RCPgiurisprudenza 1282..1297 - Ordine degli avvocati di Brescia

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RCPgiurisprudenza 1282..1297 - Ordine degli avvocati di Brescia
giurisprudenza
D A N N O N O N PAT R I M O N I A L E
| 3 AUTONOMIA DEL DANNO
ESISTENZIALE NELLA SFERA NON
PATRIMONIALE
Cass. civ., 6 febbraio 2007, n. 2546 - Sez. III - Pres. Fiduccia - Rel. Nino
Danno non patrimoniale - Perdita del rapporto parentale - Conseguenze - C.d. danno esistenziale - Configurabilità - Nozione - Caratteri - Natura - Danno non patrimoniale - Diversità rispetto al danno biologico e al danno morale soggettivo - Prova - Allegazione nell’atto
introduttivo del giudizio - Necessità.
(c.p.c. artt. 335 e 343; l. 24 dicembre 1969, n. 990, artt. 19 e 21)
Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalita`nel mondo esterno, non costituisce una componente o voce ne´del
danno biologico ne´del danno morale, ma un autonomo titolo di danno.
Il riconoscimento del danno esistenziale non puo`prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In
mancanza la richiesta fattane per la prima volta in appello `
e da ritenere nuova e inammissibile.
F A T T O . - Con citazione del 31 dicembre 1993 M.D., in proprio e nella qualità di esercente la
potestà sul figlio minore G.F., ha agito per il risarcimento dei danni conseguenti al decesso del
coniuge A.F., verificatosi il 7 ottobre 1985 a causa delle lesioni riportate nello scontro tra il ciclomotore condotto dalla vittima e l’autocarro di proprietà di G.R., condotto da C.R., non coperto da
assicurazione.
Il Tribunale di Torre Annunziata ha condannato i R. e le Assicurazioni Generali s.p.a., quest’ultima quale impresa designata dal F.G.V.S., al pagamento in solido della somma di lire
240.000.000 a titolo di risarcimento del danno morale.
La sentenza è stata appellata in via principale da Generali Assicurazioni s.p.a., che ha dedotto di
dover rispondere nei limiti del massimale previsto di lire 100.000.000, e in via incidentale dalla D.,
la quale ha altresı̀ domandato la condanna della compagnia di assicurazioni e dei R. al risarcimento
del danno biologico, del danno patrimoniale e del danno esistenziale, nonché al pagamento delle
spese del giudizio in misura maggiore di quella liquidata dal primo giudice. Quanto al massimale,
la D. ha controdedotto che il limite previsto dalla legge era di 150.000.000, e non di 100.000.00, e
che, in ogni caso, lo stesso poteva essere nella specie superato per mala gestio della società.
La Corte d’appello di Napoli ha escluso la mala gestio e, rilevato che il massimale di lire
150.000.000, pur rispondente alle previsioni di legge, non aveva formato oggetto di motivo specifico di impugnazione da parte della D., che mancava la prova del danno biologico e del danno
patrimoniale, che la domanda relativa al danno esistenziale, diversamente dalle quelle concernenti gli altri danni, era stata proposta per la prima volta in appello, sicché era inammissibile, e
che, infine, la censura relativa alle spese era generica, ha limitato la condanna delle Generali a
lire 100.000.000 ed ha rigettato l’appello incidentale.
Avverso quest’ultima decisione la D. in proprio e nella qualità ha proposto ricorso per Cassazione affidandolo a tre motivi.
Generali Assicurazioni s.p.a. ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
D IR IT TO. - Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi, ex art. 335 c.p.c.
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DANNO NON PATRIMONIALE | 3
Col primo motivo (violazione dell’art. 343 c.p.c.) la ricorrente principale ha dedotto che la Corte
di merito ha errato nel ritenere che avrebbe dovuto proporre appello incidentale per far valere il
maggior massimale dı̀ lire 150.000.000 in luogo di quello di lire 100.000.000 dedotto dalle Generali
quale limite della propria responsabilità, essendole stato liquidato in primo grado l’importo di lire
240.000.000 ed essendo pertanto risultata in tale grado e su tale punto totalmente vittoriosa.
La censura è fondata.
A parte che spetta al giudice accertare d’ufficio i limiti dei massimali di legge ai fini dell’applicazione degli artt. 19 e 21 della legge n. 990/1969, avendo i decreti con i quali tali limiti vengono fissati
o modificati natura di atti normativi, sebbene di rango non primario, sicché gli stessi non hanno bisogno di essere né provati né fatti oggetto di specifiche deduzioni (Cass. civ. n. 4016/2006); allorquando, come nella specie, il giudice di primo grado liquidi un importo che superi il limite di legge
fatto valere dall’impresa designata dal FGVS, la parte che si è vista attribuire tale maggiore importo, da considerare per ciò stesso vittoriosa sul punto, non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere un diverso limite di legge, maggiore di quello dedotto dall’impresa ma inferiore all’importo liquidato, essendo a tal fine sufficiente una mera controdeduzione o difesa.
Col secondo motivo (omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia, nonché violazione e falsa applicazione della legge 990/69) la ricorrente principale ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la società era incorsa in mala gestio, per cui avrebbe dovuto rispondere oltre il limite del massimale.
La censura è inammissibile.
La valutazione del comportamento dell’assicuratore ai fini della configurabilità di una responsabilità per mala, gestio si risolve in un giudizio di mero fatto, riservato al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità se, come nella specie, congruamente motivato con riferimento
alla messa a disposizione del massimale di legge, da parte dell’impresa designata, attese le concorrenti pretese del datore di lavoro della vittima per il rimborso di somme erogate alla famiglia
in conseguenza del decesso, mediante deposito fruttifero in banca a favore dell’avente diritto.
Né rileva, come pure prospettato dalla ricorrente, che per giurisprudenza di questa o di altra
Corte il datore di lavoro della vittima non potesse far valere alcun diritto sulle somme dovute al
lavoratore o ai suoi eredi a titolo di risarcimento del danno morale (o biologico): la valutazione
della condotta dell’assicuratore va sı̀ effettuata ex ante, ma secondo un parametro di diligenza
media, che certamente non contempla la conoscenza della giurisprudenza.
Col terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 Ce, nonché del d.P.R. n. 585/94)
la ricorrente principale ha dedotto che: contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di merito, il
danno biologico e il danno patrimoniale per la morte di un congiunto in conseguenza del fatto illecito altrui sono in re ipsa, discendendo dal fatto in sé, sicché, quand’anche non provati nel loro
esatto ammontare, vanno riconosciuti e liquidati in via equitativa; che il danno esistenziale deve
ritenersi sempre ricompreso nella domanda introduttiva di risarcimento dei danni, per cui è da
escludere che la richiesta esplicitata in appello possa considerarsi nuova e inammissibile; che la
doglianza relativa alle spese del primo grado non era affatto generica.
Le prime tre censure sono infondate.
È configurabile un danno biologico risarcibile per gli stretti congiunti della persona deceduta
a causa di illecita condotta altrui allorché le sofferenze causate a costoro dalla perdita abbiano
determinato una lesione dell’integrità psicofisica degli stessi. Il risarcimento, perciò, può essere
riconosciuto e liquidato, anche in via equitativa, solo se sia stata fornita la prova che il decesso
abbia inciso negativamente sulla salute dei congiunti, determinando una qualsiasi apprezzabile
permanente patologia o l’aggravamento di una patologia preesistente (Cass. civ. n. 1442/2002).
