VANDA.ORIGINAL - Senza di te il treno non parte

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VANDA.ORIGINAL - Senza di te il treno non parte
VANDA.ORIGINAL
Marco Voleri
Senza di te il treno non parte
© Marco Voleri
© 2016 VandA.ePublishing
Sede legale e redazione: Via Cenisio, 16 - 20154 Milano
ISBN: 978-88-6899-294-1
Prima edizione: dicembre 2016
Edizione stampa: eBookFarm
Grafica di copertina: Irene Carminati
www.vandaepublishing.com
Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
Questo romanzo è opera di fantasia. Ogni riferimento a persone o
fatti realmente accaduti è da ritenersi puramente casuale.
Senza di te il treno non parte
Ad Andrea
Molto può essere fatto con
quei piccoli pezzi e brandelli di
tempo che ogni giorno vengono prodotti, e che la maggior
parte degli uomini getta via.
Charles Caleb Colton
Prologo
Il tempo non esiste, è solo una dimensione dell’anima. Il passato non
esiste in quanto non è più, il futuro
non esiste in quanto deve ancora essere, e il presente è solo un istante
inesistente di separazione tra passato
e futuro.
Sant’Agostino
Driiiiiin. La sveglia sul comodino cominciò a suonare,
senza sosta. Francesco, svegliatosi da sogni inquieti, cercò
di spegnerla tenendo gli occhi serrati, poi tornò a rifugiarsi
con la testa sotto il cuscino, cercando dentro di sé la forza
di alzarsi. Niente da fare. Lo squillo assordante gli perforò i
timpani, entrandogli in testa come un ago.
«Ecco, ora è anche caduta sul tappetino scendiletto»
pensò rassegnato, «ma sfortunatamente non si è rotta, e
continua a suonare come se nulla fosse. Ok, mi alzo.»
Dalla tapparella rotta e mai riparata passava il solito,
dannato raggio di sole, che tagliava la stanza come un raggio ufo, che non veniva di certo a portare speranza. Odiava
dormire e svegliarsi con la luce del giorno, anche se poca. E
quella mattina, visto lo stato in cui versava, da pugile suonato prima del gong, accusava il colpo ancora di più.
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La sera avanti aveva festeggiato i suoi quarant’anni con
gli amici di sempre. Una cosa tranquilla, almeno in principio. Erano appena una ventina. Poi alle due Gabriele aveva
tirato fuori l’idea del Cuba Libre digestivo. Roba da ventenni, in effetti. Fatto sta che erano rimasti svegli fino all’alba i soliti cinque alcolizzati e la sua faccia sbattuta lo
raccontava ampiamente allo specchio.
«Altro che quarantenne, sembra che mi sia passato sopra
un tir» pensò sconsolato.
L’alcol gli ristagnava ancora nel sangue facendolo galleggiare in uno stato di dolorosa incoscienza che gli impediva di mettere a fuoco le cose. Si sentiva debole e passivo,
per non parlare del cerchio alla testa, una morsa impietosa
che non gli lasciava scampo.
Doccia calda e barba fresca alla schiuma mentolata: lo
aspettava una giornata particolarmente impegnativa e aveva
bisogno di tante energie, nonostante al momento non ne
avesse nessuna. Accese l’iPod e sparò Piazzolla al massimo
volume, l’unica cosa che forse avrebbe potuto scuoterlo.
Avete presente quelle mattine dove tutto, come per un
maleficio, va storto e non c’è verso di raddrizzarlo in nessuna maniera? Ecco, Francesco ne aveva appena vinta una.
Due telefonate deliranti, una terza con un gestore telefonico che voleva per forza fargli cambiare compagnia e non
sentiva ragioni, e lui in mutande a imprecare, a rivendicare
il suo diritto di farsi una doccia. E uscire di casa, magari.
Nel più breve tempo possibile.
Finalmente nudo, si guardò nello specchio del bagno.
Nonostante la notte brava, magro, i muscoli tesi dalle partite a calcetto, la barba leggermente incolta, e gli occhi verdi
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infossati dagli eccessi dell’alcol e dall’insonnia, faceva molto
pubblicità Dolce & Gabbana. Si piacque e si sorrise.
Ci sono momenti nella vita in cui tutto va talmente veloce che non sai più dove sei finito e perché. Ti chiedi se la
scelta che hai fatto quel giorno, che ha cambiato la tua vita,
fosse davvero quella giusta. Ti metti in standby e ti chiedi
se in quel frangente avresti dovuto avere più coraggio, o
semplicemente essere più incosciente. E a volte sembra
quasi che non ci sia alcuna differenza.
