La «grande ridistribuzione» delle banche centrali

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La «grande ridistribuzione» delle banche centrali
Zurigo, 30 marzo 2015
Economic Research
Raiffeisen Economic Research
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Visione
La «grande ridistribuzione» delle banche centrali
Nella «Grande depressione», la politica monetaria restrittiva ha contribuito notevolmente alla spirale ribassista dell'economia e dei prezzi. I banchieri centrali vogliono assolutamente evitare una ripetizione.
La deflazione in sé non deve necessariamente avere effetti negativi: le riduzioni dei prezzi dovute all'offerta rafforzano il potere d'acquisto, per esempio in Svizzera. Anche l'economia del Giappone mostra la
stessa dinamica pro capite degli Stati Uniti, nonostante un lungo periodo di deflazione moderata. L'invecchiamento ha un effetto tendenzialmente frenante sull'inflazione.
Anche per i debitori la deflazione non determina necessariamente un peggioramento della sostenibilità
del debito, grazie agli interessi nominali contemporaneamente inferiori. Sono determinanti gli interessi
reali che in Giappone erano rimasti stabili, diversamente che negli Stati Uniti, durante la «Grande depressione». Dall'altro lato, una maggiore inflazione non alleggerisce i debitori, se i creditori possono adeguare
al rialzo il loro premio di rischio.
Le banche centrali lo impediscono però con la politica della «repressione finanziaria», che con l'aumento
della massa monetaria punta attivamente alla riduzione degli interessi reali. Ciò significa una ridistribuzione dai risparmiatori ai debitori. In caso di interessi reali negativi, il potere d'acquisto del patrimonio
monetario scende addirittura. Poiché gli interessi reali nella periferia dell'Eurozona diminuiscono solo da
poco tempo, la BCE non dovrebbe terminare così presto la manipolazione dei tassi per sostenere il processo di riduzione del debito. Anche in Svizzera, i valori reali rimangono interessanti nonostante l'elevato
livello delle valutazioni.
Chi ha paura della deflazione?
Una flessione generale e duratura del livello dei prezzi,
per tutte le categorie di prezzo e per un lungo periodo.
Ecco come viene definita la deflazione. E la paura di
questa deflazione fa agire i banchieri centrali. Dopo tre
programmi di acquisti di obbligazioni negli Stati Uniti,
la Fed va lentamente verso una normalizzazione dei
tassi. La Bank of Japan e anche la Banca centrale europea (BCE) hanno invece ulteriormente allentato la loro
politica monetaria. Vengono acquistati titoli di stato in
grande quantità con l'obiettivo dichiarato di aumentare le aspettative inflazionistiche. Ma questa paura
della deflazione è giustificata? Soprattutto poiché attualmente in particolare il crollo del prezzo del petrolio
e in generale il calo dei prezzi delle materie prime a
livello mondiale sono il fattore trainante della diminuzione dei tassi d'inflazione. Ci si chiede inoltre se la deflazione in sé debba necessariamente avere un effetto
negativo sul potenziale di crescita di un'economia.
La teoria non sa rispondere univocamente a tale proposito. Da un lato il calo dei prezzi rafforza il potere
d'acquisto delle aziende e delle famiglie, con effetti positivi per i margini di utile e per il consumo. Dall'altro
lato, un costante calo del livello dei prezzi può bloccare
sia le spese per i consumi sia gli investimenti, a causa
delle aspettative di condizioni più convenienti in futuro.
Ciò, a sua volta, ha un effetto frenante sulla congiuntura.
Deflazione «cattiva»
Durante la «Grande depressione» l'ultimo effetto all'inizio degli anni Trenta era chiaramente predominante.
