Superfici - Dipartimento di Matematica

Transcript

Superfici - Dipartimento di Matematica
Superfici
Note per gli studenti del corso di Geometria IV, Milano, 2009-2010
M.Dedò
N.B. 1
Quanto segue NON va inteso come sostitutivo dei testi consigliati;
piuttosto, si propone di fornire un filo conduttore per quelle parti del programma
in cui il taglio delle lezioni si discosta maggiormente da quello di tali testi.
N.B. 2
Un’osservazione sulle figure: nel seguito, l’indicazione di un numero
in grassetto, come ad esempio 11406, indica l’immagine reperibile in rete,
all’interno del sito Immagini per la matematica del Centro matematita,
all’indirizzo ottenuto sostituendo il numero indicato alle XXX finali in
http://www.matematita.it/materiale/?p=cat&im=XXX .
Analogamente, un numero in grassetto preceduto da un asterisco, come ad
esempio *325 indica una particolare sottosezione di questa raccolta di immagini,
sezione reperibile in rete all’indirizzo ottenuto sostituendo il numero indicato
alle YYY finali in
http://www.matematita.it/materiale/?p=cat&sc=YYY .
Ad esempio in http://www.matematita.it/materiale/?p=cat&sc=325 si trovano
una settantina di immagini di nastri di Moebius, mentre alla pagina
http://www.matematita.it/materiale/?p=cat&im=11406
si trova l’immagine
riprodotta qui sotto.
Dallo stesso sito si possono anche scaricare delle animazioni, alcune delle quali
riguardano i temi toccati in queste note; vedi
http://www.matematita.it/materiale/?p=anim.sub2
1
1
Definizioni
Una varietà topologica di dimensione n senza bordo è uno spazio topologico M di
Hausdorff tale che, xM, esiste un intorno U = Ux di x in M che sia omeomorfo al
disco aperto di dimensione n cioè a
{xn : x < 1}.
Una varietà topologica di dimensione n con bordo è uno spazio topologico M di
Hausdorff tale che, xM, esiste un intorno U = Ux di x in M che sia omeomorfo o
al disco aperto di dimensione n oppure al semidisco aperto di dimensione n cioè a
{xn : x < 1 e xn0}.
Il bordo M di M è costituito da tutti i punti di M che hanno un intorno
omeomorfo a un semidisco.
1
Una superficie è una varietà di dimensione 2.
Osservazione
La condizione che lo spazio topologico sia di Hausdorff è effettivamente una
condizione necessaria.
Esercizio: trovare un esempio di uno spazio topologico X tale che ogni punto
abbia un intorno omeomorfo a un disco e tuttavia X non sia di Hausdorff.
Esempi
1.
Un insieme finito di punti è una varietà di dimensione 0.
2.
S1 è una varietà di dimensione 1, compatta, connessa, senza bordo.
3.
[0,1] è una varietà M di dimensione 1, compatta, connessa, con bordo
M = {0,1}.
4.
]0,1[ è una varietà di dimensione 1, non compatta, connessa, senza bordo.
5.
[0,1[ è una varietà M di dimensione 1, non compatta, connessa, con bordo
M = {0}.
6.
Si può dimostrare che i quattro esempi descritti qui sopra (Esercizio:
verificare che si tratta di 4 spazi topologici a due a due non omeomorfi)
1
E, come abbiamo già osservato ([Q], pag.11), la definizione di bordo è ben posta perché un
disco e un semidisco non sono omeomorfi.
2
rappresentano tutte le possibilità per una varietà connessa di dimensione 1; in
particolare ogni varietà di dimensione 1 compatta, connessa e senza bordo è
omeomorfa a una circonferenza S1.
La sfera Sn è una varietà di dimensione n, compatta, connessa, senza
7.
bordo.
Il disco chiuso Dn è una varietà di dimensione n, compatta, connessa, con
8.
bordo Dn = Sn-1. La parte interna di Dn è una varietà di dimensione n, non
compatta, connessa, senza bordo.
La sfera S2, il toro T, il piano proiettivo 2 sono esempi di superfici
9.
compatte, connesse, senza bordo.
10.
●
Un cilindro è una superficie connessa M, che può essere, ad esempio:
compatta con bordo (S1  [0,1]: il bordo è l’unione disgiunta di due
circonferenze M = S1 {0,1});
●
non compatta senza bordo (S1  ]0,1[, che è omeomorfo anche a S1  );
●
non compatta con bordo, ad esempio il prodotto S1  [0,1[.
11.
Un nastro di Moebius M (visto come quoziente del quadrato, vedi esempio
2 del paragrafo 6 in [Q]), è una superficie; come nel caso del cilindro si possono
avere, fra gli altri, i casi di una superficie non compatta senza bordo oppure
compatta e con bordo; in quest’ultimo caso il bordo è M = S1.
12.
Il piano 2, il cilindro S1  ]0,1[, il complementare nel piano di un numero
finito di punti, o di dischi chiusi, sono esempi di superfici non compatte,
connesse, senza bordo.
13.
Il cilindro S1  [0,1[, il complementare nel piano 2 di uno o più dischi
aperti sono esempi di superfici non compatte, connesse e con bordo.
14.
Il prodotto S1  S1  S1 è una varietà di dimensione 3, compatta, connessa,
senza bordo.
Esercizi
1.
Esaminare ciascuno degli esempi studiati in [Q] e decidere per ciascuno di
essi se si tratta oppure no di una varietà (di una superficie) con o senza bordo.
2.
Elencare quanti più esempi possibili di varietà di dimensione 3, fra loro
non omeomorfe.
3
2
Zipper
Il termine “zipper” è stato coniato da Conway come abbreviazione di zip-pair e
indica una situazione come quella che già abbiamo discusso negli esempi del
paragrafo 6 di [Q], ovvero una particolare identificazione X/f, dove f: A  B è
un omeomorfismo tra due sottospazi A e B dello spazio topologico X, per cui si
verifichino le seguenti condizioni:
●
X è una superficie con bordo;
●
i due sottospazi A e B su cui si effettua l'identificazione sono contenuti
entrambi nel bordo di X: AX e BX;
●
i due sottospazi A e B sono entrambi omeomorfi a un intervallo, oppure
