lewis hine. l`epica del lavoro

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lewis hine. l`epica del lavoro
13/11/13
Tracce - MAESTRI DELLO SGUARDO
LEWIS HINE. L'EPICA DEL LAVORO
di Luca Fiore
06/11/2013 - La bellezza delle operaie stanche alle filatrici. Il sorriso di Laura Petty che raccoglie bacche. E poi strilloni, lustrascarpe, minatori... Gli scatti che
misero a disagio l'America per istruirla. Ma dove l'arte non si è fermata alla disillusione
«Quale che sia il fine di un fotografo - riforme contro l’ingiustizia o consolazioni per essa - è probabile che il suo
lavoro si riveli in certa misura come quello di W. Eugene Smith, quando, fotografo di guerra, si trovò a considerare i
cadaveri anzitutto come elementi della composizione delle immagini». Per Robert Adams, grande fotografo
americano e autore di acutissimi saggi sull’arte, il paradosso “etico” dell’artista impegnato socialmente si
configura in questo modo. Non importa quale soggetto venga inquadrato dall’obbiettivo, e non importa neppure il
perché: c’è un momento in cui, guardando dentro il mirino, ciò che si vede diventa soltanto “forma”. Senza questo
lavoro estetico non esisterebbero immagini efficaci e dunque funzionali alla causa per cui sono realizzate. Ma la
ricercatezza delle immagini, sempre a rischio di una deriva estetizzante, contamina l’ideale sociale?
Continua Adams: «Presi da questa tensione, pochi fotografi, e solo raramente, sono stati in grado di
risolverla in un equilibrio perfetto entro singole inquadrature; come in alcune immagini di Lewis Hine».
La fama di Hine, nato nelle campagne del Wisconsin nel 1874 e arrivato a New York nei primissimi anni del
Ventesimo secolo, è legata alle sue immagini degli immigrati di Ellis Island, del lavoro minorile,
dell’industria americana e della grande impresa della costruzione dell’Empire State Building. La sua
opera ha influenzato profondamente autori come Paul Strand, che fu suo allievo, e la generazione di fotografi documentaristi degli anni Trenta, tra cui Walker Evans
e Dorothea Lange. Viene considerato un po’ l’alter ego del quasi coetaneo Alfred Stieglitz, l’inventore della fotografia come forma d’arte indipendente. Per Hine, al
contrario di Stieglitz, la fotografia può arrivare ad essere arte, ma non è arte in quanto tale. Il suo primo scopo è la documentazione. Ciò non toglie che
fu proprio Hine a consigliare a Strand di frequentare la “bottega” culturale di Stieglitz.
Hine si avvicina alla fotografia per utilizzarla come supporto alle proprie lezioni di botanica alla Ethical Culture School. Successivamente organizzerà un club
fotografico portando gli studenti a Central Park per scattare foto di piante e alberi. La svolta avviene quando accompagna i membri del club al Battery, sulla punta
sud di Manhattan, dove gli immigrati approdano dopo essere passati da Ellis Island. Nello stesso periodo documenta il caos delle baraccopoli urbane. In quegli anni
si convince, influenzato dal progressismo di inizio secolo, che la sua missione è quella di “istruire” la società, rivelando i suoi mali, affinché questi mali
fossero sanati.
Operaio sull’Empire State Building, 1931.
Nel 1908, lascia l’insegnamento e diventa il fotografo ufficiale del National Child Labor Commmitee (Nclc), la lobby per l’abolizione del lavoro minorile.
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Nei successivi otto anni, viaggia in tutto il Paese e scatta quasi 5mila fotografie di bambini. Il lavoro viene diffuso attraverso le pubblicazioni del Nclc. Ci sono gli
strilloni, i lustrascarpe, i minatori, le bambine ai telai, i piccoli raccoglitori di cotone. Per ragioni tecniche, la mole dell’apparecchiatura e i tempi di esposizione
imposti dalla scarsa sensibilità delle pellicole, tutte le immagini sono “in posa”. Hine non è nelle condizioni di realizzare ritratti spontanei (basti pensare che il flash
è stato inventato soltanto nel 1931). Eppure queste fotografie risultano di grande impatto, per profondità psicologica e realismo.
Il 6 luglio del 1909, nella fattoria Jenkins vicino a Baltimora, Hine incontra Laura Petty, una raccoglitrice di bacche di appena sei anni. La piccola è ritratta
in mezzo a un campo di piante basse. L’obiettivo è alla stessa altezza del soggetto, costringendo il fotografo a riprendere in ginocchio. Lei indossa il
vestito della festa consunto dalle ore di lavoro. Ha un fiocco sfatto tra i capelli unti. I piedi nudi. Appoggia le mani ai fianchi, mentre il volto angelico si apre in un
sorriso alla Shirley Temple. Nei suoi appunti Hine segna accanto al nome e all’età della bimba: «“Ho appena iniziato. Ieri ne ho raccolti due scatole”, 2 centesimi a
scatola». La determinazione di Hine si nutre di una fortissima spinta ideale. «Forse siete stufi di immagini di lavoro minorile. Bene, lo siamo tutti», dirà Hine: «Ma
noi ci proponiamo di rendere voi e tutto il Paese così a disagio di fronte a questa faccenda, che quando arriverà il tempo dell’azione, le immagini
del lavoro minorile saranno soltanto una testimonianza del passato». Gli storici sono concordi nel pensare che il lavoro di Hine ha avuto un ruolo decisivo nel
dibattito che, nel 1916, porta all’approvazione della National Child Labor Law, la legge americana che limitava il lavoro dei minorenni.
