Riflessioni e proposte in risposta ad alcuni punti del Questionario di

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Riflessioni e proposte in risposta ad alcuni punti del Questionario di
Fondazione Diocesana “Centro della Famiglia”
Istituto di Cultura e di Pastorale – Diocesi di Treviso
DV 15 agosto 1981
DPR N. 1148, 10/12/1984
Il Centro della Famiglia opera da oltre 30 anni nell’ambito della formazione pastorale e
sociale e della cura del disagio familiare (consulenza e terapia relazionale). Ha avviato una
gamma di servizi distinti per fasi del ciclo di vita familiare e per aree di intervento, dove
operano una decina di professionisti e circa 200 coppie di volontari.
www.centrodellafamiglia.it
Direttore: sac. prof. Mario Cusinato
Riflessioni e proposte in risposta ad alcuni punti del Questionario di
preparazione al Sinodo dei Vescovi 2014
Sono il risultato del lavoro per gruppi di interesse e competenza coinvolgendo in totale N. 50 persone, operatori
pastorali volontari e professionisti nei servizi del Centro della Famiglia.
3 - La pastorale della famiglia nel contesto dell’evangelizzazione
3a-i) Quali sono le esperienze nate negli ultimi decenni in ordine alla preparazione al matrimonio?
L’orientamento indicato dalla Familiaris Consortio (FC, nn.65-66) ci è stato di guida ed è ancora utile: “L’azione
pastorale della Chiesa deve essere progressiva, anche nel senso che deve seguire la famiglia, accompagnandola
passo passo nelle diverse tappe della sua formazione e del suo sviluppo”. Di qui la distinzione tra preparazione
remota, prossima e immediata.
Più problematica appare la traduzione di questo principio in azione pastorale concreta. Le ragioni sono
diverse. L’educazione alla vita e all’amore – potremmo dire alla tenerezza – è più frutto di esperienza diretta
vissuta in famiglia che di istruzione formale, ma ci domandiamo quante siano le famiglie definite cristiane capaci di
far vivere l’esperienza di tale tenerezza attingendo con equilibrio, oltre che dalle relazioni interpersonali
orizzontali, anche dal dono che Gesù offre della sua intimità. Sempre più numerose sono le famiglie monoparentali
e i figli che nascono fuori dal matrimonio.
L’avvio poi del progetto di coppia e di matrimonio è profondamente cambiato in questi ultimi anni: ci si
sposa dopo i trent’anni (ormai quasi il 50% avendo fatto esperienza di convivenza) e le coppie sono orientate alla
procreazione verso i quaranta: ci avviamo verso un futuro senza figli (Della Zuanna, 2013). Il progetto educativo
tradizionale a cui fa riferimento anche la FC non regge più, anche perché risulta scisso il momento dell’accensione
dell’interesse per la relazione (in particolare la scelta del partner per un progetto di coppia duraturo) dalla decisione
di sposarsi: trent’anni fa c’era continuità, ora c’è un intervallo a volte di 20 anni, magari con più esperienze (Cfr:
Cusinato, 2013, p. 170). Rimangono comunque validi gli obiettivi di quei passaggi che la FC indicava come
preparazione remota e prossima anche se sono complesse le modalità per raggiungerli.
Quanto alla preparazione definita “immediata” – almeno per il nostro contesto – non tengono più le
indicazioni date dalla FC: “… deve aver luogo negli ultimi mesi e settimane che precedono le nozze…”. Da
qualche decennio c’è un accordo quasi unanime tra gli studiosi e i professionisti (di culture diverse e a livello
internazionale, che studiano ed operano nell’area del ciclo di vita familiare, al di là delle differenze di cultura,
religione e classe sociale) che un’efficace e specifica formazione al matrimonio e alla vita familiare deve iniziare
un anno prima e protrarsi per un anno dopo la celebrazione del matrimonio (Olson, 1990).
Ecco alcuni orientamenti nati dalla riflessione, lo studio e la sperimentazione presso il Centro della
Famiglia avviata nel 1975 in ordine alla formazione al matrimonio. La formazione, tenendo sempre presente la
comunità di appartenenza (o comunque di riferimento), va costruita partendo dai bisogni e risorse delle persone. A
tal fine è fondamentale che la coppia sia accolta con disponibilità di tempo e di ascolto, in un clima amichevole e in
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un ambiente appropriato, per permetterle di sentirsi valorizzata, rispettata per quello che è, apprezzata nel suo
volersi bene, libera di esprimersi senza diffidenze.
I veri protagonisti della preparazione al matrimonio sono le coppie stesse che si impegnano a rivedere il
progetto del loro futuro per vagliarne la consistenza relazionale (“un noi consapevole di coppia”), in dialogo critico
costruttivo con i loro ambienti di vita (“apertura sociale”), accogliendo l’invito del Signore ad essere segno e
strumento del suo amore (“spiritualità coniugale”) con la grazia del sacramento del matrimonio. Questo processo
formativo implica la riflessione personale, il dialogo di coppia e il confronto possibilmente con altre coppie così da
fare esperienza di comunità dove reciprocamente si dà e si riceve (esperienza di fraternità). Ad una prima fase (14
tappe con ritmo settimanale), ne segue una seconda con ritmo mensile e con modalità più flessibili, così da coprire i
due anni. L’itinerario fa riferimento ed è continuamente collegato ad un progetto educativo consistente riassunto
nei tre termini di Accoglienza, Accompagnamento, Annuncio (le tre A).
