TESTI ALLEGATI ALL`ORDINE DEL GIORNO della seduta n
Transcript
TESTI ALLEGATI ALL`ORDINE DEL GIORNO della seduta n
TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO della seduta n. 283 di Martedì 16 febbraio 2010 MOZIONI CONCERNENTI LE INIZIATIVE VOLTE A FAVORIRE IL PROCESSO DI PACE NELLA REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO E A FRONTEGGIARE L'EMERGENZA UMANITARIA IN ATTO La Camera, premesso che: la crisi in atto nella Repubblica democratica del Congo desta sempre più preoccupazione, poiché lì si sta sviluppando una nuova fase del conflitto regionale in atto da quindici anni, un conflitto di ordine economico (sfruttamento illegale delle risorse minerarie) e geostrategico (un Kivu sempre più dipendente politicamente e militarmente dal Rwanda); attualmente il conflitto oppone, secondo le fonti ufficiali: le Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FdlR), hutu rwandesi fuggiti dal Rwanda in seguito agli avvenimenti rwandesi di aprile-giugno 1994 (la loro presenza nel Kivu è sempre stata usata dall'attuale regime rwandese a connotazione tutsi come pretesto per invadere militarmente il Kivu, inviando le sue proprie truppe nel 19961997, nel 1998-2003 e, ultimamente, nel febbraio 2009, in occasione dell'operazione militare Umoja wetu contro le FdlR); le forze armate della Repubblica democratica del Congo (FaRdC), l'esercito congolese che ha intrapreso delle operazioni militari (Kimya II, da aprile a dicembre 2009, e Amani leo, da gennaio 2010) per il disarmo e il rimpatrio forzato delle FdlR; c'è da notare che le truppe dell'esercito congolese impegnate in dette operazioni sono quelle del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp di Laurent Nkunda), integrate nell'esercito nazionale in seguito agli accordi di Goma firmati nel marzo 2009. Sebbene la base di questo ex movimento ribelle congolese (ora diventato partito politico) abbia una connotazione plurietnica, i suoi responsabili politici e militari sono, tuttavia, di estrazione quasi esclusivamente tutsi; come i movimenti ribelli del passato, l'Afdl e il Rcd, anche il Cndp è appoggiato, militarmente, politicamente e economicamente, dal Rwanda; come è ormai evidente, il conflitto del Kivu è un conflitto prettamente rwandese esportato e combattuto su suolo congolese. Le due parti in causa lo dimostrano: da una parte, le FdlR (che sono essenzialmente un pretesto nelle mani di Kigali per controllare il Kivu) e, dall'altra, l'attuale regime rwandese, che agisce attraverso gruppi armati congolesi erroneamente denominati ribelli. Il conflitto assicura al regime rwandese di avere una propria presenza nel Kivu, permettendogli di controllarlo militarmente e politicamente e di conseguire grandi vantaggi economici mediante lo sfruttamento illegale delle risorse minerarie esportate dal Kivu stesso verso l'occidente via Rwanda; il commercio minerario illegale nella Repubblica democratica del Congo, tra l'altro, consente a molti attori di continuare a comprare minerali dai settori controllati dai gruppi ribelli, finanziando così tali stessi gruppi, il che contribuisce ad alimentare e inasprire il conflitto; si teme che l'attuale conflitto, che colpisce non solo il Nord Kivu, ma anche il Sud Kivu e il Maniema, possa estendersi a tutta la regione dei Grandi Laghi, poiché già, nel nord-est del Paese, dove si incontrano le frontiere di Uganda, Sudan e Congo, il Lord resistance army, letteralmente Esercito di liberazione del Signore, un gruppo di ribelli ugandesi famoso per la sua ferocia, sta massacrando senza pietà e apparentemente senza motivo la popolazione del Congo; come denunciato dall'organizzazione umanitaria Medici senza frontiere, nel suo rapporto annuale, la tragedia del Congo ha il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla quale la comunità internazionale appare impotente; dal 1994, anno in cui due milioni di rifugiati arrivarono nel Kivu, in seguito ai massacri perpetrati in Rwanda, tragedia che ha segnato l'inizio dell'attuale conflitto del Kivu. In questa tragedia ha giocato un ruolo importante il fattore etnico hutu-tutsi, perché tale elemento è stato strumentalizzato a fini politici, militari, economici e geostrategici; la regione vive in stato d'emergenza e di guerra, ovvero da