Ecco, Francesco era in uno di quei momenti. L’acqua
calda scorreva sul suo corpo nudo, scivolandogli sulla schiena glabra e caricandolo dell’energia necessaria per affrontare la lunga giornata. Nella cabina della doccia respirava aria
calda alla fragranza di pino silvestre e menta (una nuova
abbinata della sua marca che provava per la prima volta).
Piazzolla, con il suo tango malinconico e vigoroso, gli pulsava nelle vene con forza. Dietro gli occhi chiusi vide scorrere attimi di vita del passato, alcuni perfettamente chiari e
nitidi, i più cari da sempre, altri perlopiù vaghi e sfocati,
come incerti.
«Ecco fatto, è il caso di darsi una mossa» pensò. «È tardissimo, e devo ancora scegliere l’abito e farmi il nodo alla
cravatta, che non ho mai imparato a fare in maniera decente. Ma prima di tutto la barba, dov’è finito il rasoio?»
Gommino, il suo gatto arancione, aveva fame. E quando
il suo stomaco brontolava si faceva le unghie in qualsiasi
posto per segnalare disappunto e riprovazione, e siccome
quella mattina era particolarmente gentile, aveva scelto la
spalletta del divano in pelle per affilarsi gli artigli. Francesco, esausto e pieno di schiuma, col cellulare che squillava
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in un posto lontano e imprecisato, decise che era meglio
cercare subito i croccantini. Finiti. L’altra busta era nel bagagliaio dell’auto, ma nei tre minuti che avrebbe impiegato
per andare a prenderla, la bestia sarebbe stata capace di
sbrindellargli l’intero divano. C’era quindi un’unica soluzione.
Uscì in cortile in ciabatte e vestaglia scozzese molto bravo ragazzo, col gatto in braccio, la schiuma sul viso e due
occhiaie da far paura. La vicina lo guardò sprezzante – e
pensare che qualche anno prima voleva persino farlo uscire
con sua figlia.
«Ce l’ho fatta» si disse fiero, «finalmente posso radermi.»
Ma il ritardo a questo punto si era fatto pesante. «Tagliarsi
è normale, visto lo stato di catalessi e delirio in cui sono»
pensò rassegnato. Mentre si radeva il telefono continuava
indefesso a squillare chissà dove. Smise il cellulare e cominciò il fisso. Smise il fisso e cominciò Skype.
«Molto bene» si disse. La giornata iniziava male.
Ebbe una strana sensazione. Si sentì come osservato da
dietro le spalle e sì girò di scatto.
Niente.
«Starò mica impazzendo?» pensò turbato.
Continuò, aveva quasi finito. Il rasoio cominciava quasi
a non tagliare più, la lama era da cambiare.
«Ti pareva!»
Aprì l’armadietto e la bottiglia di profumo più grande
che aveva cadde proprio sul dorso del suo piede nudo. Ma
non si ruppe. «Che culo, eh?» Non riusciva a raddrizzare il
corso degli eventi.
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A un tratto vide un’ombra stagliarsi dietro di sé. Si girò
su se stesso, stavolta molto lentamente.
Un signore distinto sulla settantina, forse di più, ma in
ogni caso ben portati, in gessato grigio e cravatta magenta,
gli sorrise educatamente. Non molto alto, magro, elegante,
aveva occhi così chiari e limpidi che Francesco non riuscì a
fissarlo più di tanto. Capelli candidi, pettinati con la riga di
lato, occhialini tondi d’argento. Se fosse stato un famoso
attore di teatro non se ne sarebbe stupito. Emanava un fascino quasi ipnotico.
«Mi perdoni, continui pure, non volevo disturbarla.»
«Ma cosa… Lei chi è? Che ci fa in casa mia? Come ha
fatto a entrare? Chiamo subito la polizia, anzi, i carabinieri,
che mi sembrano molto più veloci.»
«Suvvia, si calmi. Cosa mai potrebbe farle un signore
della mia età? Guardi che i ladri entrano col passamontagna
nelle case, e spesso sono anche armati di tutto punto. Io
non ho armi né copricapi.»
«È vero, ieri sera ho bevuto parecchio, ma non ricordo
di aver fumato nulla. E questo chi diavolo è?» pensò Francesco. Non riusciva a capacitarsi di avere una simile visione,
non ne aveva mai avute in vita sua. Cos’era, un’allucinazione?
«Ok, signor…»
«Angelo» disse l’uomo, impassibile e compassato.
«Ok, signor Angelo. Io non so come abbia fatto a entrare, né cosa voglia. Ma è tardi, e la giornata per me oggi sarà
veramente lunga. Quella è la porta.»
«Aspetti. È vero, non sa chi sono né perché sono venuto.
È naturale che si allarmi.»
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«Ok, ho capito. È uno scherzo di quei quattro deficienti
dei miei amici. Ci conosciamo da quando siamo bambini e
non hanno mai smesso di fare i cretini. Sentiamo, sono
tutt’orecchi.»
