TESTI ALLEGATI ALL`ORDINE DEL GIORNO della seduta n

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TESTI ALLEGATI ALL`ORDINE DEL GIORNO della seduta n
TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 283 di Martedì 16 febbraio 2010
MOZIONI CONCERNENTI LE INIZIATIVE VOLTE A
FAVORIRE IL PROCESSO DI PACE NELLA REPUBBLICA
DEMOCRATICA DEL CONGO E A FRONTEGGIARE
L'EMERGENZA UMANITARIA IN ATTO
La Camera, premesso che: la crisi in atto nella Repubblica democratica del
Congo desta sempre più preoccupazione, poiché lì si sta sviluppando una
nuova fase del conflitto regionale in atto da quindici anni, un conflitto di
ordine economico (sfruttamento illegale delle risorse minerarie) e
geostrategico (un Kivu sempre più dipendente politicamente e
militarmente dal Rwanda); attualmente il conflitto oppone, secondo le
fonti ufficiali: le Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FdlR),
hutu rwandesi fuggiti dal Rwanda in seguito agli avvenimenti rwandesi di
aprile-giugno 1994 (la loro presenza nel Kivu è sempre stata usata
dall'attuale regime rwandese a connotazione tutsi come pretesto per
invadere militarmente il Kivu, inviando le sue proprie truppe nel 19961997, nel 1998-2003 e, ultimamente, nel febbraio 2009, in occasione
dell'operazione militare Umoja wetu contro le FdlR); le forze armate della
Repubblica democratica del Congo (FaRdC), l'esercito congolese che ha
intrapreso delle operazioni militari (Kimya II, da aprile a dicembre 2009, e
Amani leo, da gennaio 2010) per il disarmo e il rimpatrio forzato delle
FdlR; c'è da notare che le truppe dell'esercito congolese impegnate in dette
operazioni sono quelle del Congresso nazionale per la difesa del popolo
(Cndp di Laurent Nkunda), integrate nell'esercito nazionale in seguito agli
accordi di Goma firmati nel marzo 2009. Sebbene la base di questo ex
movimento ribelle congolese (ora diventato partito politico) abbia una
connotazione plurietnica, i suoi responsabili politici e militari sono,
tuttavia, di estrazione quasi esclusivamente tutsi; come i movimenti ribelli
del passato, l'Afdl e il Rcd, anche il Cndp è appoggiato, militarmente,
politicamente e economicamente, dal Rwanda; come è ormai evidente, il
conflitto del Kivu è un conflitto prettamente rwandese esportato e
combattuto su suolo congolese. Le due parti in causa lo dimostrano: da una
parte, le FdlR (che sono essenzialmente un pretesto nelle mani di Kigali
per controllare il Kivu) e, dall'altra, l'attuale regime rwandese, che agisce
attraverso gruppi armati congolesi erroneamente denominati ribelli. Il
conflitto assicura al regime rwandese di avere una propria presenza nel
Kivu, permettendogli di controllarlo militarmente e politicamente e di
conseguire grandi vantaggi economici mediante lo sfruttamento illegale
delle risorse minerarie esportate dal Kivu stesso verso l'occidente via
Rwanda; il commercio minerario illegale nella Repubblica democratica del
Congo, tra l'altro, consente a molti attori di continuare a comprare minerali
dai settori controllati dai gruppi ribelli, finanziando così tali stessi gruppi,
il che contribuisce ad alimentare e inasprire il conflitto; si teme che
l'attuale conflitto, che colpisce non solo il Nord Kivu, ma anche il Sud
Kivu e il Maniema, possa estendersi a tutta la regione dei Grandi Laghi,
poiché già, nel nord-est del Paese, dove si incontrano le frontiere di
Uganda, Sudan e Congo, il Lord resistance army, letteralmente Esercito di
liberazione del Signore, un gruppo di ribelli ugandesi famoso per la sua
ferocia, sta massacrando senza pietà e apparentemente senza motivo la
