La reggia sabauda di Venaria ospita fino al 6 luglio oltre 40 opere

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La reggia sabauda di Venaria ospita fino al 6 luglio oltre 40 opere
Cultura | L’arte in trasferta
In mostra vi sono dipinti,
sculture, strumenti
musicali, oggetti unici,
ma anche documenti
e testi di inestimabile
valore. Per scoprire
il valore di una piccola
corte padana che divenne
capitale del Barocco
di Stefano Marchetti
La reggia sabauda
di Venaria ospita
fino al 6 luglio
oltre 40 opere
della Galleria Estense
di Modena,
chiusa per i danni
del terremoto
di due anni fa
Capolavori estensi
D
urante il suo Grand Tour fra le bellezze d’Italia, il conte Charles de
Brosses, erudito francese, nel 1740
si fermò anche a Modena. Andò a far visita a Ludovico Antonio Muratori che stava
lavorando alle sue «Antiquates Italicae Medii Aevi», e fu ricevuto pure a Palazzo Ducale, per ammirare l’eccezionale quadreria del duca Francesco III d’Este. «È certamente la più bella Galleria che esiste in
Italia, non perché sia la più ricca, ma è la
meglio tenuta, la meglio ordinata e ornata», scrisse poi nel suo diario di viaggio.
«Tutto è scelto accuratamente: i quadri sono pochi in ciascuna stanza, con magnifiche cornici, e via via che procedete in una
nuova stanza, trovate opere più belle che
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Cultura | L’arte in trasferta
La storia I
Estensi, una dinastia poco conosciuta
F
La mostra sugli Este
è la prima di una serie
con cui Venaria
si propone di riscoprire
le grandi corti
e il loro collezionismo.
«Sono state queste corti
a rendere l’Italia
uno dei Paesi più belli
del mondo», commenta
Alberto Vanelli, direttore
della reggia sabauda.
È anche l’occasione
per fare incontrare
due dinastie
molto longeve,
Savoia ed Este,
che ebbero anche
legami parentali
in dagli albori della loro dinastia (che
arrivò a governare uno Stato in posizione strategica, che univa l’Adriatico al
Tirreno, la pianura e l’appennino), gli
Estensi abbinarono alle accorte diplomazie
anche la forza dei colori e dei versi di artisti
impareggiabili, che invitarono a illuminare
la loro corte. Già fra il ‘300 e il ‘400, il marchese Niccolò III trasformò Ferrara in una
delle capitali culturali dell’Italia del tempo,
e i suoi tre figli, Leonello, Borso ed Ercole I,
amarono circondarsi di letterati e pittori di
eccezionale pregio, da Boiardo a Mantegna
e Pisanello. E nel ‘500, poi, il fasto di
Ferrara, divenuta ducale, si affidò a Tiziano
e a Garofalo, ma soprattutto all’estro di
Dosso Dossi, pittore di corte: Alfonso I volle
che fosse proprio lui a decorare gli appartamenti della Via Coperta che congiungeva
GUERCINO
«Madonna in trono
con San Giovanni
Evangelista
e San Gregorio
Taumaturgo», 1628-1630.
Modena, chiesa
di San Vincenzo
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DOSSO DOSSI
«Giove dipinge le ali
delle farfalle», 1523-1525.
