Fantasmi di violenza genitoriale e crimini agiti dai figli
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Fantasmi di violenza genitoriale e crimini agiti dai figli
Caso clinico Fantasmi di violenza genitoriale e crimini agiti dai figli Ghost of parental violence and crimes committed by the sons DIANA GALLETTA*, FULVIO SORGE**, GIANCARLO DI PIETRO** *Dipartimento di Medicina Pubblica e della Sicurezza Sociale, Università Federico II, Napoli **Dipartimento di Neuroscienze e di Scienze del Comportamento, Università Federico II, Napoli RIASSUNTO. Viene descritta la storia di una coppia di coniugi che hanno subito in età infantile ripetuti traumi fisici e psichici nel loro contesto familiare. La situazione della coppia si sostiene per alcuni anni su un equilibrio precario con frequenti litigi e aggressioni fisiche e si conclude drammaticamente con un tentato omicidio. Viene ricostruito in un setting di ascolto psicoterapico a indirizzo psicoanalitico il quadro psicopatologico della donna, autrice dell’atto violento, e valorizzata l’importanza e l’impellenza pulsionale dei fantasmi transgenerazionali che l’hanno condotta a scegliere un partner complementare e collusivo, a sua volta vittima di violenze familiari, e trovarsi, compulsivamente, ad agire l’atto omicidale mancato tra i suoi genitori. Viene discusso il caso alla luce dell’ipotesi della trasmissione dei fantasmi transgenerazionali e della psicopatologia dell’impulso violento. PAROLE CHIAVE: violenze genitoriali, psicopatologia dell’impulso violento. SUMMARY. The story of a couple of spouses who, in infantile ages, have endured repeated psychical and physical trauma in their familiar context is described. The situation of the couple is kept for some years on an instable equilibrium with frequent fights and physical aggressions and concludes dramatically with a tried homicide. The psychopathological structure of the woman, author of the violent action, is reconstructed in a setting of psychotherapeutic listens with psychoanalytical address, and is valued the importance of the trans generational ghosts that have lead her to choose a complementary and collusive partner, victim himself of familiar violence, and to find herself, compulsively, to act the murderous action, lacked between her parents. The case is discussed in the light of the hypothesis of the transmission of the trans generational ghosts and the psychopathology of the violent impulse. KEY WORDS: parental violence, psychopathology of the violent impulse. Molti Autori descrivono alcuni aspetti della trasmissione tra genitori e figli mediante un’ereditarietà filo-psicogenetica di dimensioni psichiche prossime ai nuclei pulsionali arcaici e primari di memoria freudiana, potenze estremamente distruttive in cui manca qualsiasi mediazione fantasmatica. Questo concetto può forse tradurre la nozione di identità essenziale di Levy-Bruhl (1) o l’identificazione per incorporazione freudiana (2). Il non pensato, l’impensabile descritto da Abraham e Torok (3) come cripta dello psichico, rappresentato da Aulagnier (4) come pitto- gramma, da Lacan, come riportato da Kaes (5), come reale, non consente la neutralizzazione della pulsione di morte attraverso quell’apparato che permette di interpretare le reazioni degli altri (Einen Apparat Zu-deuten) descritto da Freud (6) e lascia una traccia letterale che veicola tutta la violenza della sessualità vissuta come trauma e l’orrore della castrazione. Il caso preso qui in esame rappresenta esemplarmente la potenza infera di questa lettera di morte, dove il crimine non realizzato dai genitori viene agito dalla figlia. E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2004, 39, 6 424 Fantasmi di violenza genitoriale e crimini agiti dai figli IL CASO Giuditta è la primogenita di quattro fratelli. Proveniente da una famiglia benestante della media borghesia, ha vissuto all’età di 10 anni con estremo disagio la separazione dei genitori. Riferisce “di non essersi mai adattata a questa situazione e di non averla mai accettata”, ma ricorda le interminabili litigate, le urla, gli oggetti scagliati contro il muro, il padre che si accaniva sul mobilio e la madre che provava a graffiarlo, a prenderlo a calci. Scene che duravano a lungo, anche dopo che erano terminate; immagini che affollavano la sua mente occupandone grandi spazi. Sentiva