quando furono massacrate fra 800.000 e 1.100.000 persone, nella maggior parte di etnia tutsi (watussi), una minoranza rispetto agli hutu, gruppo etnico maggioritario a cui facevano capo ai gruppi paramilitari responsabili dell'eccidio: interahamwe, impuzamugambi e gli inkotanyi; il secondo conflitto congolese è quello del 1998-2003, al tempo del Rcd, movimento cosiddetto ribelle creato e sostenuto dal Rwanda. Al Rcd è subentrato poi il Cndp di Laurent Nkunda, sempre appoggiato dal Rwanda, come dimostrato dal rapporto del gruppo degli esperti dell'Onu per la Repubblica democratica del Congo e pubblicato in dicembre 2008, ma reso pubblico all'inizio del mese di dicembre 2009; il New York Times, nel novembre 2009, ha pubblicato stralci di un rapporto riservato redatto da un gruppo di esperti Onu, nel quale si accerta il fallimento della missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (Monuc) e dal quale si apprende che venticinquemila caschi blu ingaggiati per le operazioni di peacekeeping non sono riusciti a bloccare una rete criminale molto ampia gestita dalle Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FdlR), ma anche da membri del Cndp, dell'esercito congolese, della classe politica congolese e rwandese, di multinazionali e Governi occidentali, commercianti e uomini d'affari, tutti implicati in diversi modi nel commercio illegale delle risorse minerarie del Kivu e nel traffico clandestino delle armi; durante l'ultima conferenza episcopale dei vescovi dell'Africa, monsignor Edward Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, ha chiesto che l'Europa e tutta la comunità internazionale guardino con più attenzione al suo Paese, intervenendo per porre fine a una situazione di massacri quotidiani nei confronti dei cristiani che vivono in Africa; il 1o gennaio 2010 i missionari della rete pace per il Congo hanno fatto pervenire una lettera al Presidente degli Stati Uniti, nella quale viene chiesto, tra l'altro, uno sforzo affinché cessi il sostegno americano ai regimi ugandese e ruandese, condizionando l'aiuto a una vera apertura democratica e al rispetto dei diritti economici, politici e territoriali dei Paesi della regione, prevedendo anche eventuali sanzioni, e che la politica riprenda il suo ruolo nei confronti dell'economia e alle multinazionali venga chiesto conto della correttezza del loro agire in Paesi terzi: in particolare, che venga utilizzato lo strumento della tracciabilità delle materie prime esportate e vengano previste sanzioni adeguate; nonostante la presenza delle forze internazionali (Monuc), la popolazione è presa in ostaggio ed è sotto choc. Alla lunga serie di massacri, stupri, incendi di villaggi, sequestri, furti, saccheggi di cui è vittima, si aggiunge la destabilizzazione organizzata delle forze vive della società, delle comunità religiose, la repressione di giornalisti, sindacalisti e operatori sociali. Il rapporto di Medici senza frontiere prova che il Kivu è abbandonato ai predatori e che la guerra è anzitutto «la guerra per il controllo dei minerali»; infatti, la causa principale del conflitto nell'est della Repubblica democratica del Congo è certamente lo sfruttamento illegale delle sue risorse minerarie (coltan, cassiterite, oro e altro) da parte delle multinazionali (europee, americane, canadesi e orientali), che controllano i siti minerari, attraverso gruppi armati (Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FDLR), il Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), i combattenti Mai Mai e lo stesso esercito nazionale (FaRdC)) e mafiosi che si autofinanziano mediante il commercio illegale dei minerali in cambio di armi e dollari; occorrerebbe una regolarizzazione del mercato delle risorse minerarie, in modo da impedire che i gruppi armati si finanzino attraverso di esso e, quindi, introdurre un sistema di certificazione di origine dei minerali (miniera - intermediari commercianti - esportatori - raffinatori - industrie tecnologiche occidentali), per poter evitare l'importazione di minerali prodotti da gruppi armati; il ruolo svolto dall'Unione africana nella ricerca di soluzioni alla crisi della regione dei Grandi Laghi africani è stato minimo; il ruolo maggiore è stato svolto dall'Onu e dalla comunità internazionale, ma