«Le farò perdere poco tempo, vengo subito al dunque. Il
mio non è un compito facile né gradevole, comunque la
storia è molto semplice: è giunta la sua ora. Domani, purtroppo, lei avrà un incidente e morirà. Ma non se ne dispiaccia più di tanto, la morte giunge spesso imprevista ed è
un doloroso evento per quelli che ci sopravvivono più che
per noi, che ne restiamo in un certo senso estranei.»
«Ah ah ah! Di cazzate ne ho sentite tante, ma stavolta i
ragazzi si sono superati! Favolosi… Si faccia un po’ guardare. Beh, l’abbigliamento non è male devo dire. Alta classe.
Davvero notevole. E la falce dove l’ha lasciata, giù in auto?»
In effetti, pur in ritardo e nel casino generale, Francesco
stava cominciando a divertirsi parecchio. Quel signore, così
distinto e raffinato, era inspiegabilmente gradevole. E aveva
modi quasi familiari, pur essendo uno sconosciuto. Se non
fosse capitato nel bel mezzo di una mattinata veramente
caotica e frettolosa, forse Francesco ci avrebbe anche scambiato qualche parola in più. Peccato che quel giorno la cosa
fosse impossibile.
«E mi dica, quanto le hanno dato per questa scenetta?
Cento euro? Duecento? Sicuramente tutto questo è opera
di Matteo. Lui è la mente più malvagia tra di noi, fin da
quando eravamo piccoli.»
L’elegante signore lo guardava immobile, con il medesimo sorriso enigmatico stampato sulle labbra: «Lei non mi
ha capito evidentemente. Non mi hanno mandato qui i
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suoi amici. Non ci sono giochi o scherzi di mezzo. Però,
per sua fortuna, lei ha ancora due possibilità. Quindi può
scegliere.»
La tentazione di ridergli in faccia era forte, anzi, le risate
ebbero la meglio. Per una manciata di secondi. Poi Francesco si rifece serio. «Ho due possibilità, ha detto? Beh, sono
proprio fortunato.»
Angelo dosò le parole e disse lentamente: «Lei può scegliere, ma deve farlo subito, adesso. Sono qui per spiegarle
la faccenda. Può decidere di morire domani, non so esattamente quando, ma senz’altro prima di mezzanotte…»
«Oppure?» disse Francesco, seriamente preoccupato per
la perdita di tempo e il ritardo ormai irrecuperabile.
«Continuare a vivere per altri quarant’anni ma al contrario: non in avanti, all’indietro, nel passato.»
«Beh, non c’è che dire, ai miei beceri compagni la fantasia non è mancata» sentenziò Francesco nella sua mente.
Avevano visto forse troppe volte Amici miei, il film capolavoro del grande Mario Monicelli.
«Al contrario? Interessante. Certo, vivere altri quarant’anni mi sembra meglio. E sentiamo, che cosa vorrebbe
dire esattamente al contrario?»
«Vorrebbe dire che lei da domani vivrà ma tornerà indietro, fino al momento esatto in cui è stato concepito:
quarant’anni e nove mesi fa. Vivrà ogni cosa ma non potrà
cambiare niente di ciò che ha vissuto, le sarà dato solo di
percepirlo, a livello psicologico ed emotivo, in modo del
tutto diverso.»
Se volevano buttarla sull’ascetico o sul filosofico potevano anche dirlo prima. Non ci poteva credere.
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«Davvero interessante. Un ottimo spunto per un film di
fantascienza. Da sviluppare, come idea. Bene, carissimo, è
stato un piacere conoscerla.»
Francesco tese la mano ad Angelo amichevolmente e gli
dette una schietta pacca sulla spalla. Il profumo dell’uomo
aveva un che di familiare.
«Adesso devo proprio salutarla. Ah, s’intende che scelgo
la seconda possibilità» disse precedendolo in corridoio e
sorridendo tra sé e sé, «se non altro perché la prima è la
morte e, sa com’è, mi hanno sempre insegnato che da quella non c’è scampo.»
Alla porta si salutarono con una stretta di mano.
Rimase un po’ a riflettere su questo scherzo singolare e
sinistro. «Di solito tra di noi ne facevamo di ben più goliardici. Non si andava mai a sforare nello psicologico o nel
filosofico.» Più ci pensava, più gli pareva strano.
Barba finita, gatto sfamato. Pantaloni, camicia, nodo
cravatta, scarpe allacciate, giacca. Profumo Tom Ford, occhiali da sole. Finalmente pronto, uscì.
Quei pochi, paradossali minuti passati nel suo bagno, in
accappatoio, col rasoio in mano e un elegante signore sconosciuto, pensò che li avrebbe dimenticati in fretta.
Errore, grosso errore.
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