Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
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scheda tecnica
durata:
132 MINUTI
titolo originale:
CHE – PART TWO - GUERRILLA
nazionalità:
USA, FRANCIA, SPAGNA
anno:
2008
regia:
STEVEN SODERBERGH
soggetto:
ERNESTO CHE GUEVARA (MEMORIE)
sceneggiatura:
PETER BUTCHMAN
fotografia:
STEVEN SODERBERGH, PETER ANDREWS
montaggio:
PABLO ZUMARRAGA
scenografia:
ANTXON GOMEZ
costumi:
SABINE DAIGELER
musiche:
HANS ZIMMER
effetti:
KEVIN HANNIGAN, RAFA SOLORZANO
produzione:
LAURA BICKFORD E BENICIO DEL TORO PER LAURA BICKFORD
PRODUCTIONS, MORENA FILMS
interpreti: BENICIO DEL TORO (ERNESTO “CHE” GUEVARA DE LA SENA), DEMIAN BICHIR
(FIDEL CASTRO),
SANCHEZ),
SANTIAGO CABRERA (CAMILLO CIENFUEGOS), ELVIRA MINGUEZ (CELIA
JORGE PERUGORRIA (JOAQUIN), EDGARD RAMIREZ (CIRO RONDON),
VICTOR RASUK (ROGELIO ACEVEDO), ARMANDO RIESCO (BENIGNO), CATALINA
SANDINO MORENO (ALEIDA GUEVARA), RODRIGO SANTORO (RAUL CASTRO), UNAX
UGALDE (PICCOLO COWBOY), YUL VAZQUEZ (ALEJANDRO RAMIREZ).
la parola ai protagonisti
“Sono stato attratto dal Che come soggetto di un film (o due) non soltanto perché la sua vita stessa è un’avventura, ma perché mi affascinano le sfide pratiche legate alla realizzazione su vasta
scala di un’idea politica. Volevo sottolineare le doti fisiche e psicologiche necessarie per affronta-
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re due campagne come queste, e raccontare il processo attraverso il quale un uomo nato con
una volontà di ferro, scopre la sua capacità di ispirare e guidare gli altri.”
STEVEN SODERBERGH
Il contesto storico
Che – Guerriglia ritrova il Che all’apice della fama e del potere, dopo la rivoluzione cubana. Più
che un soldato è una figura di primo piano della scena internazionale. Ma all’improvviso sembra
come sparire nel nulla. Perché ha lasciato Cuba? Dov’è andato?
E’ ancora vivo? Il Che ricompare in incognito in Bolivia: è irriconoscibile, e agisce nella più assoluta clandestinità. Organizza un piccolo gruppo di compagni cubani e reclute boliviane destinati a
dare inizio alla grande rivoluzione latino-americana.
Quella della campagna boliviana del Che è una storia di tenacia, sacrificio e idealismo, è il racconto della sconfitta di una guerra di guerriglia che alla fine lo condurrà alla morte. Ripercorrendo
la sua storia, riusciamo a capire come il Che sia rimasto un simbolo dell’idealismo e dell’eroismo,
ancora vivo nei cuori della gente di tutto il mondo.
A PROPOSITO DEL FILM
Parlando di Che – L’Argentino e Che – Guerriglia, la produttrice Laura Bickford dichiara che Guerriglia ha le caratteristiche di un thriller, mentre L’Argentino è piuttosto un film d’azione con grandi
scene di battaglia.
“Questo è un progetto a cui Benicio, Laura e Steven lavorano da dieci anni”, spiega lo sceneggiatore Peter Buchman. “Benicio ha partecipato attivamente allo sviluppo della sceneggiatura fin dalle prime battute, e poiché inizialmente si era concentrato sulla parte boliviana della storia è stato
per me una preziosa fonte di informazioni.”
“Io non sono mai stato in Bolivia”, aggiunge Buchman, “quindi ho dovuto ricavare lo sfondo e tutte le informazioni possibili dai diari del Che, e da Benicio e Laura, che c’erano stati e avevano
raccolto interviste e testimonianze prima ancora che io fossi contattato. Ho letto fonti delle varie
parti coinvolte, tra cui alcuni documenti declassificati del Dipartimento di Stato americano sulla visita del Che a New York, e rapporti del periodo in cui si trovava in Bolivia. Dovevamo ricostruire
quello che sapevano gli Stati Uniti – e quando – delle attività del Che in Bolivia.”
“Abbiamo parlato con le persone più diverse, indipendentemente dalla loro appartenenza
politica”, dichiara la Bickford. “Abbiamo incontrato il capitano boliviano che ha catturato il Che, oltre ai tre cubani (Urbano, Benigno e Pombo) che lo hanno seguito in Bolivia e sono riusciti a fug-
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gire e a tornarsene a casa dopo la sua esecuzione. Urbano, che vive a Cuba, è venuto con noi in
Spagna in veste di consulente.”