popolazione del Congo; come denunciato dall'organizzazione umanitaria
Medici senza frontiere, nel suo rapporto annuale, la tragedia del Congo ha
il triste primato di una delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla
quale la comunità internazionale appare impotente; dal 1994, anno in cui
due milioni di rifugiati arrivarono nel Kivu, in seguito ai massacri
perpetrati in Rwanda, tragedia che ha segnato l'inizio dell'attuale conflitto
del Kivu. In questa tragedia ha giocato un ruolo importante il fattore etnico
hutu-tutsi, perché tale elemento è stato strumentalizzato a fini politici,
militari, economici e geostrategici; la regione vive in stato d'emergenza e
di guerra, ovvero da quando furono massacrate fra 800.000 e 1.100.000
persone, nella maggior parte di etnia tutsi (watussi), una minoranza
rispetto agli hutu, gruppo etnico maggioritario a cui facevano capo ai
gruppi paramilitari responsabili dell'eccidio: interahamwe,
impuzamugambi e gli inkotanyi; il secondo conflitto congolese è quello
del 1998-2003, al tempo del Rcd, movimento cosiddetto ribelle creato e
sostenuto dal Rwanda. Al Rcd è subentrato poi il Cndp di Laurent Nkunda,
sempre appoggiato dal Rwanda, come dimostrato dal rapporto del gruppo
degli esperti dell'Onu per la Repubblica democratica del Congo e
pubblicato in dicembre 2008, ma reso pubblico all'inizio del mese di
dicembre 2009; il New York Times, nel novembre 2009, ha pubblicato
stralci di un rapporto riservato redatto da un gruppo di esperti Onu, nel
quale si accerta il fallimento della missione delle Nazioni Unite nella
Repubblica democratica del Congo (Monuc) e dal quale si apprende che
venticinquemila caschi blu ingaggiati per le operazioni di peacekeeping
non sono riusciti a bloccare una rete criminale molto ampia gestita dalle
Forze democratiche di liberazione del Rwanda (FdlR), ma anche da
membri del Cndp, dell'esercito congolese, della classe politica congolese e
rwandese, di multinazionali e Governi occidentali, commercianti e uomini
d'affari, tutti implicati in diversi modi nel commercio illegale delle risorse
minerarie del Kivu e nel traffico clandestino delle armi; durante l'ultima
conferenza episcopale dei vescovi dell'Africa, monsignor Edward Hiiboro
Kussala, vescovo di Tombura-Yambio, ha chiesto che l'Europa e tutta la
comunità internazionale guardino con più attenzione al suo Paese,
intervenendo per porre fine a una situazione di massacri quotidiani nei
confronti dei cristiani che vivono in Africa; il 1o gennaio 2010 i missionari
della rete pace per il Congo hanno fatto pervenire una lettera al Presidente
degli Stati Uniti, nella quale viene chiesto, tra l'altro, uno sforzo affinché
cessi il sostegno americano ai regimi ugandese e ruandese, condizionando
l'aiuto a una vera apertura democratica e al rispetto dei diritti economici,
politici e territoriali dei Paesi della regione, prevedendo anche eventuali
sanzioni, e che la politica riprenda il suo ruolo nei confronti dell'economia
e alle multinazionali venga chiesto conto della correttezza del loro agire in
Paesi terzi: in particolare, che venga utilizzato lo strumento della
tracciabilità delle materie prime esportate e vengano previste sanzioni
adeguate; nonostante la presenza delle forze internazionali (Monuc), la
popolazione è presa in ostaggio ed è sotto choc. Alla lunga serie di
massacri, stupri, incendi di villaggi, sequestri, furti, saccheggi di cui è
vittima, si aggiunge la destabilizzazione organizzata delle forze vive della
società, delle comunità religiose, la repressione di giornalisti, sindacalisti e