A più di un secolo di distanza, il sorriso di Laura Petty resta enigmatico nella sua contraddittorietà. «I bambini in queste immagini, mostrati sulle strade o nelle
miniere, mulini e fabbriche, sembrano scintillare come diamanti grezzi», ha scritto Judith Mara Gutman. Ed è proprio a questo tipo di immagini che Robert Adams si
riferisce quando parla dell’equilibrio tra tensione etica e ricerca formale: «Hine si considerava un progressista e viene generalmente riconosciuto come tale, ma in
un’occasione ha definito il proprio scopo in termini più complessi: voleva mostrare il male per indurre la protesta, e il bene per farne tesoro. Prese
singolarmente, alcune immagini possono sembrare allora persino contraddittorie; e le ragazze stanche, in piedi di fronte alle macchine filatrici delle
fabbriche di tessuti, risultano belle, come le fotografie di cui sono parte».
Negli anni Venti il fascino per la tecnologia applicata al lavoro affascina la società americana. Hine condivide questo entusiasmo imperniato di ottimismo. Le
macchine, è la convinzione, possono contribuire a creare una società migliore. Questa convinzione dà nuova forma allo stile del fotografo che si vena di una sorta di
romanticismo. Uomo e macchina sono mostrati in un rapporto di perfetto equilibrio. È di questo periodo la celebre immagine conosciuta come Powerhouse
Mechanic. Un giovane uomo muscoloso è ripreso di profilo accanto a una turbina a vapore, mentre con una grossa chiave inglese avvita (o svita) un bullone. Anche
se indossa pantaloni polverosi e una camicia bianca senza maniche, l’uomo appare ben rasato e con un taglio di capelli in ordine. L’operaio si piega in avanti e
l’arco della sua schiena richiama la curva della macchina che incombe su di lui e ne incornicia la figura. La maestosità della tecnologia e la
bellezza fisica dell’uomo dialogano e si donano l’una all’altra.
Di qualche anno più tardi è una fotografia scattata da Hine sul cantiere dell’Empire State Building, la cui costruzione inizia nel fatidico 1929. È definita
comunemente l’Icaro. Un giovane operaio abbarbicato su un tirante d’acciaio leggermente inclinato. Sullo sfondo Manhattan, l’Hudson e la terra
ferma. Il cielo attraversato da nuvole gentili. Anche qui, l’edificazione di quello che allora sarebbe diventato il più alto edificio del mondo, viene rappresentata come
un fatto epico e i suoi protagonisti con il piglio dei miti dell’antica Grecia.
Il 1936 è l’anno di Tempi Moderni di Charlie Chaplin. Gli americani ridono dell’operaio diventato un ingranaggio delle immense macchine dell’industria pesante.
Sanno che il problema non è il povero Charlot, ma iniziano a temere che il problema possano essere proprio quei folli macchinari. È in quell’anno che Hine viene
assunto come fotografo ufficiale del National Research Project, un progenitore dei moderni think thank governativi votato agli studi sulla disoccupazione. Si tratta
dell’ultimo lavoro del grande fotografo, che morirà, in povertà, nel 1940 a 66 anni.
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Lo staff del progetto, circa 500 persone, inizia a lavorare per rappresentare la situazione del mercato del lavoro, capirne le dinamiche e i problemi. Ben lontani
dall’efficientismo tayloriano e da tentazioni neo luddiste, i dirigenti credevano che la nuova tecnologia fosse in grado di creare nuovi posti di lavoro, a patto che la
produzione servisse anche scopi sociali. In questo lungo lavoro, che lo porterà di nuovo in giro per tutti gli Stati Uniti, Hine sembra aver perso quella vena critica
che aveva caratterizzato la prima fase della sua carriera. È un altro tipo di narrazione, forse meno sconvolgente ma non meno utile.
«Oggi queste fotografie attestano la convinzione di Hine che è il lavoro il vero spirito dell’America», ha scritto Judith Mara Gutman: «È l’ingenuità
dell’artigiano yankee, le ore senza sosta dell’immigrato, la capacità erculea del mondo industriale. Ha intercettato questo spirito con la macchina fotografica, uno
strumento che molti, incluso Hine, associavano alla realtà tangibile. Cogliendo questa realtà intangibile, tuttavia, Hine una volta ancora ha oltrepassato i confini sia
dello strumento fotografico che dei suoi incarichi professionali». Una cosa analoga, ma che tocca corde ancor più profonde, la dice di nuovo Robert Adams:
«Proviamo immensa gratitudine per queste immagini paradossali e per il modo in cui continuano ad aiutarci nel corso della vita. Da giovani, pensiamo a un’arte che
si confronti con i fatti amari, perché crediamo che il male possa essere sconfitto affrontandolo; invecchiando, e cominciando a dubitare di questa possibilità,
vorremmo che l’arte non si limitasse a confermare la pena della nostra disillusione. In immagini come quelle di Hine sono contemplati entrambi gli aspetti; le
fotografie esprimono la necessità di un cambiamento, ma insieme sembrano suggerire che questo bisogno non è la cosa più importante che possa
dirsi della vita».
Costruire una nazione, geografia umana e ideale
Dal 20 novembre 2013 al 2 febbraio 2014 Lewis Hine protagonista di una mostra al Centro Culturale di Milano
Per info: www.centroculturaledimilano.it
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