Economic Research
Questa volta i banchieri centrali vogliono evitare a tutti
i costi una ripetizione di questo scenario. Allora la politica monetaria non ha avuto un effetto stabilizzante,
ma al contrario ha addirittura peggiorato notevolmente la situazione. A causa del sistema aureo a quel
tempo ancora in vigore la massa monetaria era predefinita in modo fisso dalle riserve nazionali di oro. La
massa monetaria in circolazione doveva essere coperta
completamente dall'oro. Elevati deflussi di capitale e di
oro determinavano quindi una fortissima riduzione
della massa monetaria. Dalla fine del 1929, la circolazione di banconote negli Stati Uniti crollò quindi del
25% in un anno. A confronto, dalla crisi di Lehman nel
2008 la Fed ha quintuplicato il suo totale di bilancio.
Grafico 1: Flusso di liquidità dopo Lehman
Totale di bilancio, indice (inizio della crisi=100)
Asse x: mesi prima e dopo l'inizio della crisi
500
400
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-12
0
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BNS (2008)
BoJ (1991)
24
36
48
Fed (2008)
BCE (2008)
60
72
Fed (1929)
Fonte: Bloomberg, Fed, BoE, Raiffeisen Research
La politica monetaria restrittiva durante la «Grande depressione» ha fatto salire i tassi nonostante il contesto
deflazionistico, alimentando in tal modo la spirale ribassista. A ciò si era aggiunta a livello mondiale una
politica commerciale sempre più protezionistica e al
culmine della crisi la produzione industriale statunitense si era più che dimezzata. Inoltre, i prezzi al consumo erano scesi nell'arco di tre anni, a causa della domanda, di un elevatissimo 25% (ved. grafico 2).
questo caso il Giappone mostra dal 1980 un'espansione simile a quella statunitense (ved. grafico 4), mentre per esempio la Svizzera è nettamente indietro addirittura nei due confronti.
Grafico 3: La performance del PIL del Giappone …
PIL reale, indice (1980 = 100)
250
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Grafico 2: Spirale ribassista statunitense nella
«Grande depressione»
Indice (ottobre 1929 = 100)
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50
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10/29
10/30
Prezzi al consumo
Reddito reale
1980
1985 1990
Giappone
1995
2000
USA
2005
2010
Svizzera
Fonte: FMI, Raiffeisen Research
10/31
Grafico 4: … è fortemente alimentata demograficamente
PIL reale pro capite, indice (1980=100)
10/32
10/33
Produzione industriale
Fonte: Fed, NBER, Raiffeisen Research
180
Il drastico calo dei prezzi ha creato inoltre il problema
indicato da Irving Fisher nel 1933 della deflazione da
debiti («Debt deflation»)1. A differenza dei prezzi e del
reddito, il livello del debito dei beneficiari del credito
non era diminuito. Con un minore reddito si doveva
sostenere un onere del debito invariabilmente elevato.
A causa del livello dei tassi aumentato in seguito alla
riduzione della massa monetaria, l'addebito degli interessi si era contemporaneamente impennato. Assieme
alla congiuntura depressa questo ha aumentato il numero delle perdite sui crediti.
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110
100
90
1980
Deflazione «buona»
1985 1990
Giappone
1995
2000
USA
2005
2010
Svizzera
Fonte: FMI, Raiffeisen Research
Storicamente, l'esempio negativo della deflazione durante la «Grande depressione» è più l'eccezione che la
regola. Un'analisi degli ultimi due secoli non fornisce
alcun indizio che nei periodi di deflazione la crescita
economica sia stata sistematicamente minore rispetto
a uno scenario di prezzi in aumento2. Nelle fasi di leggera deflazione, alcuni paesi erano riusciti a registrare
maggiori tassi di crescita rispetto ai periodi di aumenti
dei prezzi.
A differenza degli Stati Uniti durante la «Grande depressione», negli anni dopo lo scoppio della bolla immobiliare all'inizio degli anni Novanta anche il mercato
del lavoro giapponese si è mostrato estremamente resistente. La disoccupazione era salita solo moderatamente e aveva raggiunto un valore massimo «solo» di
poco sopra il 5% (ved. grafico 5). Un livello che attualmente i paesi colpiti dalla crisi del debito in Europa possono solo sognare.