operatori sociali. Il rapporto di Medici senza frontiere prova che il Kivu è
abbandonato ai predatori e che la guerra è anzitutto «la guerra per il
controllo dei minerali»; infatti, la causa principale del conflitto nell'est
della Repubblica democratica del Congo è certamente lo sfruttamento
illegale delle sue risorse minerarie (coltan, cassiterite, oro e altro) da parte
delle multinazionali (europee, americane, canadesi e orientali), che
controllano i siti minerari, attraverso gruppi armati (Forze democratiche di
liberazione del Rwanda (FDLR), il Congresso nazionale per la difesa del
popolo (Cndp), i combattenti Mai Mai e lo stesso esercito nazionale
(FaRdC)) e mafiosi che si autofinanziano mediante il commercio illegale
dei minerali in cambio di armi e dollari; occorrerebbe una regolarizzazione
del mercato delle risorse minerarie, in modo da impedire che i gruppi
armati si finanzino attraverso di esso e, quindi, introdurre un sistema di
certificazione di origine dei minerali (miniera - intermediari commercianti - esportatori - raffinatori - industrie tecnologiche
occidentali), per poter evitare l'importazione di minerali prodotti da gruppi
armati; il ruolo svolto dall'Unione africana nella ricerca di soluzioni alla
crisi della regione dei Grandi Laghi africani è stato minimo; il ruolo
maggiore è stato svolto dall'Onu e dalla comunità internazionale, ma con
risultati scarsi e deludenti. Queste ultime due entità non sono state efficaci,
perché hanno difeso prima di tutto i propri interessi politici e economici
nella regione e, in secondo luogo, perché vittime di un «complesso di
colpa» nei confronti del Rwanda, per non avere non solo impedito, ma
nemmeno fermato il genocidio del 1994. Fu proprio all'inizio del
genocidio che il Consiglio di sicurezza dell'Onu decise di ridurre
drasticamente gli effettivi militari della missione Minuar; attualmente lo
stallo internazionale, che coinvolge l'Onu e la comunità internazionale, è
anche dovuto al fatto che il vigente regime rwandese mantiene ben salda la
conduzione dei giochi, costringendo, di fatto, varie nazioni a non poter
prendere nessun provvedimento nei confronti del Rwanda, perché Paul
Kagame potrebbe reagire mettendo in causa i principali protagonisti del
dramma rwandese del 1994: il Segretario generale dell'Onu, il responsabile
delle operazioni di pace, il comandante militare della Minuar,
l'Amministrazione degli Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia,
Belgio; l'attivismo dimostrato in Africa centrale da Francia e Gran
Bretagna, con varie promesse di aiuti umanitari, non risulta abbia prodotto
vere e concrete iniziative per promuovere missioni umanitarie e di
soccorso, per la gestione della crisi con mezzi militari e civili; al momento,
contro quella che è considerata la catastrofe umanitaria «peggiore mai
vista in Africa», l'Unione europea non si è ancora assunta la responsabilità
di mandare un contingente di pace, preferendo l'azione diplomatica;
Amnesty international ha chiesto da tempo un impegno più forte del
Consiglio di sicurezza Onu per porre fine alle violazioni dei diritti umani e
del diritto umanitario nella Repubblica democratica del Congo; bisogna
ricordare che il Presidente congolese, Joseph Kabila, ha ultimamente
chiesto che per la missione Monuc si preveda un suo ritiro progressivo
entro il 30 giugno 2010, lasciando supporre che questa non resterà nella
Repubblica democratica del Congo ancora a lungo; il Parlamento europeo
ha recentemente approvato una risoluzione (17 dicembre 2009) sulla
violenza nella Repubblica democratica del Congo,