Del pari, non essendo configurabile un danno patrimoniale « in re ipsa », il diritto al risarcimento di tale danno, che spetta ai congiunti di persona deceduta a causa di altrui fatto illecito, ex
art. 2043 Ce, richiede l’accertamento che i medesimi siano stati privati di utilità economiche di
cui già beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro (Cass.
civ. n. 12597/2001, n. 3549/2004 e n. 4980/2006).
Il danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva
ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri
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del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua
personalità nel mondo esterno (Cass. civ. 6572/2006), non costituisce una componente o voce né
del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno, il cui riconoscimento
non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo. In mancanza, la richiesta fattane per la
prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile, ex art. 345.
La quarta censura, concernente il rigetto dell’appello sul punto della liquidazione delle spese
fatta dal primo giudice, è inammissibile, essendo rimasta anche in questo grado su un piano di
assoluta genericità.
Col proprio mezzo la ricorrente incidentale ha dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto
dalla Corte d’appello, il massimale di legge era all’epoca del sinistro di lire 100.000.000 e non di
lire 150.000.000.
Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale. Sarà il giudice di rinvio ad accertare l’ammontare del massimale di legge previsto per singolo danneggiato.
In conclusione: va accolto il primo motivo del ricorso principale, vanno rigettati gli altri motivi del
medesimo ricorso e, assorbito il ricorso incidentale, va cassata in relazione la sentenza impugnata e
la causa va rinviata anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli. (Omissis).
DANNO ESISTENZIALE QUALE AUTONOMA VOCE DI
DANNO DISTINTA DAL DANNO BIOLOGICO E DAL
DANNO MORALE
di Domenico Chindemi – Magistrato
Viene riaffermata l’autonomia risarcitoria del danno esistenziale rispetto al danno biologico e al danno morale nell’ambito del danno non patrimoniale, ribadendo la Corte di Cassazione la natura esteriore, oggettivamente accertabile, del danno esistenziale di natura non meramente emotiva ed interiore, come, invece,
il danno morale.
Ai fini del suo riconoscimento è necessario che vengano alterate le abitudini di vita e gli assetti relazionali
propri del danneggiato, inducendolo a scelte di vita diverse rispetto a quelle che avrebbe operato in mancanza dell’illecito ove incidano, in senso negativo, sulla realizzazione della sua personalità nel mondo
esterno.
Sotto il profilo processuale, ai fini del riconoscimento del danno esistenziale, ed è questa la vera novità
della sentenza, è necessario che fin dall’atto introduttivo del giudizio venga allegato tale pregiudizio con la
specificazione della sua natura e caratteristiche, cioè della effettiva incidenza sull’alterazione delle abitudini
di vita del danneggiato.
Sommario 1. Necessità di allegazione del danno esistenziale nell’atto introduttivo del giudizio. — 2. Autonomia del danno esistenziale rispetto al danno biologico ed al danno morale. — 3. Prova del danno esistenziale.
1. NECESSITÀ DI ALLEGAZIONE DEL DANNO ESISTENZIALE
NELL’ATTO INTRODUTTIVO DEL GIUDIZIO
La sentenza si segnala per avere affermato la necessità di formulare domanda, già
nell’atto introduttivo del giudizio, di risarcimento del danno esistenziale, non poten-
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dosi, per la Corte di Cassazione, ritenere compresa tale voce di danno nella generica
domanda di risarcimento danni, dovendo, per la sua particolarità ed autonomia, essere enucleata specificamente e « in mancanza — rileva la Corte — la richiesta fattane
per la prima volta in appello è da ritenere nuova e inammissibile ».
Trattasi di una pronuncia che trova giustificazione nella riconosciuta autonomia
del danno esistenziale, rispetto alle altre voci di danno.
Invero se la accertata necessità di una specifica domanda corrisponde all’esigenza
di delimitare l’oggetto del giudizio a specifiche questioni predeterminate, non può
non rilevarsi che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 233 del 11 luglio
2003, ha ritenuto legittima anche la liquidazione di un’unica voce di danno non patrimoniale ricomprendente tutte le compromissioni di natura non patrimoniale, tra cui
anche il danno esistenziale.
Le due enunciazioni, apparentemente antitetiche, possono coesistere e appaiono
complementari tra loro, implicando la prima la necessità, ai fini del riconoscimento
del pregiudizio esistenziale, dell’allegazione nell’atto introduttivo, salva la successiva
prova nel corso dell’istruzione probatoria, mentre il criterio liquidatorio è lasciato al
prudente apprezzamento del giudice che potrà, ove riconosciuto sussistente il danno
esistenziale, liquidarlo quale autonoma voce di danno o ritenerlo inglobato all’interno
del danno non patrimoniale, ove liquidato in un’unica voce onnicomprensiva di tutti i
pregiudizi non reddituali.
Va condiviso l’orientamento della Suprema Corte che ritiene che debba essere formulata la relativa domanda correlata, quantomeno, dalla allegazione dei fatti a supporto del danno fin dalla fase introduttiva del giudizio, tenendo conto della riconosciuta autonomia del danno esistenziale, pur con qualche precisazione.
Deve, anzitutto, ritenersi che l’onere di specificazione è da ritenere assolto anche
in difetto di quantificazione monetaria della pretesa risarcitoria, della quale siano,
però, indicati i relativi titoli giustificativi, in quanto sovente appare difficile l’esatta
quantificazione del danno fin dalla fase introduttiva del giudizio ed una avventata ed
eccessiva richiesta potrebbe avere conseguenze sulla regolamentazione delle spese di
causa.
Si segnala anche l’orientamento intermedio della S.C. che in forza dell’unitarietà
del diritto al risarcimento ed al suo riflesso processuale sull’ordinaria infrazionabilità
del giudizio di liquidazione ritiene che quando un soggetto agisce in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni cagionatigli da un determinato comportamento del convenuto, la domanda si riferisce a tutte le possibili voci di danno originate da quella condotta, puntualizzando che tuttavia, tale principio non può trovare applicazione quando
l’attore « ab initio » o durante il corso del giudizio abbia esplicitamente escluso il riferimento della domanda a tutte le possibili voci di danno, dovendosi coordinare il principio
di infrazionabilità della richiesta di risarcimento con il principio della domanda (1).
(1)
Cass. civ., 7 dicembre 2004, n. 22987: La Corte
ritiene che il principio della infrazionabilità della
richiesta di risarcimento non trova applicazione
quando sia esclusa « a priori » la potenzialità della
domanda a coprire tutte le possibili voci di danno,
la qual cosa può accadere quando tale esclusione
sia adeguatamente e nei modi opportuni manife-
stata dall’attore, od « ab initio », o nel corso del giudizio. In tal senso, con riferimento al danno biologico ritenuto ricompresso nella generica domanda
risarcitoria di tutti « i danni patrimoniali e non patrimoniali », Cass. civ., 26 febbraio 2003, n. 2889, in
Dir. ec. ass., 2004, 252.
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Infatti nella ipotesi di originaria frammentazione del danno in determinate voci e
di successiva deduzione, nel corso del medesimo grado di giudizio, tardivamente rispetto al vigente sistema delle preclusioni processuali, di voci ulteriori quali il danno
esistenziale, proprio per la sua riconosciuta autonomia, non può parlarsi di una mera
« emendatio libelli » con correlativo ampliamento del « petitum » mediato, ma di una
non consentita « mutatio libelli » (2).
