Salire a Barbiana, di Tiziana Macario e Cristina

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Salire a Barbiana, di Tiziana Macario e Cristina
Salire a Barbiana rappresenta una sorta di aggiornamento per educatori e insegnanti. Visitare la
casa-scuola di don Milani dovrebbe far parte del tirocinio di formazione di qualsiasi “maestro”.
L’8 e il 9 ottobre la scuola di Barbiana è stata meta dei partecipanti al convegno “I valori della
genitorialità. La Pedagogia di don Milani in dialogo con la Metodologia Pedagogia dei Genitori”.
Con la gestione organizzativa del Dipartimento di Formazione della Cooperativa Sociale “Proposta
80” di Cuneo, il convegno è stato possibile anche grazie al Comitato per l’integrazione scolastica di
Torino, al Consorzio socio assistenziale “Monviso Solidale” di Cuneo, all’Intendenza Scolastica di
Lingua Italiana della provincia di Bolzano e alla Diocesi di Saluzzo.
Perché Barbiana? Una domanda che è anche punto di partenza. Barbiana, che doveva esser l’esilio
per un prete scomodo, è diventata patria di tutti coloro che intendono riproporre l’educazione. E
allora precisiamo maggiormente la domanda: perché proprio la scuola di don Lorenzo per parlare di
“genitorialità”? Perché nella sua breve vita, a distanza di quasi cinquant’anni dalla morte, la figura
del sacerdote ci rivela come si possa essere madri e padri senza esserlo. Ci dice che essere genitori è
vocazione e scelta, non casualità, e che, come atteggiamento umano, riguarda qualsiasi impegno
professionale.
Andare a casa di una persona, oltre che cercare di comprenderne il pensiero attraverso gli scritti, è
uno dei modi migliori per conoscerla. La casa di Barbiana, così come la scuola, sono diventate
museo senza esserlo veramente. Sono rimaste come erano e, dalla cima del colle dove sono poste, a
pochi chilometri da Firenze, affermano in modo forte, oggi come allora, la loro semplicità.
L’essenzialità e la praticità. La scuola di don Milani insegna qualcosa alla nostra scuola “tagliata”
da una riforma più economica che educativa. Lontano dal capoluogo, in una periferia dove non ci
sarebbe stata istruzione per chi non poteva permettersi di raggiungere la scuola media di un altro
centro, lui si inventò un’aula in una stanza e si scoprì tuttologo per i suoi ragazzi. Il suo
“catechismo” erano grammatica, astronomia, storia ed educazione civica, prima che il Ministero
ricordasse di inserirla come “Educazione alla Cittadinanza e Costituzione” fra le ore poi dimezzate
dell’insegnamento della storia. Soprattutto educazione civica e soprattutto Costituzione che, quando
don Lorenzo la insegnava, nei primi Anni ’60, giovanissima, era ancora minorenne. In omaggio a
quegli insegnamenti, l’Anpi locale ha voluto dedicare a don Milani il “Cammino della
Costituzione”, una sorta di Via Crucis laica che, lungo una strada sterrata in mezzo al bosco,
conduce fino alla scuola attraverso una serie di pannelli che ricorda, tra testo e immagine, i primi
dodici articoli fondamentali.
Un altro motivo per cui la sua figura, per quanto conosciuta, dovrebbe essere approfondita di più e
da tutti. Perché, pur prete, ha saputo parlare a tanti e ancora oggi avrebbe molto da dire a chi educa
ma anche a chi governa. Lui governava la piccola parrocchia in cui era stato mandato al “confino”,
una casa e una scuola. Una scuola con pochi libri, a volte uno attorno al quale si radunava, in
ascolto, la classe. Con lavagna e giochi didattici costruiti con quella fantasia e creatività che
contraddistingue certi insegnanti illuminati, spesso quelli a contatto coi bambini più piccoli. I
bambini e la scarsità dei mezzi aguzzano l’ingegno e ridanno slancio alla didattica, al modo di
proporre i contenuti. Don Milani ai suoi ragazzi insegnava a leggere la Costituzione perché, una
volta cresciuti, fossero consapevoli dei loro doveri ma anche dei loro diritti. Insegnava a sciare –
con sci di legno ancora appesi nel laboratorio di falegnameria dove consegnò loro anche le
competenze di un mestiere – e insegnava a nuotare. Sorprende, nel giardino accanto alla canonica,
tra i profili delle colline di Firenze, scorgere una vasca vuota, profonda e più lunga che larga. Come
ci ha raccontato Michele Gesualdi, l’ex allievo della scuola di Barbiana che ci ha guidati nella
visita, «la piscina era concepita per imparare a nuotare, non per divertirsi». Non dubitiamo che i
ragazzi di don Lorenzo in quella piscina si siano anche divertiti, imparando a nuotare. Divertirsi,
mentre si diventa “capaci di”. Imparare giocando, che poi richiama l’etimologia latina del termine
“ludus”, scuola come gioco. La piscina, come la tabella per giocare ai verbi, come il mappamondo e
le carte tematiche, è metafora di una didattica che sostiene l’”imparare facendo”. E allora salire a
Barbiana, all’inizio di un nuovo anno scolastico avviato tra le consuete polemiche, un anno dove
ogni giorno si fa i conti con le sottrazioni operate dalla riforma (meno ore di storia, meno
collaboratori scolastici, meno ore per il sostegno, meno uscite didattiche), è stata una boccata
d’ossigeno. Forse un Ministero illuminato un giorno potrebbe inserirne la visita in un percorso di
formazione per docenti. Barbiana è la metafora dell’insegnare. Sedersi su una panca della scuola di
don Milani e guardare i poster e gli slogan appesi alle pareti e l’”I care” scritto di suo pugno su un
cartellone appeso alla porta è più utile che ore di conferenze. Insegna a insegnare.
Tiziana Macario Ban e Cristina Roscio