entrambi omeomorfi a una circonferenza S1.
Come già abbiamo osservato (nel caso dell'intervallo) nell’esempio 2 del
paragrafo 6 di [Q], non occorre specificare l’omeomorfismo che realizza
l’identificazione, ma è sufficiente indicare (ad esempio con una freccia su una
figura) il verso secondo cui i due intervalli (o le due circonferenze) vengono
identificati.
Sia nel caso in cui A e B sono omeomorfi a un intervallo, sia in quello in cui sono
omeomorfi a una circonferenza, possiamo rappresentare la situazione indicando
in qualche modo non ambiguo i due sottospazi da identificare (ad esempio
etichettandoli con una stessa lettera, oppure indicandoli con lo stesso colore,
oppure con un tratto più spesso,…) e specificando inoltre (per esempio con una
freccia) il verso con cui vanno identificati.
Un'osservazione informale
La zip (in italiano detta anche chiusura-lampo) rappresenta bene questa
situazione. Supponete ad esempio di realizzare un modello di un cilindro, oppure
quello di un nastro di Moebius, partendo da un rettangolo di stoffa e
introducendo una chiusura che permetta di identificarne due lati; se realizzate
questa chiusura, ad esempio, con il velcro, perdete traccia del verso in cui si
realizza l'identificazione (lo stesso modello potrebbe chiudersi sia a cilindro sia a
nastro di Moebius, impedendovi di distinguere tra i due casi); invece, utilizzando
4
per la chiusura una zip (o una zipper, se si vuole seguire la terminologia di
Conway), potete realizzare i due modelli e tenerli distinti.
La dimostrazione del teorema di classificazione delle superfici che vedremo più
avanti è dovuta a Conway e fa un uso massiccio di questi zipper, tanto che è nota
in letteratura come la zip-proof di Conway (ed è relativamente recente).
Un esempio: poligoni con identificazioni
Consideriamo un poligono (omeomorfo quindi a un disco D = D2 chiuso), in cui
ogni lato sia dotato di un'etichetta e di una freccia. Chiamiamo poligono con
identificazioni lo spazio quoziente X=D/ rispetto alla relazione di equivalenza
indotta dalle identificazioni di lati aventi la stessa etichetta (omeomorfi a un
intervallo), nel verso specificato dalla freccia. Naturalmente un’etichetta che
compare una sola volta indica un lato che non viene identificato ad altri; in
alternativa si possono lasciare questi lati privi di etichetta.
Osserviamo che i quozienti così ottenuti sono sempre spazi compatti di
Hausdorff; infatti lo spazio D che si quozienta è omeomorfo a un disco e quindi è
compatto e di Hausdorff e la proiezione sul quoziente è chiusa. Verifichiamo
quest'ultima affermazione nel caso si identifichino solo due lati di X (cioè due
sottoinsiemi A e B di X entrambi omeomorfi a un intervallo): A e B sono entrambi
chiusi in X; se F è un altro chiuso di X, allora
-1((F)) = F  f(F  A)  f-1(F  B),
dove f è l'omeomorfismo che identifica A con B. Ma FA e FB sono due chiusi di
X, e quindi lo sono anche f(FA) e f-1(FB); e anche -1((F)). Ne segue che (F)
è un chiuso nel quoziente. Del tutto analoga è la verifica nel caso generale.
Possiamo indicare un poligono con identificazioni con una figura (qui di seguito,
ad esempio, è rappresentato il toro già studiato nell’esempio 1 del paragrafo 6 di
[Q]); ma in realtà possiamo anche fare a meno delle figure e utilizzare una
scrittura che rappresenti le etichette del bordo lette ciclicamente (non importa
il punto di partenza, né il verso), e con un esponente 1 o -1 a seconda che la
freccia sia concorde o discorde rispetto al prefissato verso di percorrenza del
5
bordo del poligono (ovvero il verso secondo cui si leggono le lettere). Ad
esempio, il toro rappresentato qui sotto si potrebbe indicare con aba-1b-1.
Naturalmente occorre tenere traccia anche degli eventuali lati non etichettati
(ad esempio con un trattino, oppure con una lettera che compare una volta sola):
quindi dall’esempio 2 del paragrafo 1.5 ricaviamo che a_a-1_ (che potremmo
scrivere anche come aba-1c) è un cilindro, mentre a_a_ (ovvero abac) è un
nastro di Moebius.
Osserviamo che questo tipo di notazione ha senso soltanto quando lo spazio che
si quozienta è connesso. Per rendersene conto, si può considerare lo spazio X
ottenuto quozientando l’unione disgiunta di due quadrati con le identificazioni
descritte dalle due zip in figura.
La figura rappresenta senza ambiguità lo spazio X che vogliamo ottenere, ma in
questo caso non potremmo esprimerlo semplicemente con una scrittura,
riversando in un esponente 1 o -1 l’informazione data dal verso delle frecce:
infatti non avrebbe senso dire che il lato etichettato con a ha lo stesso verso
(ovvero verso opposto) rispetto all’altro lato etichettato con a che fa parte di
una differente componente connessa. Se si identificano i due lati etichettati a,
allora si possono poi confrontare i versi delle due frecce su b, riconoscere che
hanno lo stesso verso e che quindi X = b_b_ è un nastro di Moebius.
6
Osservazioni, esempi, esercizi
1.
Considerate un triangolo; etichettate due dei tre lati con la stessa lettera
e studiate tutti i possibili quozienti (aa_ e aa-1_).
2.
Considerate un triangolo; etichettate i tre lati con la stessa lettera e
studiate tutti i possibili quozienti (aaa e aaa-1).
3.
Considerate un quadrato; etichettate due lati con la stessa lettera e
studiate tutti i possibili quozienti (aa_ _, a_a_, aa-1_ _, a_a-1_). Troverete,
oltre al cilindro e al nastro di Moebius che abbiamo già incontrato, un altro
nastro di Moebius e un disco.