impegna il Governo:
ad attivarsi in prima linea, di concerto con i partner europei, per sostenere
l'importanza della presenza della missione Monuc, che rimane necessaria,
perché sia fatto tutto il possibile per consentirle di svolgere pienamente il
proprio mandato, al fine di proteggere le persone minacciate e per favorire
ogni sforzo diplomatico indispensabile per rispondere alla violenza con la
diplomazia e l'invito al dialogo, sollecitandone la ripresa, posto che
proprio la diplomazia e il dialogo hanno portato all'istituzione del
programma Amani per la sicurezza, la pacificazione, la stabilizzazione e la
ricostruzione del Nord e del Sud Kivu; a intraprendere ogni azione utile
affinché il Consiglio di sicurezza dell'Onu adotti tutte le misure possibili
necessarie per rendere più efficace il lavoro della missione Monuc nella
difesa dei civili e per fare in modo che il suo mandato e le sue regole
d'ingaggio possano essere applicati con determinazione e su base
permanente, al fine di garantire più efficacemente la sicurezza della
popolazione - senza sostenere in alcun modo le unità congolesi che non
rispettano i diritti umani - compreso il personale umanitario; a favorire e
sostenere, con il coinvolgimento delle istituzioni europee, soluzioni di
carattere politico in quell'area nella direzione della ricerca della verità su
ciò che è accaduto nel passato e su ciò che sta accadendo nel presente,
nella lotta contro l'impunità di cui usufruiscono attualmente gli autori di
crimini di guerra e di crimini contro l'umanità, affinché sia resa giustizia
alle vittime. (1-00327) «Leoluca Orlando, Donadi, Evangelisti, Di
Stanislao, Borghesi». (9 febbraio 2010)
La Camera, premesso che: da oltre quindici anni nella Repubblica
democratica del Congo, in particolare nella provincia del Nord Kivu, è in
atto un conflitto etnico e politico che ha provocato una drammatica
emergenza umanitaria; si tratta di un tragico residuo dell'atroce genocidio
di un milione di tutsi e hutu nel 1994, in Rwanda; una guerra che vede
contrapposti gli ex ribelli del Congresso nazionale per la difesa del popolo
del dissidente filo-rwandese Laurent Nkunda, integrate nell'esercito
nazionale in seguito agli accordi di Goma del marzo 2009, che affermano
di agire per difendere la comunità tutsi, e le Forze democratiche per la
liberazione del Rwanda (FdlR), di etnia hutu presenti nel Nord Kivu dopo
gli avvenimenti del 1994 in Rwanda; si teme che l'attuale conflitto in Nord
Kivu possa estendersi a tutta la regione dei Grandi Laghi, poiché già nel
nord del Paese, dove si incontrano le frontiere di Uganda, Sudan e Congo,
il Lord resistance army, letteralmente Esercito di liberazione del Signore,
un gruppo ribelli ugandesi famoso per la sua ferocia, sta massacrando
senza pietà e apparentemente senza motivo la popolazione del Congo;
come denunciato dall'organizzazione umanitaria Medici senza frontiere,
nel suo rapporto annuale, la tragedia del Congo ha il triste primato di una
delle crisi più ignorate del globo, di fronte alla quale la comunità
internazionale appare impotente e la missione Onu un fallimento; il New
York Times, nel novembre 2009, ha pubblicato stralci di un rapporto
riservato redatto da un gruppo di esperti Onu, nel quale si accerta il
fallimento della missione delle Nazioni Unite nella Repubblica
democratica del Congo (Monuc) e dal quale si apprende che
venticinquemila caschi blu ingaggiati per le operazioni di peacekeeping
non sono riusciti a bloccare una rete criminale molto ampia gestita dalle
Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (FdlR), ma anche da