Mentre le varie voci di danno non integrano una pluralità e diversità strutturale di
« petitum », ma ne costituiscono soltanto delle articolazioni o « categorie » interne,
quanto alla sua specificazione quantitativa, il danno esistenziale costituisce, invece,
un vero e proprio « genus » autonomo rispetto alle tradizionali categorie del danno civile, sicché la relativa richiesta introduce un nuovo tema di indagine e di decisione in
qualunque grado del giudizio intervenga, concretando, per l’effetto, una vera e propria « mutatio libelli » (3).
Si ritiene, tuttavia, che mentre l’onere della formulazione della domanda risarcitoria ancorché generica per tipologia di danno (patrimoniale e/o non patrimoniale) sussista fin dall’atto introduttivo del giudizio (citazione o ricorso), il termine ultimo per la
specificazione della domanda (con la esplicita richiesta del danno esistenziale o di altri danni) e la compiuta allegazione dei fatti posti a fondamento della domanda possa
essere differito alla udienza di prima comparizione in cui le parti possono « precisare
e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate » (art. 183, comma 5,
ultimo alinea, c.p.c.).
L’allegazione puntuale dei fatti, anche se genericamente enunciati nell’atto di citazione o nel ricorso introduttivi del giudizio, quale precisazione della domanda, può essere integrata fino a tale udienza, senza incorrere in alcuna preclusione processuale.
La proposizione ella relativa domanda o al specificazione dei fatti, oltre tale termine deve ritenersi tardiva e preclude la pronuncia favorevole sulla domanda risarcitoria.
Non è necessario, tuttavia, che i fatti siano enunciati nella parte motiva del ricorso
o dell’atto di citazione, potendo anche desumersi dalle richieste istruttorie, quali i capitoli di prova dedotti in cui si fa menzione dei lamentati pregiudizi esistenziali.
Per il principio di infrazionabilità della richiesta di risarcimento del danno coordinato con il principio dispositivo della domanda (artt. 99 e 112 c.p.c.) deve ritenersi
che nell’ipotesi in cui nell’atto di citazione siano indicate specifiche voci di danno non
patrimoniale e tra le stesse non sia indicata quella relativa al danno esistenziale, l’eventuale domanda proposta oltre il termine di cui all’art. 183 c.p.c., nel giudizio di
primo grado o in appello è inammissibile per novità ai sensi dell’art. 345 c.p.c. (4).
Sempre in forza del medesimo principio la liquidazione del danno, nelle sua varie
voci, deve avere luogo, unitariamente, nel primo grado del processo (5).
(2)
Cfr. Cass. civ., 6 agosto 1997 n. 7275.
In tal senso, con riferimento al danno biologico, Cass. civ., 5 luglio 2001, n. 9090; Cass. civ., 9
maggio 1988, n. 3403.
Sulla specifica questione Magni, Domanda di risarcimento del danno biologico proposto per la
prima volta in appello e divieto di « ius novorum »,
in Giur. it., 1994, 1491.
(3)
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(4)
Sulla questione generale del divieto dei nova
in appello di cui all’art. 345 c.p.c. e sulla potestas
iudicandi del giudice, Solinas, Il divieto dei nova in
appello e sua applicazione in materia di risarcimento danni, in Nuova giur. civ. comm., 2002, 315.
(5)
Pertanto, quale ulteriore logica conseguenza,
non è ammissibile che taluno agisca in giudizio per
il risarcimento del danno esponendo determinate
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Eccezioni giustificate alla inscindibilità del giudizio sul « quantum debeatur », sono
previste espressamente dalla legge, come, ad esempio, la condanna ad una provvisionale, con prosecuzione del processo per la liquidazione definitiva (art. 278 cpv. c.p.c.)
o la possibilità di ottenere in appello i danni sofferti dopo la sentenza di primo grado
(art. 345 cpv. c.p.c.).
Tale pronuncia si pone in apparente contrasto con altra abbastanza recente della
III sezione della Corte di Cassazione che riteneva che la domanda di risarcimento di
tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti
del soggetto responsabile, per la sua onnicomprensività esprime la volontà di riferirsi
ad ogni possibile voce di danno, con la conseguenza che solo nel caso in cui nell’atto
di citazione siano indicate specifiche voci di danno, l’eventuale domanda proposta in
appello per una voce non già indicata in primo grado, costituisce domanda nuova,
come tale inammissibile (6).
Tuttavia la Corte, nella sentenza in rassegna, sembra non ritenere sufficiente la
mera domanda risarcitoria specifica del danno esistenziale, richiedendo anche la
« specifica allegazione » dei fatti posti a base della domanda.
Con la richiesta di specificazione e allegazione del danno esistenziale, (ma le stesse
considerazioni sembrano valere anche per il danno biologico e morale) va escluso
che possa farsi riferimento ad una generica categoria di « danno esistenziale », che finirebbe per ricondurre anche tale voce di danno non patrimoniale nel catalogo dell’atipicità, richiedendosi anche l’allegazione del danno stesso nella sua concreta estrinsecazione personalizzata.
Sarà, quindi, onere del difensore, prospettare le situazioni di valenza pregnante su
cui fondare il ristoro del danno esistenziale. A titolo esemplificativo, nel caso di danno
da morte occorre evidenziare, ove effettivamente sussistente, il vuoto esistenziale che
rimane in un soggetto il cui familiare sia deceduto a causa dell’altrui condotta colposa
o dolosa, la menomazione stabile e duratura del benessere psichico e sociale che il de
cuius garantiva ai suoi prossimi congiunti, lo sconvolgimento delle abitudini di vita
del nucleo familiare derivante dalla scomparsa della figura del congiunto, etc.
Un orientamento più permissivo, escluso dalla sentenza in rassegna, consentirebbe, invece, la specificazione della domanda risarcitoria del danno non patrimovoci e, poi, definito il giudizio con il giudicato, agisca « ex novo » per il risarcimento di altri danni derivanti dallo stesso fatto ma in relazione a nuove
voci, diverse da quelle prima esposte.
Perché tale principio non trovi applicazione è
necessario che sia esclusa « a priori » la potenzialità
della domanda a coprire tutte le possibili voci di
danno, la qual cosa può accadere solo quando tale
esclusione sia adeguatamente e nei modi opportuni
manifestata dall’attore, o « ab initio » o nel corso
del processo. Cass. civ., 26 febbraio 2003, n. 2889,
in Dir. ec. ass., 2004, 252.
(6)
Cass. civ., 19 maggio 2006, n. 11761; rileva la
Corte come a fronte della richiesta originaria contenuta in citazione di risarcimento di tutti i danni
subiti, senza ulteriore specificazione delle varie
componenti della complessiva istanza risarcitoria,
gli attori, in sede di conclusioni definitive, avevano
più analiticamente indicato che essi reclamavano il
danno patrimoniale, quello morale, quello biologico
iure proprio ed iure successionis nonché il danno
esistenziale.
È stata, quindi, ritenuta non affetta da nullità la
domanda generica tendente ad accertare « il giusto
ammontare dei danni subiti e subendi dagli istanti,
condannando i convenuti al pagamento della ulteriore somma corrispondente ai pregiudizi a tutt’oggi
non compensati », onde è di tutta evidenza che la
domanda, piuttosto che diretta ad ottenere la mera
declaratoria iuris di cui all’art. 278 c.p.c., aveva, invece, lo scopo specifico di ottenere l’accertamento
della concreta sussistenza dei danni e la determinazione dell’esatto loro ammontare.
