Il cielo è sempre più blu Un aquilone rosso

Transcript

Il cielo è sempre più blu Un aquilone rosso
Il cielo è sempre più blu Un aquilone rosso palpitante in un cielo azzurro intenso. Cielo di Sri Lanka. Ancorato all’ aquilone ci sono io, Lahiru, esile bambino, due occhi immensi e voraci che seguono il suo volo, il sorriso incerto e l’ inquietudine di chi non può perdersi niente. Solo quello mi fa andare oltre il filo spinato che racchiude il piccolo giardino dell’istituto e la mia piccola vita, mi fa sognare la speranza di poter un giorno, anche io, come gli altri, ricevere affetto da una famiglia che non ho mai avuto. “ Perché sono stato abbandonato?” urlo ad un cielo muto. Trafitto da un ramo, squarciato dal vento, l’ aquilone si contorce, il filo si aggroviglia, ma le mie mani esperte lo riportano in alto, sempre più su. Sono abile nel mio unico gioco. Sorrido: ogni volta riesco a risolvere i problemi da solo. Guardo il cielo e penso che ci sono immagini che resteranno intrappolate dentro per sempre, scene di vita che non sbiadiranno, dolori che il tempo non riuscirà a lenire. Io non ho una mamma che mi risolleva quando cado, che mi chiede: “Ti sei fatto male?”, che mi rassicura quando ho paura del buio, degli animali, della solitudine, del temporale, che mi tiene stretto abbracciato al suo morbido seno. L’ ho soltanto immaginato quando, nell’istituto, alcuni dei trenta miei compagni, i più fortunati, ricevono, una volta al mese, la visita delle loro mamme. Giovani donne scalze, con lunghi e lisci capelli neri, che per senso di pudore, imbarazzo, si nascondono dietro qualche angolo appartato e per tutta la durata del colloquio abbracciano i loro figli e piangono. C’è la disperazione nel volto di una mamma che, per povertà, è costretta a lasciare i propri figli. Io, a testa bassa, di nascosto, con gli occhi affamati, guardo di sottecchi per sottrarre una briciola di carezza dispensata a loro, assaporarla, farla rotolare sulla mia guancia solo per qualche attimo inclinando la testa. Poi un giorno, quasi come nelle fiabe … è accaduto proprio a me. Stremati dalla fatica fisica ed emotiva di un lungo viaggio, provenienti dall’ Italia, un uomo e una donna suonano il campanello del cancello dell’istituto. Sono qui per me. Sono venuti a prendermi. Mi porteranno a casa. La speranza non muore e l’amore esiste. Ho abbracciato forte il mio amico Samire come se volessi lasciargli una parte di me e l’ ho guardato dritto negli occhi. Mi ha detto: “Vai lahiru, tu sei fortunato e avrai una possibilità. Ti voglio bene”. Io sono andato. Con uno zainetto pieno di imbarazzo, sofferenza, inquietudine, impotenza, penosi ricordi e, soprattutto, paura. Non avevo mai visto un aereo, non sapevo dove fosse l’Italia. Ma mi sono affidato, mi sono lanciato nel vuoto e, per fortuna, si è aperto il mio paracadute. Ora siamo una famiglia. Sono sempre affamato d’amore. “Mamma, mi vuoi bene?”, “Papà, mi vuoi bene?” chiedo ripetutamente: una sorta di mantra rassicurante, una personale colonna sonora che ha il potere di placare le mie ansie e di ottenere conferme. Sono in moto perpetuo. Canto, ballo, salto, corro. Quando i miei genitori mi chiedono: “Perché non stai mai fermo?”, io rispondo. “Perchè sono felice!”. Sono un usuraio degli affetti: richiedo un meritato risarcimento . Sono in credito ed esigo alti interessi di coccole, baci e abbracci e loro sono ben felici di ripagarmi con quella moneta. Ma ci sono perdite irrisarcibili. La mamma mi ha detto che ho riempito il silenzio assordante che regnava nella nostra casa con i miei gorgheggi di canzoni stonate, risate e giochi. Prima del mio arrivo la nostra casa era ordinata e vuota, adesso è disordinata, ma viva. Ora tutti e tre, insieme, coniughiamo i verbi al futuro, sotto il cielo, guardando gli aquiloni. Annamaria Cannalire