Le storie di una indipendente

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Le storie di una indipendente
Le storie di una indipendente
Martedì 23 Febbraio 2010 00:00
di Mario Braconi
"Oltre che di ossigeno e di anidride carbonica, gli esseri umani sono fatti di storie: raccontarle e
desiderarle sono elementi imprescindibili della nostra vita. Oggi, però, la questione è “dove”
raccontare e “come” trasformarle in denaro sonante senza rischiare di imbastardirle". Con
questa frase si conclude il pezzo che qualche giorno fa Paige Williams, giornalista freelance per
diverse testate americane, ha scritto per l'edizione americana di Wired.
Anche se non occorreva l'articolo della Williams per spiegare che avere un buon progetto non
significa automaticamente trovare qualcuno disposto a crederci (leggi: metterci sopra i suoi
soldi) esso dimostra che "un altro tipo di giornalismo è possibile". In effetti, quella che Paige
Williams aveva tra le mani era una “storia” formidabile e molto appropriata in tempi schiavi
dell'economia e del consumo come i nostri: quella di Dolly Freed (uno pseudonimo), educatore
ambientale in Texas. Chi la va a trovare oggi per farsi consigliare, che so, su come installare
una serra nel proprio giardino, conosce il suo vero nome e quindi non saprà mai che la signora
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robusta e brizzolata che ha davanti trenta anni prima è stata un'autrice di successo.
Dolly, a soli 17 anni, pubblicò quello che nei Paesi anglosassoni è divenuto in breve tempo un
vero classico “alternativo”: "Vivere come un opossum - vivere bene senza un lavoro e (quasi)
senza denaro". In "Possum Living" la Freed raccontava la sua vita accanto al padre Frank (la
madre e il fratello costituivano una famiglia separata), un uomo deciso a non venire a
compromessi con gli aspetti della società americana che non condivideva: la sostanziale
obbligatorietà del lavoro, il denaro, il commercio.
Racconta Paige Williams sul suo sito che, quando Dolly scrisse il suo libro, "l'economia era in
recessione, Dolly e Frank erano abbastanza felici di non avere lavoro; loro, infatti, avevano
rifiutato l'economia basata sul denaro, tenendosi lontani dalla vita comoda e da
quell'atteggiamento competitivo basato sull'acquisto, che rendevano infelici tanti loro
connazionali”. Williams cita Freed: "Possiamo ottenere le cose buone della vita in modo
talmente facile che sembra assurdo cercare un qualche lavoro stupido, senza senso e
frustrante per procurarsi denaro per comprarle. [...] Gli altri chiamano questo “farsi una
posizione”, io invece lo chiamo schiavitù. [...] Non viviamo in questo modo per ragioni
ideologiche, come qualcuno sembra credere; […] solo perché ci sembra più semplice imparare
a fare a meno di alcune delle cose che possono essere acquistate con il denaro che sbattersi
per guadagnare i soldi necessari a comprarle.”
Ma Dolly non è solo l'autrice capace di far convivere in armonia nello stesso testo "la ricetta per
le polpettine di pesce e citazioni da Diogene, Napoleone, Darwin, Wagner, Demostene, e
l'Ecclesiaste”; e sbaglierebbe di grosso chi la considerasse “una specie di hippie, una sgobbona
fissata con la natura, la soia e lo yogurt”. Abbandonato il padre (ormai nella fase discendente
della parabola che lo trasformò da genio rurale in alcolista violento), divenne ingegnere
aerospaziale, lavorando alla NASA per moltissimi anni. Salvo poi mollare tutto e mettere su
casa in Texas con marito, un collega dell'Agenzia Spaziale, e ai due figli. Quando Paige
Williams è andata a trovarla, Dolly le ha confessato che attualmente il suo regime è
"semi-opossum", il che vale a dire che almeno qualche oggetto la simpatica signora lo ha
acquistato anziché produrlo in casa.
Seguendo la tassonomia proposta da una scuola di giornalismo, il progetto della Williams sulla
Freed potrebbe essere definito un pezzo di "giornalismo narrativo", un genere in crisi per l’ovvia
ragione che il lettore medio ha pochissimo tempo disponibile per gli (eventuali) approfondimenti
e che comunque viene bombardato da decine di notizie superficiali pronte da consumare.
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Per la verità, il New York Times aveva acquistato la storia con l’idea di pubblicarla nella sua
corposa edizione domenicale, salvo poi rifiutarne la pubblicazione quando Paige si è impuntata
a non voler rivelare l’identità della signora che si nasconde dietro lo pseudonimo di Dolly Freed.
La giornalista non si è scoraggiata, anzi: ha assunto un web designer e messo su un sito
personale su cui ha pubblicato, oltre ad altri suoi articoli, anche il pezzo sulla Freed. La vera
novità è che sul sito ha aggiunto un box attraverso cui i lettori che lo vogliono possono
remunerare il lavoro della Williams e del suo piccolo staff con una libera donazione online.
La Williams ha definito questo modello "giornalismo Radiohead", dall'omonimo gruppo rock
britannico che ad ottobre del 2007 pubblicò "In Rainbows" bypassando le etichette
discografiche e rendendolo disponibile sul sito internet della band: chiunque lo desiderasse
poteva scaricare l'album lasciando la propria e-mail e pagando una somma a piacere, senza
alcun obbligo (volendo, si poteva legalmente scaricare il disco gratis); risultato, incassi iniziali
stimati tra i 6 e i 10 milioni di dollari.
La Williams certamente non ambisce ad arricchirsi, le basta recuperare i circa 2.000 dollari
spesi per realizzare il pezzo e metterlo online (viaggi, interviste, foto, web hosting, eccetera);
cosa che le è praticamente riuscita, dato che al 14 febbraio ben 160 persone avevano effettuato
donazioni sul suo sito, consentendole di raggranellare circa 1.500 dollari. L'esperimento di
giornalismo "indie" (indipendente) della Williams è una dimostrazione di come un buon lavoro di
ricerca e di scrittura, unito ad una certa scaltrezza commerciale e corroborato dalla potenza
virale dei social network (Twitter ha pompato gli accessi al suo sito internet) possa fare miracoli;
troppo poco, forse, per fare della Williams il prototipo di un nuovo modello di giornalismo.
Una cosa è certa: se da un lato firmare pezzi per una testata autorevole conferisce credibilità,
quando si esplorano le possibilità di quella giungla che chiamiamo Rete in solitaria, bisogna
conquistarsi la fiducia dei lettori con standard giornalistici "inviolabili. La storia e il modo in cui la
si racconta sono importanti - chiosa la Williams - ma altrettanto importante sono la personalità
del giornalista e il fatto che abbia o meno costruito la narrazione su una solida base di
informazioni verificate e di integrità.
In effetti, il prestigio di una testata, che normalmente conferisce autorevolezza, talora può
funzionare da passepartout per contrabbandare al pubblico le menzogne e i plagi di un numero
ridotto, ma pernicioso, di personaggi privi di scrupoli: si pensi al caso di Jayson Blair, ex "star"
del NYT rivelatosi un vero e proprio criminale della carta stampata, o a quello, recentissimo, di
Zachery Kouwe, giornalista economico del quotidiano newyorkese costretto alle dimissioni dopo
essere stato pizzicato a copiare di sana pianta (senza citarli) articoli del
WSJ e della R
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