membri del Cndp, dell'esercito congolese, della classe politica congolese e
rwandese, di multinazionali e Governi occidentali, commercianti e uomini
d'affari, tutti implicati in diversi modi, nel commercio illegale delle risorse
minerarie del Kivu e nel traffico clandestino delle armi; contro quella che è
considerata la catastrofe umanitaria «peggiore mai vista in Africa»,
l'Unione europea non si è assunta la responsabilità di mandare un
contingente di pace, prediligendo l'azione diplomatica; è risultato assente il
ruolo svolto dall'Unione africana nel ricercare soluzioni alla crisi della
regione dei Grandi Laghi africani; la situazione dei profughi resta di
grande vulnerabilità con delle conseguenze molto serie: ci sono bambini
gravemente malnutriti, specie nelle zone più remote, dove le persone si
nascondono per settimane, se non mesi, nelle foreste, quando i loro
villaggi vengono attaccati, mentre epidemie di colera e diarrea hanno già
ucciso decine di persone nei centri di accoglienza, spesso improvvisati;
questa situazione sorprende, soprattutto, dopo l'esperienza del 1994,
quando il mancato invio di una forza di pace europea contribuì al
genocidio rwandese: in cento giorni furono massacrati oltre 800 mila tutsi
e hutu moderati; non si ha più contezza degli sfollati, ormai allo sbando,
che non hanno accesso né a cibo, né a acqua potabile, né ad altri beni di
prima necessità; più volte è stato sollecitato il rafforzamento del
contingente di caschi blu, soprattutto da parte di Amnesty international,
che ha chiesto un impegno più forte del Consiglio di sicurezza Onu per
porre fine alle violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario nella
Repubblica democratica del Congo; il Parlamento europeo ha
recentemente approvato una risoluzione (17 dicembre 2009) sulla violenza
nella Repubblica democratica del Congo;
impegna il Governo:
a rilanciare, presso le sedi istituzionali dell'Unione europea, la proposta di
intervenire con missioni umanitarie e di soccorso anche con unità militari,
per la gestione della crisi e il ristabilimento della pace, così come fatto in
Ciad per tutelare i profughi del Darfur; ad assumere ogni utile iniziativa
d'intesa con i partner europei nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite e insieme all'Unione africana, volta a rafforzare e rendere più
incisiva l'azione della missione Monuc, che allo stato non sembra in grado
di fronteggiare la situazione attuale; a prevedere un adeguato sostegno
economico e tecnico-logistico a tutte le organizzazioni umanitarie presenti
nell'area. (1-00056) (Nuova formulazione) «Casini, Vietti, Adornato,
Ciccanti, Compagnon, Naro, Volontè, Bosi, Buttiglione, Capitanio
Santolini, Cera, Cesa, Ciocchetti, De Poli, Delfino, Dionisi, Drago, Anna
Teresa Formisano, Galletti, Libè, Mannino, Occhiuto, Oppi, Pezzotta,
Pisacane, Poli, Rao, Romano, Ruggeri, Ruvolo, Tassone, Nunzio
Francesco Testa, Zinzi, Mondello, Mantini, Enzo Carra, Lusetti, Mereu,
Ria». (4 novembre 2008)
La Camera, premesso che: si osserva con crescente preoccupazione
l'evolversi della crisi in atto nella provincia orientale del Congo, nota come
Kivu settentrionale, dove si sta sviluppando una nuova fase del conflitto
regionale in atto da quindici anni tra milizie hutu e tutsi, le une sostenute
dal Governo centrale di Kinshasa, le altre da formazioni ribelli variamente
collegate a soggetti politico-militari operanti nel confinante Rwanda; è da
sottolineare l'inefficacia dimostrata finora dalla missione Onu nota come
Monuc, che pure dispone di oltre 16.500 effettivi, ma che risulta