Questo processo è accompagnato, guidato e stimolato da una coppia di sposi che ha il “ruolo genitoriale” di
tutor nel piccolo gruppo o con la coppia singola se richiesto dalle circostanze. Infatti i “formatori naturali” sono gli
sposi cristiani che hanno preso coscienza della loro missione. Si preparano adeguatamente ed operano da volontari
avendo fatto proprio il progetto educativo in modo tale che risulti appetibile e desiderabile perché interessante e
utile. Tuttavia è necessario che le “coppie tutor” siano sostenute e verificate da professionisti e sacerdoti.
L’invito al servizio e la risposta positiva hanno preso avvio in Italia con il documento della CEI
“Evangelizzazione e sacramento del Matrimonio” (1975) che ha dato la spinta per una “Scuola di Formazione
Familiare” per coniugi operatori di pastorale familiare; opera da oltre 20 anni, è triennale, frequentata normalmente
da una settantina di coppie. Finora ha preparato circa 500 coppie disponibili a prendere il ruolo di tutor e che, prima
e comunque, cercano di vivere la realtà familiare come “chiesa domestica” in nome del loro impegno col Signore e
con la comunità, vivendo le relazioni quotidiane come espressione della loro spiritualità familiare.
L’offerta formativa al matrimonio con le modalità indicate ha dato e sta dando risultati positivi accertati.
Una verifica, condotta qualche anno fa con criteri scientifici su oltre 300 coppie dopo il quinto anno di matrimonio,
ha accertato che la diminuzione di separazioni risulta essere del 90% rispetto alla popolazione di riferimento e che
la maggior parte delle coppie aveva un ruolo attivo nella comunità parrocchiale, civile e/o scolastica dei propri
figli.
Si può dire che questa esperienza è una goccia nel mare, ma si potrebbero aggiungere tante altre gocce se le
comunità cristiane mettessero al primo posto l’attenzione alle persone, fossero contagiose di gioia e di speranza,
non avessero timore di aprirsi alla tenerezza di Dio.
3a-ii) Come si è cercato di stimolare il compito di evangelizzazione degli sposi e della famiglia?
La famiglia è una realtà terrena, laicale, immersa nella cultura del popolo, che vive i problemi del lavoro,
dell’economia, dell’ambiente, dell’educazione. In un mondo così complesso, in continuo rapido cambiamento, oggi
rischia facilmente di essere disorientata dalle continue e pressanti offerte che vengono proposte, oppure guidata da
mezzi di comunicazione sempre più efficaci e pervasivi verso obiettivi superficiali o individualistici.
Certamente la famiglia cristiana può contare sulla Parola di Dio, sulla Chiesa, sui Sacramenti. Ciò che il
Vangelo dice sul matrimonio e sulla famiglia è una risorsa preziosa di fede per gli sposi; la vita stessa dei coniugi e
della famiglia, quando è condotta secondo il progetto di Dio, costituisce essa stessa una sorta di “vangelo” cioè una
buona notizia per tutti e per ciascuno.
Per giungere a vivere la realtà del matrimonio e della famiglia a questo livello, è necessario che gli sposi
siano sostenuti sul piano della formazione alla vita piena del loro sacramento. L’esperienza della Scuola di
Formazione Familiare (di cui si è già fatto cenno) ha dimostrato che ciò è possibile, per gli stimoli dati agli sposi e
alle famiglie ad essere protagonisti coerenti della propria vita. L’obiettivo della formazione è di aiutare sposi e
famiglie a vivere relazioni autentiche che sono la “porta” attraverso la quale percorrere la via a Dio. Per questo il
cammino inizia dalle relazioni coniugali e come prendersene cura, per puntare a vivere la dimensione della
tenerezza e dell’intimità (primo anno), passando poi alla cura delle relazioni genitoriali che domanda fra l’altro di
aprire la porta della casa alla genitorialità sociale (secondo anno), per considerare infine le relazioni con la
comunità cristiana, i pastori, la comunità sociale (terzo anno). Nei tre anni di formazione è posta particolare
attenzione allo sviluppo della dimensione verticale della vita offrendo una proposta di una spiritualità familiare
come cammino di maturità umana e di fede, via alla santità.
3a-iii) Come promuovere la coscienza della famiglia come “Chiesa domestica”?
C’è consapevolezza dell’importanza delle famiglie per la nuova evangelizzazione, nel loro ruolo essenziale per la
trasmissione della fede, dove i genitori sono i primi annunciatori dell’amore del Padre per i loro figli. Ciò richiede
che la famiglia possa vivere con una propria e specifica modalità, quella di essere «intima comunità di vita e di
amore». E così la famiglia esercita la sua missione secondo una modalità comunitaria: «insieme, dunque, i coniugi
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in quanto coppia, i genitori e i figli in quanto famiglia, devono vivere il loro servizio alla Chiesa e al mondo.