State Art Collections,
Wawel Royal Castle,
Cracovia
il Castello e il Palazzo Ducale. «I Camerini
della Via Coperta, quello di alabastro con i
rilievi all’ antica del Lombardo, o quello
delle pitture con i “Baccanali” di Tiziano,
Giovanni Bellini e Dosso, sono stati luoghi
mitici (e oggi perduti) dell’arte del
Rinascimento», annota Stefano Casciu,
soprintendente ai beni artistici e storici di
Modena e Reggio Emilia. E anche Ercole II,
per le Stanzie Nove del Castello, chiamò a
raccolta i talenti più belli. «A Ferrara le
ambizioni erano alte», scrive Giovanni Ricci
in un saggio in catalogo. «Nella fase ferrarese prese forma uno stile del potere che è
stato chiamato dispotismo rinascimentale,
con un massiccio ricorso a politiche di
intrattenimento». Ma quando Alfonso II
morì senza eredi diretti, il ducato di Ferrara
venne devoluto al Papa, e gli Estensi dovet-
nella precedente». Il potere stava anche nella magnificenza delle
arti, le belle arti che deliziavano gli occhi e lo spirito, ma soprattutto potevano colpire gli ospiti. Fra le piccole corti italiane,
quella estense fu una delle più splendenti, e per molti secoli. E
anche nel ’600, dopo che la devoluzione costrinse il duca a lasciare l’incantevole Ferrara e a spostare la capitale a Modena, riprese questo percorso di grandezze e meraviglie, fiorì il Barocco «e il
mecenatismo culturale sostituì nei fatti un potere ormai fortemente ridotto», osserva Stefano Casciu, soprintendente ai beni
artistici e storici di Modena e Reggio Emilia.
Noi che siamo nati qui abbiamo questa storia davanti agli occhi tutti i giorni, e forse (purtroppo) non ce ne accorgiamo più. «E
invece, con il loro straordinario patrimonio, certamente gli Estensi non furono meno importanti di altre dinastie italiane più famose, come i Medici o i Borbone, ma forse non sono altrettanto conosciuti», esordisce Alberto Vanelli, direttore dell’affascinante Reggia sabauda di Venaria, presso Torino, che proprio agli Este ha
voluto dedicare la sua grande mostra di primavera dal titolo «Gli
Este. Rinascimento e Barocco a Ferrara e a Modena». «È la prima
perla di una collana con cui ci proponiamo di riscoprire le grandi
corti e il loro collezionismo. Sono state loro a rendere l’Italia uno
dei Paesi più belli del mondo», aggiunge Vanelli. «Ed è anche l’occasione per far incontrare due dinastie molto longeve, quella dei
Savoia e quella degli Este, che ebbero anche legami parentali», interviene Silvia Ghisotti, responsabile della conservazione dei beni mobili della Venaria. Fino al 6 luglio, nelle sale delle Arti della
reggia piemontese, novanta opere in nove sezioni ci prendono a
tero trasferire la corte a Modena. Era il
1598. Soprattutto con l’ascesa di Francesco I,
gli Estensi « fecero assurgere Modena da
luogo modesto, senza prestigio e senza
forma urbana, a sede splendida di una
corte assoluta», aggiunge Casciu. «Si può
guardare alla Modena del Seicento e alla
sua corte come a un laboratorio dell’Antico
Regime, un esperimento riuscito a durato
tutto un secolo, grazie al quale sono state
create dal nulla quelle strutture fisiche e
simboliche, organizzative, urbanistiche,
architett oniche e artistiche, necessarie per
sostenere la nuova immagine di una nobile
dinastia». Fu proprio Francesco I a corteggiare i grandi artisti dell’epoca, affidando
loro grandi commissioni: è rimasta leggendaria la cifra di tremila scudi pagata al
Bernini per il famoso busto in marmo.
Fra le piccole corti italiane
quella estense fu una delle più
splendenti, per molti secoli.
Una storia che perfino molti
modenesi quasi non conoscono.