4.
Considerate un quadrato; etichettate due lati con una lettera e gli altri
due con un'altra e studiate tutti i possibili quozienti (abab, aba-1b-1, abab-1,
aabb, aa-1bb-1, aabb-1). Troverete, oltre al toro T = aba-1b-1 già incontrato, uno
spazio omeomorfo alla sfera S2, e due casi in cui il quoziente è omeomorfo a un
piano proiettivo.
Lo spazio topologico abab-1 prende il nome di bottiglia di Klein (vedi 7211).
5.
Anche lo spazio topologico aabb è una bottiglia di Klein, ovvero è
omeomorfo a abab-1. La successione di figure qui sotto illustra questo
omeomorfismo utilizzando una tecnica che viene chiamata del taglia e cuci: la
giustificazione del fatto che così facendo si ottiene un omeomorfismo si basa
sulla proprietà (3) della lista che abbiamo enunciato nel paragrafo 2 di [Q].
6.
Sia X un cilindro; definire su X una relazione di equivalenza in modo che il
quoziente risulti omeomorfo a un nastro di Moebius.
7.
Sia X un toro; definire su X quattro diverse relazioni di equivalenza in
modo che il quoziente risulti omeomorfo rispettivamente a: una bottiglia di
Klein, un cilindro, un nastro di Moebius, un toro.
7
Consideriamo un poligono con identificazioni. Come abbiamo visto, questo è uno
spazio topologico X di Hausdorff. Si tratta di una superficie (con o senza bordo)
se e solo se ogni etichetta su un lato su cui si compie un'identificazione compare
esattamente due volte; si tratta di una superficie senza bordo se, inoltre, non ci
sono nel poligono dei lati privi di etichetta (ovvero delle etichette che
compaiono una sola volta).
È facile (esercizio) verificare che, se sono presenti nel poligono più di due lati
con la stessa etichetta, allora il quoziente non è una superficie.
Verifichiamo l'altra implicazione: se : D2  X è la proiezione sul quoziente, è
chiaro che i punti (x) hanno un intorno omeomorfo a un disco aperto quando x è
un punto all’interno del disco D2; se y=(x) e x appartiene alla parte interna di un
lato privo di etichetta, allora y ha un intorno omeomorfo a un semidisco, mentre
se x appartiene alla parte interna di un lato etichettato, allora (nell’ipotesi che
ogni etichetta compaia esattamente due volte) esiste uno e un solo altro lato con
la stessa etichetta, e quindi uno e un solo altro punto x’ tale che y =(x) = (x’).
Un intorno di y nel quoziente si ottiene allora incollando i due semidischi che
rappresentano degli intorni di x e x’ rispettivamente nel disco D2.
Se poi x è un vertice del poligono, allora -1((x)) è costituito da un certo numero
di vertici del poligono, ciascuno dei quali ha un intorno omeomorfo a un
semidisco. Un intorno di y nel quoziente si ottiene incollando questi intorni
secondo le identificazioni che provengono dalle identificazioni assegnate sui lati
del poligono e si può verificare (esercizio) che si ottiene un disco o un semidisco.
8
3
Due famiglie di superfici
Definiamo tramite la costruzione dei poligoni con identificazioni due famiglie
infinite di superfici, che indicheremo rispettivamente con Vn e con Un.
Vn (n>0) si ottiene da un 4n-gono mediante le identificazioni corrispondenti alla
scrittura
a1b1a1-1b1-1a2b2a2-1b2-1 … anbnan-1bn-1.
La famiglia Vn si definisce per n0 aggiungendo la superficie V0 = S2.
Un (n>0) si ottiene da un 2n-gono mediante le identificazioni corrispondenti alla
scrittura
a1a1a2a2 … anan .
Si tratta di superfici compatte, connesse, senza bordo.
Le superfici Vn sono orientabili, mentre le Un non lo sono, dove una superficie X
si dice orientabile se non contiene un sottospazio omeomorfo a un nastro di
Moebius.
Si vede facilmente che le superfici Un non sono orientabili, mostrando
esplicitamente un sottospazio di Un omeomorfo a un nastro di Moebius. In effetti
la figura qui sotto mostra come individuare un tale sottospazio in un qualunque
poligono con identificazione che contenga due etichette con lo stesso esponente.
È più complicato invece mostrare che le superfici Vn sono orientabili e ci
limitiamo qui a discutere un passo cruciale nella dimostrazione.
Supponiamo per assurdo di aver individuato un sottospazio X di Vn omeomorfo a
un nastro di Moebius e sia γ una circonferenza centrale per questo nastro di
Moebius;
rifacendosi
alla
definizione
9
di
Vn=D/
come
poligono
con
identificazioni, l'idea della dimostrazione è quella di ricondursi al caso in cui γ
non interseca (D); possiamo allora supporre che anche X non intersechi (D) e
ciò vuol dire (dato che la proiezione sul quoziente ristretta alla parte interna di
D è un omeomorfismo) che avremmo trovato un sottoinsieme del disco, ovvero
anche del piano, omeomorfo a un nastro di Moebius.
Il fatto che questo sia impossibile è conseguenza di un teorema, il cui enunciato
appare estremamente banale, ma la cui dimostrazione è in realtà complessa (e
qui la ometteremo; una dimostrazione elementare, ma non facile, si può trovare
in [M]; sono invece facili le dimostrazioni che usano strumenti non elementari,
per esempio l’omologia):
Teorema (della curva di Jordan)
Sia γ una curva piana semplice e chiusa, cioè un sottoinsieme del piano 
omeomorfo a S1. Allora il complementare  \ γ non è connesso. Di più,  \ γ ha
esattamente due componenti connesse, una limitata e l’altra illimitata,
entrambe con bordo γ.
Usando il teorema della curva di Jordan, è facile vedere che il piano non può
contenere un sottospazio M omeomorfo a un nastro di Moebius, perché una
circonferenza centrale γ di questo nastro di Moebius sarebbe una curva piana
