Ecco il racconto del nostro viaggio
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Ecco il racconto del nostro viaggio
inserto speciale biologico a Oriente Da tempo EcorNaturaSì, azienda italiana distributrice di prodotti bio, aveva in programma un viaggio in Cina. Obiettivo: visitare la produzione agricola biologica del Paese. Un modo concreto per rispondere alle richieste di maggiori informazioni da parte dei clienti dei negozi Cuorebio sui prodotti provenienti dalla Cina a marchio Ecor. Ecor Naturasì ha da sempre un “contatto diretto” con la produzione biologica, sia essa italiana o extraeuropea. Per questo verso la fine di settembre ha inviato nel Paese Davide Tromballi e Paola Bigliani dell’ufficio assicurazione qualità insieme a Giò Gaeta (marketing e comunicazione). Accompagnati da Giancarlo Tarella, titolare da oltre vent’anni della ditta importatrice SweetBio, sono partiti alla volta della Cina ognuno con un ruolo ben preciso, ma con uno scopo comune: conoscere meglio il biologico cinese e riportare poi con oggettività quanto visto. Ecco il racconto del loro viaggio. speciale Cina in viaggio verso est… Ovunque tu vada, vacci con tutto il tuo cuore. book è vietato dal governo cinese, ma che per i ragazzi Confucio ci sono altri metodi per comunicare utilizzando la rete. Prima del nostro viaggio, della Cina avevamo sentito parlare spesso: un paese immenso, con milioni di abitanti, un mondo lontanissimo che, come tutto ciò che è diverso e distante da noi, può anche spaventare. La tentazione, infatti, è sempre quella di ricondurre una realtà così grande e variegata ad un unico modello, quello di un Paese che subisce una forte repressione e in cui vengono violate continuamente libertà di stampa e d’opinione e lesi i diritti civili. Perplessità Da parte dei consumatori occidentali la perplessità nei confronti dei prodotti biologici cinesi non manca. Le domande che frequenti ricorrono sono: “Saranno contraffatti? Vengono sottoposti a controlli secondo il regolamento del biologico? Sono sicuri come quelli italiani ed europei? E soprattutto, perché si deve ricorrere a prodotti provenienti da un Paese così lontano?” EcorNaturaSì ha organizzato questo viaggio verso “Oriente” proprio per poter raccogliere più notizie possibili sulla qualità effettiva e sulle certificazioni bio dei prodotti importati, ma anche per constatare che le condizioni di lavoro di chi è impegnato nel biologico siano rispettose dei diritti dell’uomo. Ebbene, quanto abbiamo scoperto ci ha stupito e ci ha fatto riflettere: lontane da metropoli e da centri industriali, davanti ai nostri occhi si sono aperte vallate interamente biologiche dalle quali provengono prodotti controllati da enti certificatori interni ed esterni, rispettando i regolamenti europei del biologico. Inoltre il biologico, abbiamo saputo, viene incentivato dal governo cinese che concede facilitazioni a chi sceglie questo metodo di coltivazione: minori tasse, uso gratuito dei terreni, finanziamenti per l’acquisto di macchinari agricoli, corsi di formazione e supporto tecnico specialistico. È il governo stesso, inoltre, che si fa promotore di controlli sui prodotti destinati comunque a subire ulteriori verifiche dagli organismi internazionali di certificazione. Del resto, in Cina si sta da poco diffondendo l’abitudine di consumare prodotti biologici, come testimonia la diffusione di negozi specializzati, soprattutto nelle grandi città. La Cina è sicuramente anche questo, ma non solo. È un paese, infatti, ricco di contraddizioni che è possibile cogliere solo guardandolo bene e dall’interno. Abbiamo viaggiato molto per raggiungere tutte le località dove hanno sede i progetti agricoli con cui lavoriamo e, sia nella città che nelle campagne, abbiamo potuto girare senza subire particolari controlli o divieti (era uno dei nostri timori maggiori). Le persone che abbiamo incontrato per la strada, curiose di noi, ci hanno fermato facendoci un sacco di domande riguardo alla nostra provenienza, stupendosi delle motivazioni che ci avevano condotto in Cina. Non capita tutti i giorni di incontrare dei viaggiatori “non turisti”, ma osservatori interessati al mondo agricolo bio. Questo viaggio, infatti, ci ha confermato l’opinione secondo cui dentro alla Cina ci sono tante Cine da conoscere, andando oltre l’apparenza e il pregiudizio. Non