I primi della lista, di Roan Johnson Si arriva a

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I primi della lista, di Roan Johnson Si arriva a
I primi della lista, di Roan Johnson
Si arriva a questa sala in una sera fredda e serena di febbraio. Una sala che, se fossimo in altre parti d’Italia,
potremmo definire quasi “parrocchiale”: il cinema dell’oratorio. Ma si rischia di dire una bestemmia perché
siamo nel cuore rosso della Toscana, a Pontedera, dove c’è la Piaggio, dove nel 1986 Jerzy Grotowski (c’è
bisogno di dire chi è questo signore?) fonda a Pontedera il Workcenter che porta il suo nome, su invito del
Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale (oggi Fondazione Pontedera Teatro). Una Pontedera la
cui sensibilità culturale si misura anche dal fatto di aver ospite – nei locali non lontani dall’industria che l’ha
resa celebre nel mondo – una delle sedi (quella ingegneristica e robotica) di uno dei migliori centri di
eccellenza nazionali: la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna.
È un posto strano Pontedera, perché pur così vicino a città come Pisa – che hanno una storia antica da
portare sulle spalle – sembra essere piombata lì dal nulla, in mezzo alla piana che va verso Firenze, quasi
davvero fosse stata costruita attorno alla Piaggio di Corradino D’Ascanio, quel genio totale che, dopo la
guerra, avendo una serie di motori di uso aereonautico – perché la Piaggio fu inizialmente industria
aereonautica – che gli avanzavano, pensò di costruirgli attorno il telaio di uno scooter un po’ buffo e
panciuto che chiamò «Vespa». A decollare grazie a quei motori non furono più gli aerei, ma l’intera nazione
italiana nel poverissimo dopoguerra che la caratterizzò. Certo: poi arrivarono anche le 500 Fiat, ma solo per
chi già si poteva permettere un’auto. Il grado zero del movimento e dell’uso più promiscuo che possiate
immaginare (ho conosciuto persone anziane che mi hanno raccontato di interi traslochi fatti… a bordo
dell’aereonautica invenzione) era lei, la Vespa.
Ma non è questa la storia che voglio raccontare. Quanto quella di una specie di piccolo miracolo tutto
italiano: sì perché a dispetto del nome english, il regista ha una calata toscanissima non appena la platea si
zittisce per ascoltarne le parole. Lui è giovane, è (stato) sceneggiatore, ha scritto un libro per Einaudi e in
questo Paese di vecchi e per vecchi – per parafrasare invece i fratelli Coen – già questo rincuora e ben
dispone. Viene introdotto brevemente e brevemente chiude il suo intervento in favore del film, le cui
“pizze” nel frattempo vengono montate (e anche questo, scusate, suscita in me una certa commozione da
Nuovo Cinema Paradiso, dove l’intervallo tra primo e secondo tempo ha uno squisito senso tecnico: non
serve a far “riposare” lo spettatore, serve a dare il tempo di togliere la prima pizza in favore della seconda).
La storia è vera e anche questo ben dispone, in mezzo a mille storie false, a mille non-storie del cinema
moderno fatto di un sacco di pippe introspettive e di onanismo intellettuale.
È una storia “piccola”, di provincia, ma dal sapore universale e ambientata in uno dei periodi peggiori della
nostra storia contemporanea: gli anni della «strategia della tensione». In particolare si parla di quel 1970
che vide, in dicembre, il tentativo di Borghese di far davvero un colpo di stato. E proprio da questa paura
che si fa particolarmente palpabile in questi tre giovani in età da maturità (due di loro avranno gli esami
quell’anno), la cui suggestione viene alimentata con particolare efficacia da uno dei tre: Pino Masi, il leader
del gruppetto, la cui leadership verrà messa in discussione solo alla fine, quando capiranno che nessun
colpo di stato è avvenuto. E la storia ha inizio così, col fatto che i tre si devono incontrare per far le prove e
suonare poi insieme. Pisa è un posto “caldo”: sono già successi degli episodi gravi in tutta Italia – quello più
vicino ai protagonisti con le forze dell’ordine che colpiscono con un colpo d’arma da fuoco il sedicenne
Soriano Ceccanti, lasciandolo sulla sedia a rotelle il 31 dicembre del 1968 – e ci si aspetta che ancora molto
possa accadere. Così nasce il gigantesco equivoco su cui si basa il film. Le prove vengono interrotte perché a
casa del Masi arrivano due “informatori” che parlano di imminente colpo di stato. Loro saranno dunque i
primi della lista in quanto esponenti di Lotta Continua e della contestazione.
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La fuga rocambolesca viene alimentata dall’incontro con le forze armate che si dirigono verso Roma: ma i
ragazzi non pensano neppure per un attimo che siamo prossimi al 2 giugno, festa della Repubblica – a loro
è evidente invece che vengono convocate per il colpo di stato. Il film è davvero esilarante perché questa
loro paranoia non viene sconfessata fino all’ultimo, fino a quando forzeranno il posto di blocco sulla
frontiera tra Italia e Austria e, per questo, messi in carcere… in Austria.
Il film finisce con loro che imbracciano, salutati i militari austriaci che li accompagnano fuori dalla prigione,
le chitarre e gli strumenti che li hanno accompagnati muti per tutto il tempo e suonano una canzone (e che
canzone!) mentre la cinepresa passa da loro al cielo azzurro e velato delle montagne di Villach.
Nei titoli di coda c’è invece un bel passaggio del testimone tra gli attori che hanno interpretato le parti e i
tre Masi, Gismondi e Lulli veri, sessantenni che hanno di certo condotto vite alternative. Un bell’omaggio
alla loro piccola grande storia e a quella curiosa intuizione del Masi, che non si verificò subito ma ebbe un
suo riscontro solo qualche mese dopo.
Le luci si riaccendono e Roan si mette a disposizione della platea non prima di un applauso lunghissimo,
sentito e meritato. Ci racconta aneddoti del gustoso backstage del film che, grazie alla formidabile arma
dell’ironia, scalza uno dei tanti tabù della storia, con una commedia e con quella leggerezza nella quale si
riconosce un pizzico di genialità. Parte delle cose raccontate ieri a viva voce sono contenute anche
nell’intervista qui di seguito, nel foglietto di sala che, se non esistessero le fotocopie, sarebbe ciclostilato.
Un film che di sicuro consiglio.
Luciano Celi
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