semplice e chiusa tale che M \ γ è connesso, mentre  \ γ non lo è: M \ γ
dovrebbe allora essere tutto contenuto in una delle due componenti connesse di
 \ γ, ma questo è assurdo perché entrambe queste componenti connesse hanno
per bordo γ.
Osservazioni, esempi, esercizi
1.
Verificare che V1 è un toro, che U1 è il piano proiettivo 2, e che U2 è una
bottiglia di Klein K.
2.
Studiare come è fatta la superficie V2.
3.
Dimostrare che aaa non è una superficie.
4.
Verificare che abca-1b-1c-1 è una superficie e stabilire se è omeomorfa a
qualcuna delle Vn oppure delle Un.
10
5.
Se partiamo da un cilindro S1  [0,1] e identifichiamo le due circonferenze
di bordo S1  {0} e S1  {1} con una zip, avremo due casi possibili, a seconda del
verso delle zip: quali superfici si ottengono?
6.
Una superficie ottenuta da un poligono con identificazioni è orientabile se
e solo se nella scrittura corrispondente ogni coppia di etichette compare una
volta con esponente +1 e l'altra con esponente -1.
7.
Sia M una superficie e γ un sottoinsieme di M omeomorfo a S1; ogni punto
x di γ ha un intorno Ux in M omeomorfo a un disco D2 e un intorno Vx in γ
omeomorfo a un disco D1. Supponiamo2 di poter scegliere questi intorni in modo
che Ux sia omeomorfo al prodotto di Vx per un intervallo e che γ  Ux corrisponda
a Vx  {0} in Vx  [-1,1] Ux.
Si può usare allora la compattezza di γ per dimostrare che esiste un intorno U di
γ in M (cioè un aperto U di M tale che γ  U ) che è omeomorfo alla parte
interna o di un cilindro oppure di un nastro di Moebius.
8.
Si può dimostrare che non esiste un sottoinsieme X dello spazio ordinario
3 con la topologia euclidea che sia omeomorfo a una superficie non orientabile
compatta connessa e senza bordo.
9.
Data una curva semplice e chiusa γ nel piano, e fissato un punto P nel
complementare di γ, c'è una maniera “automatica” per decidere se P è interno o
esterno rispetto a γ? La domanda può apparire insulsa, ma occorre pensare che
non è affatto detto che la curva γ sia tale che la risposta “si veda ad occhio”.
Vedi ad esempio:
http://www.xlatangente.it/xlatangente/articleById.do?id=213
2
In realtà, si può dimostrare che questa ipotesi non è restrittiva.
11
4
Triangolazioni e caratteristica di Eulero
Sia M una superficie compatta. Una tassellazione P = {Pj , jI} su M è una
collezione di sottospazi Pj di M tali che:
(1) Ciascun Pj è omeomorfo:
•
o a un punto (e in tal caso si dice vertice di P);
•
o a un intervallo chiuso (e in tal caso si dice spigolo di P);
•
o a un disco D2 chiuso (e in tal caso si dice faccia di P).
(2) M è l’unione di tutti gli elementi di P.
(3) L’intersezione di due elementi di P, se non è vuota, è un elemento di P.
(4) Le parti interne di due elementi distinti di P sono sempre disgiunte.
Una triangolazione su M è una tassellazione P su M tale che ogni faccia di P
contenga nel suo bordo tre spigoli (e tre vertici) di P.
Indichiamo con V(P ) l’insieme dei vertici di P, con S(P ) l’insieme degli spigoli
di P; con F(P ) l’insieme delle facce di P, e con V, S, F il numero di elementi
degli insiemi V(P ), S(P ), F(P ) rispettivamente.
Esercizio:
verificare che l’ipotesi che M sia una superficie compatta garantisce
che i tre insiemi V(P ), S(P ), F(P ) sono insiemi finiti.
Si dice caratteristica di Eulero di P il numero (P ) = V-S+F.
Esempi
1.
Un cubo rappresenta una tassellazione P della sfera S2; (P ) = 8-12+6 = 2.
2.
Un tetraedro rappresenta un’altra tassellazione P della sfera S2; per
questa tassellazione si ha (P) = 4-6+4 = 2.
3.
Una tassellazione deve essere “abbastanza fitta”; ad esempio, la figura
seguente
NON
rappresenta una tassellazione del toro (visto come un quadrilatero
12
con identificazioni) con 4 vertici, 8 spigoli e 4 facce; infatti, ad esempio,
l’intersezione delle due facce A e C consiste di 4 punti.
4.
Dare un esempio di tassellazione P sul toro e controllare che (P) = 0.
5.
Da ogni tassellazione è possibile ricavare una triangolazione: come?
Enunciamo due grossi risultati che assumeremo senza darne una dimostrazione.
Teorema 1
Ogni superficie compatta ammette una triangolazione.
Teorema 2
La caratteristica di Eulero è un invariante topologico.
In particolare la caratteristica di Eulero non dipende dalla particolare
tassellazione P considerata sulla superficie M. Possiamo quindi scrivere (M),
intendendo con questa scrittura la caratteristica di Eulero (P) di una
QUALUNQUE
tassellazione P di M.
Il teorema 1 è un teorema difficile e profondo, che è stato dimostrato da Rado
nel 1925. Una dimostrazione del teorema 2 si può trovare ad esempio in [C]
(cap.7); oppure, nel caso della sfera, in [D] (teo 3.3, pag.69).
13
Esempi, osservazioni, esercizi
1.
Abbiamo già visto degli esempi di tassellazioni sulla sfera e sappiamo già
quindi che (S2) = 2; controllatelo in altri casi, p. es. date un esempio di
tassellazione di S2 con:
2.
•
10 vertici, 15 spigoli, 7 facce;
•
7 vertici, 12 spigoli, 7 facce;
•
12 vertici, 30 spigoli, 20 facce;
•
20 vertici, 30 spigoli, 12 facce.
Fissata una terna di numeri naturali (V,S,F), è sempre possibile trovare
una tassellazione della sfera che abbia esattamente V vertici, S spigoli e F facce?
Chiaramente una condizione necessaria è che sia V-S+F=2, ma questa
condizione
sufficiente.
Dare
qualche
esempio
che
NON
giustifichi
è una
questa
affermazione. (Si possono trovare delle condizioni sufficienti in [D], cap.3).
3.
Dare un esempio di una tassellazione del piano proiettivo 2 con:
•
