in Medio Oriente. A Washington è comunque il fattore tempo che sta giocando un ruolo decisivo: in presenza di indubbi e promettenti passi avanti diplomatici tra due nemici che per lungo tempo avevano evitato accuratamente il dialogo, per il momento l’amministrazione ritiene opportuno ritardare qualsiasi provvedimento che alle orecchie iraniane suonerebbe come un doppiogiochismo in grado di minare la fiducia reciproca fin qui faticosamente costruita e, dunque, nelle ©ISPI2013 11 Bid for More Sanctions on Iran Could Reach Senate Next Week, in «The New York Times», 15 novembre 2013 http://www.nytimes.com/reuters/2013/11/15/us/politics/15reuters-iran-nuclearsanctions.html?ref=marcorubio&_r=0. 12 Cfr. M. JANSSON, The making of an Iraq sequel with Iran, in «The Hill», 31 luglio 2013 http://www.thehill.com/blogs/congress-blog/foreign-policy/314417-the-making-of-an-iraq-sequel -with-iran. 13 Cfr. Obama Says U.S. Loses Nothing by Waiting on Iran Sanctions, in “Bloomberg”, 15 novembre 2013 http://www.bloomberg. com/news/2013-11-15/obama-says-u-s-loses-nothing-by-waiting-on-iran-talks.html>, e Biden urges U.S. lawmakers to hold off on any new Iran sanctions, in “Reuters”, 31 ottobre 2013 http://www. reuters.com/article/2013/10/31/us-iran-usa-idUSBRE99U1DC20131031. 14 Obama Says U.S. Loses Nothing…, cit. 15 Bid for More Sanctions on Iran…, cit. 5 L’attuale amministrazionepare infattiorientataa “vedere”lecartedella diplomaziairaniana primaancoradi proseguiresullaviadi un’ulteriorepressione politico‐economica, anchearischiodi metterearepentaglio consolidatealleanzein MedioOriente parole del segretario di stato John Kerry, «destroy the ability to be able to get agreement»16. Anzi, la Casa Bianca vedrebbe utile semmai il contrario: ridurre, seppur lievemente e temporaneamente, il peso delle sanzioni come incentivo ed emblema di fiducia reciproca17. Kerry ha perciò espressamente chiesto ai senatori una «temporary pause» affinché la «legislative strategy» e la «negotiating strategy» continuino «hand in hand»18. Pur rientrando nel gioco delle parti, appare significativo che Mohammad Hassan Asafari, membro del Majlis National Security and Foreign Policy Committee iraniano, abbia dichiarato: «The US Congress has recently been seeking to approve a bill to increase sanctions against Iran. It has been decided that the negotiations be suspended if the bill gets through the US Congress»19. Conclusione Mentre le delegazioni dei paesi del gruppo 5+1 e quella iraniana si apprestano a riunirsi nuovamente a Ginevra, la phase one della dual track policy adottata da Obama può insomma considerarsi conclusa. Le sanzioni economiche hanno funzionato e il dialogo diplomatico si è riaperto. Un primo passo è stato compiuto, ma sarebbe errato cavalcare i facili entusiasmi e confondere i fini (un buon accordo con Teheran) con i mezzi (il riavvicinamento e i negoziati diplomatici). Gli Stati Uniti, che partono da una posizione di forza, ne paiono consapevoli, tanto più che Kerry ha tenuto a precisare che «no deal is better than a bad deal»20. Eppure, sarebbe parimenti fuorviante ritenere che questa posizione di forza consenta di rinunciare al core di qualsiasi accordo diplomatico: il compromesso. Un Iran indebolito si è aperto e ha disteso la mano verso l’America. Sarebbe opportuno quindi chiedersi se non sia forse compito soprattutto degli Stati Uniti continuare a dar credito ©ISPI2013 16 Israel lobbying Congress for more anti-Iran sanctions, in «The Iran Project», 15 novembre 2013, http://www.theiranproject.com/blog/2013/11/15/israel-lobbying-congress-for-more-anti-iran-sancti ons/. 17 Cfr. Y. DREAZEN, Obama Could Lift Iran Sanctions Tomorrow, If He Wanted To, in «Foreign Policy», 22 ottobre 2013, http://www.thecable.foreignpolicy.com/posts/2013/10/22/obama_could_ lift_iran_sanctions_tomorrow_if_he_wanted_to. 18 Così ha riferito la portavoce del Dipartimento di Stato, Jen Psaki. Cfr. New Iran sanctions could push U.S., cit. 19 Iranian Lawmakers to introduce bill on safeguarding N. rights, in «The Iran Project», 19 November 2013, http://www.theiranproject.com/blog/2013/11/19/iranian-lawmakers-to-introduce-billon-safeguarding-n-rights/. 20 Kerry: No deal is better than a bad deal, in «Politico», 10 novembre 2013, http://www.politico.com/blogs/politico-live/2013/11/kerry-no-deal-is-better-than-a-bad-deal-17715 3.html. 6 laCasaBianca vedrebbeutilesemmai ilcontrario:ridurre, seppurlievementee temporaneamente,il pesodellesanzioni comeincentivoed emblemadifiducia reciproca a questa apertura, testando e verificando le reali intenzioni di Teheran, ed evitando il paradosso di sanzionare il rapprochement, che rischierebbe di chiudere o quantomeno ridurre la finestra di opportunità. Posporre ora l’approvazione del Nipa, e quindi della nuova tornata di sanzioni, rappresenterebbe insomma la buona volontà di Washington e contribuirebbe poi alla già ben avviata operazione reciproca di confidence-building, una precondizione alla base di qualsiasi “sano” negoziato. È questa anche l’opinione di due ex National Security Advisor americani, il democratico Zbigniew Brzezinski e il repubblicano Brent Scowcroft, i quali in una recente lettera al presidente hanno spiegato che «Additional sanctions now against Iran with the view to extracting even more concessions in the negotiations will risk undermining or even shutting down the negotiations. More sanctions now as these unprecedented negotiations are just getting underway would reconfirm Iranians in their belief that the US is not prepared to make any agreement with the current government of Iran»21. ©ISPI2013 È, in conclusione, un’opportunità storica quella che si para davanti a Washington e Teheran. In una relazione i cui rapporti di forza, percepiti più che reali, sono stati in parte ridefiniti, dovrebbe essere la leading power negoziale, quella americana, a esercitare la maggiore responsabilità nel dettare i tempi e i ritmi dei colloqui. A Capitol Hill dovranno tenere perciò presente che, citando nuovamente Brzezinski e Scowcroft, «Should the United States fail to take this historic opportunity, we risk failing to achieve our non-proliferation goal and losing the support of allies and friends while increasing the probability of war»22. 21 United States Institute of Peace, The Iran Primer: Geneva Round III: High Hopes, Deep Divide, 18 novembre 2013, http://www.iranprimer.usip.org/blog/2013/nov/18/geneva-round-iii-highhopes-deep-divide. 22 Ibid. 7 Sarebbeopportuno chiedersisenonsia forsecompito soprattuttodegliStati Uniticontinuareadar creditoaquesta apertura,testandoe verificandolereali intenzionidiTeheran, edevitandoil paradossodi sanzionareil rapprochement,che rischierebbedi chiudereoquantomeno ridurrelafinestradi opportunità