san gervasio di bulgaria: alle origini del

Transcript

san gervasio di bulgaria: alle origini del
6$1*(59$6,2',%8/*$5,$$//(25,*,1,
'(/&5,67,$1(6,021(//$9$/&(6$12
Parlare della Chiesa di San Gervasio a Mondolfo, significa andare alle origini del cristianesimo
nella bassa Valle del Cesano. Quale era il luogo in cui i primi cristiani del nostro territorio erano
soliti riunirsi per partecipare alla Cena del Signore e pregare insieme? Assai probabilmente era
proprio San Gervasio, edificio ricavato sopra una preesistente costruzione di epoca romana, forse un
tempio pagano; ci troveremmo, insomma, innanzi ad una chiesa paleocristiana, rinnovata più tardi
nelle forme attuali. Certo è, infatti, che il sarcofago ravennate conservato nella cripta della chiesa
mondolfese, da annoverarsi fra gli esemplari di migliore qualità di quel celebre opificio, va datato ai
primi anni del VI secolo. Ora, potendo affermare con certezza che già nel IV secolo a Senigallia
fosse diffuso il cristianesimo, e che il suo primo Vescovo storico – Venanzio – è attestato per l’anno
502-503, vediamo chiaramente quanto breve lasso di tempo (oltretutto pensando che nelle
campagne la Buona Novella giunse più tardi) intercorse fra l’arrivo dell’Evangelo nella Valle del
Cesano e la manifestazione pubblica della fede attraverso la realizzazione di un sarcofago
monumentale. Questo manufatto – che tradizione vuole conservare il corpo di San Gervasio –
esprime nelle sue raffigurazioni la fede di quei primi cristiani. Vi troviamo infatti incisa la Croce
senza il Cristo: è il segno che l’umanità raggiunge la salvezza attraverso la morte e la passione del
Signore, preludio alla Vita nuova. Ed infatti, simbolicamente, nel sarcofago si parla soprattutto della
Risurrezione: l’attestano i pavoni, il labaro costantiniano, l’edera, tutti segni incisi sul manufatto.
Rifacendosi alla credenza giusta la quale il pavone ogni anno in autunno perde le penne che
rinascono in primavera e che la sua carne non si putrefae, nel cristianesimo l’animale è il simbolo
della rinascita spirituale e quindi della risurrezione. Anche il labaro costantiniano, la corona d’alloro
circuente il &KULVPRQ, cioè la sigla monogrammatica (XP) del nome di Cristo è evidente segno di
vittoria, (Costantino che vinse Massenzio a Ponte Milvio) in questo caso la sconfitta della morte,
come emblema della immortalità dell’anima sono pure le due foglie di edera - poiché sempreverdi poste al termine del nastro che prende avvio dalla “laurea” gemmata. Foglie d’edera che, a ben
vedere, possono alludere pure alla croce e passione di Cristo, poiché pianta dalle radici piuttosto
robuste e difficile da sradicare senza penosi tormenti.
Ora, se è vero che “nessuno è immortale” come è scritto in greco nella lastra quadrangolare
di alabastro, posta rovesciata sulla sommità della colonna centrale della cripta di San Gervasio, è
altrettanto vero che con il sacramento del Battesimo ogni cristiano è chiamato alla vita eterna: ecco
dunque il Fonte battesimale di San Gervasio, porta dell’immortalità del credente. Databile attorno al
XII secolo (ma c’è pure chi lo riconduce al sec. VII-VIII), qui nacquero alla fede gli antichi abitanti
della Valcesano. Ora conservato nella Residenza municipale di Mondolfo, il fonte parla un
linguaggio altamente simbolico. Al centro del catino, sul fondo, vi è raffigurato in rilievo un cervo
che si sta abbeverando alla fonte. E’ la raffigurazione dell’immagine biblica di Salmo 42, &RPHOD
FHUYD DQHOD DOO¶DFTXD FRVu O¶DQLPD PLD DQHOD D WH R 'LR, soggetto scelto spesso proprio nei
battisteri, quale simbolo delle anime che ricorrono a Cristo, fonte della vita. Seppur lacunosa, anche
la frase scolpita lungo il bordo superiore del fonte battesimale sembra alludere al Sacramento del
Battesimo. All’esterno, vi è un ornato a motivo vegetale, forse un vaso da cui fuoriesce un fiore con
semplici steli conclusi da foglioline, allusione alla caducità della natura umana e Speranza nella vita
beata futura, oppure richiamo all’albero della vita, segno di perpetua rigenerazione e della vittoria
sulla morte; non va nemmeno taciuto il legame fra Albero della vita ed Albero della croce. Di
grande impatto, poi, ai quattro angoli del fonte battesimale la presenza di quattro “teste”, delle
protome. Tutt’oggi il loro significato è diversamente attribuito: se va forse scartata l’ipotesi dei
quattro Evangelisti (sembrando un volto femminile), restano aperte le interpretazioni di chi vi legge
i quattro fiumi del Paradiso, o – ancora – una raffigurazione dei fondatori del monastero di San
Gervasio, cioè dei personaggi notabili del nascente Comune di Mondolfo, che vollero essere scolpiti
in questo importante manufatto. Altre due ipotesi richiedono comunque la nostra attenzione, poiché
c’ è chi interpreta le protome come la raffigurazione sintetica della scoperta del sepolcro vuoto del
Cristo, segno della sua Risurrezione: un volto sarebbe quello di una delle tre Marie, uno quello del
venditore di spezie, uno quello del soldato a guardia della tomba di Gesù (o un angelo annunciante)
ed il leone, appunto, il Cristo risorto, in base alla credenza tutta medievale che i cuccioli del leone,
partoriti morti, venivano alla vita dopo che il padre - trascorsi tre giorni – avesse soffiato sul loro
muso. Infine altri – vedendovi la scena di Daniele nella fossa dei leoni, scena che prefigurerebbe la
salvezza data dal Cristo con la Resurrezione - vorrebbero che la figura barbuta rappresenti il profeta
Abacuc, il giovane sbarbato lo stesso Daniele affiancato dal leone, e la donna velata Susanna (che
fu salvata proprio da Daniele mentre stavano per lapidarla).
$OHVVDQGUR%HUOXWL
(tratto da ,QFRQWUR, n. 3/2006)