Devono essere nella fede “un cuore solo e un’anima sola”, mediante il comune spirito apostolico che li anima e la
collaborazione che li impegna nelle opere di servizio alla comunità ecclesiale e civile» (FC, n.50). Se questo è
l’obiettivo, punto di partenza è la valorizzazione della quotidianità della famiglia e la sua partecipazione attiva alla
vita e alla missione della Chiesa che rispetta e promuove la sua tipica dimensione comunitaria in quanto famiglia.
Non è una prospettiva facile da acquisire da parte delle comunità cristiane e dei parroci che le presiedono.
Lo snodo chiave rimane però la capacità degli sposi di riuscire a vivere il loro sacramento in maniera piena,
realizzando la relazione di amore che si erano impegnati a costruire il giorno delle nozze, rendendo vera tutti i
giorni la dimensione di intimità nella loro relazione coniugale, insieme con la capacità di tutta la famiglia di vivere
l’amore paterno e materno, l’amore fraterno, amore di una comunità di persone e di generazioni.
Per questo è necessario saper offrire percorsi e luoghi di formazione in grado di sostenere gli sposi nel loro
cammino, non privo di ostacoli e difficoltà, per riuscire a rendere piena e vera l’affermazione “chiesa domestica”
per ogni famiglia cristiana. Premessa a tutto questo è che ogni proposta sia fonte di gioia e di interesse.
L’esperienza dei gruppi di sposi rende concreta e praticabile questa prospettiva.
3b) Si è riusciti a proporre stili di preghiera in famiglia che riescano a resistere alla complessità della vita e
della cultura attuale?
In una società così frenetica, riversata sul fare, all’interno della quale il valore del tempo è in funzione del tasso di
produttività e i ritmi familiari sono scanditi dai molteplici impegni personali, di coppia, per l’educazione dei figli,
per le relazioni esterne parentali, il pregare in famiglia diventa veramente un esercizio di maturità cristiana nella
scelta prioritaria fra tante attività e uno spazio di fede da ritagliare con perseveranza all’interno della quotidianità.
Oggi, più che mai, gli sposi cristiani sono chiamati, nello spirito del Concilio, a vivere la loro vocazione
secondo Dio e a trasformare la loro stessa esperienza in servizio a Dio: tutta la vita dei laici “le loro opere, le
preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero … se sono compiute nello
Spirito, …. diventano spirituale sacrificio gradito a Dio” (LG, 34). Ci pare che questo passo conciliare fondi lo
specifico stile di preghiera e di vita della famiglia cristiana che si trova però a fare i conti con la cultura
contemporanea che crea difficoltà esterne ed interne alla famiglia stessa, unitamente ad una sorta di clericalizzazione della preghiera familiare alla quale la maggior parte delle famiglie si è assuefatta. Alle prese con le dure
istanze della vita quotidiana, la conciliazione fra vita domestica e vita di preghiera diventa ardua da realizzare.
Per attuare la difficile, ma esaltante lezione conciliare sulla spiritualità coniugale come spiritualità
autenticamente laicale, da diversi anni presso il Centro della Famiglia ha preso avvio una proposta di spiritualità
familiare che ricupera l’esperienza straordinaria di Gesù a Cafarnao ospite presso la casa di Pietro (Marangon,
2005), dove egli ha condiviso i gesti e le relazioni della vita quotidiana, ha guarito gli ammalati, ha benedetto i
bambini, ha incontrato le persone più varie, partecipando gioie, fatiche e difficoltà di quella famiglia, sedendosi a
tavola e trovando un ambiente di riposo. A quella casa e a quell’ambiente, che sono stati per circa due anni una
grande esperienza di relazione con tutti e per più generazioni, le coppie di sposi sono invitate a rivolgere lo sguardo
attingendo lo stile e la forza per coltivare e far crescere e vivere con gioia le relazioni quotidiane, per affrontare le
sfide poste dalla società, per guardare con fiducia al futuro e ad una dimensione più piena della vita.
Nella lettura e interpretazione in chiave coniugale e familiare della Parola di Dio, nella condivisione
dell’Eucaristia, nel confronto fraterno, nell’apertura agli altri, nella comune preghiera attraverso forme non statiche,
improntate alla laicità e fondate sull’integrazione con la concretezza della vita, abbiamo verificato che è possibile
realizzare l’abitudine alla riflessione, alla contemplazione, al silenzio e alla ricerca di relazioni significative in
modo che il vivere quotidiano abbia il gusto e il respiro della fede rappresentando veramente la struttura portante
della preghiera familiare. Ci è utile il sussidio “Anima mia benedici il Signore”, preparato dall’Ufficio Famiglia
della CEI, 2001.
Fattori culturali, pigrizia delle famiglie, scarsa consapevolezza negli sposi della propria vocazione, omelie
delle messe domenicali spesso avulse dalla realtà, il fatto che ancora oggi il centro della vita di preghiera siano i
luoghi di culto e non la casa, rendono l’esperienza sopra descritta una realtà di nicchia e la strada da percorrere è
ancora lunga.