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niale, formulata genericamente nell’atto introduttivo, fino all’udienza di precisazione
delle conclusioni, non solo con riferimento al quantum, a volte concretamente individuabile a seguito di Consulenza tecnica o altri accertamenti solo nella fase dell’istruzione probatoria, ma anche per le singole voci di danno solo genericamente ed onnicomprensivamente richieste nella domanda.
Se nelle conclusioni, precisate in forma analitica, non viene indicata la voce del
danno esistenziale la relativa domanda deve, comunque, intendersi abbandonata proprio per la funzione individualizzante attribuita alla precisazione delle conclusioni.
Quindi, ove con l’atto di citazione sia chiesto genericamente il risarcimento di « tutti i
danni », mentre, nel precisare le conclusioni, venga domandato soltanto il risarcimento di alcune voci di danno, deve intendersi rinunciata la domanda di risarcimento
dei danni non richiesti (7).
In ogni caso la funzione di individuare le domande non può essere attribuita alle
comparse conclusionali che hanno una funzione puramente illustrativa, non necessariamente di tutte le domande, ma solo di quelle che la parte ritiene opportuno illustrare. Da ciò consegue che se una parte tratta nella comparsa conclusionale solo alcune delle domande precisate nelle conclusioni, ciò non significa che le altre sono abbandonate, solo perché non « illustrate » nella comparsa conclusionale (8).
Tuttavia, occorre segnalare che il giudizio circa la novità o meno della domanda
formulata dalla parte nel corso del giudizio è rimesso alla valutazione del giudice di
merito, e non è censurabile in sede di legittimità se esente da vizi logici ed errori giuridici (9).
2. AUTONOMIA DEL DANNO ESISTENZIALE RISPETTO AL
DANNO BIOLOGICO ED AL DANNO MORALE
La sentenza si riferisce al riconoscimento del danno tanatologico a favore dei familiari
(moglie e figlio) per la morte del coniuge e padre degli istanti e si caratterizza per le
sintetiche, chiare enunciazioni, relative alla discussa figura del danno esistenziale
che, anche con la sentenza in rassegna, ha assunto pieno riconoscimento nell’ambito
del sistema della responsabilità civile da illecito aquiliano, quale autonoma voce di
danno distinta dal danno biologico e dal danno morale (10).
(7)
In tal senso, con riferimento al danno morale
Cass. civ., 11 marzo 1998, n. 2673; Cass. civ., 14 luglio 2000, n. 9370.
(8)
Cass. civ., 26 febbraio 2003, n. 2889, in Dir. ec.
ass., 2004, 252.
(9)
Cass. civ., 12 gennaio 2006, n. 422.
(10)
Sulla figura del danno esistenziale elaborata
dalla « Scuola Triestina », Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Milano, 2003; Ziviz,
« Il danno esistenziale », in P. Cendon e A. Baldassari (a cura di), Il danno alla persona, Bologna,
2006. Cendon, Non di sola salute vive l’uomo, in Riv.
crit. dir. priv., 1999, 567; Bona, voce Danno esistenziale, Dig. IV ed., Disc. Privatistiche, Sez. civ., Aggiornamento; Ziviz, Verso un altro paradigma risarcitorio, in Il danno esistenziale. Una nuova categoria
della responsabilità civile, a cura di Cendon-Ziviz,
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Milano, 2000, Monateri-Bona-Oliva, Il nuovo
danno alla persona, Milano, 1999; Ziviz, La tutela
risarcitoria della persona. Danno morale e danno
esistenziale, Milano, 1999; Bilotta, Attraverso il
danno esistenziale, oltre il danno esistenziale, in
questa Rivista, 2006, 105; Di Marzio, Beni a valenza
esistenziale, in P. Cendon (a cura di), Persona e
danno, Milano, 2004, 3171.
Criticano, sotto vari profili, tale voce di danno,
Busnelli, Il danno alla persona al giro di boa, in
questa Rivista, 2003, 237; Gazzoni, L’art. 2059 c.c. e
la Corte Costituzionale, la maledizione colpisce ancora, in questa Rivista, 2003, 1315; Ponzanelli, Sei
ragioni per escludere il risarcimento del danno esistenziale, in Danno resp., 2000, 693; In particolare
paventa il pericolo di aumento delle liti « bagatellari », Busnelli, Chiaroscuri d’estate. La Corte di
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DANNO NON PATRIMONIALE | 3
Viene ormai riconosciuta dalla Suprema Corte, sempre più attenta a cogliere le esigenze di una società in evoluzione, l’importanza della tutela, anche risarcitoria, della
qualità delle vita, ove pregiudicata da fatto illecito altrui, intesa quale pregiudizio (di
natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile) che alteri le
abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse
quanto all’espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno (11).
Tale pregiudizio, chiarisce la Cassazione,, non costituisce una componente o voce né
del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno (12).
Vengono, cosı̀, tacitate le ultime ma non sopite voci di una giurisprudenza e dottrina, ormai minoritarie, che negano diritto di cittadinanza al danno esistenziale, ritenendolo assorbito ora nel danno biologico ora nel danno morale e la cui insistenza su
tali posizioni di retroguardia che non tenendo conto della evoluzione della giurisprudenza degli ultimi anni e soprattutto della mutata realtà sociale, assomiglia, con un
paragone bellico, ai giapponesi rimasti nella foresta che non si erano resi conto che la
guerra era finita da anni (13).
Basta prestare attenzione a ciò che accade quotidianamente nella realtà che ci circondo per rendersi conto che la qualità della vita, anche psichica, di ciascuna persona,
in base alla sue abitudini, alle condizioni sociali, ambientali, è un bene che assume
un valore pregnante, ancor più della assenza di malattia e come tale va tutelato contro
ogni sua alterazione, soprattutto quando sia cagionata illecitamente.
Non è un caso, ad esempio, che il Festival di Sanremo del 2007 sia stato vinto da
una canzone (« Ti regalerò una rosa ») in cui è possibile cogliere la deteriorata qualità
della vita nei « manicomi » o che vengano organizzati da associazioni culturali, sociali
e filosofiche insieme ad associazioni o fondazioni di medicina, convegni non sulla
Cassazione e il danno alla persona, in Danno resp.,
2003, 976.
(11)
Sul nuovo sistema risarcitorio del danno non
patrimoniale, dopo gli interventi della Corte di cassazione e della Corte costituzionale del 2003, tra gli
altri, Bona-Monateri, Il nuovo danno non patrimoniale, Milano, 2004; Franzoni, Fatti illeciti, art.
2043, 2056-2059, in Comm. cod. civ. ScialoiaBranca, Libro IV - delle obbligazioni - titolo IX, dei
fati illeciti - Supplemento, Bologna; Ponzanelli (a
cura di), Il « nuovo » danno non patrimoniale, Padova, 2004; Berti-Peccenini-Rossetti, I nuovi
danni non patrimoniali, Milano, 2004; Navarretta
(a cura di), I danni non patrimoniali. Lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, Milano, 2004; Castronovo, Il danno alla persona tra essere e avere,
in Danno resp., 2004, 237; Scalisi, Il danno esistenziale: la « svolta » della Suprema Corte di Cassazione
avallata « quasi in simultanea » dalla Corte Costituzionale, in Nuova giur. civ. comm., 2004, 58; Tucci,
Danno non patrimoniale, valori costituzionali e diritto vivente, in Danno resp., 2004, 701; Franzoni, Il
nuovo corso del danno non patrimoniale, in Contr.
impr., 2003, 1292; Gazzoni, cit., 1292.