con risultati scarsi e deludenti. Queste ultime due entità non sono state efficaci, perché hanno difeso prima di tutto i propri interessi politici e economici nella regione e, in secondo luogo, perché vittime di un «complesso di colpa» nei confronti del Rwanda, per non avere non solo impedito, ma nemmeno fermato il genocidio del 1994. Fu proprio all'inizio del genocidio che il Consiglio di sicurezza dell'Onu decise di ridurre drasticamente gli effettivi militari della missione Minuar; attualmente lo stallo internazionale, che coinvolge l'Onu e la comunità internazionale, è anche dovuto al fatto che il vigente regime rwandese mantiene ben salda la conduzione dei giochi, costringendo, di fatto, varie nazioni a non poter prendere nessun provvedimento nei confronti del Rwanda, perché Paul Kagame potrebbe reagire mettendo in causa i principali protagonisti del dramma rwandese del 1994: il Segretario generale dell'Onu, il responsabile delle operazioni di pace, il comandante militare della Minuar, l'Amministrazione degli Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio; l'attivismo dimostrato in Africa centrale da Francia e Gran Bretagna, con varie promesse di aiuti umanitari, non risulta abbia prodotto vere e concrete iniziative per promuovere missioni umanitarie e di soccorso, per la gestione della crisi con mezzi militari e civili; al momento, contro quella che è considerata la catastrofe umanitaria «peggiore mai vista in Africa», l'Unione europea non si è ancora assunta la responsabilità di mandare un contingente di pace, preferendo l'azione diplomatica; Amnesty international ha chiesto da tempo un impegno più forte del Consiglio di sicurezza Onu per porre fine alle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nella Repubblica democratica del Congo; bisogna ricordare che il Presidente congolese, Joseph Kabila, ha ultimamente chiesto che per la missione Monuc si preveda un suo ritiro progressivo entro il 30 giugno 2010, lasciando supporre che questa non resterà nella Repubblica democratica del Congo ancora a lungo; il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione (17 dicembre 2009) sulla violenza nella Repubblica democratica del Congo, impegna il Governo: ad attivarsi in prima linea, di concerto con i partner europei, per sostenere l'importanza della presenza della missione Monuc, che rimane necessaria, perché sia fatto tutto il possibile per consentirle di svolgere pienamente il proprio mandato, al fine di proteggere le persone minacciate e per favorire ogni sforzo diplomatico indispensabile per rispondere alla violenza con la diplomazia e l'invito al dialogo, sollecitandone la ripresa, posto che proprio la diplomazia e il dialogo hanno portato all'istituzione del programma Amani per la sicurezza, la pacificazione, la stabilizzazione e la ricostruzione del Nord e del Sud Kivu; a intraprendere ogni azione utile affinché il Consiglio di sicurezza dell'Onu adotti tutte le misure possibili necessarie per rendere più efficace il lavoro della missione Monuc nella difesa dei civili e per fare in modo che il suo mandato e le sue regole d'ingaggio possano essere applicati con determinazione e su base permanente, al fine di garantire più efficacemente la sicurezza della popolazione - senza sostenere in alcun modo le unità congolesi che non rispettano i diritti umani - compreso il personale umanitario; a favorire e sostenere, con il coinvolgimento delle istituzioni europee, soluzioni di carattere politico in quell'area nella direzione della ricerca della verità su ciò che è accaduto nel passato e su ciò che sta accadendo nel presente, nella lotta contro l'impunità di cui usufruiscono attualmente gli autori di crimini di guerra e di crimini contro l'umanità, affinché sia resa giustizia alle vittime. (1-00327) «Leoluca Orlando, Donadi, Evangelisti, Di Stanislao, Borghesi». (9 febbraio 2010) La Camera, premesso che: da oltre quindici anni nella Repubblica democratica del Congo, in particolare nella provincia del Nord Kivu, è in atto un conflitto etnico e politico che ha provocato una drammatica emergenza umanitaria; si tratta di un tragico residuo dell'atroce genocidio di un milione di tutsi e hutu nel 1994, in Rwanda; una guerra che vede contrapposti