3f) Quale attenzione pastorale la Chiesa ha mostrato per sostenere il cammino delle coppie in formazione e
delle coppie in crisi?
L’attività del Centro della Famiglia, in quanto istituto di cultura e di pastorale, diventa da una parte osservatorio – a
livello qualitativo più che quantitativo – delle esigenze delle persone che chiedono formazione o interventi di cura e
dall’altra ambiente di sperimentazione di modalità per una più efficace formazione e/o interventi di cura.
C’è un forte bisogno di formazione nelle coppie che può essere intercettato se si riesce a mettersi in
sintonia nel tempo giusto e nel modo giusto, superando le difficoltà: quella maggiore sta purtroppo nella posizione
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di isolamento delle coppie che ne hanno più bisogno. I tempi più opportuni sono quelli che rispondono al passaggio
da una tappa all’altra del ciclo di vita di coppia e quelli corrispondenti a eventi traumatici non prevedibili. La
modalità più efficace risponde alle esigenze di accoglienza e di accompagnamento di cui si è già detto, facendo
leva sulle risorse soprattutto relazionali delle coppie. La presenza di operatori pastorali adeguatamente formati può
permettere di offrire alle coppie, con disagi relazionali di varia natura, degli stimoli concreti, efficaci e allo stesso
tempo rispettosi ed accoglienti, esenti da atteggiamenti di giudizio.
Quanto alle coppie in crisi, il limite principale di ogni modalità di cura sta nella richiesta di aiuto espressa
quando la crisi ha già portato le persone a scelte spesso irreversibili, per cui non rimane altra via di uscita che
prenderne atto e accompagnarle nella elaborazione del vissuto di sofferenza. Ci sono anche coppie che giungono ad
una richiesta di aiuto quando si sentono disorientate e/o impotenti di fronte a cambiamenti evolutivi sconvolgenti
dell’uno o dell’altro partner. In tali situazioni diventa fondamentale stabilire un rapporto di fiducia ed una
connessione con un messaggio evangelico salvifico che riporti alla “normalità” alcuni scossoni e permetta alle
persone una ricerca guidata verso la riscoperta e, a volte, la scoperta delle proprie risorse. Ciò permette di andare
oltre la crisi e affrontare il periodo critico senza necessariamente scivolare verso la rottura definitiva della
relazione, guadagnando piuttosto una ripartenza.
Si avverte pertanto la necessità di collegare modalità di formazione e di prevenzione primaria alle offerte di
cura; in questa prospettiva la collaborazione tra gli operatori pastorali ed i professionisti che operano in differenti
ambiti e con diverse competenze sarebbe quanto mai auspicabile e necessaria. Si sono fatti dei passi significativi in
questa direzione, come possiamo testimoniare nel lavoro quotidiano svolto al Centro della Famiglia, ma il percorso
è ancora lungo.
4 - Sulla pastorale per far fronte ad alcune situazioni matrimoniali difficili
4c) I separati e i divorziati risposati sono una realtà pastorale rilevante nella Chiesa particolare? In quale
percentuale si potrebbe stimare numericamente? Come si fa fronte a questa realtà attraverso programmi
pastorali adatti?
4d) In tutti questi casi: come vivono i battezzati la loro irregolarità? Ne sono consapevoli? Manifestano
semplicemente indifferenza? Si sentono emarginati e vivono con sofferenza l’impossibilità di ricevere i
sacramenti?
4e) Quali sono le richieste che le persone divorziate e risposate rivolgono alla Chiesa a proposito dei
sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione? Tra le persone che si trovano in queste situazioni, quante
chiedono questi sacramenti?
Qualche decennio fa le richieste dei sacramenti erano più numerose e pressanti, ora l’atteggiamento prevalente
delle persone in tali situazioni si muove tra la sofferenza silenziosa e l’indifferenza. È vero che c’è stato un
cambiamento positivo di atteggiamento da parte del magistero a livello nazionale; uno dei segni più significativi e
lodevoli è la lettera di mons. Tettamanzi agli sposi in situazione di separazione, divorzio e nuova unione
(Tettamanzi, 2008). A livello di comunità parrocchiali la prassi pastorale è però più incerta e talora maldestra, con
atteggiamenti contrastanti anche tra i sacerdoti. È un problema decisamente aperto.
In quest’ottica, però, ancora una volta, il collegamento e la collaborazione tra operatori pastorali e
professionisti attenti a questa realtà può costituire una fattiva possibilità di intervento nelle situazioni critiche e di
sofferenza che le coppie presentano. Se la capacità di accoglienza degli operatori pastorali offre un sostegno di
vicinanza in grado di dare anche delle valide indicazioni per affrontare i problemi insiti in dinamiche relazionali
spesso disfunzionali, ciò può sfociare in una richiesta di aiuto da parte di professionisti competenti. A questo punto
la collaborazione tra operatori e professionisti può diventare ancora una volta uno strumento prezioso di aiuto
concreto e di sensibilizzazione verso la conversione.