Da un'analisi più attenta, anche l'esempio del Giappone mostra un quadro più positivo di quanto ampiamente supposto. Un semplice confronto dell'andamento economico e dei prezzi al consumo fa ritenere
in effetti che la deflazione abbia frenato la congiuntura
giapponese (ved. grafico 3). Ciò si relativizza tuttavia se
invece si prende come base la crescita pro capite. In
L'affermazione di due decenni persi per l'economia
giapponese sembra quindi dubbiosa in questo contesto, anche se il consolidamento degli eccessivi debiti
statali e le necessarie riforme strutturali per gestire il
cambiamento demografico si fanno sempre attendere.
2
1
Atkeson, Kehoe (2004): Deflation and Depression: Is There an Empirical
Link?; American Economic Review, 94(2): 99-103
Fisher, Irving (1933): The Debt-Deflation Theory of Great Depressions,
Econometrica
2
terreni e immobili ha un effetto di riduzione sui prezzi.
Oltre a una minore propensione all'acquisto della generazione più ansiana, con un contemporaneo elevato
livello di benessere può aggiungersi anche un effetto
di saturazione. Qui da un punto di vista politico-monetario, anche in caso di un mancato raggiungimento
dell'obiettivo d'inflazione, non sembra opportuno aumentare ulteriormente la massa monetaria. Anzi, in
questo caso la massa monetaria dovrebbe essere ridotta gradualmente e adeguata all'andamento strutturale della domanda. Altrimenti, con una crescente liquidità in eccesso si rischia la formazione di bolle dei
prezzi degli asset.
Grafico 5: Nessun crollo del mercato del lavoro
in Giappone
Tasso di disoccupazione in %,
Asse x: anni prima e dopo l'inizio della crisi
30
25
20
15
10
5
Grafico 6: Giappone: precursore demografico
Popolazione in età lavorativa, indice (1995=100)
0
-6
-4
-2 0
2
4
Germania (2008)
Spagna (2008)
Svizzera (2008)
USA (1929)
6
8
10 12 14
Italia (2008)
USA (2008)
Giappone (1991)
150
Proiezione
140
Fonte: Datastream, Fed, Raiffeisen Research
130
Una deflazione moderata, anche per un più lungo periodo, non deve quindi necessariamente avere un effetto negativo. Se il calo del livello dei prezzi è causato
dall'offerta, predomina l'effetto positivo degli aumenti
del potere d'acquisto e ne conseguono prezzi in calo in
un'economia a pieni giri con bassa disoccupazione, alimentata da incrementi di produttività o dal progresso
tecnico. I risparmi sui costi si riflettono in minori prezzi
di vendita. Negli ultimi anni, questo modello era caratteristico anche per la Svizzera – rafforzato dalla deflazione importata a causa delle forti rivalutazioni del
franco.
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100
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80
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1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030
Eurozona
Giappone
Svizzera
USA
Fonte: ONU, Raiffeisen Research
Alla fine in una società che invecchia la preferenza dovrebbe spostarsi verso una minore inflazione e un aumento degli interessi reali, poiché la maggior parte degli anziani punta a una crescita reale dei risparmi pensionistici.
Il problema della rigidità salariale – ossia la rigidità
verso il basso dei salari nominali – non rappresenta necessariamente un problema in caso di leggera deflazione. Infatti di solito i tassi annuali di crescita salariale
sono sensibilmente superiori allo zero – anche in fasi
congiunturali più deboli. Pertanto, la dinamica salariale
ha ancora un certo potenziale di adeguamento verso il
basso e non deve necessariamente penalizzare ulteriormente le aziende anche in caso di un moderato calo
dei prezzi.
Un confronto internazionale dei coefficienti di età e dei
tassi d'inflazione fa supporre in ogni caso una certa relazione tra invecchiamento e calo dell'inflazione (ved.
grafico 7).