gli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo del dissidente filo-rwandese Laurent Nkunda, integrate nell'esercito nazionale in seguito agli accordi di Goma del marzo 2009, che affermano di agire per difendere la comunità tutsi, e le Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FdlR), di etnia hutu presenti nel Nord Kivu dopo gli avvenimenti del 1994 in Rwanda; si teme che l'attuale conflitto in Nord Kivu possa estendersi a tutta la regione dei Grandi Laghi, poiché già nel nord del Paese, dove si incontrano le frontiere di Uganda, Sudan e Congo, il Lord resistance army, letteralmente Esercito di liberazione del Signore, un gruppo ribelli ugandesi famoso per la sua ferocia, sta massacrando senza pietà e apparentemente senza motivo la popolazione del Congo; come denunciato dall'organizzazione umanitaria Medici senza frontiere, nel suo rapporto annuale, la tragedia del Congo ha il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla quale la comunità internazionale appare impotente e la missione Onu un fallimento; il New York Times, nel novembre 2009, ha pubblicato stralci di un rapporto riservato redatto da un gruppo di esperti Onu, nel quale si accerta il fallimento della missione delle Nazioni Unite nella Repubblica democratica del Congo (Monuc) e dal quale si apprende che venticinquemila caschi blu ingaggiati per le operazioni di peacekeeping non sono riusciti a bloccare una rete criminale molto ampia gestita dalle Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FdlR), ma anche da membri del Cndp, dell'esercito congolese, della classe politica congolese e rwandese, di multinazionali e Governi occidentali, commercianti e uomini d'affari, tutti implicati in diversi modi, nel commercio illegale delle risorse minerarie del Kivu e nel traffico clandestino delle armi; contro quella che è considerata la catastrofe umanitaria «peggiore mai vista in Africa», l'Unione europea non si è assunta la responsabilità di mandare un contingente di pace, prediligendo l'azione diplomatica; è risultato assente il ruolo svolto dall'Unione africana nel ricercare soluzioni alla crisi della regione dei Grandi Laghi africani; la situazione dei profughi resta di grande vulnerabilità con delle conseguenze molto serie: ci sono bambini gravemente malnutriti, specie nelle zone più remote, dove le persone si nascondono per settimane, se non mesi, nelle foreste, quando i loro villaggi vengono attaccati, mentre epidemie di colera e diarrea hanno già ucciso decine di persone nei centri di accoglienza, spesso improvvisati; questa situazione sorprende, soprattutto, dopo l'esperienza del 1994, quando il mancato invio di una forza di pace europea contribuì al genocidio rwandese: in cento giorni furono massacrati oltre 800 mila tutsi e hutu moderati; non si ha più contezza degli sfollati, ormai allo sbando, che non hanno accesso né a cibo, né a acqua potabile, né ad altri beni di prima necessità; più volte è stato sollecitato il rafforzamento del contingente di caschi blu, soprattutto da parte di Amnesty international, che ha chiesto un impegno più forte del Consiglio di sicurezza Onu per porre fine alle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nella Repubblica democratica del Congo; il Parlamento europeo ha recentemente approvato una risoluzione (17 dicembre 2009) sulla violenza nella Repubblica democratica del Congo; impegna il Governo: a rilanciare, presso le sedi istituzionali dell'Unione europea, la proposta di intervenire con missioni umanitarie e di soccorso anche con unità militari, per la gestione della crisi e il ristabilimento della pace, così come fatto in Ciad per tutelare i profughi del Darfur; ad assumere ogni utile iniziativa d'intesa con i partner europei nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e insieme all'Unione africana, volta a rafforzare e rendere più incisiva l'azione della missione Monuc, che allo stato non sembra in grado di fronteggiare la situazione attuale; a prevedere un adeguato sostegno economico e tecnico-logistico a tutte le organizzazioni umanitarie presenti nell'area. (1-00056) (Nuova formulazione) «Casini, Vietti, Adornato, Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Bosi, Buttiglione, Capitanio Santolini, Cera, Cesa, Ciocchetti, De Poli, Delfino, Dionisi, Drago, Anna