ci aspettavamo l’esistenza di un mondo agricolo biologico sostenuto e promosso dal governo, fatto di agricoltori che amano il loro mestiere, considerandolo anche un modo per migliorare la propria condizione economica e sociale. Abbiamo incontrato giovani cinesi impegnati in favore dell’ambiente e del biologico capaci di organizzare in poco tempo un “flash mob” di protesta attraverso il web riunendo migliaia di coetanei. Sono raduni pacifici ma determinati: c’è il rischio di arresti da parte delle forze dell’ordine per queste proteste promosse da Internet, silenziose e non violente, senza colori politici né leader “rivoluzionari” che si pongono alla guida delle masse. Ci hanno raccontato, sorridendoci, che l’uso di Face- Nella scuola del villaggio speciale Cina 2 Lavoro nei campi Notizie confortanti anche per quanto riguarda la gestione del lavoro nei campi: nelle aziende visitate, abbiamo potuto constatare che non si ricorre a manodopera minorile, né a sfruttamento di braccianti agricoli. I salariati agricoli cinesi occupati nelle aziende biologiche vengono pagati più di quelli convenzionali: se rapportati con i nostri, i loro compensi sono sicuramente più bassi, ma coerenti con il costo della vita locale. Pur avendo un tenore di vita comunque modesto, ben diverso da quello del contadino occidentale, gli agricoltori incontrati sono apparsi soddisfatti del loro mestiere che praticano con passione; non si lasciano abbattere dalla fatica del duro lavoro nei campi, in gran parte ancora manuale, e coltivano la terra nel rispetto della natura, contribuendo a mantenere la biodiversità del Paese. I loro metodi naturali possono sembrare obsoleti, residuo di un tempo ormai trascorso e superato dalla mentalità occidentale, che ha fatto della meccanizzazione il suo principale criterio produttivo, ma è necessario comprendere i vantaggi che derivano dalla loro adozione. Prima di tutto, essa consente un maggiore contatto con l’ambiente: il contadino sente la natura, vive dentro di essa, raccoglie con le proprie mani i frutti che ne provengono, impara a rispettarla e ad amarla, evitando ogni comportamento che possa danneggiarla. Nel corso della nostra visita, infatti, abbiamo potuto constatare che, grazie alle pratiche della tradizione agricola, i contadini cinesi spesso non hanno nemmeno bisogno di utilizzare gli antiparassitari naturali o i concimi organici previsti nel regolamento europeo, perché gli stessi metodi di coltivazione, il clima e l’habitat incontaminato li rendono superflui. Il lavoro manuale, va da sé, ha i suoi vantaggi anche in termini di maggiore occupazione: se le macchine sostituissero l’attività di decine di braccia, si registrerebbe un incremento della disoccupazione e molti lavoratori agricoli sarebbero costretti a trasferirsi nelle aree industriali dalla parte opposta del Paese. Oppure a emigrare alla ricerca di condizioni di vita migliori. In questo modo, invece, hanno la possibilità di restare nella loro terra, circondati da un ambiente che è per loro fonte primaria di sostentamento e di possibile sviluppo economico. Certo, anche il mondo del biologico cinese, come altre realtà di agricoltura biologica più vicine a noi, deve ancora fare molti passi in avanti. Anche se, da parte delle persone che abbiamo incontrato, c’è la volontà di migliorare sempre di più, sempre nel rispetto dell’uomo e dell’ambiente. Un desiderio che si inserisce nel contesto di una nuova sensibilità ambientale e si estende a tematiche come la raccolta differenziata, l’inquinamento atmosferico o l’utilizzo di risorse energetiche alternative. Consapevole dei propri limiti, dunque, la Cina “biologica” si mostra favorevole al cambiamento laddove è possibile e necessario, salvaguardando, però, le caratteristiche autentiche dei suoi coltivatori biologici, che scelgono ogni giorno di rispettare la loro terra (che è poi una sola, e quindi è anche la nostra). Lavorare la terra ed essere a contatto con la natura rende gli esseri umani più vicini, uniti in un’armonia tra la terra e il cielo, sotto la cui volta viviamo tutti, indipendentemente dalla parte del mondo in cui si ha la ventura di nascere. I terreni delle coltivazioni biologiche da cui provengono prodotti cinesi a marchio Ecor sono lontani da fonti di inquinamento industriale o urbano, perché situati prevalentemente nelle regioni