Grafico 7: Invecchiamento con effetto tendenzialmente frenante sull'inflazione
Inflazione dei prezzi al consumo (2007-13)
L'invecchiamento della società tende verso un
calo dell'inflazione
In Giappone la demografia ha inoltre chiaramente un
effetto frenante sui prezzi. L'invecchiamento della popolazione in Giappone è di gran lunga il più avanzato
nel mondo (ved. grafico 6). Dal 1995 la popolazione in
età lavorativa è scesa continuamente nel complesso di
un elevato 10%. Nell'Eurozona solo dal prossimo decennio si prevede un sensibile calo. In Svizzera e soprattutto negli Stati Uniti la tendenza, non da ultimo a
causa dell'immigrazione, è ancora rivolta verso l'alto.
Anche l'effetto dell'invecchiamento sui prezzi non è
univoco a livello teorico. Da un lato, a causa del calo
della popolazione attiva possono verificarsi problemi di
offerta e quindi una pressione sui prezzi. Dall'altro lato,
il calo della domanda dell'economia globale anche di
6.0
5.0
4.0
Messico
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2.0
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Svizzera
0.0
Giappone
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2.0
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6.0
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10.0
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Popolazione in età lavorativa / popolazione in età
pensionabile
Fonte: ONU, Raiffeisen Research
3
l'interesse creditizio, con altri valori invariati, ammonta
infatti all'1%, ossia un livello inferiore al tasso d'inflazione e al tasso di crescita del reddito dell'1.5%, il reddito aumenta più rapidamente rispetto all'indebitamento inclusi gli interessi accumulati (ved. grafico 8).
Qui la quota reddito / debito, inizialmente del 100%,
scende a poco sotto il 95% entro 10 anni (ved. grafico
9). In questo caso il debitore deve quindi pagare in futuro una quota minore del suo reddito per il rimborso
del totale del credito inclusi gli interessi rispetto a oggi.
Il tasso d'interesse reale determina la sostenibilità del debito
Con una leggera deflazione, anche i beneficiari del credito non subiscono automaticamente un peggioramento della sostenibilità del debito come durante la
«Grande depressione». Per maggiore chiarezza osserviamo l'esempio di un finanziamento di crediti per differenti scenari d'inflazione: nel primo scenario con leggera deflazione e reddito stagnante per il debitore ipotecario nel corso del tempo non diventa «più facile»
rimborsare il debito ipotecario, poiché il rapporto reddito / importo del credito non viene modificato in questo caso. In compenso, il tasso d'interesse creditizio dovrebbe però essere relativamente basso. Pertanto, i pagamenti degli interessi, con un reddito familiare predefinito, rappresentano un minore addebito corrente, il
che nel corso della durata del credito consente quindi
un maggiore ammortamento diretto o indiretto.
Grafico 8: Il tasso d'interesse reale negativo …
Indebitamento e reddito in migliaia di CHF
Asse x: Durata del credito espressa in anni
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104
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Nello scenario con una moderata inflazione, per il debitore ipotecario a fronte di rispettivi aumenti salariali
e di reddito diventa «più facile» rimborsare l'invariato
debito ipotecario in futuro con un rapporto decrescente di reddito / importo del credito. In genere, per
questo il creditore richiede però un maggiore tasso
d'interesse come compensazione. Ciò significa un
maggiore addebito corrente tramite i pagamenti degli
interessi, il che consente solo un minore ammortamento diretto o indiretto.
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Indebitamento, interessi inclusi - tasso d'interesse reale negativo
Indebitamento, interessi inclusi - "Caso normale"
Reddito
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
Grafico 9: … fa scendere l'onere del debito
Quota del debito: indebitamento incl. gli interessi in
% del reddito familiare
Asse x: Durata del credito espressa in anni
Il confronto chiarisce che a causa degli effetti contrastanti né il tasso d'inflazione né il tasso d'interesse nominale, considerati isolatamente, possono fornire spiegazioni sull'andamento della sostenibilità del debito.
Per questo bisogna ricorrere alla loro combinazione,
ovvero al tasso d'interesse reale. Ciò non corrisponde
alla percezione quotidiana, che viene dominata dai valori nominali, ma è necessario per la corretta valutazione degli effetti. Nel complesso, un tasso d'interesse
reale in calo significa un addebito decrescente per il
debitore. Gli interessi reali negativi rappresentano addirittura uno sgravio assoluto.