Si evidenzia a questo proposito la criticità di molte situazioni di coppie in difficoltà, per le quali esiste
spesso una spaccatura tra chi matura una richiesta di aiuto ad operatori pastorali, spesso sacerdoti, e chi invece la
rivolge ad operatori specializzati (psicoterapeuti, consulenti, mediatori, ecc.). Il rivolgersi a figure in ambito
ecclesiale indirizza le coppie verso una visione del loro rapporto come legata al seppur importante valore del
sacramento del matrimonio, privilegiandone però il carattere di dovere e di sacrificio rispetto ad una scelta
compiuta in tempi e situazioni molto diverse dal momento presente, ascrivendo la sofferenza di molte difficoltà ad
un ostacolo risolvibile con la dedizione, il sacrificio e la preghiera.
D’altra parte, il rivolgersi a “specialisti della relazione” rischia di avviare percorsi che non sempre
affiancano alla ricerca del benessere individuale la comprensione dei motivi delle criticità sorte e del valore della
relazione di coppia nella sua interezza, portando spesso le persone a concludere la loro relazione perché la
riscoprono senza vie d’uscita e con un futuro di mortificazione dei propri desideri ed attitudini.
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Ancora una volta la collaborazione tra operatori pastorali sensibili, formati, in coerenza con il proprio ruolo
e professionisti attenti all’annuncio, può essere di vero aiuto alle situazioni matrimoniali difficili. Questo connubio
permetterebbe alle persone in ricerca e maggiormente sensibili dal punto di vista religioso e spirituale di non
considerarsi sbagliati e invece abbracciati dalla comunità di appartenenza, con proposte anche di aiuto concreto, e
alle persone lontane dalla chiesa l’opportunità di avvicinarsi senza, o con minori, pregiudizi. E’ un auspicio più che
una realtà in atto.
Tra gli operatori pastorali, preti e laici, più attenti alle situazioni delle persone divorziate e risposate e che
attualmente vivono una realtà familiare consolidata, appare urgente e non differibile la opportunità di sperimentare
percorsi pastorali di riconciliazione con un accompagnamento di un sacerdote/una coppia, da ben elaborare,
sperimentare e verificare, sulla scia, per esempio, della prassi millenaria delle Chiese Ortodosse. C’è la convinzione
che sia possibile suscitare in queste persone la motivazione per un cammino di ritorno (o di scoperta) nella
comunità cristiana. Le occasioni per un ripristino del rapporto ancora ci sono: il battesimo del figlio, il funerale di
qualche parente, le situazioni di emergenza…. Talvolta, senza cadere nella superficialità, possiamo constatare che
l’esperienza dolorosa di fallimento del primo matrimonio può rendere le persone più sagge, più attente alle
esigenze di intimità relazionale, probabilmente anche più disponibili all’annuncio del Vangelo.
Nella comunità cristiana ci sono almeno altre due situazioni di sofferenza che domandano una rinnovata
capacità di accoglienza:
(a) le coppie con unioni di fatto. Al di là del numero (è difficile avere delle statistiche affidabili e la situazione è in
evoluzione), le comunità cristiane sono chiamate a vivere lo spirito missionario che le dovrebbe caratterizzare e che
si esprime in un grande atteggiamento di accoglienza. Ci sono momenti di “vita familiare” che portano queste
persone/coppie ad avere contatti con le comunità cristiane, occasioni preziose che non dovrebbero essere lasciate
cadere perché possono rappresentare “il Signore che bussa alla porta”!
(b) le coppie sposate civilmente che chiedono i sacramenti della iniziazione cristiana dei figli. Nel nostro contesto
non sono poche. Sappiamo che in alcuni comuni della nostra regione, il numero dei matrimoni civili ha superato
ormai quelli religiosi. Ovviamente possiamo fare molti distinguo; in ogni modo questa condizione merita oggi e nei
prossimi anni attenzione e accoglienza. Si può intavolare un dialogo di accoglienza se le comunità cristiane
(attraverso laici, religiosi e preti sensibili e preparati) sanno offrire accompagnamenti rispondenti ai bisogni e sono
capaci di attrarre l’attenzione e l’interesse di queste persone/coppie sia sul piano dei contenuti, sia sul piano del
metodo.
5 - Sulle unioni di persone della stesso sesso
5c) Quale attenzione pastorale è possibile avere nei confronti delle persone che hanno scelto di vivere
secondo questo tipo di unioni?
5d) Nel caso di unioni di persone dello stesso sesso che abbiano adottato bambini come comportarsi
pastoralmente in vista della trasmissione della fede?
L’esperienza che abbiamo nei servizi di cura del Centro della Famiglia riguarda il disagio dei genitori quando si
accorgono delle tendenze omosessuali dei figli, con la opportunità di accogliere il loro carico di smarrimento e di
sofferenza per aiutarli nel riconoscere, accettare e rispettare l’orientamento del figlio se consolidato.
Abbiamo consapevolezza delle molteplici discriminazioni messe in atto nella società verso queste persone
e in ogni situazione educativa cerchiamo di sottolineare il dovere di rispetto e di accoglienza. Siamo anche
consapevoli delle capacità originali, creative e di sensibilità umana delle persone con questo orientamento che
devono essere riconosciute e promosse.