6 vertici, 15 spigoli, 10 facce;
•
10 vertici, 15 spigoli, 6 facce.
Dedurne che (2) = 1.
4.
Dare qualche esempio di tassellazione su: un toro T, un disco D2, un nastro
di Moebius M, una bottiglia di Klein K, un cilindro S1 [0,1] e dedurne che:
●
(T) = 0;
●
(D2) = 1;
●
(M) = 0;
●
(K) = 0;
●
(S1 [0,1]) = 0.
14
5
Operazioni sulle superfici
Definiamo in questo paragrafo tre operazioni mediante le quali a partire da una
superficie si ottiene un’altra superficie.
Sia M una superficie connessa; si dice che M’ si ottiene da M facendo un buco, se
M’ è omeomorfa a M \ V, dove V è la parte interna di U, e U è un sottospazio di
M omeomorfo a un disco chiuso D2.
Osservazioni
1.
Affinché la definizione sia ben posta, occorrerebbe dimostrare che, se U' è
un altro sottospazio di M omeomorfo a un disco D2, e V' è la parte interna di U',
allora M \ V' e M \ V sono omeomorfe. Non diamo questa dimostrazione, ma ci
limitiamo a osservare che è proprio per questo motivo che è necessaria l’ipotesi
che M sia connessa.
2.
Dare un esempio di una superficie M (non connessa) e di due sottospazi U e
U' di M omeomorfi entrambi a un disco D2, ma tali che M \ U e M \ U' non siano
tra loro omeomorfe.
3.
Quali problemi potrebbero sorgere se invece richiedessimo M’ omeomorfa
a M \ U, dove U è un sottospazio di M omeomorfo a un disco chiuso D2? E se
richiedessimo M’ omeomorfa a M \ U, dove U è un sottospazio di M omeomorfo
alla parte interna di un disco chiuso D2? Quali differenze ci sono rispetto alla
definizione data qui sopra?
4.
Se M’ si ottiene da M facendo un buco, e se M è compatta, allora anche M'
è compatta.
5.
Se M’ si ottiene da M facendo un buco, allora M’ è una superficie con
bordo; se M era una superficie senza bordo, allora M’ ha una sola componente
connessa di bordo; se M ha k componenti connesse, allora M’ ne ha k+1.
5.
Indichiamo con Vn,k (risp. Un,k) la superficie ottenuta da Vn (risp. Un)
facendo k buchi.
6.
Se M’ è ottenuta da M facendo un buco, allora (M’) = (M)-1. Per
giustificarlo, basta ricordare che la caratteristica non dipende dalla particolare
15
tassellazione scelta, e si può quindi partire da una tassellazione di M, di cui il
disco U che si andrà a rimuovere per ottenere M' rappresenti proprio una faccia.
Sia M una superficie connessa; si dice che M’ si ottiene da M attaccando un
manico, se M’ = M2/, dove M2 è la superficie ottenuta da M facendo due buchi e
 è la relazione di equivalenza ottenuta identificando tra loro, tramite una zip,
le due componenti connesse del bordo di M2 che (provengono dall’operazione di
aver fatto i due buchi ovvero che) non comparivano come componenti connesse
del bordo di M. Più in particolare, si dice che M’ si ottiene da M attaccando un
manico dritto, se la zip identifica queste due componenti secondo i versi
descritti nella seguente figura (a sinistra; a destra il risultato dell'operazione):
si dice che M’ si ottiene da M attaccando un manico incrociato, se la zip
identifica queste due componenti secondo i versi descritti nella figura di pagina
seguente (di nuovo, sulla destra il risultato dell'operazione).
Si intende che queste figure rappresentano solo la parte di M e M' che subisce
delle modifiche con l'operazione descritta: M e M' quindi coincidono al di fuori di
quanto viene illustrato in figura.
N.B. Stiamo parlando di superfici astratte e NON di superfici in 3, anche se il
disegno (ingannevolmente!) ce le fa immaginare come sottoinsiemi di 3; ciò vuol
dire che non dobbiamo preoccuparci se una realizzazione in 3 (come nel caso
dell'attaccamento del manico incrociato) fa pensare che la “continuazione” della
superficie possa poi presentare delle autointersezioni.
Se poi M è una superficie non connessa, si dice che M’ si ottiene da M attaccando
un manico, se una componente connessa di M’ si ottiene da una componente
16
connessa di M attaccando un manico (mentre tutte le altre componenti connesse
di M e di M’ coincidono).
Sia M una superficie.
Si dice che M’ si ottiene da M attaccando un cappuccio, se M’ = M1/, dove M1 è
la superficie ottenuta da M facendo un buco e  è la relazione di equivalenza
corrispondente alla identificazione descritta (sulla sinistra) nelle due figure
seguenti, quella qui di seguito e quella alla prossima pagina. Più in particolare, si
dice che M’ si ottiene da M attaccando un cappuccio, se l’identificazione è quella
descritta qui sotto a sinistra:
Si dice invece che M’ si ottiene da M attaccando un cappuccio incrociato, se
l’identificazione è quella descritta nella figura della prossima pagina, sulla
sinistra.
17
Come nel caso dei manici, le figure vanno interpretate immaginando che M e M'
coincidano al di fuori di quanto viene illustrato in figura.
Le figure sulla destra mostrano il risultato dell'operazione.
In particolare nel primo caso si vede che l’operazione di attaccare un cappuccio
non influisce sulla topologia di M, ovvero se M’ è ottenuta da M attaccando un
cappuccio, allora M’ e M sono omeomorfe.
Invece, la figura qui sopra sulla destra rappresenta un nastro di Moebius: ciò
significa che l'operazione di attaccare un cappuccio incrociato equivale a togliere
un disco e attaccare un nastro di Moebius alla circonferenza di bordo del disco
che si è tolto. Può essere un po' difficile immaginare di attaccare un nastro di
Moebius alla circonferenza di bordo di un disco (vedi 7212); vale comunque
anche in questo caso l'osservazione che si diceva a proposito dei manici
