In una sola notte

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In una sola notte
SECONDO CLASSIFICATO
SEZIONE RACCONTO
In una sola notte
di Samanta Carboni, Sofia Chinelli, Francesca Diotallevi, Lucia
Fraternale Seraghiti, Matteo Volteggi
della classe II C dell’Istituto Comprensivo Pascoli, Urbino (PU)
Docente Referente: Prof. ssa Francesca Casadei
IN UNA SOLA NOTTE
Era una mattina comune, una mattina assolutamente normale a
Stone Lodge, la dimora squadrata della famiglia Gradgrind. Alle
otto in punto, non un millesimo di secondo di più, non uno di
meno, la sveglia perfettamente sistemata al centro del grigio
comodino accanto al letto del signor Gradgrind, squillò, portando
un’insolita nota di vita in quel monotono ordine e silenzio. In
meno di qualche centesimo di secondo Thomas era in piedi,
sull’attenti come un soldato, già perfettamente sveglio e
ammirava orgoglioso le pareti scure rivestite da una carta da
parati con figure rigorosamente geometriche. Infilò le sue
pantofole misura 45,3, perfettamente bianche, prive di qualsiasi
immagine o decorazione, inappropriata per i suoi ossutissimi
piedi nudi: non trovava infatti alcuna ragione pressoché logica
per indossare degli inutili calzini visto che si trovava all’interno
della sua dimora termicamente isolata. Camminò svelto e
impassibile lungo il corridoio squadrato e marmoreo, attraversò il
salone fino alla sala da pranzo Vi trovò la moglie, che da due
minuti impassibile lo attendeva per consumare la prima
colazione, ma lui neanche la salutò. Non lo riteneva necessario.
La tavola era già stata apparecchiata, con una tovaglia a losanghe
su cui erano state posizionati sette piattini con tazza e ben quattro
cucchiai e forchette ciascuno. Casualmente, mentre lui sollevava
un boccone assolutamente regolare e lei appoggiava sul piatto in
ceramica le posate, i loro sguardi si incrociarono. Lei accennò per
un istante un sorriso, ma subito irrigidì nuovamente le labbra,
rendendosi conto che non le era permesso ridere, se non le era
espressamente richiesto, perché lui, tassativamente Thomas
Gradgrind, odiava tutto ciò che non era misurato, pesato,
sezionato e statisticamente testato. Dopo qualche secondo di
profondo silenzio, dieci piccoli piedi, che variavano di lunghezza
dagli otto ai dieci centimetri, batterono con un rumore sordo il
freddo pavimento marmoreo come un unico paio di piedi.
Entrarono con passo militare cinque teneri visetti di bambini, già
vestiti di tutto punto, i capelli rigorosamente pettinati,
perfettamente svegli e pronti a schematizzare, calcolare ogni
informazione loro somministrata. Non erano bambini comuni, ma
figli del più intransigente, esigente e pignolo maestro degli ultimi
cinquant’anni. Prima di sedersi, esclamarono in coro:”buongiorno
signore!” e solo dopo aver riconosciuto l’espressione di assenso
del padre, si accomodarono. Recitata la preghiera, la famiglia
Gradgrind al gran completo consumò il pasto in silenzio, nessuno
osava aprire bocca, come se non fossero una famiglia, ma sette
completi estranei che si trovano per caso nello stesso luogo alla
stessa ora. I piccoli Gradgrind mangiarono uova strapazzate, un
frutto e una fetta di pane e marmellata cioè il 25% delle calorie
giornaliere, necessarie per il fabbisogno in fase evolutiva. Non
appena tutti i componenti della insolita famiglia furono sazi,
ognuno tornò nella sua stanza per prepararsi ad uscire: i cinque
soldatini marciarono a preparare gli zaini, spogli e monocromi.