che in qualche modo avrebbe dovuto prendersi cura dei fratelli, ma era confusa, impaurita, pervasa da un senso di impotenza. La scuola sembrava essere un rifugio, un luogo ove riprendere fiato. Iniziava così un’immersione a tempo pieno, una dedizione completa allo studio, dalle superiori all’Università, fino al Master in Scienze Politiche a Bruxelles. Percorso costellato di successi, in cui vi era, anzi doveva esserci, poco spazio per se stessa e la sua vita privata. Nel collegio di Bruxelles aveva affrontato un’esperienza omosessuale che era durata qualche mese. Dalla narrazione traspariva tenerezza per quell’evento, un sorriso appena accennato sulla maschera dura del suo viso. La soluzione omosessuale, fantasma frequente nell’isteria, come negazione della differenza sessuale e castrazione del maschio, sembrerebbe non avere tenuto di fronte all’urgenza pulsionale. Il rientro in Italia fu segnato dall’incontro con Hans. Figlio di genitori stranieri, emigrato in Italia per sottrarsi ai tormentosi fantasmi del suo passato, egli, infatti, era stato abusato dall’età di quattro anni per un lungo periodo da amici di famiglia cui i genitori lo affidavano nelle loro lunghe assenze. Hans, appena era stato possibile, aveva cercato lavoro e fortuna all’estero. Giuditta parlava di un’attrazione fisica nei confronti di Hans e di un fascino legato alla sua passione per la musica e al suo modo di vestire. A questi aspetti si contrapponeva la sua abilità a sottrarsi alle responsabilità scaricandole addosso i problemi quotidiani, quelli delle piccole decisioni che richiedono impegno diurno e che, una volta risolti, passano inosservati, come se non fossero mai esistiti. Arriva il matrimonio dopo alterne vicende di una convivenza discontinua, in cui si avvicendano momenti di coinvolgimento drammatico e fasi di separazione anche piuttosto lunghe e tormentate. Un matrimonio che dura quasi tre anni, durante il quale, a dire di Giuditta, i rapporti sessuali non sono mai completi: “Mi sentivo eccitata dalla sua voce, amavo il suo corpo statuario.” Ma la contemplazione narcisistica non esitava mai in un rapporto completo e soddisfacente, l’incontro si concludeva spesso con un senso di frustrazione, di impotenza, di rabbia, con accuse reciproche e silenzi interminabili cui nessun presidio psicologico, farmacologico, era riuscito a mettere riparo. La fantasmatica della coppia metteva poi in scena discussioni, litigi, accuse, tormentose autoanalisi e vissuti di colpa ove mai trovava luogo una dimensione di tenerezza, di accoglimento, generativa della possibilità di un’intesa, ma i loro corpi tanto desiderati quanto inaccessibili si contorcevano in parossismi di una sessualità mai reciproca, pornograficamente esibita e quindi etimologicamente oscena, fuori scena essendo negata la possibilità di una mediazione immaginaria degli affetti. Era un sabato pomeriggio, i due sistemavano le cose acquistate insieme al supermercato; lei con precisione quasi ossessiva ripassava, laddove lui aveva tentato di mettere ordine. Un’atmosfera di quiete, una sensazione di sospensione del giudizio, un silenzio inusuale accompagnava gesti consueti. La scena si svolge in cucina, luogo di preparazione e condivisione del cibo, di nutrimento, di confidenza e di intimità metaforiche. Questa volta Giuditta non ricorda il motivo del litigio, che inizia lentamente, crescendo progressivamente, nutrendosi anche degli oggetti presenti in quegli spazi. Hans l’afferra per il capo e la mette con le spalle al muro. Inizia a battere con violenza lei contro il muro. Lei urla, ma è come se non avesse voce; lui continua a ripetere che è stanco mentre la tiene al muro. La credenza è lì vicino, il ceppo regalato dagli amici è a portata di mano. Giuditta estrae un coltello, solo per minacciare Hans, per farlo fermare, ma Hans continua, quasi come se volesse essere colpito. Dopo qualche minuto di trance i due si accorgono di essere coperti di sangue, i loro occhi s’incontrano, poi scivolano sul coltello che sporge dal ventre di Hans. La sospensione delle coscienze, la violenza, l’atto. Hans sopravvivrà ad un delicato intervento chirurgico, Giuditta è ancora sotto processo per le conseguenze dell’accaduto. Proprio in ragione di quel momento di reale, l’insopportabilità del gesto produce la separazione della coppia. CONCLUSIONI Il coltello ricorda quanto