incrociati. Vedi anche [C], cap. 8, per delle illustrazioni delle tre costruzioni.
Enunciamo ora alcune proprietà di queste costruzioni che verranno utilizzate nel
seguito per dimostrare il teorema di classificazione delle superfici. Alcune sono
evidenti, magari con l'aiuto di una figura, altre sono più riposte.
Proprietà
1.
La superficie ottenuta dalla sfera S2 facendo un buco è omeomorfa a un
disco D2; la superficie ottenuta dalla sfera S2 attaccando un cappuccio incrociato
è omeomorfa a un piano proiettivo 2.
La prima affermazione non presenta difficoltà; per quel che riguarda la seconda,
si ricordi la discussione qui sopra e l'esempio 3 nel paragrafo 6 di [Q].
18
2.
La superficie ottenuta dalla sfera S2 attaccando un manico è omeomorfa a
un toro T (se si tratta di un manico dritto) e a una bottiglia di Klein K (se si
tratta di un manico incrociato). Una giustificazione di queste affermazioni si può
trovare nelle figure che seguono: se pensiamo di rappresentare una sfera a cui si
sia attaccato un manico dritto, dobbiamo immaginare che la parte mancante
della figura (quella che non viene modificata dall'operazione) sia un disco.
Questo disco va quindi poi a chiudere il buco nell'ultima figura sulla destra
mostrando che si tratta di un toro nel primo caso e di una bottiglia di Klein nel
secondo. Si poteva arrivare alla stessa conclusione anche dalle figure di pagina
16 (per il manico dritto) e 17 (per il manico incrociato).
3.
La superficie Vn si può ottenere dalla sfera S2 attaccando n manici dritti; la
superficie Un si può ottenere dalla sfera S2 attaccando n cappucci incrociati.
Esercizio: dimostrarlo; si suggerisce di procedere per induzione su n, utilizzando
le argomentazioni contenute nelle figure precedenti anche per il passo induttivo.
4.
Attaccare un manico incrociato equivale a attaccare due cappucci
incrociati. Cioè, se M’ è ottenuta da M attaccando un manico incrociato e M” è
19
ottenuta da M attaccando due cappucci incrociati, allora M’ e M” sono
omeomorfe. La figura alla pagina precedente mostra una dimostrazione di tipo
“taglia e cuci”.
5.
Se M’ è ottenuta da M attaccando un manico incrociato e un cappuccio
incrociato, e M” è ottenuta da M attaccando un manico dritto e un cappuccio
incrociato, allora M’ e M” sono omeomorfe.
La figura qui sotto mostra una dimostrazione di tipo “taglia e cuci”:
Chi ha una buona capacità di visualizzazione potrà convincersi di questo fatto
anche più semplicemente limitandosi a osservare che un cappuccio incrociato
contiene un nastro di Moebius 3 e che, facendo “scivolare” lungo una
circonferenza centrale del nastro di Moebius una delle due circonferenze che
vanno a identificarsi per formare il manico, il manico dritto “passa dall'altra
parte” e diventa un manico incrociato.
6.
Se M’ è ottenuta da M attaccando un manico (dritto o incrociato), allora:
(M’) = (M)-2;
se M’ è ottenuta da M attaccando un cappuccio incrociato, allora:
(M’) = (M) -1.
Dedurne che:
(Vn) = 2-2n; (Un) = 2-n; (Vn,k) = 2-2n-k; (Un,k) = 2-n-k.
3
In effetti l'affermazione si potrebbe riformulare dicendo che per una superficie non orientabile
coincidono le due operazioni di attaccare un manico dritto o un manico incrociato.
20
6.
Classificazione delle superfici
Nel paragrafo 3 abbiamo individuato due famiglie di superfici, le Vn (n0) e le Un
(n1). Cominciamo a osservare che queste sono tutte diverse fra loro, a meno di
omeomorfismo. Per giustificarlo basta osservare che sia l’orientabilità che la
caratteristica di Eulero sono invarianti topologici e che, se nm, allora:
(Vn)  (Vm) e (Un)  (Um).
Più avanti nel corso avremo a disposizione un altro invariante topologico, il
gruppo fondamentale, e dimostreremo che due superfici Vn e Vm (con nm),
ovvero Un e Um (con nm) hanno gruppi fondamentali fra loro non isomorfi; quindi
anche il gruppo fondamentale, insieme all'orientabilità, può essere un invariante
che permette di distinguere due superfici della stessa famiglia al pari della
caratteristica (che abbiamo solo asserito essere un invariante topologico, senza
averlo dimostrato).
Un’altra possibilità ancora è quella di far riferimento al genere della superficie M
che si definisce come il massimo numero di curve semplici, chiuse e disgiunte che
è possibile trovare su M senza sconnetterla (cioè tali che M \(γ1…γn) sia una
superficie connessa). Si può dimostrare che il genere è un invariante topologico e
che Vn (n0) e Un hanno genere n (osserviamo che nel caso n=0 ciò si riduce al già
citato teorema della curva di Jordan).
Possiamo anche far vedere che sono diverse fra loro tutte le superfici delle
famiglie Vn,k (n0, k0) e Un,k (n1, k0): per far questo basta osservare che
anche il numero delle componenti connesse del bordo è un invariante topologico.
Per arrivare alla classificazione delle superfici, resta da dimostrare che ogni
superficie compatta e connessa è omeomorfa a una superficie di queste
famiglie.
Teorema
(classificazione delle superfici)
Una qualsiasi superficie M compatta connessa e senza bordo è omeomorfa o a
una Vn (n0) oppure a una Un (n1).
21
Una qualsiasi superficie M compatta connessa e con bordo è omeomorfa o a una
Vn,k (n0, k>0) oppure a una Un,k (n1, k>0).
Dimostrazione
L’idea della dimostrazione è molto semplice.
Definiamo superficie ordinaria una superficie che è unione disgiunta di un
numero finito di componenti connesse, ciascuna delle quali si ottenga dalla sfera
S2 mediante un numero finito di operazioni di uno dei seguenti quattro tipi:

fare un buco

attaccare un manico (dritto)

attaccare un manico (incrociato)

attaccare un cappuccio incrociato.
Possiamo identificare una superficie ordinaria e connessa M tramite quattro
numeri interi a, b, c, d che indicano rispettivamente il numero di buchi, di
manici dritti, di manici incrociati e di cappucci incrociati con cui M si ottiene
dalla sfera S2. Scriviamo:
M = a bcd.
Partiamo ora da una qualunque superficie compatta M e consideriamone una
triangolazione; possiamo pensare questa triangolazione come un numero finito di
triangoli (le facce della triangolazione) identificati fra loro lungo i bordi, e
possiamo pensare a queste identificazioni come a delle zip. Immaginiamo allora
di aprire tutte queste zip; ci ritroviamo con un certo numero (finito!) di triangoli,
cioè con una superficie ordinaria, perché si tratta dell’unione disgiunta di un
numero finito di componenti connesse (corrispondenti alle facce della
triangolazione), ciascuna delle quali è omeomorfa a un disco D2, cioè a una
1000. Per ricostruire M a partire da questi triangoli, è sufficiente richiudere
tutte le zip.
L’ingrediente cruciale della dimostrazione è il seguente:
Lemma
Se X è una superficie ordinaria e X’ si ottiene da X chiudendo una zip, allora
anche X’ è una superficie ordinaria.
22
Rimandiamo la dimostrazione del lemma e facciamo prima vedere come si
conclude la dimostrazione del teorema.
Sappiamo a questo punto che ogni superficie compatta è una superficie ordinaria.
Se M è anche connessa, la si può identificare come una abcd, e, se M = ,
avremo a=0 e M = bcd.
Usiamo ora la proprietà 4 vista nel paragrafo precedente per eliminare i manici
incrociati: ogni manico incrociato equivale a due cappucci incrociati e quindi
M = bd+2c.
A questo punto ci sono due possibilità; se d+2c=0, allora
M = b
cioè M si ottiene dalla sfera attaccando b manici dritti e quindi è omeomorfa a
una Vb; se invece d+2c>0, possiamo usare la proprietà 5 del paragrafo precedente
per sostituire i manici con manici incrociati e questi a loro volta con una coppia
di cappucci incrociati: ne segue che
M = bd+2c = d+2c+2b
è omeomorfa a una Un, con n=d+2b+2c.
Se poi M  , con lo stesso ragionamento ci si può ridurre o a una
M = ab
che è omeomorfa a una Vb,a oppure a una
M = ad+2c+2b
che è omeomorfa a una Un,a con n=d+2b+2c.

Dimostrazione del lemma
Esaminiamo i diversi casi che possono accadere.
Sia X una superficie ordinaria, di tipo X = abcd, e indichiamo con Y e Y’ i due
sottospazi di X che vengono identificati tramite le zip.
Nel seguito, caso per caso, discuteremo ciò che accade riportando, in calce a
ciascuna figura, l’indicazione di come varia, in ciascuno di questi dieci casi, il
simbolo che identifica la superficie come superficie ordinaria. Naturalmente il
simbolo
si
riferisce
solo
alla
o
alle
dall’operazione.
23
componenti
connesse
coinvolte
Le figure vanno interpretate, come già osservato, intendendo che sia
rappresentata solo quella parte della superficie coinvolta dall’operazione di
chiudere una zip; in ciascuna figura la coppia di zip è rappresentata dalle due
linee a tratto più spesso.
Caso (A)
Può succedere che Y e Y’ siano omeomorfi a S1, e che rappresentino quindi una
intera componente connessa del bordo di X. Distinguiamo ancora tre sottocasi:
(A1)
Y e Y’ sono contenuti nella stessa componente connessa di X e la
zip induce su Y e Y’ verso opposto.
(A2)
Y e Y’ sono contenuti nella stessa componente connessa di X e la
zip induce su Y e Y’ lo stesso verso.
(A3)
(A1)
Y e Y’ sono contenuti in componenti connesse distinte di X.
abcd
(A3)

a-2b+1cd
abcd
(A2)
efgh
abcd  a-2bc+1d

a+e-2b+fc+gd+h
I casi (A1) e (A2) equivalgono a attaccare un manico (rispettivamente dritto o
incrociato), diminuendo nel contempo di 2 il numero delle componenti di bordo;
il caso (A3) corrisponde ad attaccare due diverse componenti connesse di X
identificando fra loro due circonferenze di bordo: la superficie risultante avrà
24
una sola componente connessa al posto delle due componenti contenenti le zip,
perderà due componenti di bordo (rispetto alla somma di quelle presenti prima di
chiudere le zip), mentre non vengono toccati manici o cappucci, che (per la
componente connessa coinvolta) saranno quindi la somma di quelli già presenti
nelle due componenti.
Caso (B)
Può succedere che Y e Y’ siano omeomorfi a un intervallo e che la loro unione
rappresenti una intera componente connessa del bordo di X. Distinguiamo ancora
due sottocasi:
(B1)
(B1)
la zip induce su Y e Y’ lo stesso verso.
(B2)
la zip induce su Y e Y’ verso opposto.
abcd

a-1bcd+1
(B2)
abcd

a-1bcd
Anche in questo caso è immediato verificare che si ottiene una superficie
ordinaria, perché l'operazione di chiudere la zip corrisponde ad attaccare un
cappuccio (rispettivamente incrociato o dritto), diminuendo nel contempo di 1 il
numero delle componenti di bordo.
25
Caso (C)
Può succedere che Y e Y’ siano omeomorfi a un intervallo, che siano contenuti
nella stessa componente connessa di X, ma la loro unione
NON
rappresenti una
intera componente connessa del bordo di X. Distinguiamo ancora due sottocasi:
(C1)
(C1)
la zip induce su Y e Y’ verso opposto.
(C2)
la zip induce su Y e Y’ lo stesso verso.
abcd