Teresa Formisano, Galletti, Libè, Mannino, Occhiuto, Oppi, Pezzotta, Pisacane, Poli, Rao, Romano, Ruggeri, Ruvolo, Tassone, Nunzio Francesco Testa, Zinzi, Mondello, Mantini, Enzo Carra, Lusetti, Mereu, Ria». (4 novembre 2008) La Camera, premesso che: si osserva con crescente preoccupazione l'evolversi della crisi in atto nella provincia orientale del Congo, nota come Kivu settentrionale, dove si sta sviluppando una nuova fase del conflitto regionale in atto da quindici anni tra milizie hutu e tutsi, le une sostenute dal Governo centrale di Kinshasa, le altre da formazioni ribelli variamente collegate a soggetti politico-militari operanti nel confinante Rwanda; è da sottolineare l'inefficacia dimostrata finora dalla missione Onu nota come Monuc, che pure dispone di oltre 16.500 effettivi, ma che risulta paralizzata dal fatto di essere distribuita male sul terreno ed essere composta in larga misura da unità provenienti da Paesi che si concepiscono come rivali, come India, Pakistan e Bangladesh; vanno apprezzati gli sforzi fatti nell'ambito dell'Unione africana e dalle organizzazioni internazionali subcontinentali africane per pervenire ad una composizione della crisi; si rileva, altresì, l'attivismo dimostrato in Africa centrale dalle diplomazie di Francia e Gran Bretagna; si evidenzia come, a dispetto dell'orientamento negativo finora espresso dall'Unione europea, siano comunque affiorate proposte tendenti all'allestimento di una forza europea di rapido intervento, da inviare nel Kivu settentrionale, allo scopo di aprire dei corridoi umanitari per soccorrere le popolazioni civili vittime delle violenze e degli scontri e, se possibile, stabilizzare il fronte e facilitare il raggiungimento di un cessate il fuoco; la nuova crisi politicomilitare in atto in Africa centrale, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, è suscettibile di alimentare nuove pressioni migratorie verso la parte settentrionale del continente ed oltre, anche verso l'Europa meridionale, impegna il Governo a prendere parte attiva agli sforzi della diplomazia internazionale volti a fermare i massacri in atto nel Kivu settentrionale, anche in vista di un eventuale intervento promosso dai Paesi dell'Unione europea, all'interno ovvero all'esterno della cornice comunitaria. (1-00059) «Fava, Cota, Luciano Dussin, Dal Lago, Reguzzoni, Alessandri, Allasia, Bitonci, Bonino, Brigandì, Buonanno, Callegari, Caparini, Chiappori, Comaroli, Consiglio, Crosio, D'Amico, Dozzo, Guido Dussin, Fedriga, Fogliato, Follegot, Forcolin, Fugatti, Gibelli, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis, Grimoldi, Lanzarin, Lussana, Maccanti, Laura Molteni, Nicola Molteni, Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri, Rainieri, Rivolta, Rondini, Salvini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni, Torazzi, Vanalli, Volpi». (12 novembre 2008) La Camera, premesso che: è dal 1994 che la Repubblica democratica del Congo vive in uno stato d'emergenza e di guerra, dapprima con l'arrivo di oltre due milioni di profughi rwandesi, poi con la cosiddetta guerra di liberazione dal regime di Mobutu (guidata da Laurent-Desiré Kabila, ma in realtà diretta con la regia di Rwanda, Uganda, Burundi e dai loro alleati), fino ad arrivare al secondo conflitto congolese esploso dieci anni fa, nell'agosto del 1998, ben più violento ed attuale, che è costato la vita a milioni di persone e continua ad essere la causa, diretta o indiretta, della morte di addirittura 45.000 persone ogni mese; la situazione sta drammaticamente precipitando, in particolare nel sud del Kivu, una delle 11 regioni del Paese, dove si contano circa due milioni di sfollati e una lunga e dolorosa serie di massacri, stupri, incendi di villaggi, sequestri, furti e saccheggi, di cui la popolazione civile del Kivu è vittima. La popolazione è presa in ostaggio e vengono perseguitate, soprattutto, le forze vive della società, come le comunità religiose, le associazioni civili che si battono per la pace, le organizzazioni di donne, i giornalisti, i sindacalisti e gli operatori sociali. Il Kivu è abbandonato ai predatori e la situazione sembra volgere verso una progressiva occupazione e annessione di fatto da parte dei Paesi vicini; nei soli primi sei mesi