paralizzata dal fatto di essere distribuita male sul terreno ed essere
composta in larga misura da unità provenienti da Paesi che si
concepiscono come rivali, come India, Pakistan e Bangladesh; vanno
apprezzati gli sforzi fatti nell'ambito dell'Unione africana e dalle
organizzazioni internazionali subcontinentali africane per pervenire ad una
composizione della crisi; si rileva, altresì, l'attivismo dimostrato in Africa
centrale dalle diplomazie di Francia e Gran Bretagna; si evidenzia come, a
dispetto dell'orientamento negativo finora espresso dall'Unione europea,
siano comunque affiorate proposte tendenti all'allestimento di una forza
europea di rapido intervento, da inviare nel Kivu settentrionale, allo scopo
di aprire dei corridoi umanitari per soccorrere le popolazioni civili vittime
delle violenze e degli scontri e, se possibile, stabilizzare il fronte e
facilitare il raggiungimento di un cessate il fuoco; la nuova crisi politicomilitare in atto in Africa centrale, secondo i firmatari del presente atto di
indirizzo, è suscettibile di alimentare nuove pressioni migratorie verso la
parte settentrionale del continente ed oltre, anche verso l'Europa
meridionale,
impegna il Governo
a prendere parte attiva agli sforzi della diplomazia internazionale volti a
fermare i massacri in atto nel Kivu settentrionale, anche in vista di un
eventuale intervento promosso dai Paesi dell'Unione europea, all'interno
ovvero all'esterno della cornice comunitaria. (1-00059) «Fava, Cota,
Luciano Dussin, Dal Lago, Reguzzoni, Alessandri, Allasia, Bitonci,
Bonino, Brigandì, Buonanno, Callegari, Caparini, Chiappori, Comaroli,
Consiglio, Crosio, D'Amico, Dozzo, Guido Dussin, Fedriga, Fogliato,
Follegot, Forcolin, Fugatti, Gibelli, Gidoni, Giancarlo Giorgetti, Goisis,
Grimoldi, Lanzarin, Lussana, Maccanti, Laura Molteni, Nicola Molteni,
Montagnoli, Munerato, Negro, Paolini, Pastore, Pini, Pirovano, Polledri,
Rainieri, Rivolta, Rondini, Salvini, Simonetti, Stefani, Stucchi, Togni,
Torazzi, Vanalli, Volpi». (12 novembre 2008)
La Camera, premesso che: è dal 1994 che la Repubblica democratica del
Congo vive in uno stato d'emergenza e di guerra, dapprima con l'arrivo di
oltre due milioni di profughi rwandesi, poi con la cosiddetta guerra di
liberazione dal regime di Mobutu (guidata da Laurent-Desiré Kabila, ma in
realtà diretta con la regia di Rwanda, Uganda, Burundi e dai loro alleati),
fino ad arrivare al secondo conflitto congolese esploso dieci anni fa,
nell'agosto del 1998, ben più violento ed attuale, che è costato la vita a
milioni di persone e continua ad essere la causa, diretta o indiretta, della
morte di addirittura 45.000 persone ogni mese; la situazione sta
drammaticamente precipitando, in particolare nel sud del Kivu, una delle
11 regioni del Paese, dove si contano circa due milioni di sfollati e una
lunga e dolorosa serie di massacri, stupri, incendi di villaggi, sequestri,
furti e saccheggi, di cui la popolazione civile del Kivu è vittima. La
popolazione è presa in ostaggio e vengono perseguitate, soprattutto, le
forze vive della società, come le comunità religiose, le associazioni civili
che si battono per la pace, le organizzazioni di donne, i giornalisti, i
sindacalisti e gli operatori sociali. Il Kivu è abbandonato ai predatori e la
situazione sembra volgere verso una progressiva occupazione e annessione
di fatto da parte dei Paesi vicini; nei soli primi sei mesi del 2009 sono stati
denunciati dall'Onu ben 5.387 casi di violenza contro donne e bambini, il
90 per cento dei quali imputabili ai gruppi armati regolari e irregolari.