a+1bcd
(C2)
abcd 
abcd+1
Nel caso (C1), il risultato della chiusura delle zip è quello di ottenere due
componenti di bordo dove prima ce ne era una sola, senza toccare il resto: quindi
il numero degli  aumenta di uno e gli altri numeri restano invariati.
Il caso di (C2) è illustrato qui sotto con una costruzione di “taglia e cuci”:
La chiusura della zip in (C2) equivale quindi ad attaccare un cappuccio
incrociato: anche in questo caso si ottiene una superficie ordinaria.
26
Caso (D)
Infine può succedere che Y e Y’ siano omeomorfi a un intervallo, e che siano
contenuti in componenti connesse distinte Z e Z’ di X. Distinguiamo ancora tre
sottocasi:
(D1)
Z e Z’ appartengono a componenti connesse distinte di X.
(D2)
Z e Z’ appartengono alla stessa componente connessa di X e la zip
induce su Y e Y’ lo stesso verso.
(D3)
Z e Z’ appartengono alla stessa componente connessa di X e la zip
induce su Y e Y’ verso opposto.
(D1)
(D2)
abcd
abcd

efgh
a-1b+1cd
(D3)

a+e-1b+fc+gd+h
abcd

a-1bc+1d
Nel caso di (D1), si forma una sola componente di bordo al posto delle due su cui
si trovavano le due zip; la superficie risultante avrà una sola componente
connessa al posto delle due componenti contenenti le zip, non vengono toccati
27
manici e cappucci, quindi il numero degli  diminuisce di uno (rispetto alla
somma dei due numeri corrispondenti nelle due componenti), mentre gli altri
numeri saranno la somma di quelli già presenti nelle due componenti.
Lasciamo invece al lettore l'esercizio di immaginazione di convincersi di ciò che
accade nei casi (D2) e (D3); può essere utile cominciare a immaginare cosa
succederebbe se la zip occupasse l’intera componente connessa e capire poi
quali modifiche vanno apportate rispetto a tale situazione.

Esercizi, esempi, osservazioni
1.
I casi descritti
NON
esauriscono tutte le possibilità; ad esempio abbiamo
chiamato (C) il caso in cui Y e Y’ sono omeomorfi a un intervallo, contenuti nella
stessa componente connessa di X, ma la loro unione
NON
rappresenta una intera
componente connessa del bordo di X e nei due sottocasi esaminati (C1) e (C2)
abbiamo rappresentato Y e Y’ come disgiunti: in realtà potrebbe anche accadere
che si intersechino in un punto, in modo che risulti connesso il complementare
della loro unione nella componente connessa di X che li contiene.
Convincersi che però in questo e negli altri possibili casi analoghi non si
presentano fenomeni diversi da quelli già considerati.
2.
Costruire esplicitamente un omeomorfismo tra un disco con due buchi e un
cilindro con un buco.
3.
Estendere il teorema di classificazione delle superfici al caso non
connesso è immediato: una superficie M compatta senza bordo sarà l'unione
disgiunta di un numero finito (esercizio: perché necessariamente finito?) di
componenti connesse, ciascuna delle quali è omeomorfa o a una Vn oppure a una
Un . Non è altrettanto semplice l’estensione al caso non compatto.
4.
Sia M una superficie compatta e connessa, con o senza bordo; per
riconoscere di quale superficie si tratta sono sufficienti tre informazioni: la
caratteristica di M (o, in alternativa, il suo genere), il numero delle componenti
connesse di M, e il fatto che M sia orientabile oppure no. Usare questo fatto per
riconoscere esplicitamente delle superfici, ad esempio:
•
11389, 12183, 12683;
28
•
le superfici che potete trovare alla pagina
http://www.xlatangente.it/xlatangente/offSubSectById.do?id=49
•
I seguenti poligoni con identificazioni:
abca-1b-1c-1, abcab-1c-1, abcabc, abcab-1c-1,afa-1beb-1cf-1c-1 d e-1d-1;
•
Le superfici X e Y assegnate dalle identificazioni qui sotto in figura:
•
Le superfici M e M’ disegnate nelle due prossime figure: M si può
immaginare, come indicato sulla destra, ottenuta da una corona circolare
attaccando un rettangolo dopo aver dato una mezza torsione; M’ si
ottiene analogamente da una corona circolare attaccando tre rettangoli
dopo aver dato a ciascuno una mezza torsione; potete provare a
realizzare un modello di M e di M’ con carta e scotch.
29
5.
A volte si trova la dicitura "toro con due buchi", "toro con tre buchi",... a
indicare le superfici V2, V3, ...; questa terminologia non è adeguata, e non
soltanto perché può confondersi con il "buco", nell'accezione in cui qui lo
abbiamo usato (e cioè ciò che si ottiene togliendo un sottoinsieme omeomorfo a
un disco aperto e creando così una componente di bordo). In effetti quando ci si
riferisce per esempio a V2 come a un “toro con due buchi”, si ha in mente una
immagine della superficie V2 immersa in modo standard in 3, (come ad esempio
in 11405); ma basta considerare altri esempi di superfici omeomorfe a Vn (vedi
p.es. 3612) per accorgersi sia che può non essere affatto chiaro indicare dove
siano gli n “buchi", sia soprattutto il fatto che questa caratteristica si riferisce
non tanto alla superficie Vn in quanto tale, quanto piuttosto a una sua particolare
immersione, in forma standard, come sottospazio di 3 (vedi *702).
Riferimenti bibliografici
[C]
Conway, Burgiel, Goodman-Strauss, The symmetries of things, Peters,
2008; capitoli 8 e 9
[D]
Dedò, Forme, Decibel-Zanichelli,1999, cap. 10
[H]
Hatcher, Algebraic topology, 2001, capitoli 0 e 1, reperibile in rete
all'indirizzo
http://www.math.cornell.edu/\symbol{126}hatcher/AT/ATpage.html
[J]
Janich, Topologia, Zanichelli 1994; capitoli 1,3,5,7
[K]
Kosniowski, Introduzione alla topologia algebrica, Zanichelli, 1988.
[M]
Moise, Elementary geometry from an advanced standpoint, Addison
Wesley, 1963
[Q]
Dedò, Quozienti, Note per il corso di Geometria IV, Milano, 2010
30