Ma con il loro straordinario
patrimonio gli Estensi non furono
meno importanti di altre dinastie
italiane più famose, come i Medici
braccetto per condurci in un evocativo viaggio (curato proprio
dal soprintendente Casciu) nella grande bellezza di un’affascinante piccola corte padana. Sono dipinti, sculture, oggetti unici, ma
anche documenti e testi di inestimabile valore, recano firme illustri, Tintoretto e Tiziano, Guido Reni e Velazquez, e più di quaranta arrivano dalla Galleria Estense di Modena, dove sono in corso
i lavori di ripristino dei locali danneggiati dal terremoto di due
anni fa. Le opere della pinacoteca nazionale modenese, insieme
a quelle di altre collezioni di casa nostra (fra cui, per esempio, la
Biblioteca Estense, i Musei Civici d’Arte e la raccolta d’arte della
Banca Popolare dell’Emilia-Romagna), si sono riunite ai capolavori concessi in prestito da prestigiosi musei internazionali: dal
castello di Cracovia, per esempio, è arrivato il «Giove pittore di farfalle» di Dosso Dossi, mentre dalla collezione dei principi Liechtenstein l’«Apoteosi di Ercole» del Garofalo e dalla Gemäldegalerie di Dresda (che dal 1746 custodisce gelosamente il nucleo dei
cento quadri eccellenti, venduti per centomila zecchini da Francesco III ad Augusto III, principe elettore di Sassonia) è tornata,
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Cultura | L’arte in trasferta
Il volume I Segreti e bellezze nel catalogo
firmato Franco Cosimo Panini
N
on è soltanto un catalogo, ma è soprattutto un libro agile e ricco di informazioni
e curiosità sulla storia Estense, quello che
l’editore Franco Cosimo Panini ha pubblicato
per la mostra «Gli Este. Rinascimento e
Barocco a Ferrara e a Modena» alla Reggia di
Venaria. Curato da Stefano Casciu e Marcello
Toffanello della soprintendenza modenese, il
volume riccamente illustrato raccoglie accurate schede sulle opere esposte, ripercorrendo così due secoli di capolavori, da Cosmé
Tura a Tiziano, Guercino e Velazquez, ma
offre anche una serie di saggi che ricostruiscono la storia della dinastia fino al ‘700,
indagano il ruolo del mecenatismo anche in
chiave politica e diplomatica, ed esplorano la
grande ricchezza della libreria ducale, che
oggi è la Biblioteca Estense. Oltre che dai due
curatori, i saggi sono firmati da Luca
Bellingeri, Paolo Fabbri, Davide Gasparotto,
Barbara Ghelfi, Angela Ghinato, Emanuela
Guidoboni, Andrea Merlotti e Giovanni Ricci.
Una peculiarità del libro sta proprio in alcune
ampie «finestre», intervallate alle schede, che
toccano aspetti particolari della storia del
ducato estense, come l’amore per la musica,
che per Alfonso I fu «una passione violenta
ed esclusiva», oppure le donne del casato, fra
cui spicca la figura di Laura Martinozzi che
nel 1662, alla morte del marito Alfonso IV, si
ma solo per queste settimane, la pala della «Sacra Famiglia con
santa Barbara e San Carlo Borromeo» dello Scarsellino.
Una mostra eccezionale, dunque, per abbracciare, quasi con
uno sguardo panoramico, la storia della committenza estense nei
due secoli d’oro, il ’500 e il ’600. «Per la prima volta in una mostra
vengono ricomposti, sul piano del mecenatismo artistico, la continuità e il legame fra due capitali che la storia ha diviso bruscamente», sottolinea il soprintendente Casciu. «Ma questa mostra
non si sarebbe mai potuta realizzare se non fossimo stati costretti a chiudere l’Estense, a causa del terremoto», fa notare Davide
Gasparotto, direttore della Galleria. «Non avremmo mai potuto
privarci di tutte le opere più celebri per inviarle in mostra altrove». Per il «Ritratto di Francesco I» di Velazquez è un ritorno alla
Venaria, dove era stato già esposto ne «La Bella Italia», in occasione dei 150 anni dell’unità nazionale. Ma il busto marmoreo del
Bernini, ora chiuso e protetto in un colossale cassa, questa volta
è rimasto sotto la Ghirlandina.