Anche l'associazione internazionale in difesa dei diritti umani Watch
international, nel mese di agosto 2009, ha denunciato la drammatica
emergenza umanitaria nella Repubblica democratica del Congo e ha
anticipato alcuni fatti gravissimi contenuti nel rapporto del gruppo di
esperti al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del novembre 2009,
che, demolendo il perdurante muro di omertà sulle responsabilità della
guerra in corso da anni, ha denunciato anche il palese fallimento delle
operazioni militari dei caschi blu dell'Onu nel Nord e Sud Kivu; il recente
rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni Unite richiama, infatti,
numerose responsabilità, tra le quali è segnalata quella dell'Uganda, per lo
sfruttamento delle risorse minerarie, quella del Randa, in quanto principale
punto di transito dei minerali saccheggiati nella Repubblica democratica
del Congo dai gruppi ribelli (FdlR, Cndp e altri, coinvolti in reti criminali
per la commercializzazione dei minerali in cambio di armi), quella della
Cina, per il suo ruolo ambiguo volto a finanziare alcuni gruppi ribelli che
controllano le miniere di coltan, oro e diamanti, nonché di alcune
organizzazioni non governative, per aver abbandonato la loro attività
umanitaria per finanziare sanguinari ribelli rwandesi hutu, che combattono
contro il Governo legittimo congolese. Inoltre, tale rapporto segnala
responsabilità ancora più preoccupanti, come quella degli stessi caschi blu
dell'Onu per non essere riusciti a mantenere la pace nella regione e per
l'accertata esistenza di taluni casi di collusione con i ribelli armati
irregolari. Il testo getta, dunque, un'ulteriore ombra sulla Monuc (United
Nations mission in democratic Republic of Congo), la più grande missione
di pace della comunità internazionale, che, nonostante disponga di 20 mila
soldati presenti operanti nel Nord e nel Sud Kivu e richieda enormi costi
(un miliardo di dollari l'anno), non ha prodotto fino ad oggi i risultati
sperati, ossia la risoluzione della crisi del Paese e della regione dei Grandi
Laghi; l'esercito congolese, dal suo canto, non dispone di risorse umane,
tecniche e finanziarie sufficienti per assolvere ai propri compiti, è mal
pagato e costituito da un insieme di forze molto diverse tra loro e ha visto
arruolare frettolosamente fra le sue fila anche forze destabilizzatrici e
violente, come quelle del Congresso nazionale per la difesa del popolo
(Cndp) di Laurent Nkunda (nei confronti del quale il Governo congolese
ha chiesto al Rwanda l'estradizione), con il rischio, dunque, di
incrementare un'insicurezza permanente; il deterioramento della situazione
umanitaria e del numero crescente di sfollati nel Paese è stato denunciato
anche dall'Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani. In
occasione dell'apertura del quattordicesimo vertice dell'Unione africana,
svoltosi il 2 febbraio 2010 ad Addis Abeba, Ban Ki Moon ha annunciato di
voler aumentare il proprio impegno per mettere fine alle violenze, in
particolare agli stupri di massa perpetrati contro donne e bambini,
dichiarando, inoltre, l'intenzione di battersi affinché le violenze sessuali
siano riconosciute e punite come crimine contro le leggi internazionali e
crimini di guerra, e dunque suscettibili di essere deferiti alla Corte penale
internazionale per crimini contro l'umanità; il disastro umanitario che si sta
consumando in Congo riguarda l'Italia molto da vicino, non solo perché in
quel Paese ci sono decine di cooperatori, missionari e volontari italiani,
che hanno scelto un difficile e coraggioso impegno civile, ma soprattutto
perché da quella realtà devastata dai conflitti si generano i flussi migratori
della disperazione, tanto temuti nel nostro Paese. Senza un impegno per
contribuire alla pacificazione di quella regione, nessuna frontiera potrà
reggere all'urto di tale disperazione. Inoltre, l'Africa è il continente che
custodisce enormi riserve di materie prime, di cui il mondo ricco ha
sempre più bisogno e la questione del controllo di tali risorse è all'origine
dell'acuirsi delle guerre; la guerra che si combatte da anni in Congo
origina, infatti, dalla lotta per il controllo degli importanti minerali di cui è
