Abiti, semplificazione a metà

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Abiti, semplificazione a metà
AMBIENTE
Lunedì 12 Settembre 2016
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Nella legge antisprechi anche le norme per il trattamento dei rifiuti da abbigliamento
Abiti, semplificazione a metà
Operazioni di recupero alleggerite solo tecnicamente
DI
Pagina a cura
VINCENZO DRAGANI
D
al 14 settembre 2016
semplificazioni tecniche ma non burocratiche per riabilitare
direttamente a beni i capi di
abbigliamento usati che, non
rispettando a monte determinate condizioni, sono da sottoporre a preventivo trattamento in quanto rifiuti. Con
l’entrata in vigore della legge
166/2016 sulla limitazione
degli sprechi, acquistano infatti operatività anche le neo
disposizioni sulla «distribuzione di articoli e accessori
di abbigliamento usati a fini
di solidarietà sociale», regole
che alleggeriscono in alcuni
casi le operazioni da effettuare per recuperare quelli
costituenti rifiuti senza però
parallelamente mitigare il
regime autorizzatorio necessario per condurle.
Cessione abiti in disuso:
beni o rifiuti. A fianco delle
norme sulla redistribuzione
di eccedenze alimentari e
farmaci inutilizzati (si veda
articolo a pagina 13), la legge
19 agosto 2016, n. 166 (G.U.
30 agosto 2016 n. 202) introduce con il suo articolo 14
una disciplina sulla cessione
degli abiti in disuso da parte
dei privati.
La nuova disciplina si
muove su due fronti:
- da un lato, tracciando il
confine tra l’abbigliamento
che all’atto del trasferimento
può continuare a sottostare
alle regole dei veri e propri
beni e gli articoli che invece
devono essere sottoposti al
severo regime dei rifiuti;
- dall’altro, riformulando
alcune norme tecniche per
Legge 166/16, le norme sugli abiti usati
Devono essere gestiti
come rifiuti
Articoli ed accessori di abbigliamento usati:
• non ceduti a titolo gratuito da privati direttamente
presso sedi operative di «soggetti donatari» ex
articolo 2 della legge, oppure
• non ritenuti idonei a un successivo utilizzo
Operazioni minime
di recupero dei rifiuti
destinati a nuovi cicli
di consumo
Il deposito finalizzato al reimpiego (c.d. «messa in
riserva») deve essere preceduto da:
• «selezione» e
• solo ove si renda necessaria per ottenimento di
standard microbiologici, «igienizzazione»
il recupero di questi ultimi
abiti-rifiuto al fine del loro
successivo riutilizzo.
In relazione al confine beni/
rifiuti, dal combinato disposto dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della nuova legge
emerge che costituiscono
rifiuti gli articoli e gli accessori di abbigliamento usati
che hanno una delle seguenti caratteristiche: non sono
ceduti a titolo gratuito da
privati direttamente presso
le sedi operative dei «soggetti
donatari» (soggetti coincidenti, nel tenore dell’articolo 2
della legge, sostanzialmente
con le organizzazioni onlus);
«non sono ritenuti idonei ad
un successivo utilizzo» (evidentemente, laddove tale
utilizzo non sia possibile «tal
quale», ossia senza ricorrere
ad un preventivo trattamento).
Tali ultimi abiti, specifica infatti espressamente la
legge 166/2016 in coerenza con il quadro normativo
preesistente, «sono gestiti in
conformità alla normativa
sui rifi uti di cui al decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.
152».
Il recupero degli abiti costituenti rifiuto. La
nuova legge introduce alcune
semplificazioni tecniche sulle
operazioni minime di recupero cui devono essere sottoposti gli indumenti-rifiuto per
poter farli rientrare direttamente nel circuito dei beni
(invece di utilizzarli come
materie prime secondarie, cd.
«mps», nel settore tessile).
L’alleggerimento arriva con
una modifica dello storico dm
Ambiente 5 febbraio 1998,
laddove tra le due operazioni di trattamento finalizzate
a reimmettere direttamente
gli articoli tessili nel ciclo di
consumo quella dell’igienizzazione (che segue la selezione) diventa obbligatoria solo
ove si renda necessaria per
l’ottenimento degli standard
microbiologici previsti dallo
stesso regolamento.
Giuridicamente, la semplificazione arriva con la
riformulazione della lettera
a), punto 8.9.3 suballegato 1,
allegato 1, al dm Ambiente
5 febbraio 1998 (recante le
norme tecniche per il recupero di materia dai rifiuti
non pericolosi), incidendo nei
termini sopra esposti sulle
citate operazioni (da inquadrarsi come «R3», in base al
dlgs 152/2006) propedeutiche
all’ulteriore fase del deposito
degli abiti (la c.d. messa in riserva, «R13») finalizzato alla
loro diretta reimmissione nel
consumo.
Tale semplificazione tecnica, dalla legge 166/2016 finalizzata a «contribuire alla
sostenibilità economica delle attività di recupero», non
appare però essere sorretta
da parallelo alleggerimento
burocratico.
Il dm Ambiente 5 febbraio
1998 nasce infatti storicamente (sotto il dlgs 22/1997,
c.d. «decreto Ronchi», e in
continuità sotto l’attuale
dlgs 152/2006) per individuare i rifiuti non pericolosi
sottoponibili, nel rispetto di
determinate condizioni tecniche, a «procedure semplificate di recupero», ossia ad
operazioni condizionate alla
semplice comunicazione preventiva agli Enti territoriali
di competenza in luogo della
titolarità della più onerosa
autorizzazione regionale.
Di fatto la portata derogatoria del dm Ambiente 5 febbraio 1998 è stata però erosa
dalla successiva modifica al
provvedimento apportata dal
dlgs 186/2006, che ha di fatto
escluso dalla suddetta procedura semplificata i rifiuti
per il cui recupero non sono
dallo stesso dm individuati
parametri quantitativi da
rispettare. E nel pertinente
allegato 4 del dm 5 febbraio
1998 non trovano infatti attualmente collocazione proprio i parametri quantitativi
(massimi) relativi alle attività di recupero «R3» effettuate su indumenti-rifiuto da
reimmettere direttamente
nel ciclo di consumo. E questo a differenza delle analoghe operazioni effettuate su
abiti-rifiuto da reimpiegare,
invece come «mps» nell’industria del tessile.
Alla luce di ciò appare che
le citate attività di recupero mirate alla immediata
destinazione al consumo
degli abiti potranno essere sì, ricorrendone le condizioni, eseguite in forma
tecnicamente «abbreviata»
(ossia prescindendo, ove
non ritenuta necessaria,
con evidente assunzione di
responsabilità, dalla igienizzazione) ma non potranno
comunque essere condotte
in forma burocraticamente
semplificata tramite mera
comunicazione.
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