del 2009 sono stati denunciati dall'Onu ben 5.387 casi di violenza contro donne e bambini, il 90 per cento dei quali imputabili ai gruppi armati regolari e irregolari. Anche l'associazione internazionale in difesa dei diritti umani Watch international, nel mese di agosto 2009, ha denunciato la drammatica emergenza umanitaria nella Repubblica democratica del Congo e ha anticipato alcuni fatti gravissimi contenuti nel rapporto del gruppo di esperti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del novembre 2009, che, demolendo il perdurante muro di omertà sulle responsabilità della guerra in corso da anni, ha denunciato anche il palese fallimento delle operazioni militari dei caschi blu dell'Onu nel Nord e Sud Kivu; il recente rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite richiama, infatti, numerose responsabilità, tra le quali è segnalata quella dell'Uganda, per lo sfruttamento delle risorse minerarie, quella del Randa, in quanto principale punto di transito dei minerali saccheggiati nella Repubblica democratica del Congo dai gruppi ribelli (FdlR, Cndp e altri, coinvolti in reti criminali per la commercializzazione dei minerali in cambio di armi), quella della Cina, per il suo ruolo ambiguo volto a finanziare alcuni gruppi ribelli che controllano le miniere di coltan, oro e diamanti, nonché di alcune organizzazioni non governative, per aver abbandonato la loro attività umanitaria per finanziare sanguinari ribelli rwandesi hutu, che combattono contro il Governo legittimo congolese. Inoltre, tale rapporto segnala responsabilità ancora più preoccupanti, come quella degli stessi caschi blu dell'Onu per non essere riusciti a mantenere la pace nella regione e per l'accertata esistenza di taluni casi di collusione con i ribelli armati irregolari. Il testo getta, dunque, un'ulteriore ombra sulla Monuc (United Nations mission in democratic Republic of Congo), la più grande missione di pace della comunità internazionale, che, nonostante disponga di 20 mila soldati presenti operanti nel Nord e nel Sud Kivu e richieda enormi costi (un miliardo di dollari l'anno), non ha prodotto fino ad oggi i risultati sperati, ossia la risoluzione della crisi del Paese e della regione dei Grandi Laghi; l'esercito congolese, dal suo canto, non dispone di risorse umane, tecniche e finanziarie sufficienti per assolvere ai propri compiti, è mal pagato e costituito da un insieme di forze molto diverse tra loro e ha visto arruolare frettolosamente fra le sue fila anche forze destabilizzatrici e violente, come quelle del Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp) di Laurent Nkunda (nei confronti del quale il Governo congolese ha chiesto al Rwanda l'estradizione), con il rischio, dunque, di incrementare un'insicurezza permanente; il deterioramento della situazione umanitaria e del numero crescente di sfollati nel Paese è stato denunciato anche dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. In occasione dell'apertura del quattordicesimo vertice dell'Unione africana, svoltosi il 2 febbraio 2010 ad Addis Abeba, Ban Ki Moon ha annunciato di voler aumentare il proprio impegno per mettere fine alle violenze, in particolare agli stupri di massa perpetrati contro donne e bambini, dichiarando, inoltre, l'intenzione di battersi affinché le violenze sessuali siano riconosciute e punite come crimine contro le leggi internazionali e crimini di guerra, e dunque suscettibili di essere deferiti alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità; il disastro umanitario che si sta consumando in Congo riguarda l'Italia molto da vicino, non solo perché in quel Paese ci sono decine di cooperatori, missionari e volontari italiani, che hanno scelto un difficile e coraggioso impegno civile, ma soprattutto perché da quella realtà devastata dai conflitti si generano i flussi migratori della disperazione, tanto temuti nel nostro Paese. Senza un impegno per contribuire alla pacificazione di quella regione, nessuna frontiera potrà reggere all'urto di tale disperazione. Inoltre, l'Africa è il continente che custodisce enormi riserve di materie prime, di cui il mondo ricco ha sempre più bisogno e la questione del controllo di tali risorse è all'origine dell'acuirsi delle guerre; la guerra che si combatte