In un itinerario scandito dai toni del blu, con diverse sfumature di colore che accompagnano il divenire della storia (e dieci
capolavori in evidenza), la mostra alla reggia sabauda segue una
linea cronologica, partendo dalla genealogia estense e toccando
poi, sala per sala, le singole figure ducali, i loro ritratti e il loro
tempo. Dopo un accenno alla grande eredità del ’400, dove spicca
il «Sant’Antonio» di Cosmé Tura («Un’opera sulfurea», commenta Davide Gasparotto), ci troviamo già di fronte al battagliero
Alfonso I, nella sua immagine ufficiale, quella che gli creò Tiziano in un ritratto andato perduto, ma di cui esiste una copia attribuita al Bastianino, concessa dalla Galleria Palatina di Palazzo
Pitti di Firenze. Ecco i rombi (in origine erano degli ovali) con l’«Ebbrezza», la «Seduzione» e l’«Amore» che Dosso dipinse appunto per
il soffitto della riservatissima camera da letto del duca nella Via
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trovò a reggere le sorti della casata (poiché il
figlio Francesco aveva solo due anni) ed è
stata definita il «miglior duca di Modena». Un
altro approfondimento è dedicato al devastante terremoto del 17 novembre 1570 a
Ferrara, che provocò più di 150 morti su circa
32.000 residenti: anche Alfonso II e la sua
famiglia furono costretti a vivere in tende
all’aperto, «nel fango e nel freddo, come una
corte divenuta “cingana”, zingara», ricorda
Emanuela Guidoboni. E questo richiamo storico richiama le testimonianze sul sisma del
2012 e sulle prospettive del recupero dell’ingente patrimonio che aspetta un nuovo
splendore.
BENVENUTO TISI
detto IL GAROFALO
«Apoteosi di Ercole»,
1538-1544. Liechtenstein
The Princely Collections,
Vaduz-Vienna
Coperta, ed ecco un «Ritratto di gentiluomo», forse Tommaso Mosti, con la
sua «grazia nei vestimenti» di colore
nero, in una tela di Tiziano. Dell’età
d’oro di Alfonso I fu parte anche Ludovico Ariosto, e la «Maga Melissa» di Dosso Dossi (concessa dalla
Galleria Borghese di Roma) richiama appunto le atmosfere e le
suggestioni dell’«Orlando Furioso». Dalle collezioni principesche
di Vaduz giunge l’«Apoteosi di Ercole» di Benvenuto Tisi detto il
Garofalo: la scena ispirata alle «Metamorfosi» di Ovidio (che l’artista trasporta in un orizzonte ferrarese, come se avvenisse sulle
rive del fiume Po) è chiaramente dedicata al duca Ercole II, e alla sua gloria. Mentre dall’omonima Camera degli appartamenti
Le tante opere della Galleria Estense
per la prima volta sono riunite ai capolavori
a suo tempo venduti dagli Estensi e che ora
sono in vari musei non solo europei.
«È un evento che non si sarebbe mai realizzato
se non fossimo stati costretti a chiudere
l’Estense per il terremoto», spiega Davide
Gasparotto, direttore della Galleria.
«Non avremmo potuto privarci di tutte
le nostre opere più celebri per inviarle altrove»
veneziano, e furono poi vendute dagli eredi al duca di Modena
nel 1658), fece sbocciare l’incanto del Palazzo Ducale di Sassuolo
con i decori di Jean Boulanger, Agostino Mitelli e Michelangelo
Colonna, trasformò Modena in una delle «mirabilia Italiae». L’età di Francesco II (1674-1694), ritratto nel busto marmoreo di
Andrea Baratta, chiaramente ispirato al Bernini, chiude idealmente questo percorso lungo due secoli-chiave. È l’età della musica, di Giovanni Maria Bononcini, di Alessandro Stradella e andel Castello arriva appunto l’allegoria della «Pazienza», simbolo che di Arcangelo Corelli che nel 1689 stampò a Roma le sue «Sodella prudenza diplomatica del duca, realizzata attorno al 1553 da nate a tre» proprio con il patrocinio di Francesco II, «benefico aCamillo Filippi e dal giovane figlio Sebastiano (il Bastianino) che matore della Musica». È del 1691 anche il meraviglioso violoncelallora era assistente del padre nella bottega. Tra cultura anti- lo intagliato (in legno d’acero, abete, giuggiolo, ebano, tartaruga
quaria e musica d’élite, una nuova sezione della mostra ci porta e ceramica), realizzato per il duca dal parmense Domenico Galli,
nell’epoca di Alfonso II, l’ultimo periodo ferrarese, dal 1559 al che era anche compositore e musicista.