settentrionali, in Manciuria e in Mongolia, a qualche chilometro dalla Russia. Si tratta di terreni incontaminati che, in molti casi, non sono mai stati coltivati in maniera “convenzionale” e quindi sono esenti da sostanze chimiche di sintesi. Un té a casa Chuan Itinerario del gruppo EcorNaturaSì speciale Cina 3 speciale Cina qualche domanda ai viaggiatori Come staff dei negozi Cuorebio, abbiamo poi rivolto ai viaggiatori le domande che i clienti dei nostri negozi ci pongono spesso. Speriamo di essere riusciti a raccoglierle tutte. Ecco le loro risposte: Paola Bigliani, assicurazione qualità 1. I prodotti biologici cinesi vengono adeguatamente controllati prima di arrivare sugli scaffali dei negozi italiani? Sì, e i controlli vengono fatti a più riprese prima dalle autorità cinesi e poi dagli organismi internazionali di certificazione. Inoltre, una volta giunto in Italia, il prodotto viene ulteriormente pulito e controllato prima del confezionamento. Possiamo quindi affermare che arrivano sugli scaffali solo i prodotti che hanno superato tutti i controlli. 2. La presenza di alti livelli di inquinamento urbano e industriale influisce sulla qualità dei prodotti cinesi? Bisogna chiarire che le zone in cui si coltivano i prodotti biologici a marchio Ecor non sono quelle degli insediamenti urbani e industriali. La vastità del territorio cinese permette la coesistenza di realtà in posizioni opposte: a sud, in genere, ci sono le metropoli e i centri industriali, mentre all’estremo nord troviamo prevalentemente le coltivazioni biologiche. Ciò riduce il rischio di contaminazione da terreni convenzionali e da aree circostanti, forse più che in alcune zone d’Italia. 3. Lo standard dei prodotti biologici cinesi può dirsi simile a quello dei prodotti europei? Per quanto riguarda la conservazione post-raccolta e la lavorazione, certamente lo standard può e deve essere migliorato, e per questo è importante che EcorNaturaSì possa seguire e richiedere un preciso protocollo di produzione. I fornitori che abbiamo visi- Lavorazione dello zenzero bio speciale Cina 4 tato sono i primi a desiderare queste migliorie, come testimonia il recente acquisto di macchinari adeguati per innalzare il livello di qualità delle lavorazioni. In alcuni casi, sono apparecchiature scarsamente disponibili in Italia, come per esempio quella per la decorticazione del grano saraceno. L’importatore e la nostra azienda devono stare al loro fianco per sostenerli facendo tesoro della propria esperienza in campo, così da dare sempre maggiori garanzie al consumatore italiano che li acquista. Giò Gaeta, marketing e comunicazione 1. Quali sono le condizioni di vita dei contadini cinesi operanti nel biologico? Nel corso del nostro viaggio, abbiamo saputo che il governo cinese incentiva le produzioni biologiche. Gli ambientalisti cinesi più lungimiranti guardano oltre e sostengono che la coltivazione di frutta e verdura senza fertilizzanti e prodotti chimici, richiedendo molta forza lavoro, è perfetta per i 750 milioni di abitanti delle zone rurali del paese che per potersi guadagnare da vivere sono stati costretti a spostarsi nelle città. Chi coltiva biologico, per esempio, paga meno tasse: un notevole incoraggiamento per incrementare lo sviluppo di questa forma di coltivazione. I contadini che abbiamo incontrato sono orgogliosi del loro lavoro, sanno che faticano per offrire un prodotto buono e rispettoso dell’ambiente. I loro salari sono coerenti con il costo della vita anche se il contadino biologico ha un guadagno maggiore degli altri e può così permettersi piccoli “lussi” come la lavatrice o il motorino per spostarsi. 3. Ma perché in Italia dobbiamo ricorrere ai prodotti cinesi? Anche se la filosofia di EcorNaturaSì resta quella di sostenere sempre il biologico italiano favorendo maggiormente la distribuzione di prodotti del nostro Paese, l’importazione di alcuni prodotti si rende necessaria per soddisfare l’intero fabbisogno che non potrebbe essere coperto dalla sola nostra produzione interna. Voglio ricordare che il regolamento europeo n.834/2007 consente di indicare sui prodotti la provenienza attraverso la dicitura UE e NON UE, ma, per i prodotti a marchio Ecor, si è scelto di specificare anche il Paese per offrire ai consumatori la massima trasparenza e informazione. Sullo scaffale dei negozi Cuorebio