Ci sentiamo impreparati nell’accostare coppie di omosessuali sul piano della formazione cristiana loro e di
eventuali figli adottati/in affido. Ci rendiamo conto che l’evoluzione culturale su questo terreno è troppo veloce per
un accostamento sereno e positivo. I contrasti sul terreno ideologico e politico in Italia non fanno che aumentare lo
smarrimento.
7 - Sull’apertura degli sposi alla vita
7a) Qual è la reale conoscenza che i cristiani hanno della dottrina della Humanae vitae sulla paternità
responsabile? Quale coscienza si ha della valutazione morale dei differenti metodi di regolazione delle
nascite? Quali approfondimenti potrebbero essere suggeriti in materia dal punto di vista pastorale?
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La promulgazione dell’Humanae vitae (1968) e quella della Familiaris Consortio (1981) avevano suscitato una
grande attenzione nelle diocesi della regione triveneta, accompagnata anche da una vivace discussione sulle
indicazione dei due documenti della commissione preparatoria, con posizioni talora piuttosto contrastanti. Tra le
due opzioni, era senza dubbio preferito il documento della maggioranza da parte dei cristiani più impegnati su
questo fronte.
Nella diocesi di Treviso la diffusione maggiore della dottrina sulla paternità responsabile si è avuta in
occasione di due convegni negli anni 1981 e 1982 che hanno visto la partecipazione di qualche migliaio di preti,
religiosi e laici e che hanno portato alla stesura delle linee operative di pastorale familiare anche riguardanti la
paternità responsabile. Nei decenni successivi l’interesse si è via via affievolito anche per l’avanzare dello tsunami
delle trasformazioni sociali e culturali che hanno inciso profondamente sulla relazione coniugale e sulla vita delle
famiglie: la caduta della natalità, la regolazione dell’interruzione della gravidanza, le convivenze, i diritti
rivendicati per le convivenze gay, il sostegno sempre più assente da parte della società con la crisi del welfare state.
In una società culturalmente pluralista, la tematica dovrebbe avere ancora una sua pregnanza impegnando in primo
luogo le comunità cristiane chiamate alla prima evangelizzazione.
L’interesse per la scelta dei metodi di regolazione naturale della fertilità (RNF) rimane oggi coltivato da
una nicchia di persone, più laici che sacerdoti. In linea generale, non è percepita la differenza morale tra vari
metodi. Anche le coppie, che applicano la RNF nei periodi di continenza, usano spesso la contraccezione e quindi
non vivono compiutamente l’esperienza totale del metodo.
La presentazione di RNF è argomento nella preparazione al matrimonio cristiano (non sempre) ma, in
genere, con poca attenzione per una metodologia didattica efficace, mentre è evidente che la scelta di RNF riesce a
decollare soltanto quando viene proposta come percorso formativo in modo personalizzato e non limitata alla sola
informazione. Dal punto di vista educativo, è chiarificante la riflessione di Dianin (2005): “L’uso dei metodi
naturali chiede due condizioni basilari: la conoscenza e la motivazione. Bisogna anzitutto conoscerli e questo non è
possibile farlo solo leggendo un libro – possiamo aggiungere: una o due conferenze o testimonianze –, ma
imparando la loro applicazione nella propria situazione. Bisogna poi essere motivati; solo così si possono affrontare
le eventuali difficoltà che ci possono essere, dalla paura per la loro efficacia fino alla non sempre facile
applicazione pratica” (pp. 392-93). In buona sostanza, siamo convinti che la regolazione naturale della fertilità
(scevra da imposizioni rigide!) sia una grande risorsa per le coppie mature umanamente e spiritualmente.
Dal punto di vista pastorale, intravvediamo una migliore possibilità di accoglienza se la messa a fuoco
viene spostata dal fine procreativo a quello unitivo. Il Concilio ha riconosciuto pari valore ai due fini; crediamo che
pastoralmente debba essere messo in risalto il valore del fine unitivo che sostiene poi quello procreativo. D’altra
parte anche il pensiero di S. Tommaso pare su questa linea (S. Th., Supplementum Tertiae partis, 41, 1), anche se
nei secoli successivi è stato travisato. La Familiaris Consortio (n. 32) invita verso questa direzione con l’attenzione
alla relazione tra marito e moglie, all’autentica accoglienza dell’altro, alla piena affettività, all’arricchimento
reciproco, rifiutando l’idea che l’astensione possa essere subita. Le scienze umane hanno fatto un grande progresso
in questi anni (Cusinato, 2013) mettendo in risalto: a) le dinamiche che costruiscono l’intimità relazionale di coppia
che abbracciano e integrano sessualità, affettività e generatività; (b) la distinzione tra relazione di coppia ben
funzionante e quella poco o per nulla funzionante, là dove l’intimità relazionale è solo un miraggio o sporadica. La
ricerca empirica ha messo poi in evidenza che la percentuale delle coppie poco funzionanti è molto alta, anche tra
le coppie orientate religiosamente. Nella coppia motivata seriamente all’intimità relazionale (sempre e comunque è
una sfida da affrontare ogni giorno) l’applicazione della regolazione naturale della fertilità appare una risorsa che
merita attenzione e che apre nuovi orizzonti di maturazione umana e di spiritualità coniugale. Questa proposta
educativa è possibile perché sperimentata, ma domanda impegno serio e costante, flessibilità, accoglienza e
accompagnamento.