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Con dati concreti questo si può rappresentare in questo modo: al momento dell'assunzione di un credito
una famiglia dispone di un reddito di CHF 100.000. Anche l'importo del credito è di CHF 100.000. Supponiamo che il reddito aumenti nella stessa misura dell'inflazione (1.5% p.a.). Dopo un periodo di 10 anni, il reddito è quindi di CHF 116.000 circa. Con un tasso d'interesse creditizio fisso del 2%, l'intero onere del debito,
ossia l'importo del credito inclusi gli interessi accumulati, ammonta alla fine della durata a CHF 120.000. Il
rapporto reddito / debito (inclusi gli interessi) aumenta
quindi dal 100% al momento dell'assunzione del credito al 103% dopo 10 anni. In effetti, un aumento del
tasso d'indebitamento senza estinzione dovrebbe rappresentare il caso normale, poiché il creditore oltre alla
compensazione per l'inflazione dovrebbe ricevere un
premio di rischio. Nel caso di interessi reali negativi
però questo non si verifica. Se nel suddetto esempio
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Interesse reale negativo
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"Caso normale"
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
Durante la «Grande depressione» gli interessi reali negli
Stati Uniti sono drasticamente aumentati a causa di
una contemporaneamente forte deflazione abbinata a
elevati interessi nominali, dovuti alla politica monetaria
restrittiva. Questo andamento ha notevolmente peggiorato la situazione dei debitori. Dopo la bolla dei
prezzi immobiliari negli anni Novanta, dovuta alla politica monetaria relativamente timida, in Giappone gli interessi reali non sono scesi, ma sono rimasti relativamente stabili (ved. grafico 10).
4
Grafico 10: Shock degli interessi reali durante la
«Grande depressione»
Interessi reali in % (titoli di stato a 10 anni – inflazione);
Asse x: mesi prima e dopo l'inizio della crisi
Grafico 11: Premio di rischio più elevato dopo lo
shock inflazionistico
Interessi reali statunitensi (Treasury a 10 anni meno
inflazione)
10
Inversione dell'inflazione
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1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010
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USA (1929)
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Giappone (1991)
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
La storia ha mostrato in modo impressionante gli effetti devastanti di un'accelerazione incontrollata
dell'aumento dei prezzi: una cancellazione del patrimonio di ampie fasce della popolazione. Attualmente questa tendenza si può osservare per esempio in Venezuela e di nuovo in Argentina, con tassi d'inflazione superiori rispettivamente al 60% e al 40%.
Riduzione del debito mediante inflazione non
garantita
Un altro argomento dei sostenitori della riduzione del
debito tramite inflazione è che l'addebito degli interessi
in caso di un inatteso shock inflazionistico aumenta
solo con ritardo, a seconda dei vincoli del tasso dei crediti. Quanto più lunga è per esempio la durata residua
del debito statale in essere, tanto più forte sarà lo sgravio reale per lo stato in caso di un improvviso aumento
dei prezzi. Uno shock inflazionistico favorirà quindi nei
primi anni un calo della quota del debito.
Strategia preferita «repressione finanziaria»
Pertanto, l'attuale politica delle grandi banche centrali
non punta direttamente a una forte inflazione, preferisce invece l'approccio della cosiddetta «repressione finanziaria». Qui la politica persegue attivamente una riduzione degli interessi reali. Mediante una politica monetaria accomodante e l'acquisto di titoli di stato, le
forze del mercato vengono aggirate durante la formazione dei tassi. Il livello dei tassi viene spinto al ribasso,
che determina una flessione degli interessi reali. In questo modo, come già descritto sopra, si diminuisce l'onere del debito dei beneficiari del credito. L'effetto
maggiore si ha con un contemporaneo moderato aumento dei prezzi. In quel caso gli interessi reali scendono nel settore negativo.