(12)
Evidenzia le tensioni esistenti in dottrina sull’ampiezza del danno non patrimoniale, Ponza-
nelli, Le tre voci di danno non patrimoniale: problemi e prospettive (Relazione tenuta al Convegno
di studi sul tema « Il nuovo sistema dei danni non
patrimoniali », Bari, 24 ottobre 2003).
(13)
Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, in quanto ontologicamente diverso
dal danno morale soggettivo contingente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente
a quest’ultimo, senza che ciò implichi una duplicazione di risarcimento. Tuttavia, essendo funzione e
limite del risarcimento del danno alla persona, unitariamente considerata, la riparazione del pregiudizio effettivamente subito, il giudice di merito, nel
caso di attribuzione congiunta del danno morale
soggettivo e del danno da perdita del rapporto parentale, deve considerare, nel liquidare il primo, la
più limitata funzione di ristoro della sofferenza
contingente che gli va riconosciuta, poiché, diversamente, sarebbe concreto il rischio di duplicazioni
del risarcimento, e deve assicurare che sia raggiunto un giusto equilibrio tra le varie voci che
concorrono a determinare il complessivo risarcimento, Cass. civ., 31 maggio 2003, n. 8828, in questa Rivista, 2003, 675, con note di Cendon, Bargelli
e Ziviz.
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P.1289 |
giurisprudenza
3 | DANNO NON PATRIMONIALE
cura e terapia delle malattie, ma sulla qualità della vita dei malati, quali la Prima conferenza internazionale, organizzata a Napoli per il 7 e 8 marzo 2007 dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la Seconda Università di Napoli, L’istituto Mario Negri di
Bergamo e al Fondazione Italiana del Rene, dal titolo, significativo, « Spravvivere non
è abbastanza ».
Non è un caso che la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità abbia modificato
al stessa definizione di salute, definendola « un complesso stato di benessere fisico,
mentale e sociale e non la mera assenza di malattia » (OMS).
Le ovvie considerazioni sono che è possibile un danno alla salute anche in mancanza di danno biologico, anche se il danno biologico è una delle componenti, ma
non necessaria, del danno alla salute (14).
Se tale è la definizione di salute è, quindi, possibile chiedere la liquidazione del
danno esistenziale, quale autonoma voce di danno, in mancanza o in aggiunta al
danno biologico, avendo una sua propria autonomia concettuale, come chiaramente
enunciato dalla sentenza in commento.
Negare autonomia a tali esigenze primarie della persona, come sostengono alcuni
(pochi ormai) antiesistenzialisti significa porsi su posizioni lontani parecchi lustri dall’evoluzione di una società in cui non è solo importante il vivere o il sopravvivere, ma
anche e soprattutto il benessere, quale condizione completa della persona, le cui
aspettative di vita si sono allungate oltre i cento anni e che aspira, legittimamente, ad
una esistenza libera e dignitosa, in base alle proprie inclinazioni personali.
Nel danno da morte, fattispecie posta all’attenzione della Corte, assume rilievo la
situazione di danno non patrimoniale da perdita del congiunto, che si riflette, per i familiari, sotto l’aspetto dell’interesse all’intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell’ambito della famiglia ed all’inviolabilità della libera e piena
esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell’ambito della peculiare
formazione sociale costituita dalla famiglia, diritti che trovano riconoscimento e tutela
nelle norme di cui agli art. 2, 29 e 30 Cost. e si differenziano sia dall’interesse alla salute tutelato attraverso il risarcimento del danno biologico da altro articolo della Carta
Costituzionale (art. 32 Cost.), sia dall’interesse all’integrità morale, ai sensi dell’art. 2
Cost., cui si riferisce il risarcimento del danno morale soggettivo (15).
Tale affermazione non è che il corollario di un orientamento giurisprudenziale che
dapprima timidamente, poi in maniera sempre più pregnante ha riconosciuto autonomia al danno esistenziale, come la sentenza in commento.
È, infatti, ormai possibile individuare la definizione di danno esistenziale non solo
dalla dottrina ma anche dalle numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità
e di merito che ne hanno puntualizzato i contorni e l’estensione.
Oltre al mascherato riferimento operato dalla Corte Costituzionale con la sentenza
n. 233/2003 (16), le Sezioni Unite della Cassazione, al termine di una ulteriore rifles(14)
Sui danni alla persona, Gallone-Petti, Il
danno alla persona e alle cose nell’assicurazione per
la R.C.A., Torino, 2005; Petti, Il risarcimento del
danno patrimoniale e non patrimoniale, Torino,
1999, 53.
(15)
Cass. civ., 19 maggio 2006, n. 11761.
(16)
Il punto di partenza del nuovo corso è costi-
| P.1290
tuito dalle sentenze della Corte di cassazione (in
particolare le sentenze n. 8827 e 8828 in data 31
maggio 2003) e della Corte costituzionale (n. 233
del 11 luglio 2003) che hanno profondamente innovato il sistema risarcitorio della responsabilità civile tanto da ripensare ad una sua diversa rifondazione, differente dalla precedente cui era perve-
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giurisprudenza
DANNO NON PATRIMONIALE | 3
sione che hanno visto coinvolte soprattutto la dottrina e la giurisprudenza di merito,
hanno definitivamente riconosciuto tale voce di danno specificando che per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l’illecito (datoriale nella fattispecie) provoca sul
fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che
gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la
espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Peraltro il danno
esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria del ed
danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di
scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento
dannoso (17).
Tale definizione viene ancor più analiticamente specificata dalla successiva evoluzione della Cassazione, con riferimento al danno tanatologico, puntualizzando come
« il danno esistenziale si sostanzia in una modificazione (peggiorativa) della personalità
dell’individuo, che si obiettivizza socialmente nella negativa incidenza nel suo modo di
rapportarsi con gli altri, sia all’interno del nucleo familiare sia all’esterno del medesimo,
nell’ambito dei comuni rapporti della vita di relazione. E ciò in conseguenza della privazione(oltre che di quello materiale) del rapporto personale con lo stretto congiunto nel
suo essenziale aspetto affettivo o di assistenza morale (cura, amore), cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro » (18).
Altra definizione qualifica il danno esistenziale come la privazione, non solo materiale, ma anche del rapporto personale con la vittima primaria nel suo essenziale aspetto
affettivo o di assistenza morale (cura, amore), cui ciascun componente del nucleo familiare ha diritto nei confronti dell’altro, come per i coniugi in particolare previsto dall’art.
143 c.c. (dalla relativa violazione potendo conseguire l’intollerabilità della prosecuzione
della convivenza e l’addebitabilità della separazione personale); per il genitore dall’art.
147 c.c. e ancor prima da un principio immanente nell’ordinamento fondato sulla renuta, pur faticosamente, la giurisprudenza di legittimità.