La signora Gradgrind invece, dopo aver scambiato qualche acuta
considerazione con il marito, si apprestò a riordinare la tavola,
riponendo tutto nel medesimo ordine alfabetico di sempre. Infine
Thomas Gradgrind ripercorse la sua concreta dimora per
verificare che tutto fosse in ordine, quindi, raggiunto il
guardaroba, spalancò solennemente le ante del grande armadio a
muro, contenente una quantità inimmaginabile di abiti tutti
uguali, stessa taglia, fattezza e lavorazione, disposti in ordine di
colore. Allungò il braccio ossuto e grinzoso per prendere un
completo blu scuro, aprì il cassetto sottostante contenente diversi
paia di calzetti tutti neri e uguali, ordinati per pesantezza e
materiale, ne prese accuratamente un paio. Considerando che il
completo era blu e che il blu è un colore primario freddo, arrivò
alla conclusione che avrebbe indossato delle eleganti scarpe nere,
lucidate la sera prima.
Era una bella giornata: il sole splendeva alto e luminoso nel cielo
terso primaverile. L’aria era calda e piacevole, un leggero vento
dondolava allegro le foglie degli alberi. Qualsiasi uomo, aprendo
la finestra e guardando fuori avrebbe almeno accennato un
sorriso. Thomas Gradgrind invece, rimase completamente
impassibile e cacciò via dal davanzale di marmo, con un brusco
gesto della mano, un coraggioso pettirosso che aveva osato
posarvisi. Attraversò la sua squadrata dimora fino all’ingresso. Il
portone era formato da spesse assi di rovere giustapposte,
lucidato e verniciato di recente, fissato agli stipiti da imponenti
cardini di ferro, oliati ad opera d’arte : insomma, proprio un
signor fatto! Prima di uscire afferrò da un appendiabiti in ferro
battuto, un impermeabile beige e il cappello nero da gentiluomo,
che calzò in testa, come a smussare i bitorzoli che vi erano e che
sembravano aumentare fatto dopo fatto, di giorno in giorno.
Come calcolato, fu l’ultimo ad uscire di casa, preceduto dai
ragazzi e dalla moglie, che li avrebbe accompagnati per un tratto
di strada, per poi preoccuparsi di acquistare nuove pietanziere di
porcellana rigorosamente bianca. Con aria fiera e impassibile
Thomas stava per richiudersi la porta alle spalle e proseguire
lungo il vialetto, quando un orribile fatto lo sconcertò e lo
costrinse ad arrestarsi di colpo. Qualcosa che mai sarebbe stato in
grado di calcolare.
Sotto il colonnato di pietra, adagiata a terra, giaceva una umile
cesta, di quelle comunemente usate per riporre il pane, ma
all’interno non vi era affatto del pane e niente di simile. Piuttosto
qualcosa che emetteva flebili lamenti, strozzati dal pianto.
Sembrava il gemito di un neonato…e proprio di questo si
trattava. Dentro la cesta, avvolta in fasce, se ne stava una
bambina di pochi mesi che scalciava e si dimenava, tendendo le
manine verso quell’uomo. Accanto a lei un biglietto scritto con
una grafia incerta e tremante: “Sto morendo. Accoglietela!” Un
fatto decisamente insolito, ma pur sempre un fatto. Il signor
Gradgrind non si chiese certamente da dove venisse o cosa ci
facesse lì, perché l’immaginazione, la curiosità e il desiderio di
capire in quell’uomo, se proprio così dobbiamo definirlo, erano
completamente estinti . Con indifferenza, come se sulla soglia
non avesse trovato una bambina, ma una torta di prugne,Thomas
Gradgrind, portò quella “cosa” dentro la sua concreta dimora.
Non le rivolse nemmeno uno sguardo. Del resto cosa cambiava
avere un recipiente in più o uno in meno da riempire di fatti? Non
c’è che dire, i piccoli Gradgrind erano degli alunni modello, ma
la loro fantasia, i loro sentimenti e moti dell’animo erano stati
strappati e ridotti in cenere, appena venuti al mondo. Lo stesso
trattamento e la stessa sorte avrebbe ricevuto la nuova arrivata.