7b) È accettata tale dottrina morale? Quali sono gli aspetti più problematici che rendono difficoltosa
l’accettazione nella grande maggioranza delle coppie?
Nelle coppie in genere, più che un rifiuto consapevole, l’atteggiamento è di non considerazione della questione;
come accennato, le coppie non avvertono la problematicità perché vivono in un contesto culturale consolidato e
diffuso di mentalità e proposte contraccettive. Permane comunque in molti il pregiudizio che la Chiesa ha un’idea
negativa della sessualità umana.
Per i cristiani più preparati e riflessivi, la maggior difficoltà sta nell’accettare l’indicazione che “ogni atto
debba essere valutato in se stesso” al di là dell’opzione fondamentale della coppia per una fecondità generosa e
responsabile. È difficilmente compresa la distinzione tra “atto intrinsecamente cattivo” e “atto soggettivamente
cattivo”.
7c) Quali metodi naturali vengono promossi da parte delle Chiese particolari per aiutare i coniugi a mettere
in pratica la dottrina dell’Humanae vitae?
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Il Centro della Famiglia ha attivato un servizio di promozione della regolazione naturale della fertilità fin dal 1985
seguendo prima il metodo Billings (in collegamento con l’equipe del Policlinico Gemelli di Roma) e
successivamente il metodo sintotermico messo a punto dal dott. Rötzer con l’appoggio e la collaborazione di
INER-Italia con sede a Verona, dove le insegnanti si sono preparate. Da due anni è stata avviata a Treviso una sede
staccata di formazione biennale con una ventina di coppie partecipanti. L’evoluzione della tecnologia e della
ricerca sta innovando continuamente lo scenario e richiede continua attenzione e approfondimento. È in
preparazione un simposio aperto a professionisti (ginecologi, ostetriche e psicologi) e volontari (insegnanti RNF)
per fare il punto sulle varie tecniche sperimentate negli ultimi decenni a supporto di RNF, verificando affidabilità e
praticabilità.
8 - Sul rapporto tra la famiglia e persona
8a) Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione dell’uomo: la famiglia è un luogo privilegiato perché questo
avvenga?
Sì, la famiglia è un luogo privilegiato per poter cogliere la rivelazione di Gesù sul mistero e la vocazione
dell’uomo.
Lo è certamente per i coniugi, perché è vivendo l’integrazione tra la persona maschile e quella femminile,
la relazione di amore degli sposi, che essi realizzano la propria vocazione e sperimentano cosa possa essere il
mistero grande che unisce Cristo alla sua Sposa, la Chiesa. Lo è per i figli che possono godere dell’amore dei
genitori, possono vedersi proiettati nel futuro, sperimentare l’esperienza della fraternità, della condivisione, della
solidarietà tra fratelli. Lo è in generale per lo stile di vita di accoglienza, di promozione vicendevole, di rispetto dei
propri valori, di apertura al dialogo e all’ascolto reciproco, di condivisione e di perdono che dovrebbero
caratterizzare le famiglie e che i genitori possono offrire ai propri figli e a tutti coloro che entrano in relazione con
la famiglia.
Perché tutto ciò avvenga, è necessario che le famiglie credano in ciò che sono, siano veramente in cammino
per realizzare in autenticità tali relazioni privilegiate, riescano ad esprimere il loro potenziale di amore, riescano ad
affrontare e superare i continui cambiamenti che la vita chiede di gestire, anche quando non sono facili da accettare.
Se sposi e famiglie non sono riconosciute, sostenute ad essere vere comunità di amore, nella concretezza del loro
essere laici, con le mani immerse nella quotidianità e ordinarietà della vita, e non solo con la grazia dei sacramenti
e la preghiera, rischiano di non essere più luoghi privilegiati, ma uno dei tanti ambienti in cui la persona umana si
può trovare.
8b) Quali situazioni critiche della famiglia nel mondo odierno possono diventare un ostacolo all’incontro
della persona con Cristo?
Le situazioni critiche della famiglia sono le nuove situazioni elencate nel documento preparatorio, dove ancora non
c’è un’adeguata attenzione da parte dei pastori e delle comunità cristiane; ma anche le situazioni “ordinarie” delle
famiglie, in continuo e rapido cambiamento, essendo immerse nel mondo concreto sono spesso non riconosciute e
comprese.
Anche nella Chiesa purtroppo e in tante comunità parrocchiali ci sono segnali di non valorizzazione
dell’esperienza familiare, dove spesso viene dato per scontato l’amore tra i coniugi e la capacità di educare i figli
all’amore. Non è sufficiente vedere la famiglia come istituzione o come forma di organizzazione della vita delle
persone, ma bisogna essere convinti che l’amore di due sposi è veramente sacramento, una “scintilla” dell’amore
trinitario e come tale promuoverlo e sostenerlo tutti i giorni, come via privilegiata per l’evangelizzazione, per
l’incontro con Cristo.