La Consulta delinea chiaramente e senza equivoci il nuovo sistema risarcitorio affermando « che
può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c., si identificherebbe col
danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass. 31 maggio 2003, nn. 8827, 8828), che
hanno l’indubbio pregio di ricondurre a razionalità e
coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, viene, infatti, prospettata,
con ricchezza di argomentazioni — nel quadro di un
sistema bipolare del danno patrimoniale e del danno
non patrimoniale — un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione del norma ogni danno di
natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti la persona. E dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento
dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, dell’integrità psi-
chica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia, infine, il
danno, speso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di
(altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla
persona ». Corte cost., 11 luglio 2003, n. 233, con
commento, ex plurimis di Ziviz, Il nuovo volto dell’art. 2059 c.c., in questa Rivista, 2003, 1036; Navarretta, La Corte Costituzionale e il danno alla persona « in fieri », in Foro it., 2003, 2272; Bona, Il
danno esistenziale bussa alla porta e la Corte Costituzionale apre (verso il « nuovo » art. 2059 c.c.); Cricenti, Una diversa lettura dell’art. 2059 c.c.; Ponzanelli, La Corte costituzionale si allinea con la Corte
di cassazione; Procida Mirabelli Di Lauro, Il sistema di responsabilità civile dopo la sentenza della
Corte Costituzionale n. 233/03, tutte in Danno resp.,
2003.
(17)
Sez. Un. civ., 24 marzo 2006, n. 6572, in questa Rivista, 2006, 1041 con note di Bertoncini e Bilotta.
(18)
Cass. civ., 12 giugno 2006, n. 13546, in questa
Rivista, 2006, 1439, con nota di Ziviz.
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giurisprudenza
3 | DANNO NON PATRIMONIALE
sponsabilità genitoriale (v. Corte cost. 13 maggio 1998, n. 166; Cass. civ., 1 aprile 2004,
n. 6365; Cass. civ., 9 giugno 1990, n. 5633), da considerasi in combinazione con l’art. 8 l.
adoz. (la violazione dell’obbligo di cura o assistenza morale determina lo stato di abbandono del minore che ne legittima l’adozione); per il figlio dall’art. 315 c.c. » (19).
Affermata l’autonomia del danno esistenziale occorre specificare le ulteriori voci di
danno in cui si scompone il danno non patrimoniale e cioè il danno biologico ed il
danno morale da cui la Corte tiene distinto il danno esistenziale.
La individuazione, definizione ed estensione di tale ulteriori voci di danno che, in
forza della stessa pronuncia della Corte, hanno una loro autonomia nell’ambito del
danno non patrimoniale è possibile in base alla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 233/03 che individua, sinteticamente, ma chiaramente il nuovo modello risarcitorio del danno non patrimoniale, distinguendo: a) danno morale soggettivo, inteso
come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima.
Tale voce di danno va liquidata solamente per tale limitato arco temporale, evitando il risarcimento del danno morale cd. permanente (20).
Il risarcimento del danno morale viene determinato solitamente o in base ad una
percentuale del danno biologico (da ¼ ad ½) o col criterio equitativo puro.
L’esercizio del potere equitativo del giudice di merito è censurabile solo quando la
liquidazione del danno stesso appaia manifestamente simbolica o per nulla correlata
con le premesse in fatto in ordine alla natura ed all’entità del danno dal medesimo
giudice accertate (21).
Il criterio equitativo, ex art. 1226 c.c., appare quello preferibile stante le difficoltà
intuitive di pervenire, per la particolare natura del danno, ad una sua precisa quantificazione e deve tener conto anche della diminuzione o privazioni di valori della persona inerenti al bene protetto, non essendo possibile ancorare il risarcimento a parametri di natura obiettiva avendo il danno morale quale substrato, una componente
psichica di impossibile conversione in parametri risarcitori prestabiliti, ormai, invece,
collaudati per il danno biologico in base ai criteri tabellari normativi o di creazione
giurisprudenziale (22).
Cass. civ., 12 giugno 2006, n. 13546, cit.
Sulla distinzione tra danno morale ed esistenziale Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno
esistenziale, cit., 65; Monateri, Danno morale e
danno esistenziale, in Danno resp., 1999, 5; Franzoni, Il danno non patrimoniale, il danno morale:una
svolta per il danno alla persona, in Corr. giur.,
2003,1039.
(21)
Cass. civ., 2 marzo 2004, n. 4186. Si chiarisce
da parte della S.C. che, benché il danno biologico
sia riconducibile, come il danno morale, nell’ampia
categoria del danno non patrimoniale di cui all’art.
2059 c.c., il danno morale subiettivo non costituisce
tuttavia una componente di esso, configurandosi
invece come una voce autonoma di danno non patrimoniale, Cass. civ., 10 agosto 2004, n. 15434.
(22)
Ai fini della quantificazione del danno morale
il giudice deve far sempre ricorso alla « prudente
discrezionalità » ed al « criterio informatore della
personalizzazione », considerando anche l’entità del
(19)
(20)
| P.1292
danno morale nella scala di valori oscillante tra il
« lieve, grave, gravissima » che giustifichi la traduzione « in un congruo equivalente economico, paragonato a tale entità ». Cass. civ., 11 luglio 2006,
n. 15760, in questa Rivista, 2006, 2057, con commento di Chindemi, Danno morale tanatologico:
estensione del risarcimento ai « nuovi parenti » e riconoscimento del diritto alla vita ».
La sentenza pone in evidenza sia ciò che è consentito al giudice ai fini della quantificazione del
danno morale, sia ciò che non può fare; tra i « divieti » vi è « l’applicazione automatica delle tabelle,
sia convenzionali che nazionali, che sono state concepite per la stima del danno biologico, il quale è per
natura e per essenza la lesione della integrità psicofisica, mentre il danno morale è per natura ed essenza la lesione della integrità morale, dove il termine ‘‘integrità’’ scelto dalla Costituzione europea
per descrivere il valore universale e cristiano della
dignità umana, esprime la centralità dell’uomo nel-
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giurisprudenza
DANNO NON PATRIMONIALE | 3
Relativamente alla prova del danno morale tanatologico, ma estensibile al danno
morale in generale occorre accertare se, trattandosi di danno « evento », conseguente
alla accertata lesione di un diritto fondamentale dell’individuo, ne vada riconosciuta
« la tutela risarcitoria (minima) a seguito della violazione del diritto costituzionalmente
dichiarato fondamentale » (cfr. in tema di danno biologico, Corte cost., 14 luglio 1986,
n. 184), oppure se occorra comunque, fornire la prova di tale danno.
Si ritiene che anche il pregiudizio di natura morale deve essere quantomeno allegato e solo previa puntuale indicazione potrà essere ritenuto sussistente anche in
forza di presunzione (23).
Nel caso di danno morale ai familiari o stabili conviventi della vittima di reato occorre tenere conto di tutti i risvolti del caso specifico quali il grado di parentela, il rapporto di coniugio o di filiazione, la convivenza, la durata del matrimonio ed elaborare,
cosı̀ come già avviene, in base al diritto vivente nella elaborazione giurisprudenziale,
parametri, necessariamente equitativi, anche tabellari per assicurare uniformità di
base liquidatoria che tengano conto delle varie componenti di tale voce di danno (24).
Il danno biologico va qualificato in senso stretto, come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, dell’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad
l’ordine costituzionale della Unione Europea, di cui
siamo stato membro e fondatore ».