Ma nel posare la cesta sul tavolo squadrato dell’ingresso, gli
capitò casualmente (o forse no) di abbassare quel suo sguardo
vuoto sulla bambina. La vide: aveva un visino roseo incorniciato
da spettinati riccioli scuri. I suoi occhi erano neri e avevano un
qualcosa di insolito: una luce o forse un bagliore. Fu costretto a
vederlo. Era anche quello un fatto!. Fu per un attimo, ma solo per
un attimo, calamitato da quegli occhi, tanto da guardarli di nuovo
e questa volta non casualmente. Un sussulto. Per la prima volta
nella sua vita successe, ma solo per una frazione di secondo,
qualcosa dentro di lui. Ma appena si rese conto di quella
sconosciuta vibrazione, spaventato di se stesso, volse
freddamente lo sguardo altrove. Come avrebbe potuto quel
piccolo essere in un solo secondo mandare all’aria un’intera vita
di calcoli? Impossibile! Ma ossessionato dal pensiero che lo
sguardo di quell’essere insignificante aveva potuto mettere a
rischio le sue solidissime e geometriche costruzioni di fatti, prese
goffamente tra le braccia la bambina insieme alla sua cesta e fece
per scaraventarla fuori dalla sua concreta dimora. Ma proprio non
ci riuscì. Per quanto ci provasse, non c’era niente da fare. Era
costretto ad accettare come dato di fatto che non riusciva a farlo.
Ma Thomas Gradgrind non si arrende mai! L’avrebbe tenuta, se
così volevano i fatti, ma promise a se stesso di cancellare anche
quella bimba dalle terre dell’infanzia. Era una bimbetta di strada,
proveniente da chissà dove, ma sarebbe riuscito, sebbene con
maggior difficoltà (non essendo una Gradgrind), nell’impossibile
impresa.
I suoi propositi vennero brutalmente interrotti dal rumore
metallico della serratura della porta. Sicuramente la moglie, che
in fondo era una donna sensibile, avendo visto dalle finestre del
piano inferiore un certo movimento all’interno, doveva aver
immaginato (infrangendo le regole del rispettabile marito)
qualcosa di grave, visto che in ormai ventitrè anni, sei mesi,
dodici giorni, sette ore e quattordici minuti di matrimonio, non
aveva mai visto quell’uomo saltare il lavoro che era il fatto più
imponente della sua vita.
La donna entrò precipitosamente in casa e la scena che le si
presentò davanti la turbò profondamente. Thomas Gradgrind però
rimase freddo e impassibile.
Si limitò a raccontarle, come aveva trovato la bambina,
tralasciando numerosi dettagli (soprattutto quelli riguardanti i
moti del suo animo).
“Chissà come si chiama?” sussurrò titubante la moglie. “Come
posso saperlo?” ribadì il marito, mentre rifletteva che mai gli era
finora riuscito di chiamare qualcuno Thomas, proprio come lui.
Non poteva però di certo ignorare il dato di fatto che quella fosse
una bambina.
Per un attimo, anche questa volta una frazione di secondo, l’uomo
riconobbe nel candido volto della moglie curva verso la bambina
quel dolce sorriso apprensivo, che in un tempo così lontano e
dimenticato lo aveva fatto innamorare.
Ma ricacciò immediatamente indietro quei pensieri assurdi. Alla
fine fu Cecilia il nome della bambina: era stato il primo nome che
era venuto in mente al signor Gradgrind, forse perché così si
chiamava quella sua irritante alunna numero venti che non poteva
essere certamente dimenticata con le sue stramberie sulla
immaginazione.