Aggiunge Buchman: “C’erano già diversi gruppi di ribelli che agivano in molti paesi latino-americani. Il Che aveva deciso di andare in Bolivia, centro del continente, per istituire una organizzazione ‘a ombrello’, un luogo di addestramento per quei gruppi. Dovevano seguire un periodo di
addestramento di sei mesi, un anno, e poi decidere quando iniziare le ostilità. Non si aspettavano
di essere scoperti così presto.”
“Non è stato il Che a scegliere la Bolivia, ma Fidel”, spiega Jon Lee Anderson, l’autore della più
autorevole biografia di Guevara, oltre che l’uomo che ha ritrovato i resti del Che in Bolivia, e li ha
riportati a Cuba.
La teoria dei focolai - un gruppo di uomini che aprono un fronte di guerriglia, combattendo e conquistando zone di territorio liberato, e addestrano altri internazionalisti di paesi vicini – avrebbe
anche potuto funzionare, in Bolivia. Il fronte si sarebbe poi allargato al Perù, all’Argentina, al Cile
e al Brasile, e così via.
“Ma il gruppo della guerriglia peruviana, sostenuto dai cubani, era appena stato sconfitto; il focolaio argentino guidato da Jorge Masetti aveva fallito e i suoi membri erano stati estradati; e i venezuelani non volevano il Che nel loro paese. Fidel, allora, ha parlato con Mario Monje, capo del
Partito Comunista Boliviano, che si è dichiarato disposto ad accoglierlo. Sulla base di questo accordo, il Che è tornato segretamente a Cuba per scegliere e organizzare gli uomini da portare
con sé in Bolivia.”
“Il Che è arrivato in Bolivia come uomo d’affari uruguayano, con un passaporto falso e un taglio di
capelli completamente diverso. Ma il suo arrivo clandestino, in realtà, è rimasto segreto per
poco”, spiega Anderson. “Quando in Bolivia è stato arrestato Régis Debray, noto esponente della
sinistra internazionale, e vicino a Fidel, è apparso subito chiaro a tutti che era stato col Che.”
Uno dei primi problemi che il Che ha incontrato in Bolivia è stato il voltafaccia di Mario Monje, che
gli ha subito ritirato l’appoggio del Partito Comunista Boliviano. Secondo Anderson, “Monje era allineato con Mosca, e contro quelli che riteneva radicali scissionisti, forse filo-cinesi, aiutati e coperti da Cuba per portare la rivoluzione nel suo paese. Dopo aver incontrato il Che, Monje ha rotto con lui e ha chiesto ai boliviani che lo avevano seguito di lasciare il Partito. Storicamente, la
grande vergogna del Partito Comunista Boliviano è stata di non aver messo a disposizione del
gruppo del Che la sua rete di sostegno, che era capillare e diffusa in tutto il paese, lasciandoli
soli.”
“Senza un vero preavviso, gli uomini del Che sono stati costretti ad affrontare la battaglia molto
prima di quanto avessero previsto, e senza l’aiuto dei boliviani, sul quale contavano. Avevano
perso la rete di sostegno locale che avrebbe dovuto rifornirli di cibo e reclute, al bisogno. Come
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se non bastasse, si trovavano in una zona molto più aspra e isolata di quanto si aspettassero.
Faceva un caldo bestiale d’estate, e l’inverno era gelido e piovoso.”
“Io ci sono stato, e il territorio inospitale è fatto di grandi distese e altopiani aridi e senza alberi, da
cui è possibile vedere a chilometri di distanza”, prosegue Anderson. “Era molto difficile nascondersi. C’erano pochissimi abitanti e quei pochi avevano una scarsa coscienza politica. Le persone più impegnate politicamente erano i minatori, ma si trovavano in un’altra regione del paese.”
“A peggiorare le cose”, aggiunge Buchman, “dopo aver scoperto che l’esercito del Che era composto quasi esclusivamente di cubani, il Presidente Barrientos ha annunciato che i comunisti cubani avevano invaso il paese - notizia allarmante per i locali che avrebbero dovuto appoggiare il
Che. La gente era fuggita dai villaggi, e gli uomini del Che passavano da un’imboscata all’altra,
traditi dalla gente del posto. “Sono stati costretti a darsi alla fuga prima di aver finito l’addestramento, e prima di essere riusciti a mettere i piedi una rete di supporto”, osserva Anderson.
“Inoltre, il Che soffriva fin da bambino di una grave forma d’asma, che la vita della guerriglia aveva reso ancora più grave. C’erano volte in cui era talmente debole che doveva essere portato a
braccia. La sua salute era andata deteriorandosi e il fisico era allo stremo.”