Dall'altro lato si può tuttavia prevedere che i creditori
«danneggiati» in futuro richiederanno un maggiore
premio di rischio. Questo modello era osservabile almeno negli Stati Uniti dopo la seconda crisi del prezzo
del petrolio alla fine degli anni Settanta. Fino al 1980 il
tasso d'inflazione annuo ha accelerato fino al 13.5% e
gli interessi reali sono scesi temporaneamente nel settore negativo. A quel punto i rendimenti per i titoli di
stato sono però notevolmente aumentati e sono rimasti a un livello elevato per diversi anni anche dopo l'inversione di tendenza dell'inflazione (ved. grafico 11).
La «repressione finanziaria» è già stata praticata «con
successo» in passato. Nel periodo dopo la Seconda
guerra mondiale fino al crollo del sistema Bretton
Woods dei tassi di cambio fissi negli anni Settanta,
quindi per oltre 3 decenni circa, i mercati dei capitali
erano rigidamente regolamentati a livello sia internazionale sia nazionale. In media, in quel periodo gli interessi reali erano leggermente negativi a livello mondiale ed erano nettamente sotto i livelli del periodo precedente e successivo3. Ciò, assieme ai forti tassi di crescita del PIL, ha contribuito notevolmente a ridurre più
in fretta i debiti accumulati negli anni del dopoguerra
e a limitare l'aumento del debito.
Inoltre è estremamente ambizioso per la politica monetaria ottenere uno shock inflazionistico controllato e
limitato. Poiché quando la macchina inflazionistica si
avvia, la sua gestione è difficile – sempre che sia, peraltro, possibile. L'ex Presidente della Deutsche Bundesbank, Karl Otto Pöhl, ha correttamente osservato: l'inflazione è come il dentifricio – quando è uscito dal tubetto difficilmente lo si può far rientrare. La cosa migliore è di non premere troppo il tubetto.
3
Reinhart, Sbrancia (2011): The Liquidation of Government Debt; NBER
Working Paper 16893
5
spiegato già prima nel nostro esempio di indebitamento. Si verifica quindi una pura ridistribuzione dai
creditori ai debitori, quasi sotto forma di un'imposta
indiretta sulla sostanza.
Questa strategia viene favorita attualmente dai requisiti di regolamentazione nel settore finanziario, inaspriti
negli ultimi anni. Le banche e le assicurazioni a livello
internazionale devono detenere più titoli «sicuri» e rapidamente liquidabili. In questo modo aumenta la domanda di titoli di stato – prima di tutto quelli del proprio paese – il che fa scendere ulteriormente il livello
dei rendimenti. Di conseguenza, dall'inizio della crisi finanziaria le banche nei paesi europei colpiti dalla crisi
del debito hanno notevolmente aumentato la quota di
titoli di stato del proprio paese. Anche negli Stati Uniti
l'inasprimento delle disposizioni in materia di liquidità
ha fatto acquistare alle banche negli ultimi trimestri
molti più titoli di stato statunitensi (ved. grafico 12).
Grafico 13: Illusione monetaria
Andamento del patrimonio con un tasso per la remunerazione dell'1% e un'inflazione dell'1.5%;
indice (anno d'inizio 0 = 100)
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Grafico 12: Le banche statunitensi accumulano
titoli di stato
Banche statunitensi: consistenze di Treasury in miliardi
di USD
100
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2
3
4
5
Patrimonio nominale
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Patrimonio reale
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
250
In Svizzera questo effetto non è politicamente voluto.
Infatti l'economia non presenta alcuna problematica di
debito eccessivo. Anzi, il settore privato è un forte creditore netto. Gli interessi negativi introdotti dalla Banca
nazionale sui depositi a vista delle banche commerciali
puntano in realtà anche a rendere poco interessante gli
afflussi di capitale.