ricco il Paese (cassiterite, coltan, oro, wolfram, petrolio, gas e metano), in
particolare per l'accaparramento del coltan, un componente base
indispensabile alla costruzione di oggetti tecnologici quotidiani, come
cellulari, personal computer, videocamere; il problema dello sfruttamento
illegale e dell'esportazione fraudolenta dei minerali della Repubblica
democratica del Congo - parte dei quali finiscono in molti Paesi, come
quelli dell'Europa, il Canada, gli Stati Uniti e l'Asia - è uno dei fattori che
alimentano i conflitti nella regione dei Grandi Laghi africani e ciò sollecita
la comunità internazionale ad intervenire con strumenti differenziati e
innovativi. Significative in tal senso sono le proposte che si stanno
avanzando negli Stati Uniti e in Europa con l'intento di dotare la comunità
internazionale di un sistema di tracciabilità dei minerali estratti, al fine di
contrastare i traffici minerari illegali che coinvolgono una vasta rete di
complicità, interne e internazionali, e che stanno fomentando una
disastrosa guerra nel Paese; la profonda crisi che da circa un decennio
caratterizza la regione dei Grandi Laghi africani, coinvolgendo ben sette
nazioni africane, sta mettendo in serio pericolo un importante ecosistema,
tale da rappresentare il cosiddetto secondo polmone del mondo, dopo la
foresta amazzonica. Ciò richiama l'urgente necessità di rimettere
l'ambiente al centro dello sviluppo economico della regione, come priorità
di azione per tutto il continente africano,
impegna il Governo:
ad assumere ogni utile iniziativa, d'intesa con i partner europei nel
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e con l'Unione africana, per
sollecitare un rafforzamento dell'azione e delle capacità operative della
missione Monuc, per giungere ad una necessaria e urgente ridefinizione
del suo mandato e delle sue priorità, al fine di consentire un intervento di
protezione effettivo della popolazione civile minacciata da gruppi armati;
ad attivarsi per avanzare in sede europea la proposta di costituire una
missione specifica, umanitaria e di soccorso, analogamente a quanto è
avvenuto per i profughi del Darfur; a farsi promotore di un'azione sul
piano politico e diplomatico che favorisca il dialogo tra tutti i Governi
della regione dei Grandi Laghi africani, in grado di esercitare una
pressione che incoraggi non solo una soluzione negoziale di
riconciliazione e di pace, ma anche la promozione di una cooperazione
economica nella regione, capace di accogliere le attese e gli sforzi
compiuti dalla Conferenza internazionale nella regione dei Grandi Laghi di
Dar es Salaam, svoltasi nel 2004 in Tanzania, per la pace, la sicurezza, la
governabilità, la democrazia, lo sviluppo economico, l'integrazione
regionale; ad assumere iniziative volte ad aumentare i finanziamenti,
nazionali ed europei, destinati agli aiuti umanitari per le regioni orientali
della Repubblica democratica del Congo, dando la priorità ad aiuti,
donazioni o progetti di cooperazione internazionale, in favore delle
associazioni delle donne congolesi impegnate nella tutela dei diritti della
parità di genere e nella costruzione di una commissione per la verità e la
riconciliazione sui crimini a sfondo sessuale, nonché per il recupero degli
ex bambini soldato; ad aderire e a sostenere concretamente l'appello
lanciato il 30 novembre 2009 dall'Onu e da 380 organizzazioni non
governative, che sollecita tutti gli Stati membri della stessa Onu a fare la
loro parte al fine di raccogliere 7,1 miliardi di dollari da destinare alle
azioni umanitarie nel 2010; ad attivarsi in sede europea per sostenere e
rendere operativa la proposta, sollecitata anche dal Parlamento europeo, in
favore di una regolamentazione comunitaria per la tracciabilità dei
minerali naturali provenienti dalla Repubblica democratica del Congo,
comprendente una disciplina del mercato del coltan, analogamente a
quanto avviene per i diamanti con il vigente protocollo di Kimberley. (100328) «Touadi, Villecco Calipari, Maran, Tempestini, Veltroni,
Narducci, Barbi, Pistelli, Corsini, Arturo Mario Luigi Parisi, Colombo,
Fedi, Porta, Sarubbi, Mogherini Rebesani». (11 febbraio 2010)