Cecilia, ma tutti (contravvenendo al divieto del padre), la
chiamavano Sissy era una bambina davvero speciale e cresceva
bella e intelligente. Anche Thomas Gradgrind era veramente
soddisfatto di lei: considerava infatti il suo intervento educativo
un pieno successo. Riuscì a cancellare dagli occhi di lei ogni
traccia di quel barlume che tanto lo aveva turbato. Sissy però non
era una Gradgrind, nelle sue vene non scorreva ghiaccio, ma
sangue e il suo cuore batteva regolarmente. Così tutto ciò che
Thomas Gradgrind fece per renderla come lui non servì ad
eliminare per sempre desideri, gioia, allegria, nostalgia, ma
soltanto ad opprimerli, ben compressi in fondo al suo cuore. Ma
tutto ciò che era rimasto chiuso dentro di lei per anni…beh non
poteva certo rimanerci per tutta la vita!
Nove anni dopo arrivò l’ennesimo Natale, vuoto e dimenticato:
senza regali, alberi di Natale senza magia e soprattutto senza
significato. Erano le ore 17, 59 minuti e 4 secondi della vigilia di
Natale. Fuori era freddo e aveva nevicato fino all’ora di pranzo.
Sissy stava facendo i suoi noiosissimi compiti. Era seduta su una
sedia nera, di fronte ad una scrivania ancora più nera. Stava
calcolando la radice quadrata di 2696, quando gli parve di sentire
qualcosa di piccolo e veloce urtare lievemente la finestra. Si
voltò, aspettandosi di veder comparire un uccellino che beccava
contro il vetro, ma non vide nulla, assolutamente nulla. Stava per
riprendere il suo dovere di scolara modello, quando sentì di
nuovo picchiettare insistentemente sulla finestra. Allora,
veramente incuriosita, si avvicinò, aprì appena le imposte, ma a
quel qualcosa bastò uno spiraglio per infilarsi all’interno della
stanza: Era una busta. Una busta da lettera poco più lunga di un
pennino. Incominciò a volteggiare nella camera ad alta velocità,
picchiando insistentemente sulla spalla di Sissy, confusa ed
incuriosita. Lo stupore la avvolse come una calda coperta,
rendendosi conto che le buste non volano e tanto meno sfrecciano
da sole verso le finestre per auto-consegnarsi! Quasi d’istinto si
affrettò a seguire quella busta con tanto di sigillo in finissima
ceralacca. Si stava avvicinando all’oggetto misterioso quando la
busta, sospesa a mezz’aria, cominciò a sfrecciare verso la lunga e
larga scalinata che portava al piano terra. Raggiunto il primo
gradino, si voltò, sì, esatto, si voltò, come fa una persona quando
si gira per controllare se il proprio amico di viaggio riesce a stare
al suo passo. Quindi ruotò i due angoli superiori verso destra,
lasciando i due inferiori esattamente piantati lì dove si trovavano,
tra il pavimento e il soffitto. Certa di essere seguita, proseguì
beffarda fino all’entrata. Sissy, volteggiando insieme alla busta, si
ritrovò di fronte alla porta d’ingresso, mentre l’oggetto (ma a
questo punto proprio un oggetto non era!) con un picchiettio
supplichevole e ammiccante fece chiaramente capire di voler
uscire. Sissy, senza nemmeno avere il tempo di riflettere sul da
farsi, esitante, spalancò la porta. Penetrò un gelido alito d’aria che
non scoraggiò la bambina. La lettera continuò la sua corsa fuori,
dove niente sembrava poterla fermare e lo stesso valeva per
Sissy, che era finalmente libera. Ogni volta che riusciva ad
avvicinarsi così tanto da poterla prendere, la busta scappava e
sfrecciava via, sempre più veloce, volando al di sopra dell’altezza
di un uomo comune e schivando per miracolo tutto ciò che gli
capitava davanti e Sissy faceva lo stesso. Non si accorgeva
nemmeno di ciò che aveva intorno: ormai tutto quello che
desiderava era prendere quella busta e tenerla tra le mani.
Correva avidamente per le vie della città, con un solo punto
fermo: la busta! E questa continuava a prendersi gioco di lei.