200
150
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50
0
1T03
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1T09
1T11
1T13
Tuttavia, la misura genera pressione sui tassi per la remunerazione. Ai grandi investitori istituzionali e ai
clienti commerciali molte banche addebitano ormai interessi negativi. Per la maggior parte dei clienti con
conto di risparmio, il limite inferiore degli interessi nominali pari a zero è però un minimo. Infatti, invece di
accettare interessi negativi per loro vi è l'incentivo di
prelevare il contante. Poiché allo stesso tempo dopo la
sospensione del limite minimo di corso, il tasso d'inflazione in Svizzera scende nettamente nel settore negativo, i tassi reali per la remunerazione 2015 rimangono
comunque positivi e aumentano addirittura, come già
osservato negli anni di deflazione 2009 e 2012 (ved.
grafico 14). La tendenza dovrebbe però invertirsi già il
prossimo anno, poiché lo shock deflazionistico, dovuto
alla valuta e al prezzo del petrolio dovrebbe terminare.
Fonte: Fed, Raiffeisen Research
Ridistribuzione dai risparmiatori ai debitori
La politica della «repressione finanziaria» ha naturalmente i suoi effetti secondari. Lo sgravio per i debitori
pubblici e privati significa allo stesso tempo una «trappola degli interessi reali» per i creditori e in generale
per i possessori di crediti di denaro e di patrimoni monetari. Il valore nominale dei loro valori patrimoniali rimane invariato o aumenta leggermente. Chi però
crede a un aumento del patrimonio è vittima della cosiddetta «illusione monetaria». Infatti, in termini reali
risp. depurato dall'inflazione il valore del patrimonio
monetario diminuisce. L'investitore perde potere d'acquisto. Nell'esempio semplice di un tasso costante per
la remunerazione dell'1% annuo con un tasso d'inflazione dell'1.5%, il valore del patrimonio investito perde
in termini reali il 5% in un decennio (ved. grafico 13).
Del tutto diversa sembra la situazione attualmente per
i risparmiatori giapponesi. La massiccia svalutazione
dello yen giapponese, causata dalla politica monetaria,
e l'aumento dell'IVA dello scorso anno hanno fatto salire il tasso d'inflazione con al contempo tassi per la
remunerazione molto bassi. Di conseguenza, gli interessi reali per i risparmiatori giapponesi sono sprofondati nel settore negativo (ved. grafico 14).
Lo stesso avviene per i creditori che concedono il loro
patrimonio come credito a un tasso d'interesse
dell'1%. A causa del tasso d'interesse reale negativo, i
pagamenti degli interessi creditizi non sono sufficienti
a compensare la perdita di valore del patrimonio prestato, dovuta all'inflazione. La perdita del valore reale
del creditore rappresenta dall'altro lato un uguale
«guadagno» o sgravio per il debitore, come abbiamo
6
Zürich,
März 2015
Zürich,
9.
Oktober
2013
l'inizio della crisi gli interessi reali
nella30.
periferia
europea sono rimasti per molto tempo a livelli elevati (ved.
Raiffeisen
Research
grafico 16), con disappunto
della Economic
politica
monetaria.
Raiffeisen
Economic
Research
Grafico 14: Attualmente la deflazione impedisce
ancora perdite patrimoniali dei risparmiatori
svizzeri
Tassi reali per la remunerazione in % (tassi per la remunerazione fino a 12 mesi meno l'inflazione)
Economic Research
Wochenausblick
Wöchentlicher Marktausblick
#43 Grafico 16: Interessi reali divergenti
[email protected]
[email protected]
Tel.
+41
044
226
7474
4141
Tel.
+41
044
226
Interessi reali in % (titoli di stato a 10 anni – inflazione)
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1.0
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0.0
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-1.0
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-4.0
01/04
01/06
Germania
01/08
01/10
Svizzera
01/12
-3.0
01/14
Giappone
-4.0
01/05
Fonte: BCE, BNS, Raiffeisen Research
Soprattutto per il Giappone ciò ha un effetto molto negativo sulla situazione patrimoniale delle famiglie. Infatti, con un indebitamento delle famiglie contemporaneamente basso, il rapporto patrimonio monetario /
reddito disponibile mostra un valore record internazionale (ved. grafico 15). Gli interessi reali negativi significano un aumento fiscale indiretto per le famiglie per
alleggerire l'enorme indebitamento pubblico. A maggior ragione, a queste condizioni sembra dubbioso che
la politica monetaria ultraespansiva della Banca centrale giapponese sia una strategia vincente per rafforzare il potenziale di crescita dell'economia.