Bion (7) dice degli oggetti psichici trasformabili, accessibili alle forstellung representanz (rappresentazioni di parola). Si tratta di un oggetto bruto, incistato, incorporato, inerte, che tra i due corpi rappresenta la materialità di un destino mortifero, di un narcisismo di morte fuori senso. Non dell’uno né dell’altro, ma capace, nel registro del negativo, del difetto di metabolizzazione psichica (default), di segnalare l’impossibile della rappresentazione, del gioco, del fantasma, il piacere ed il lavoro del pensiero. Nella relazione amorosa vi è un’attività fantasmatica vicina al vissuto intrauterino e alla seduzione, mentre la successiva fase di attenuazione di questa illusione lascerà ritornare gli affetti persecutori e frustranti e, più tardi, la tenera rinuncia al seno (posi- Rivista di psichiatria, 2004, 39, 6 425 Galletta D, et al. zione depressiva) e il fantasma di castrazione. Pertanto, nelle coppie più regressive, si descrive un’oscillazione tra il fantasma di vita intrauterina ed i fantasmi oggettualizzati del seno; mentre, nelle coppie genitalizzate si descrive un’oscillazione tra il fantasma di seduzione (impegno amoroso) e il fantasma di castrazione (8). La coppia in esame è legata alla prima attività fantasmatica. Ai genitori di Giuditta è stata consentita la triangolazione con i figli e, in particolare, la maggiore si è fatta carico di sopportare l’identificazione all’odio genitoriale che è stato evacuato in lei secondo un’appropriazione del suo spazio psichico e una incorporazione dell’oggetto cattivo. Tale processo ha solidificato il disimpasto pulsionale e favorito la cristallizzazione di un nucleo narcisistico mortifero, solidale con la storia possibile della violenza tra i genitori, in cui non c’è mediazione alcuna per una sessualità veicolata e resa sopportabile dalla tenerezza e dall’amore; ma l’incontro tra le menti, tra i sé si realizza e si reifica in una fusionalità effrattiva, sadica, ove non c’è posto per la sopravvivenza all’angoscia di morte. Il concetto del fantasma transgenerazionale, trasmesso inconsciamente tra le generazioni, permette di arricchire e complessizzare la visione tradizionale dell’influenza dell’ambiente familiare sulla formazione della personalità dei figli. Freud parla di una fantasmatica inconscia originaria che rappresenta strutture fantasmatiche tipiche (vita intrauterina, castrazione, seduzione) quali nuclei organizzatoti primari della vita psichica individuale, quali che siano le esperienze dei soggetti, patrimonio degli uomini forse trasmesso filogeneticamente. Tra essi avrebbe particolare rilievo la Urszene, la scena del coito parentale, che ogni bambino, organizzando il proprio scenario fantasmatico come montag- gio inconscio della propria soggettività e delle proprie relazioni d’oggetto, manipola in ragione di quelle suggestioni immaginarie che ha colto come il bruciante segreto intorno a cui ruota la relazione della coppia parentale. Altrove egli parla anche di una forma primaria di identificazione del bambino ai genitori per incorporazione di aspetti genitoriali fortemente carichi di affettività sadomasochistiche. Questa identificazione con l’aggressore sarà poi articolata in un fantasma perverso che il soggetto si troverà coattivamente a mettere in scena. La collusione della coppia sulla dimensione della violenza, la presenza in entrambi i coniugi di dimensioni dello psichico grezze, tiranniche, pervasive produce quello spazio not my self del tentato omicidio, après-coup della violenza genitoriale. I genitori interni hanno assoggettato per sempre il loro figlio alla propria storia di angoscia e di morte. BIBLIOGRAFIA 1. Levy-Bruhl L: Les fonctions mentales dans les sociétés inférieures. Alcan, Paris, 1910. 2. Freud S: Totem e Tabù. Boringhieri, Torino, 1980, vol. VII. 3. Abraham N, Torok M: L’écorce et le noyau. Flammarion, Paris, 1987. 4. Aulagnier P: La violence de l’interprétation. Du pictogramme à l’énoncé. PUF, Paris, 1975. 5. Kaes R, Faimberg H, Enriquez M, Baranes JJ: Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Borla, Roma, 1995. 6. Freud S: Pulsioni ed i loro destini. Boringhieri, Torino, 1980, vol. VIII. 7. Bion WR: Transformations. Passage de l’apprentissage à la croissance. PUF, Paris, 1982. 8. Eiguer A: Un divano per la famiglia. Borla, Roma, 1982. Rivista di psichiatria, 2004, 39, 6 426