8c) In quale misura le crisi di fede che le persone possono attraversare incidono nella vita familiare?
Tutte le crisi, non solo quelle di fede, incidono nella vita familiare. Ogni crisi esige un cambiamento che può
significare una crescita, un rinnovato slancio in avanti, ma può anche significare qualcosa di traumatico per la
persona portando a situazioni sociali instabili e pericolose.
Le crisi di fede dei coniugi cristiani incidono in modo particolare nella vita familiare, perché essa non è più
vista come una via a Dio indicata all’uomo già nella creazione e perché gli sposi in crisi di fede non riescono a
vedere il proprio amore come segno dell’amore di Cristo per la Chiesa e come segno dell’Amore Trinitario.
Ma ancor più la crisi di fede può incidere nella vita familiare se crisi di fede nella coppia, nell’amore dell’altro, nel
sacramento del matrimonio, nella chiamata di Dio agli sposi per un percorso di vita dentro la loro coppia e
famiglia, cioè una fede vissuta insieme, partecipata, condivisa.
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Dicevamo però una crisi è anche un passaggio talvolta necessario per poter crescere, per raggiungere nuove
mete, per comprendere di più; allora può essere una fase salutare anche per la famiglia, purché sia gestito come
cambiamento e non come decadenza e perdita di senso. Il pericolo è di gestire in solitudine tali crisi, rinunciando a
viverla in famiglia e in comunità come tappa del cammino cristiano.
9 - Altre sfide e proposte
Ci sono altre sfide e proposte riguardo ai temi trattati in questo questionario, avvertite come urgenti o utili
da parte dei destinatari?
9e) Qual è l’apporto specifico che coppie e famiglie sono riuscite a dare in ordine alla diffusione di una
visione integrale della coppia e della famiglia cristiana credibile oggi?
L’azione fattiva dei coniugi cristiani nella comunità civile è di capitale importanza perché il Vangelo sia
testimoniato nella società di oggi; tuttavia anche quelli che fanno la scelta coraggiosa di impegnarsi attivamente e
fattivamente si trovano in situazioni paradossali non facilmente districabili e sostenibili. Da una parte la
elaborazione da diverso tempo di idee guida importanti come “famiglia soggetto politico” e “famiglia capitale
sociale” (Donati, 2012) permetterebbe di rinnovare la società in modo più umano e dignitoso, dall’altra la sordità di
chi detiene il potere amministrativo, politico ed economico frustra anche le più buone intenzioni di quanti osano
mettersi sinceramente in gioco. La prospettiva di un rapporto virtuoso tra famiglie e società appare spesso
un’utopia irraggiungibile.
In questa situazione, punto di appoggio positivo è rappresentato senza dubbio dalle associazioni familiari,
come lampada che brilla sulla città degli uomini, purché esse non si rinchiudano in obiettivi particolaristici sotto la
spinta dei loro bisogni a volte drammatici, ma che fanno perdere un cammino virtuoso di corresponsabilità e di
impegno per la società nel suo insieme.
Nonostante questo quadro poco confortante, appare determinante e da sostenere il coraggio dei coniugi
cristiani che sanno testimoniare la fedeltà, il perdono, la solidarietà e l’amore e si impegnano, nonostante tutto, a
intessere reti relazionali significative in un clima culturale che appare muoversi in tutt’altra direzione. Purtroppo,
anche per il complesso delle ragioni evidenziate, i coniugi che vogliono vivere la dimensione sociale del
sacramento ricevuto tendono ad indirizzare il loro impegno esclusivamente o verso la comunità ecclesiale o verso
la comunità civile e molto pochi riescono a maturare una visione equilibrata e integrata di apertura alla chiesa e al
mondo.
Riferimenti bibliografici
Bonetti, R. (a cura di) (2001). Anima mia benedici il Signore. Preghiera quotidiana in famiglia. Cinisello Balsamo
(Mi): San Paolo.
Cusinato, M. (2013). La competenza relazionale. Come e perché prendersi cura delle relazioni. Milano: Springer.
Della Zuanna, G. Un futuro senza figli. Neodemos, 11/12/2013. http://www.neodemos.it/index.php?file=onenews&form_id_notizia=756
Dianin, G. (2005). Matrimonio, sessualità, fecondità. Corso di morale familiare. Padova: Il Messaggero.
Donati, P. (2012). Family policy: A relational approach. Milano: FrancoAngeli.
Marangon, A. (2005). La fecondità dell’amore. Proposta biblica alle famiglie sul Dio dell’amore e della vita.
Treviso: Centro della Famiglia.
Olson, D. H. (1990). Prepare & Enrich. Counselor’s manual. Minneapolis MN: Prepare/Enrich.
Rötzer, J. (1995). La regolazione naturale della fertilità. Il metodo sintotermico di Rötzer. Verona: Editrice
Libreria Cortina.
Tettamanzi, D. (2008). Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito. Milano: Centro Ambrosiano.
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