01/07
Germania
Italia
01/09
01/11
Svizzera
Spagna
01/13
01/15
USA
Giappone
Fonte: Bloomberg, Raiffeisen Research
Solo nel corso dell'ultimo anno, con la stabilizzazione
delle prospettive congiunturali e l'avvio dell'Unione
bancaria le condizioni del credito sono migliorate in
modo sostenibile. Esiste quindi «necessità di recupero»
per i paesi colpiti dalla crisi del debito. Pertanto, il potenziale rialzista per i tassi a lungo termine nell'Eurozona, dovrebbe rimanere limitato, anche in caso di un
ritorno a tassi d'inflazione positivi. Negli Stati Uniti, già
negli ultimi anni il settore privato è riuscito a ridurre
sensibilmente l'indebitamento eccessivo, aiutato dagli
interessi reali bassi risp. negativi.
Grafico 15: Giappone: campione internazionale
del risparmio
Contanti e depositi di risparmio delle famiglie in % del
reddito disponibile (2012)
Anche in Svizzera, la tendenza degli interessi reali è da
molto tempo «favorevole ai debitori». Già dalla metà
degli anni Novanta, il tasso d'interesse reale basato sul
tasso per i titoli di stato a lungo termine è diminuito,
con oscillazioni, al livello più basso dall'inizio degli anni
Ottanta (ved. grafico 17).
200
180
160
140
Grafico 17: Tendenza ribassista degli interessi
reali svizzeri
Interessi reali in % (titoli di stato a 10 anni meno inflazione)
120
100
80
60
4.0
40
20
3.0
0
2.0
1.0
Fonte: OCSE, Raiffeisen Research
0.0
Con il suo programma di acquisto di titoli di stato, la
BCE ha preparato il terreno per continuare ancora per
molto tempo la «repressione finanziaria» al fine di diminuire gli indebitamenti eccessivi nel settore pubblico
e privato nell'Eurozona. A causa dell'aumento dei
premi di rischio per i titoli di stato e le banche, diversamente che in Germania o anche negli Stati Uniti, dopo
-1.0
-2.0
-3.0
1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015
Fonte: Datastream, Raiffeisen Research
7
Ne traggono profitto i beneficiari del credito, mentre i
creditori e i risparmiatori – incluse le istituzioni di previdenza per la vecchiaia – ne risentono. Inoltre, gli interessi mantenuti bassi artificialmente alterano le decisioni d'investimento. Vi sono incentivi a effettuare in
misura maggiore investimenti non redditizi.
Gli interessi manipolati rendono i valori reali più
interessanti
A causa delle relazioni internazionali dei capitali, nel
prossimo futuro la situazione nell'Eurozona caratterizzerà anche il livello dei tassi in Svizzera, indipendentemente dalla libertà decisionale politico-monetaria della
Banca nazionale, teoricamente riottenuta dopo la sospensione della soglia minima del tasso di cambio. Nel
contesto di interessi sempre manipolati i valori reali dovrebbero quindi continuare a rimanere relativamente
interessanti anche in caso di livelli di valutazioni storicamente eccessivi. Ciò è evidenziato dal confronto tra
i rendimenti delle obbligazioni della Confederazione e
il rendimento dei dividendi dell'Indice azionario svizzero SMI. Dall'inizio della crisi finanziaria, a differenza
di periodi precedenti, il livello del rendimento dei dividendi è superiore agli interessi delle obbligazioni a
lungo termine e finora la differenza è sempre ulteriormente aumentata (ved. grafico 18).
Grafico 18: Il premio dei dividendi è notevolmente aumentato
in %
4.5
4.0
3.5
3.0
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
0.0
-0.5
01/99 01/01 01/03 01/05 01/07 01/09 01/11 01/13 01/15
Rendimento dei titoli della Confederazione a 10 anni
Rendimento dei dividendi dello SMI
Fonte: Datastream, Raiffeisen Research
[email protected]
8
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Economista capo Martin Neff
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