1597. Sono gli anni di Torquato Tasso (e spicca qui un’edizione
Le opere intersecano storie e memorie. Come quelle dei dipindel 1581 della «Gerusalemme Liberata»), e dei raffinati «concerti ti di Dosso Dossi che furono saccheggiati dai nazisti in tempo di
delle dame principalissime» del seguito della duchessa Marghe- guerra, e solo in anni recenti sono stati restituiti, oppure l’avrita Gonzaga, che fece arrivare da Mantova la musicista Laura ventura della clamorosa rapina del 1992 alla Galleria Estense,
Peperara. Proprio di questi anni è la straordinaria «Arpa Esten- quando la gang di Felice Maniero, boss della mala del Brenta,
se», in legno d’acero e pero verniciato, un cimelio preziosissimo portò via anche l’iconico Velazquez. E l’eco dell’infausta «vendita
della Galleria Estense che qualche anno fa venne effigiato anche di Dresda» che privò la quadreria estense di molti dei suoi gioielli, come la famosissima «Notte» del Correggio, che in mostra possulle banconote da mille lire.
E poi fu il tempo della devoluzione, con Cesare d’Este costret- siamo vedere solo attraverso una (bella) copia di Giuseppe Nogato a «rifar Ferrara a Modena». Fra le opere che accompagnarono ri. Ma la storia che ci tocca e ci emoziona di più è quella del terreil duca nella nuova capitale, spiccano gli ovali di Annibale Car- moto di due anni fa, che ha segnato gravemente il nostro patriracci (con la «Flora» e «Venere e Cupido») che decorarono, solo per monio artistico: l’ultima sala dell’esposizione a Venaria è proprio
una manciata di anni, i soffitti di Palazzo dei Diamanti. Sempre dedicata al dramma della Bassa e agli sforzi per il recupero delle
dagli appartamenti del palazzo ferrarese, che il duca aveva fatto opere rimaste intrappolate in chiese e palazzi devastati dal sisma.
allestire per la consorte Virginia de’ Medici, ritroviamo «La Fa- Proprio in segno di solidarietà, il Centro conservazione e restauma» dello Scarsellino o i fregi con le «Allegorie di Casa d’Este» di ro della Venaria Reale ha preso in cura anche due tele (la «MadonGaspare Venturini. La ricostituzione della corte in una nuova se- na di Loreto con putti e angeli musicanti» di Annibale Castelli e
de non fu semplice, ma ebbe poi la svolta con il mirabolante do- la «Conversione di San Paolo» di Sante Peranda) provenienti dalminio di Francesco I, dal 1629: la mostra testimonia la creazione la chiesa di San Francesco di Mirandola, martoriata dalle scosse.
dell’immagine del Principe ideale, che si affidava all’arte anche «Abbiamo voluto offrire un segno di speranza alle comunità che
come strumento di affermazione politica e diplomatica. Il duca cor- hanno sofferto e soffrono per il terremoto», dice Michela Carditeggiò i maggiori artisti dell’epoca, come Guercino o Salvator Ro- nali, direttrice dei laboratori di restauro della reggia. Per indicasa, e sguinzagliò i suoi agenti per ottenere dipinti per le raccolte, re che questa lunga, nobile storia di splendori non è finita e non
anche attraverso acquisti mirati (è il caso delle tavole che Tinto- si è spenta in quella notte di maggio, anzi vogliamo e dobbiamo
HENRI MATISSE
ai posteri.
Perché possano meravigliarsi ancora.
retto aveva creato Icaro
nel 1541
Vettor
banchiere
consegnarla
dallaper
serie
Jazz, Pisani,
1943-46,potente
cm 46x62;
Firenze, Biblioteca
Nazionale
Centrale
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