Egregio Direttore Sul quotidiano da lei diretto è apparso il giorno 18

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Egregio Direttore Sul quotidiano da lei diretto è apparso il giorno 18
Egregio Direttore
Sul quotidiano da lei diretto è apparso il giorno 18 luglio scorso un articolo dal titolo “Il Parco della Majella
dichiara guerra ai fotografi” contenente alcune gratuite affermazioni circa la presunta persecuzione del Parco
Nazionale della Majella nei confronti dei fotografi naturalisti. Le chiedo pertanto la disponibilità di un giusto
spazio per replicare, garbatamente, a quanto ingiustamente affermato poiché non mi risulta che dal Parco sia
stato diramato un provvedimento formale o un ordine di servizio indirizzato al Corpo Forestale per
contestare il comportamento di alcuni appassionati cacciatori di fotografie. E’ però importante far rilevare
che nel Parco, per le caratteristiche del suo territorio e per la vicinanza al Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio
e Molise, da qualche anno vivono alcuni individui di orso bruno marsicano, tra i quali due femmine, al punto
di farlo considerare come core area essenziale per la conservazione della specie. Alla luce della situazione
critica in cui versa la popolazione di orso e nel rispetto delle direttive emanate dal PATOM (Piano di azione
per la tutela dell’orso marsicano), diventa obbligatorio e doveroso per l’Ente garantire le migliori condizioni
per la sopravvivenza e la riproduzione degli individui al fine di tenere accesa una delle poche speranze per la
futura esistenza di questo animale. Il disturbo, purtroppo, è una minaccia concreta alla conservazione perché
influisce sullo svolgimento dei ritmi di attività propri di ogni animale e può inficiare le possibilità della loro
sopravvivenza e riproduzione. Quando l’orso viene disturbato può fuggire (smettendo così di nutrirsi per
chissà quanto tempo o andando ad alimentarsi in aree di qualità inferiore o magari interrompendo il
corteggiamento e le diverse fasi riproduttive) oppure avvertire la presenza umana a distanza ravvicinata ma
continuare comunque nelle proprie attività. Entrambe le scelte hanno un costo per l’animale e comportano
conseguenze gravi tra le quali l’assuefazione all’uomo, fattore predisponente all’insorgenza di atteggiamenti
“confidenti”. Una foto di un’orsa a distanza ravvicinata (si tratta della famosa orsa Peppina da alcuni anni
osservata nel periodo riproduttivo in compagnia di diversi maschi nelle aree del Parco e nella vicina Riserva
Naturale del Monte Genzana) che mostra un animale in piedi sulle zampe posteriori rivolto verso il fotografo
è il ritratto di un’orsa allarmata e disturbata che qualunque fotografo naturalista considererebbe un fallimento
piuttosto che un “colpaccio”. Avvicinarsi ripetutamente, per ore e giorni, a questi animali per ottenere una
foto in primo piano, nascondendosi alla loro vista, il senso meno sviluppato in un orso, ma sicuramente non
al loro olfatto, non fa altro che aumentare le possibilità che questi animali diventino sempre più assuefatti
alla presenza umana, incrementando notevolmente il rischio per la loro incolumità e l’emergenza di
situazioni conflittuali con l’uomo. Il Parco non è assolutamente contrario al turismo naturalistico,
all’osservazione della fauna e alla fotografia, (ha pure svolto un corso di fotografia naturalistica dove questi
princìpi vengono comunemente spiegati prima di affrontare gli aspetti tecnici della fotografia) purché queste
attività vengano condotte in modo etico e in piena conformità alle leggi esistenti che, ricordo, vietano il
disturbo della fauna. Abbandonare le strade, i sentieri autorizzati e avvicinarsi a poche decine di metri per
fotografare orsi concentrati nelle loro attività riproduttive o di alimentazione non è né un atteggiamento etico
né un atteggiamento rispettoso delle regole. Anche perché come poter stabilire a quanti fotografi è consentito
essere presenti contemporaneamente in uno stesso luogo per scattare foto ravvicinate a questi animali senza
ritenere che arrechino disturbo? Ben più corretto, invece, appare il comportamento di molti altri appassionati
e turisti che, al tramonto e all’alba sostando ai bordi di strade asfaltate lontane molte centinaia di metri dalle
aree più frequentate dalla fauna, dotati di binocoli o cannocchiali o apparecchiature fotografiche adeguate
osservano i comportamenti degli orsi e altre specie a distanze tali da non arrecare alcun disturbo. L’augurio
del Parco Nazionale della Majella è che questa tipologia di amanti di animali sia sempre maggiore e che un
giorno possa essere motivo di gioia non la momentanea popolarità sui social network di una foto carpita ad
un orso impaurito, ma la constatazione che nel territorio del Parco Nazionale della Majella l’orso viva e si
riproduca, a prescindere che lo si fotografi o meno, veicolando così il vero volto intrigante e selvaggio del
nostro Abruzzo interno e protetto.
Il Direttore
Oremo Di Nino