Il giudice, potrà, invece, « utilizzare i parametri tabellari utilizzati attualmente dai Tribunali o dalle
Corti, rispettando il principio della personalizzazione
ed il criterio equitativo dell’approssimazione al preciso ammontare, cosı̀ come potrà utilizzare, sempre
orientativamente, le tabelle nazionali di prossima
approvazione » con la specificazione che « il parametro di valutazione equitativa del danno morale parentale deve dunque partire dalla soglia della gravità
e permanenza degli effetti del danno ingiusto ».
(23)
È stata ritenuta sufficiente alla liquidazione
del danno morale la prospettazione del turbamento
psichico nei soggetti coinvolti nella diffusione di
sostanze tossiche, in relazione alla notorietà di determinati eventi quali concorrenti nell’integrazione
della prova dell’esistenza del danno morale, il
quale può essere risarcito anche in assenza di un
danno biologico o di un altro evento produttivo di
danno patrimoniale. Cacace, Seveso e 5000 euro di
paura, (commento a Trib. Milano, 19 giugno 2003),
in Danno resp., 2004, ...
(24)
La Cassazione evidenzia che in conseguenza
della morte di persona causata da reato, ciascuno
dei suoi familiari prossimi congiunti è titolare di un
autonomo diritto per il conseguente risarcimento
del danno morale, il quale deve essere liquidato in
rapporto al pregiudizio da ognuno individualmente
patito per effetto dell’evento lesivo, in modo da rendere la somma riconosciuta adeguata al particolare
caso concreto, rimanendo, per converso, esclusa la
possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto
danno morale ed alla conseguente ripartizione del-
l’intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto. Ai fini di tale valutazione, l’intensità del vincolo familiare può già di
per sé costituire un utile elemento presuntivo su cui
basare la ritenuta prova dell’esistenza del menzionato danno morale, in assenza di elementi contrari,
e, inoltre, l’accertata mancanza di convivenza del
soggetto danneggiato con il congiunto deceduto può
rappresentare — come nella specie — un idoneo
elemento indiziario da cui desumere un più ridotto
danno morale, con derivante influenza di tale circostanza esclusivamente sulla liquidazione dello
stesso. Cass. civ., 19 gennaio 2007, n 1203 La liquidazione del danno morale, « non appartiene all’arbitrio del giudice, ma alla sua prudente discrezionalità che è circostanziata e che considera le condizioni della vittima e la natura permanente del
danno, in relazione alle perdite irreparabili della
comunione di vita e di affetti e della integralità della
famiglia naturale o legittima, ma solidale in senso
etico prima che giuridico »; la Corte evidenzia inoltre che « non a caso il criterio generale dell’art. 1226
usa la parola ‘‘preciso ammontare’’ per indicare la
tendenza a rendere totale il ristoro satisfattivo, nella
valutazione di prudente discrezionalità », Cass. civ.,
11 luglio 2006, n. 15760, cit.
Sempre ai fini del « quantum » risarcitorio rileva
la Corte che « dal punto di vista del danno morale parentale non conta che il figlio sia morto a Taormina.a
Gallarate... o a Roma, nel quartiere dei Paioli o alla
sua periferia, ... conta la morte in sé ed una valutazione equa del danno morale che non discrimina la
persona e le vittime primarie o secondarie né per lo
stato sociale, né per il luogo occasionale della morte ».
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P.1293 |
giurisprudenza
3 | DANNO NON PATRIMONIALE
un accertamento medico (art. 32 Cost.), limitato al danno alla salute ed alle conseguenze psichiche strettamente correlate alla lesione fisica (cd. danno biologico statico), evitando di ricomprendere nella liquidazione le ulteriori voci di danno fino ad
ora inglobate nel danno biologico, quali il danno alla capacità lavorativa generica, alla
sfera sessuale, alla vita di relazione etc. (25).
Dovrà anche evitarsi la liquidazione delle ulteriori conseguenze personalizzanti
(cd. danno biologico dinamico), di solito risarcite con aumento percentuale del punto
di invalidità, ove liquidate e comunque, ricomprese sotto la voce del danno esistenziale, al fine di evitare duplicazioni risarcitorie.
Il criterio risarcitorio delineato dalla Corte costituzionale consente di evitare duplicazioni risarcitorie e confusione concettuale tra le diverse voci di danno non patrimoniale.
Un ulteriore elemento di incertezza è costituito dalla definizione di danno biologico
del Codice delle Assicurazioni (d.l. 7 settembre 2005, n. 209) che, anche se limitato ai
soli sinistri derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti potrebbe essere suscettibile di applicazione analogica anche per altri sinistri.
Ai sensi degli art. 138 e 139 del Nuovo Codice delle Assicurazione « agli effetti della
tabella per danno biologico si intende la lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica
una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali
della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito ».
Viene inglobato nel danno biologico anche il pregiudizio derivante dalla « incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico relazionali della vita
del danneggiato », conseguenze che rientrano sotto la voce del danno esistenziale.
In base alla nuova definizione di danno biologico il c.d. danno esistenziale fa parte,
invece, essendo inglobato nella stessa definizione, del danno biologico c.d. « statico »
che ricomprende le normali ripercussioni delle lesioni sotto l’aspetto fisico e il profilo
psichico, quale necessarie conseguenze del disagio derivante dalle lesioni fisiche, includendovi espressamente anche l’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli
aspetti dinamico relazionali della vita del danneggiato.
Ciò non incide sul complessivo risarcimento del danno non patrimoniale che ancorché suddiviso in due sole voci (danno biologico e morale), dovrà comunque, tener
conto del pregiudizio esistenziale.
Peraltro, proprio in base alla sentenza della stessa Consulta, n. 233/2003 è possibile
la unitaria liquidazione del danno non patrimoniale in un’unica voce risarcitoria, anche se appare opportuna la specificazione dei diversi danni per consentire, in caso di
impugnazione, la verifica del ragionamento logico del giudice nel determinare l’importo complessivo.
L’espresso richiamo all’equità, tuttavia, consente di ritenere che il giudicante abbia
un ampio margine decisionale, incensurabile in Cassazione, essendo sganciata la va(25)
Sulla opportunità di scorporare dal danno
biologico, danno non patrimoniale, la capacità lavorativa generica che, attenendo alla capacità di
produzione di reddito futuro, va qualificata quale
| P.1294
danno patrimoniale, Chindemi, Danno biologico e
capacità lavorativa generica: un binomio da sciogliere?, in questa Rivista, 2005, 640.
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giurisprudenza
DANNO NON PATRIMONIALE | 3
lutazione equitativa a regole rigide, essendo sufficiente la correttezza e non illogicità
della motivazione.
Comunque sussiste, allo stato un cd. doppio binario risarcitorio del danno biologico
con definizioni e, quindi, liquidazioni diverse nel caso di danni derivanti dalla circolazione dei veicoli e natanti o per altri illeciti, con possibilità confusione concettuale e
diversi criteri di liquidazione anche per danni analoghi con evidenti riflessi sulla compatibilità costituzionale, sotto il profilo della parità di trattamento, di differenti liquidazioni per lesioni simili.
3. PROVA DEL DANNO ESISTENZIALE
La pronuncia in rassegna nulla specifica in ordine alla prova del danno esistenziale,
limitandosi ad affermare che il danno esistenziale « non può prescindere da una specifica allegazione nel ricorso introduttivo del giudizio sulla natura e sulle caratteristiche
del pregiudizio medesimo ».