Spazzata via la retroguardia, era rimasta in piedi solo una colonna di guerriglieri. Da quel momento in poi, al Che e ai suoi uomini non restava che raggiungere i minatori sulle Ande, e lasciare la
Bolivia. La loro sopravvivenza era appesa a un filo sottilissimo. “Quando sono arrivati a La Higuera e alla Quebrada del Yuro erano veramente demoralizzati. Avevano visto i loro compagni e amici venire uccisi sotto i loro occhi, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana. Ed era stata soprattutto la grande forza di volontà del Che a farli andare avanti.”
Recensioni
Maurizio Porro (il Corriere Della Sera)
La seconda parte del lungo film biografico di Soderbergh su Che Guevara, lasciato nell' ascesa
solare della sua Cuba, lo vede impegnato nella fase calante, Bolivia 1966-67, durante gli ultimi
mesi della sua sempre più ansimante rivoluzione: compagni poco motivati, i poveri campesinos, l'
inflessibile gioco di potenti che non lascia scampo. Girato in 39 giorni in modo poco americano e
con l' occhio rivolto alla scadenza interiore di un fallimento annunciato, il secondo tempo del Che
è basato sul diario boliviano dell' eroe, lo isola nella sua solitudine con uno stile essenziale in una
giungla resa quasi intimista. Nel filo illuministico quasi rosselliniano a Soderbergh manca però la
passione, la lezione è imparata a memoria ma non fa proseliti anche se Benicio del Toro è
impagabile nel disegno della tristezza psicosomatica di un uomo stanco e malato che sta
diventando un Mito. Voto 6,5
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Maurizio Carbona (Il Giornale)
Patria o morte». Lo scandì all'Onu - in uno dei più bei discorsi che vi siano echeggiati, con quelli
di Arafat e di de Villepin - Ernesto Guevara. L'internazionalista, il cripto-trotzkista, il fedele di Fidel
Castro aveva capito mezzo secolo fa che le rivoluzioni del Terzo mondo erano nazionaliste, prima
che socialiste. Nella seconda parte del film voluto e interpretato da Benicio Del Toro , Che Guerriglia, si raccontano gli ultimi anni di Guevara, omettendo - peccato - il Congo. C'è anche un
figurante nel ruolo di Regis Debray, che parla con Castro a un ricevimento! Pazienza: il film è lo
stesso notevole.
Fabio Ferzetti (Il Messaggero)
Dalla vittoria alla disfatta. Dalla giungla di Cuba alle montagne della Bolivia. Dalla fama planetaria
alla morte, che è sempre anonima e ingloriosa ma mai come stavolta.
La seconda parte del dittico di Steven Soderbergh sul Che è ancora più asciutta, più austera, più
rarefatta, ma anche più emozionante della prima. A condizione di stare al gioco, e il gioco ormai è
scoperto. Soderbergh non evita solo la suspense, il pathos, l'identificazione, tutto il gioco delle
emozioni con cui solitamente si rievocano personaggi epici e imprese leggendarie. Ma fornisce
col contagocce anche tutte le informazioni grazie alle quali potremmo seguire l'ultima e rovinosa
impresa del Che senza smarrirci.
Naturalmente non è solo una scelta stilistica ma una precisa strategia di racconto. E una richiesta
d'attenzione molto forte rivolta allo spettatore. Che - Guerriglia non è un film-inchiesta, non
spiega, non vuole avanzare ipotesi o ricostruire i fatti ma più semplicemente forse più
ambiziosamente calarci dentro il corpo e la mente di un uomo pronto ad andare fino in fondo. A
qualsiasi costo.
«Per sopravvivere qui e trionfare bisogna vivere come se si fosse già morti», dice ai suoi uomini.
Non è uno slogan, è quasi un programma. Personale, se non politico. Ma anche qui Soderbergh
non giudica. Perché Guevara si mette in un'avventura impossibile come esportare la rivoluzione
in Bolivia e di lì nel resto dell'America latina? Perché non vede in anticipo la lunga serie di errori
che lo perderanno, l'ostilità del partito comunista boliviano, l'indifferenza dei campesiños, che
diffidano di quel gruppo di "stranieri"? E come mai non si chiede cosa resterà della sua missione
in caso di disfatta?