si trovano sempre prodotti italiani in prevalenza e preferibilmente e alcune referenze cinesi. Penso che contribuire allo sviluppo di una economia agricola di villaggi e comunità, portando dignità e indipendenza, significhi partecipare ad un movimento di rinnovamento, una vera e propria rivoluzione ambientale. È necessario cooperare affinché anche i pensieri e le speranze dei singoli individui, in un paese così pieno di contraddizioni, vadano verso il bene comune, che resta sempre e comunque la tutela ambientale e il mantenimento della biodiversità dell’intero pianeta Terra. Davide Tromballi, assicurazione qualità 1. Quali lavorazioni vengono effettuate e quali concimi vengono impiegati? L’agricoltura cinese non è particolarmente meccanizzata: la maggior parte delle lavorazioni viene fatta a mano o per mezzo di animali. Per la fertilizzazione dei terreni abbiamo potuto constatare l’uso di compost a base di letame di bovini, cavalli e capre, a seconda della disponibilità e dell’allevamento locale. Ma abbiamo anche verificato che spesso non si usano proprio concimi, grazie alla naturale fertilità dei suoli e a buone rotazioni. 2. E per quanto riguarda gli antiparassitari? In molti casi, spesso si evita di ricorrere agli antiparassitari naturali anche se consentiti dal regolamento bio, utilizzando brillantemente metodi tradizionali. Nella ditta che si occupa della trasformazione dello zenzero, per esempio, come insetticida viene usato un prodotto a base di peperoncino. Qui ci si affida solamente alla natura sfruttando l’esperienza e la saggezza dei contadini. 3. Il governo come si pone nei confronti dell’agricoltura biologica? Il governo crede e quindi investe nel biologico. Per esempio, ci hanno detto che è impegnato in progetti fair- trade per la costruzione di strade, scuole e piccoli magazzini di lavorazione e stoccaggio della merce, ma organizza anche corsi di formazione sull’agricoltura biologica (questo altrove non accade) per incentivare questo tipo di coltivazione. Dà mostra ai contadini che un altro modo di lavorare è possibile. Giancarlo Tarella, titolare della SweetBio 1. Quali sono i prodotti che la sua azienda importa dalla Cina e come avviene la selezione dei fornitori? Dalla Cina importiamo prevalentemente girasole, lino, sesamo, semi di zucca, fagioli e altri legumi biologici certificati che poi vendiamo a numerose aziende italiane ed europee. Prima di avviare un rapporto commerciale con un fornitore, si cerca una conoscenza personale e vengono attivati tutti i controlli richiesti dalla normativa biologica. Solo se questi danno esito positivo si avvia la collaborazione commerciale. 2. Possiamo dire che il biologico fatto in Cina è qualitativamente uguale al nostro e che importare bio da questo Paese è sicuro? Da operatore ventennale del settore sono assolutamente tranquillo: i prodotti si sono dimostrati sicuri e certificati. Innanzitutto, dobbiamo ricordare le estensioni della Cina e anche come, nonostante 2. Come viene gestita l’attività agricola? Le aziende agricole biologiche cinesi sono per lo più cooperative di agricoltori che coinvolgono in media 4-5 villaggi, coordinate da una figura autorevole, una specie di “sindaco”, punto di riferimento per qualsiasi necessità, come la formazione o il controllo del metodo biologico. In caso di difficoltà è disponibile anche un’assistenza tecnica specializzata per sostenere i produttori. La rivoluzione cinese nel secolo scorso era partita dai contadini e poi invece è cresciuta con l’industria, e quindi l’agricoltore è stato considerato da tutti quasi “un peso”. Il biologico sta ridando così dignità ed importanza alla campagna. In alcune zone della Cina si è riscoperto il concetto (finora tutto americano) della CSA (Community supported agricolture) che prevede una forma di collaborazione tra agricoltori e consumatori cinesi di biologico. Questi ultimi garantendo l’acquisto di prodotti danno la possibilità di crescita all’agricoltura bio seguendone nel contempo tutte le fasi di produzione con maggiori sicurezze sulla filiera alimentare (evitando le preoccupazioni per scandali alimentari). Prima fase di pulitura degli azuki speciale Cina 5 gli incredibili tassi di sviluppo, sia ancora un Paese principalmente rurale. L’agricoltura cinese è sostanzialmente semplice e a gestione famigliare. Molte superfici sono incontaminate, perché l’inquinamento è concentrato nel centro-sud del Paese mentre i prodotti che importiamo vengono dal nord-ovest, dalla Manciuria e dalle aree confinanti con la Russia. A mio giudizio, per la sicurezza abbiamo le stesse certezze e garanzie del mercato italiano ed europeo: ci sono gli organismi di controllo, ci sono le analisi campione, c’è la conoscenza diretta del produttore/fornitore. 