Quindi sussiste un onere di domanda con specificazione del pregiudizio di cui si
chiede il ristoro, non ritenendo sufficiente la Corte né la mera domanda generica di
risarcimento del danno non patrimoniale, né quella più specifica di danno esistenziale, in mancanza di ulteriore specificazione della effettiva incidenza del pregiudizio
sulle abitudini di vita del danneggiato.
La mera allegazione è diversa dalla prova del danno che deve essere fornita per
ottenere il ristoro del danno esistenziale (26).
Un chiarimento significativo sull’onere della prova del danno esistenziale proviene
dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione che evidenziano che tale pregiudizio « essendo legato indissolubilmente alla persona e quindi non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare — al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico, stante la uniformità dei criteri medico-legali applicabili in relazione alla lesione dell’integrità psico-fisica, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il
soggetto danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l’alterazione
delle sue abitudini di vita » (27).
Occorre, quindi, anzitutto l’allegazione puntuale « sull’oggetto e sul modo di operare
dell’asserito pregiudizio, non potendo (il giudice) sopperire alla mancanza di indicazione
in tal senso nell’atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate e sostanzialmente
elusive della fattispecie concreta » e solo in presenza di tali puntuali allegazioni, il giudice può ritenere presuntivamente le alterazioni rientranti nella sfera del danno esistenziale personale del danneggiato quale diretta conseguenza dell’illecito.
Il danno esistenziale può, infatti, ma solo ove allegato tempestivamente, essere riconosciuto in base a presunzione semplice, « iuris tantum », con conseguente inversione dell’onere della prova a carico del danneggiante che deve provare la inesistenza
del pregiudizio lamentato (28).
(26)
Sulla quantificazione del danno esistenziale,
Zappia, La liquidazione del danno esistenziale: il criterio equitativo puro e il suo possibile superamento,
(commento a Cons. Stato, 16 marzo 2005, n. 1096),
in questa Rivista, 2006, 2089.
Sui criteri diversi da quello equitativo di liquidazione del danno esistenziale, Liberati, La liquida-
zione del danno esistenziale, Padova, 2004; Ziviz, La
valutazione del danno esistenziale, in Giur. it. 2002,
440; Merlini, Una nuova formula per la liquidazione
del danno esistenziale, in questa Rivista, 2005, 209.
(27)
Sez. Un. civ., 24 marzo 2006, n. 6572, cit.
(28)
Ritiene la S.C che la perdita del congiunto
(coniuge o genitore) « possa non determinare conse-
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giurisprudenza
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Verrebbe in tal modo superato l’orientamento ritenente che la prova della lesione
di un diritto costituzionalmente protetto sia anche prova del danno, nel senso che la
lesione è « in re ipsa » (29); la violazione di un diritto, anche se fondamentale della persona, non attribuisce al titolare il diritto al risarcimento del danno, senza necessità di
prova specifica, in quanto la prova dell’esistenza della lesione non significa che tale
prova sia sufficiente ai fini del risarcimento, in quanto deve ritenersi necessaria la
prova ulteriore dell’entità del danno.
Nel codice civile sono previste forme di responsabilità oggettiva (es.: responsabilità
dei genitori per fatti commessi dai figli minori (art. 2047 c.c.), dei datori di lavoro (art.
2049 c.c.) o presunta (artt. 2050-2054 c.c., ma non è prevista alcun danno di natura
oggettiva, risarcibile indipendentemente dalla sua prova né alcuna presunzione di
danno e la tutela accordata alla lesione di valori costituzionali, anche in mancanza di
una normativa specifica, non può legittimare l’esclusione della prova del danno.
Vigendo anche in materia di onere della prova del danno la generale enunciazione
di cui all’art. 2697 c.c. deve ritenersi necessario fornire la prova del danno esistenziale
che, ancorché riconducibile alla lesione di valori costituzionalmente garantiti, quali i
diritti fondamentali della persona, può essere riconosciuto, come già chiarito, anche
per presunzione quando risultino, quantomeno, puntualmente allegate le alterazioni
specifiche dell’aspetto interiore della persona lesa quale conseguenza del fatto illecito
altrui.
Non ne può discendere anche se la lesione, in tal caso, è « in re ipsa », che il danno
esistenziale debba essere risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza, costituendo la lesione di valori costituzionali un semplice indizio, sia pure di valenza pregnante, dell’esistenza del danno che, tuttavia, dovrà essere provato facendo ricorso ai principi generali in tema di prova tra cui la
prova per presunzione ed il ricorso ai principi di comune esperienza.
Non può invece riconoscersi la tutela risarcitoria del danno esistenziale in base a
« fatti notori » o sulle nozioni di « comune esperienza », in mancanza di riscontri concreti, riferibili alla fattispecie in esame, che consentano l’utilizzazione a fini probatori
di tali elementi presuntivi, in quanto ogni individuo ha una propria personalità, diversa da ogni altro soggetto e, quindi, diverse da individuo a individuo saranno le
conseguenze collegate a fatti illeciti di valenza simile, sotto il profilo della concreta incidenza nella sfera esistenziale del soggetto leso.
Non può, infatti, escludersi, in linea di principio, che il fatto illecito, non provochi,
per ragioni peculiari o contingenti legati alla sfera soggettiva del soggetto leso o alle
particolari situazioni ambientali, alcun danno concreto nella sfera delle abitudini e degli assetti relazionali propri del soggetto leso.
Ai fini della determinazione del « quantum », occorre individuare, parametri di valutazione omogenei per evitare possibili liquidazioni arbitrarie, e certamente la visione unitaria di tali compromissioni, potendo l’illecito determinare ripercussioni neguenze pregnanti nella sfera soggettiva laddove rimangano garantite quelle economiche.., fornendo la
dimostrazione di rapporti deteriorati, convivenza
‘‘forzata’’ ‘‘separati in casa’’ » etc, la prova presuntiva è « mezzo di prova non relegato dall’ordinamento in grado subordinato nella cerchia delle prove,
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cui il giudice può far ricorso anche in via esclusiva »,
Cass. civ., 12 giugno 2006, n. 13546, cit.; Sez. Un.
civ., 24 marzo 2006, n. 6572, cit.
(29)
Cass. civ., 3 aprile 2001, n. 4881; Cass. civ., 10
maggio 2001, n. 6507.
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giurisprudenza
DANNO NON PATRIMONIALE | 3
gative alla sfera individuale e soggettiva del soggetto leso riconducibili astrattamente
sia al danno morale, sia al danno alla salute, sia al danno esistenziale, agevola il giudice nella equa quantificazione del danno da rapportare all’effettivo pregiudizio subito
che non può subire limitazioni, avendo il danneggiato il diritto all’integrale risarcimento, in caso di violazioni di diritti costituzionalmente garantiti, previo accertamento
del nesso di causalità « adeguato » tra fatto illecito ed evento (30).
(30)
Ai fini, poi, della liquidazione del danno da
perdita del congiunto (che deve essere allegato e
provato da chi ne chiede il ristoro ed alla quale è
possibile pervenire anche in base a valutazioni
prognostiche ed a presunzioni) è stato anche precisato che l’apprezzamento equitativo del giudice del
merito deve prendere in esame l’intensità del vin-
colo familiare, la situazione di convivenza e tutte le
altre utili circostanze, quali la consistenza più o
meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di
vita, l’età della vittima e dei superstiti e le esigenze
di costoro rimaste compromesse. Cass. civ., 19
maggio 2006, n. 11761.
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