Quando finalmente raggiunsero la piazza, incominciò a
volteggiarle intorno, disegnando spirali e cerchi. Finalmente vita!
Finalmente Sissy si sentiva a casa, felice. Nell’aria c’era quella
tipica atmosfera natalizia, così accogliente da colmare tutti i suoi
sogni. Le vie e le strade erano affollate, i bambini e le mamme
erano accalcati alle mille luminose e allegre vetrine dei negozi
per gli ultimi acquisti. Alberi decorati, agrifogli, addobbi
luminosi erano ovunque. Nell’aria c’era un dolcissimo odore di
caldarroste, caramelle e… festa!
La busta si abbassò in picchiata sopra le teste di due bambine e lo
sguardo di Sissy si posò inevitabilmente su quelle due minute
figure, diverse da tutte le altre presenti nella piazza. Erano ben
vestite: abiti confezionati con le migliori stoffe, nastri e nastrini
abbinati, sgargianti scarpette in pelle lucida. Stavano parlando o
meglio sussurrando tra loro. La più piccola diceva: “Non mi sono
fatta niente di grave, ma il vestito è rotto, rovinato per sempre!
Che cosa dirò alla mamma? Vedrai come si arrabbierà! Non è la
prima volta che mi succede di inciampare in qualcosa e cadere!”E
dai suoi profondi occhi scuri come un baratro infinito,
sgorgavano lacrime amare. La più grande, rivolgendole uno
sguardo muto, pieno di comprensione faceva il meglio che poteva
per consolarla. Nel frattempo accorse la mamma:”Che spavento!
Vi sembra il modo di scappare così? Non vi vedevo più! Per
l’amor del cielo, Carol; cosa è successo al tuo vestito nuovo?” E
prima che la piccola avesse il tempo di rispondere, la sorella
ferma esclamò: “E’ stata tutta colpa mia! L’ho spinta, mentre
stavamo litigando!”. Gli occhi di Carol erano stupiti ed increduli.
La signora mollò un altisonante ceffone sulla guancia destra della
sorella maggiore, ma lei rivolse tra le lacrime un sorriso complice
e rassicurante alla piccola, che silenziosa l’abbracciò. “Perché
l’aveva fatto?” si chiedeva Sissy non meno stupita ed immobile.
“I fatti sono andati diversamente!” Ma riguardando il volto lieto,
anche se fortemente arrossato, della sorella maggiore, cominciava
ad intuire che al di là dei fatti, del torto o della ragione, della
colpa e dell’innocenza c’era qualcosa che valeva di più: forse il
bene, l’amore. L’aveva visto: la sorella maggiore aveva voluto
bene alla piccola più di quanto ne voleva a se stessa! Era questo
che la rendeva felice!
La famiglia Gradgrind poteva anche possedere tutto il denaro del
mondo, ma era comunque povera rispetto a quella ragazzina.
Il signor Gradgrind nel frattempo si accorse dell’assenza della
piccola Sissy e, anche se è difficile da crederlo, un brivido lo
percorse dalla punta del più alto bitorzolo della sua testa alla
punta del suo alluce bianco ossuto. Sì, Gradgrind scoprì una
nuova sensazione mista a paura e ansia, che non aveva mai
provato. Come un morso alla gola che gli impediva di respirare e
far funzionare il suo mostruoso cervello. Spaventato, chiamò le
guardie, ordinando di cercarla e di trovarla, mentre lui rimase lì,
ad aspettare, riflettendo su tutto quello che stava succedendo. Si
chiuse in camera sua e pianse, per la prima volta nella sua vita.
Sissy però non aveva alcuna intenzione di tornare a casa. Una
brezza leggera fece di nuovo alzare in volo la busta, che iniziò a
librare allegra, tanto che Sissy riprese l’inseguimento.
Procedevano ora verso la direzione opposta. Si ritrovò di fronte
all’enorme abete, alto come un palazzo e adorno di luci
sfavillanti; emanava un dolce profumo di resina fresca e un calore
magico. A terra, attorno al grande albero si erano depositati
piccoli cumuli di aghi di pino, coperti dall’ombra dell’abete.