3. Molte persone si chiedono: perché dobbiamo importare prodotti da così lontano? Ciò accade per più ragioni. A volte perché i prodotti nel nostro Paese mancano o sono insufficienti; in altri casi perché il mercato ci richiede il miglior prodotto al minor prezzo. A chi si preoccupa per l’inquinamento da trasporti, sottolineo che s’inquina meno importando materie prime che viaggiano via nave e che vengono inviate direttamente ai luoghi di trasformazione, piuttosto che attingendo a filiere commerciali anche nazionali, ma con molti passaggi intermedi, che moltiplicano la movimentazione su strada. 4. Ma come mai tanto interesse per il settore biologico da parte dei piccoli imprenditori cinesi? Il sogno dei produttori è dimostrare con la loro esperienza che è possibile convertire l’agricoltura cinese verso pratiche eco-compatibili, perché progresso economico/sociale e ambiente devono svilupparsi di pari passo e in equilibrio. I contadini cinesi hanno bisogno della fiducia dei consumatori occidentali per poter crescere e avviare nel Paese una riflessione su un processo di conversione di larga scala, per consentire uno sviluppo di un pensiero alternativo, ecosostenibile, che possa portare, nel tempo, a una consapevolezza dell’importanza di quello che si chiama “BIL”, benessere interno lordo. In alto: pianta di zenzero; sopra: cartello indicante inizio area bio speciale Cina 6 carta d’Identità della Cina Sigla nazionale: CHN Forma di governo: Repubblica popolare Capitale: Pechino Superficie: 9.569.901 kmq Popolazione: 1.338.612.698 abitanti Lingua: Cinese (ufficiale), coreano, dialetti tibetani, kazaco, mongolo, uiguro Etnie: Han (91,6%), Zhuang (1,3%), Manciù (0,9%), Hui (0,8%), Miao (0,7%), Uiguri (0,7%), Tujia (0,6%), Yi (0,6%), Mongoli (0,5%), Tibetani (0,4%), Dong (0,2%), Yao (0,2%), altri (1,5%) Religione: non religiosi/atei (63,9%), taoisti (20,1%), buddhisti (8,5%), cristiani (6%), mussulmani (1,4%), credenze tradizionali (0,1%) speciale cina la rivoluzione silenziosa Gli albori del movimento per l’agricoltura biologica in Cina risalgono agli anni Ottanta. Nel 1984 fu infatti fondata, presso l’istituto di Scienze ambientali di Nanchino, una sezione di Ecologia rurale (SER) attiva nella definizione, applicazione e diffusione di metodi agricoli sostenibili e biologici. Nel 1989 la SER fu ammessa all’IFOAM (International Federation of Organic Agriculture Movements), inaugurando così la partecipazione cinese al movimento internazionale per l’agricoltura biologica. Con l’aiuto di istituti di ricerca, università e autorità locali, questo nuovo approccio all’agricoltura si diffuse velocemente, cosicché, verso la metà degli anni Novanta, si contavano in Cina circa 1200 eco-villaggi o eco-fattorie. Youji shipin: il bisillabo youji è infatti la traduzione letterale dell’inglese organic, vale a dire “proprio di organismo vivente” e, per estensione, “naturale, non artificiale”. Parallelamente si era venuta sviluppando, in modo pressoché spontaneo, una rete di piccole realtà aziendali che, lontano dai riflettori delle politiche agrarie di Stato, sperimentavano un ritorno a metodi di coltivazione tradizionali, ecosostenibili, e - di fatto - biologici. Va poi segnalata l’entrata in vigore, nell’ aprile 2005, del “Regolamento sulla certificazione dei prodotti biologici” (Youji chanpin renzheng guanli banfa), con il quale vengono finalmente stabilite norme di legge univoche, con valore sull’intero territorio nazionale, atte a codificare il rilascio delle certificazioni per gli youji shipin. Senza molto rumore, infatti, la Cina ha rivoluzionato negli ultimi anni la propria produzione agricola verso un’agricoltura biologica. Tra il 2000 e il 2006, la Cina è balzata dalla 45a posizione a livello mondiale tra le prime dieci per entità di terra gestita ad agricoltura biologica, e nel 2010 ha raggiunto la terza posizione, dopo Australia e Argentina. Il Paese vede milioni di operai