Vecchie e nuove povertà - Benvenuti a Villa S. Ignazio

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Vecchie e nuove povertà - Benvenuti a Villa S. Ignazio
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6HWWHPEUH 2WWREUH Vecchie e nuove povertà
di Marco Pontoni
Le chiamano "nuove povertà", ma non
e non dispone di adeguati sostegni o servizi
sempre sono davvero nuove. La povertà di
pubblici. C’è anche la povertà – relativa,
chi fa fatica ad arrivare alla fine del mese, di chi è messo problematica - di chi è escluso dai circuiti della comunicain difficoltà da un'inflazione reale molto diversa da quella zione, dei beni tecnologici, dei consumi culturali.
registrata dagli osservatori economici ufficiali, di chi non
Anche in Trentino di povertà vecchie e nuove si è parha i soldi per rifarsi i denti o per pagare il mutuo è, alla fin lato spesso, recentemente. A fare discutere è stata innanzifine, la solita povertà di sempre. Poi, però, ci sono anche tutto un'indagine Istat che, relativamente al 2002, ha quanproblemi e fenomeni nuovi. C'è la povertà "intermittente" tificato in 21.763 le famiglie povere in Trentino su un totadi chi, quando lavora, magari uno stipendio decente lo le di 195.707 (ovvero più o meno 57.000 persone). Il dato
guadagna, solo che il suo lavoro non è sicuro, è a termine è contestabile: ad essere preso in esame, nell'indagine
(si dice "flessibile"). C'è la povertà di chi a cinquant'anni Istat, era solo il livello dei consumi, e per di più su un
si ritrova fuori dal mercato del lavoro, dell'imprenditore campione molto piccolo di famiglie. Tuttavia l'attenzione
che fallisce a causa di una concorrenza sempre più serrata, resta alta. Da parte degli organi provinciali competenti, ma
di chi vede i suoi risparmi bruciati da un mercato finanzia- anche dei tanti soggetti che ruotano attorno all'universo
rio altamente insicuro, di chi si separa, di chi ha molti figli delle povertà.
Dario Fortin, Villa Sant’Ignazio:
la povertà più grande è la paura
“Dal nostro punto di osservazione,
registriamo innanzitutto un clima di
grande insicurezza verso il futuro, anche nelle famiglie “normali”, non solo
in quelle dove il disagio è cronicizzato. L’insicurezza è più presente negli
adulti che nei giovani. Questo non è
strano: la condizione adulta è oggi
quella più in crisi di tutte, perché non
ha modelli di riferimento e non è in
grado di offrirne, ed in più non ha
tempo da dedicare ai figli ed è lacerata dai sensi di colpa. L’incertezza riguardo al futuro produce paura, un
sentimento paralizzante. Direi che
proprio la paura è la povertà più grande. Questa condizione oggi è sempre
più difficile da affrontare perché viene vissuta in solitudine, come un problema che interessa solo il singolo.
Povertà ed emarginazione sono considerate alla stregua di malattie genetiche, o come il prodotto della sfortuna,
della malasorte, che si accanisce su un
individuo in particolare. Invece andrebbe chiarito che sono innanzitutto le
dinamiche sociali a creare esclusione.
Un esempio è quello del mercato
immobiliare. La situazione attuale del
Trentino è tale da fare di questa terra
un luogo di potenziale esclusione sociale. È patologico che una famiglia
di ceto medio, con due stipendi spesso non abbia la possibilità di acquistare una casa. Ma ad essere a rischio è
anche chi paga un normale affitto, che
in genere ingoia uno stipendio pieno,
mentre l’altro viene utilizzato per vivere. Se la famiglia all’improvviso incontra una difficoltà – una malattia o
la morte di un coniuge, l’invalidità di
un familiare, la perdita di uno dei due
lavori – si scivola verso la povertà. In
quanto alla famiglia monoreddito –
tipicamente una donna con un figlio a
carico – essa è già povera.
Il mercato immobiliare in Trentino
è monopolizzato da una minoranza
molto ricca, che impiega i propri capitali nell’acquisto di case e di terreni
perché altre forme di investimento sono considerate troppo rischiose. Quindi nel mercato immobiliare c’è una
forte concorrenza, un forte dinamismo. Ma solo fra ricchi. Si crea una
situazione per la quale la forbice si
allarga sempre di più: ricchi sempre
più ricchi e poveri sempre più poveri.
Il Trentino, negli anni ’80, si è dotato di leggi adeguate. Ma questi strumenti oggi consentono solo di gestire
l’esistente. Essi devono essere riformati e aggiornati, perché negli anni
’90 siamo rimasti fermi, è mancata
una riflessione più ampia sull’insieme
delle politiche sociali. In ogni caso il
modello Trentino va valorizzato e difeso, a partire dal volontariato, una
risorsa preziosa. Il modello tatcheriano in Inghilterra non funziona, è già
saltato. Bisogna stare molto attenti ai
processi di liberalizzazione del mer-
cato dei servizi sociali; l’ente pubblico
deve sempre dare garanzia dei servizi.
Ma la risposta al disagio sociale e
alla povertà deve essere anche di tipo
culturale. Prima ho detto che la peggiore povertà è quella data dalla paura. La sicurezza però non è solo il
prodotto di una condizione materiale.
È la sicurezza interiore che ti salva
dalla patologia. La gente lo avverte, e
cerca la sicurezza nella New Age,
nella cura del corpo, nel wellness e
così via. Lo dico da credente: oggi
forse anche la Chiesa riesce a trasmettere questa sicurezza solo parzialmente. La cosa strana è vedere che in paesi dove esiste una povertà iperbolica,
nemmeno lontanamente paragonabile
alla nostra, la gente sembra essere
spesso più felice, meno in preda alla
paura. Recentemente parlavo con un
missionario che lavora nelle favelas
brasiliane; mi raccontava di queste insegnanti che fanno scuola ai bambini
di strada: non prendono uno stipendio, vivono di quello che regala loro
la comunità, un uovo, un po’ di insalata… Saranno disperate, ho detto. E
lui: cantano tutto il giorno.
(da: “Il Trentino”, n. 262)