da anni in Congo origina, infatti, dalla lotta per il controllo degli importanti minerali di cui è ricco il Paese (cassiterite, coltan, oro, wolfram, petrolio, gas e metano), in particolare per l'accaparramento del coltan, un componente base indispensabile alla costruzione di oggetti tecnologici quotidiani, come cellulari, personal computer, videocamere; il problema dello sfruttamento illegale e dell'esportazione fraudolenta dei minerali della Repubblica democratica del Congo - parte dei quali finiscono in molti Paesi, come quelli dell'Europa, il Canada, gli Stati Uniti e l'Asia - è uno dei fattori che alimentano i conflitti nella regione dei Grandi Laghi africani e ciò sollecita la comunità internazionale ad intervenire con strumenti differenziati e innovativi. Significative in tal senso sono le proposte che si stanno avanzando negli Stati Uniti e in Europa con l'intento di dotare la comunità internazionale di un sistema di tracciabilità dei minerali estratti, al fine di contrastare i traffici minerari illegali che coinvolgono una vasta rete di complicità, interne e internazionali, e che stanno fomentando una disastrosa guerra nel Paese; la profonda crisi che da circa un decennio caratterizza la regione dei Grandi Laghi africani, coinvolgendo ben sette nazioni africane, sta mettendo in serio pericolo un importante ecosistema, tale da rappresentare il cosiddetto secondo polmone del mondo, dopo la foresta amazzonica. Ciò richiama l'urgente necessità di rimettere l'ambiente al centro dello sviluppo economico della regione, come priorità di azione per tutto il continente africano, impegna il Governo: ad assumere ogni utile iniziativa, d'intesa con i partner europei nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con l'Unione africana, per sollecitare un rafforzamento dell'azione e delle capacità operative della missione Monuc, per giungere ad una necessaria e urgente ridefinizione del suo mandato e delle sue priorità, al fine di consentire un intervento di protezione effettivo della popolazione civile minacciata da gruppi armati; ad attivarsi per avanzare in sede europea la proposta di costituire una missione specifica, umanitaria e di soccorso, analogamente a quanto è avvenuto per i profughi del Darfur; a farsi promotore di un'azione sul piano politico e diplomatico che favorisca il dialogo tra tutti i Governi della regione dei Grandi Laghi africani, in grado di esercitare una pressione che incoraggi non solo una soluzione negoziale di riconciliazione e di pace, ma anche la promozione di una cooperazione economica nella regione, capace di accogliere le attese e gli sforzi compiuti dalla Conferenza internazionale nella regione dei Grandi Laghi di Dar es Salaam, svoltasi nel 2004 in Tanzania, per la pace, la sicurezza, la governabilità, la democrazia, lo sviluppo economico, l'integrazione regionale; ad assumere iniziative volte ad aumentare i finanziamenti, nazionali ed europei, destinati agli aiuti umanitari per le regioni orientali della Repubblica democratica del Congo, dando la priorità ad aiuti, donazioni o progetti di cooperazione internazionale, in favore delle associazioni delle donne congolesi impegnate nella tutela dei diritti della parità di genere e nella costruzione di una commissione per la verità e la riconciliazione sui crimini a sfondo sessuale, nonché per il recupero degli ex bambini soldato; ad aderire e a sostenere concretamente l'appello lanciato il 30 novembre 2009 dall'Onu e da 380 organizzazioni non governative, che sollecita tutti gli Stati membri della stessa Onu a fare la loro parte al fine di raccogliere 7,1 miliardi di dollari da destinare alle azioni umanitarie nel 2010; ad attivarsi in sede europea per sostenere e rendere operativa la proposta, sollecitata anche dal Parlamento europeo, in favore di una regolamentazione comunitaria per la tracciabilità dei minerali naturali provenienti dalla Repubblica democratica del Congo, comprendente una disciplina del mercato del coltan, analogamente a quanto avviene per i diamanti con il vigente protocollo di Kimberley. (100328) «Touadi, Villecco Calipari, Maran, Tempestini, Veltroni, Narducci, Barbi, Pistelli, Corsini, Arturo Mario Luigi Parisi, Colombo, Fedi, Porta, Sarubbi, Mogherini Rebesani». (11 febbraio 2010)