Mentre i suoi occhi si stavano perdendo in quelle mille luci
allegre, come spinti da una forza invisibile, gli aghi presero vita
cominciando a vorticare su se stessi prima lentamente, poi sempre
più veloci, come una giostra che fa girare velocemente la testa ai
bambini, così gli aghi ruotavano, come trombe d’aria che salgono
verso il cielo. Mentre Sissy osservava quella scena, confusa ma
allo stesso tempo più se stessa che mai, gli aghi vorticando
formarono due figure umane, che si muovevano freneticamente.
Solo quando uno dei due, il più alto e curvo, incominciò a
parlare, riconobbe nei lineamenti piuttosto definiti, gli occhi
gelidi di Thomas Gradgrind e la sua voce familiare, non riusciva
però a capire chi fosse l’altra figura, ancora indistinta e confusa.
“Perché” dicevano gli aghi che disegnavano Thomas “sai dirmi
per quale motivo tutti in città sono in festa? Sai dirmi perché a
Natale tutti perdono la ragione? Sai dirmi qual è il fatto che si
festeggia a Natale? Ah sì! La nascita di un bambino! Ma, perché
dopo milleottocento anni continuano a volerlo festeggiare? Certo,
si tratta sicuramente di un fatto, ma di un fatto passato. Non
potremmo studiare questo fatto come tutti gli altri fatti passati sui
libri di storia?” L’altra figura di aghi cominciava a prendere vita e
ad assumere contorni più definiti: una donna. Sissy pensò che le
somigliava, le somigliava eccezionalmente. Gli occhi di cielo
scuro incorniciati da minuti aghi verdi la guardavano, complici e
ridenti. “Chiedilo a lei! Lei ha visto!” si limitò a sussurrare. “Io
ho visto il Natale!” ripeté Sissy, per la prima volta felice. Poi in
meno di un secondo tutto scomparve, improvvisamente, come era
comparso pochi minuti prima. Gli aghi come per magia tornarono
a depositarsi a terra. Intanto la lettera, perdendo tutta quella
straordinaria vita, di schianto si posò accanto ai suoi piedi. Incerta
fece per avvicinarsi e prenderla, ma quando la afferrò cautamente
e se la ritrovò tra le dita, si accorse che non era la sola a
stringerla. Un’altra mano, bianca e ossuta la teneva stretta,
sfiorando appena le dita di Sissy. Sorpresa e spaventata, si voltò
per vedere chi fosse quell’uomo. Thomas Gradgrind, proprio
Thomas Gradgrind in persona. Era lì, le stringeva la mano, così
vicino a lei da sentirne il respiro, vicini come non lo erano mai
stati. Senza parlarsi, aprirono la busta. All’interno sulla
pergamena, in una grafia bellissima, con un vivido inchiostro
nero era scritto:
“NASCE ORA PER TE PER FARTI CAPACE DI AMARE,
SOGNARE, VIVERE DAVVERO”
“Sono venuto a cercare la mia piccola Sissy”sussurrò Thomas “e
lei ha trovato me, ha trovato un Thomas perduto o forse mai
esistito prima. Mi hai trovato sin dal primo giorno nella cesta, ma
io solo ora ti vedo. Andiamo” le disse guardandola come mai
l’aveva guardata, “ad amare, a sognare, a vivere!”. Si volsero,
dando le spalle al maestoso abete. Non videro quindi che la busta
vuota riprese a volare, non a mezz’aria, ma in alto, fino alla punta
dell’albero, poi più su e ancora più su tra il manto di stelle. Una
mano di donna, squarciando in un istante la nera profondità del
cielo, l’afferrò.
Per quanto il signor Gradgrind odiasse ammetterlo, lui aveva
cercato per tutta la vita di cambiare lei, ma Sissy in una sola notte
aveva cambiato lui.