licenziati dalle industrie tornare alla campagna in cerca di lavoro; l’abbondanza di manodopera, assieme al miglior ricavo possibile con i prodotti alimentari biologici – intorno al doppio del prezzo dei prodotti convenzionali – potrebbe accelerare la conversione di ancora più terreni. Spiega Xiao Xingji, direttore del Centro per lo sviluppo dell’agricoltura biologica della Cina (OFDC), una struttura del ministero delle Politiche agricole e uno dei principali driver dell’agricoltura biologica in Cina: “Se riuscissimo a creare e mantenere un certo reddito nelle campagne, non si produrrebbero questi pesanti flussi migratori verso le città industrializzate o verso l’estero“. La prospettiva del governo è quella di migliorare la sicurezza alimentare e l’ambiente, oltre ad aiutare gli agricoltori ad aumentare il proprio reddito. Attraverso organizzazioni come la OFDC, la Cina ha investito massicciamente in ricerca e sviluppo. Sono anche i governi locali che offrono sostegno finanziario attraverso programmi di formazione e sovvenzioni. Tutto ciò paradossalmente renderebbe fiero Mao: grazie all’aumento delle aziende cooperative, infatti, numerosi gruppi di agricoltori tendono a unire i loro terreni in una porzione unica, quindi condividendo costi e profitti. La crescente attenzione che il governo rivolge all’agricoltura sostenibile e biologica rappresenta la via maestra per garantire la salute del consumatore e la tutela dell’ambiente e per ridurre la povertà delle campagne. Inoltre, come concordano tutti gli studi, i sistemi di coltivazione biologica danno un contributo a lungo termine alla fertilità del suolo, in particolare risolvendo i problemi dell’erosione, del degrado della sua struttura o della desertificazione. Riducono anche il consumo dell’energia e dell’acqua, limitano le emissioni di gas serra e utilizzano il patrimonio della conoscenza piuttosto che quello dei capitali economici. Il biologico è tra le vie maestre per combattere la povertà. (Fonte: tuttocina.it) biologico cinese Ufficialmente in Cina la regolamentazione nazionale per il biologico (CNOPS) è entrata in vigore il 1° Aprile 2005, dopo 20 anni di preparazione. Tutti i prodotti venduti in Cina come biologici e/o in conversione al biologico, devono conformarsi a tale regolamento. In Cina il terreno agrario è una risorsa preziosa: sebbene infatti il paese sia enorme, la maggior parte del territorio è coperto da montagne, deserti, e zone poco adatte all’agricoltura. Alla fine del 2006 il terreno coltivabile in Cina raggiungeva i 121,8 milioni di ettari, meno del 13% della superficie totale del Paese. Nello stesso anno la superficie agricola pro capite era di 0,09 ettari, meno del 40% della media mondiale, 1/8 del livello degli Stati Uniti e la metà rispetto all’India. Milioni di ettari destinati alle coltivazioni biologighe in Cina (Fonte: rivista Internazionale 2010) 2002 2003 2004 2006 2005 speciale Cina 7 il contadino gentiluomo Dalla Cina arriva questa bella storia raccontata su Chinadaily.com. È la vicenda di Ji Yunliang che, dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in nano materiali presso l’università di Pechino, ha abbandonato la ricerca per dedicarsi all’agricoltura biologica. “Il gusto del cibo biologico è totalmente diverso da quello che si trova sul mercato” questo è l’opinione da cui partire. Se all’inizio poté contare sul sostegno degli amici che collaborarono al progetto e furono anche i suoi primi clienti, ben preso Ji rimase solo: i costi troppo alti spaventavano gli altri, ma non lui. Fondò quindi la Fattoria Biologica De Run Wu e nel 2005 iniziò a vendere gli ortaggi biologici prodotti. Per avere dei profitti dovette però attendere il 2008; tuttavia, afferma con convinzione che “fare soldi non è la mia priorità. Dobbiamo avere cibo biologico. È uno stile di vita. Se posso combinare il mio stile di vita naturale con la mia carriera, perché no?”. Attualmente, per poter rifornire un numero sempre maggiore di clienti, Ji dovrebbe ampliare la sua attività. Tuttavia, lui non si pone alcun obiettivo per il suo sviluppo: “Piuttosto che espandere ciecamente la mia attività, preferisco garantire la qualità del nostro cibo biologico”. Una bella lezione sul modo di intendere l’agricoltura biologica prima di tutto come stile di vita naturale. (Chinadaily.com – 18 dicembre 2011)