Il film non risponde, si limita a mostrare Fidel che dispensa la ricetta del mojito nei party a
L'Avana, il presidente boliviano Barrientos (Joaquim de Almeida) che "accetta" l'aiuto degli
americani, o la bella rivoluzionaria Tanya (Franka Potente) che dovrebbe lavorarsi il presidente e
invece mette nei guai il suo capo ancora senza nome. Ma a forza di restare ostinatamente
concentrato sul Che e sui suoi silenzi, i suoi errori, la sua asma, le sue furie (straordinario Benicio
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del Toro nel ruolo più antidivistico che si possa concepire), questo secondo capitolo così "triste,
solitario y final", per dirla con un altro famoso argentino, diventa una vera e propria Passione
laica. La via crucis di un profeta dei reietti paradossalmente lontano da tutto e da tutti. Già nel
prologo che lo vede, truccato in modo da essere irriconoscibile ai suoi stessi figli, lasciare
l'Argentina e la sua famiglia senza voltarsi indietro (anche qui né lacrime né recriminazioni,
sarebbe troppo facile). Fino alla fine, quando col suo esercito di fantasmi, perso in un paese
sempre più spettrale, trova una morte sordida, antieroica, straziante, che è una grande pagina di
cinema.
Roberta Ronconi (Liberazione)
Si è già detto e scritto tanto sull'opus magnum di Steven Soderbergh ispirato alla vita di Ernesto
Che Guevara. Quella che esce oggi è la seconda parte di un film di oltre quattro ore che riprende
due momenti salienti dell'intensa, seppur breve, vita del Che: tre settimane fa è uscito in sala Che
- L'argentino , sullo sviluppo materiale della rivoluzione cubana nella Sierra Maestra e la
conquista di Santa Clara; ora è il momento di Che - Guerrilla , sulla tentata e fallita rivoluzione del
Che in Bolivia.
La seconda parte non inizia certo dove finisce la prima, anzi. Il rullo iniziale di Che - Guerrilla non
è nemmeno il riassunto scritto degli anni che vanno dalla cacciata della dittatura di Batista al
marzo '65, momento di supposta sparizione dell'allora ministro dell'industria cubano, Ernesto
Guevara, da cui il film temporalmente riparte. Ma è semplicemente il punto di partenza di uno
stralcio storicamente emblematico della china discendente delle fortune del guerrigliero Che.
Soderbergh entra subito dentro una casa, inquadrando fisso e di sbieco un televisore che
trasmette in bianco e nero (il montaggio sta dentro la ricostruzione finzionale del discorso di
Castro - Demian Bichir - alla tv sulla scomparsa del Che) assumendo fin da subito quel distacco
che caratterizza lo stampo stilistico di uno sguardo registicamente asettico e volutamente distante
dell'iconizzazione del mito Guevara (interpretato da Benicio Del Toro). Ci sono frammenti rallentati
di vita familiare silenziosa di Ernesto, Aleida e figli; c'è la trasformazione del Che in Ramon
Benitez; c'è l'incontro ultimo con Castro prima della partenza. Da lì in poi Che è catapultato
nell'immensità boliviana, nel dedalo labirintico di La Paz, nella fitta e oscura foresta dove
incontrerà nel giro di un anno la morte. L'immersione è totale, senza soluzione di continuità.
Soderbergh non spettacolarizza nessun evento, non sottolinea nessun momento saliente (come
del resto aveva già fatto per le dinamiche di guerra in Che - L'argentino ), non sceglie primi piani
enfatici o apici del pathos. Semmai innesta un'aura di dolente e sensibile percezione della fine,
evidente scarto vibrante tra la parte prima e la parte seconda, sensazione epidermica veicolata
anche da un impasto sonoro di rumori d'ambiente e sfuggente colonna sonora composta dallo
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spagnolo Alberto Iglesias.
Che - Guerrilla è un film sulla morte del corpo e sul rigore sempre vivente di un'idea. Le tappe
pasquali di un vangelo materiale della rivoluzione in terra. Tradotto attraverso l'approccio
figurativo postmoderno di un autore statunitense che alterna film eminentemente sperimentali
( L'inglese , Bubble ) a blockbuster glamour (la saga di Danny Ocean). Per raccontare l'umanità e
le coerenza politica dell'uomo Guevara, Soderbergh ha assunto una posizione etica attraverso un
fare estetico costituito da uno sguardo perennemente oggettivo e mimetico con lo scenario
naturale. La proposta non è quella di farti sposare la causa rivoluzionaria, ma farti entrare nella
mente del Che disperso, combattivo, disperato e mai domo (si segua con attenzione la sequenza
della sua cattura: modulazione della distanza di osservazione del personaggio, montaggio
cadenzato, impasto di raggi solari filtrati tra i rami degli alberi). Fino ad una soggettiva in
sottofinale dove lo spettatore diventa il Che che guarda gli occhi vuoti e le mani tremanti del suo
assassino. Noi cadiamo per terra assieme a Ernesto Guevara, sentendo insieme a lui un fischio
fastidiosissimo che ci porta alla morte su schermo bianco.
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