LA FONTE DEF INFORMAZIONE 11/05

Transcript

LA FONTE DEF INFORMAZIONE 11/05
NOTIZIARIO UFFICIALE
SOMMARIO
4
| UNO SGUARDO
DALL’ESTERNO
Disabilità e corse
6
11
MAGGIO 2005
INVALIDITÀ, NUOVA
MALATTIA SOCIALE?
di Dr. med. Carlo Calanchini, Membro del Consiglio di Fondazione
| FONDAZIONE
Un nuovo modello
organizzativo
8
| AREA COMMISSIONE
DEL PERSONALE
Un feedback da parte
della CIP...
12 | PAROLA AI PROTAGONISTI
Abillitazione alla
professione di psicologo
14 | SPAZIO STRUTTURE
Il lavoro alla
caffetteria SUPSI
16 | OPINIONE SUL TEMA
Volontariato
e solidarietà
20 | VARIE
Grandi novità
all’Ago nel pagliaio
FONDAZIONE LA FONTE
Membri del Consiglio
Luciano Clerici (Presidente), Elena Soldati
(Vice Presidente), Carlo Calanchini, Elios
Giorgetti, Maurizio Canetta, Gianandrea F.
Rimoldi, Fabia Dell’Acqua-Cornaro, Carlo
Terzaghi, Wanda Bassani-Antivari.
Che i casi d’invalidità dovuti a motivi psichici
stiano aumentando - e già da anni - è cosa
ormai ben nota. I media ne riferiscono periodicamente, con segnali d’allarme giustificati.
A livello politico ci si preoccupa di questo
fenomeno e si è alla ricerca - non facile - di un
rimedio a una tendenza inquietante.
Cosa sta capitando? Come sempre in
questi casi, siamo davanti a una domanda
complessa, che non può avere che una
risposta articolata e - probabilmente - mai
davvero esaustiva. Chiariamo subito un
punto importante: non è compito del
medico attestare un’invalidità.
EDITORIALE
Il medico può solo accertare l’esistenza
di un’incapacità di lavoro. Se questa si
protrae oltre un certo limite di tempo
(p.e. un anno d’incapacità completa al
lavoro) si comincia a prendere in considerazione la possibilità di un’invalidità
di lunga durata o permanente, che
darebbe diritto a prestazioni da parte
della competente assicurazione sociale
(AI). Queste possono consistere in una
rendita o in misure di riqualifica professionale.
Il medico, perciò, è spesso solo uno
degli ultimi anelli di una catena, che con-
1
INDISPENSABILITÀ DI RIFORME, DI NUOVI
POSTI DI LAVORO PER VALORIZZARE CHI
NON È PIÙ COLLOCABILE NELL’ECONOMIA
DI MERCATO
duce il paziente-assicurato dalla piena o
parziale capacità di lavoro/guadagno
alla totale/parziale incapacità, e si trova
a dover constatare la conclusione (o per
lo meno le fasi conclusive) di un iter
iniziato talvolta anni - forse decenni prima.
Quali altri elementi costituiscono questa
catena? Il più importante (e anche il più
ovvio, tanto che ci si dimentica spesso di
considerarlo) è il passare del tempo. Il
lavoratore invecchia e la società (e con
essa soprattutto l’economia) evolve. Nei
decenni scorsi abbiamo vissuto (e credo
che ciò sia evidente per chi abbia più di
trenta o quarant’anni) una trasformazione importante dell’assetto politicoeconomico mondiale, le cui ripercussioni non potevano risparmiare la vita di
tutti noi.
Il dopoguerra ha presentato una lunga
fase di crescita economica per il mondo
occidentale; dietro la cortina di ferro e
nel terzo mondo ciò non avveniva o
avveniva in modo sensibilmente più
lento (con qualche eccezione). L’ Europa
occidentale era in condizioni di sviluppare un sistema di previdenze e di
ammortizzatori sociali prima quasi
inesistenti. L’ economia garantiva non
solo il pieno impiego ma offriva più
lavoro di quanto le risorse umane locali
potessero soddisfare.
Ne scaturirono importanti flussi migratori con l’insediamento in Europa occidentale
(in
realtà,
soprattutto
nell’Europa centro-occidentale) di
“colonie” straniere numerose: italiani,
greci, turchi, spagnoli, portoghesi,
jugoslavi... In epoca successiva, dopo il
crollo del muro di Berlino e dell’impero
sovietico, a queste comunità si sono
aggiunte quelle provenienti dall’Europa
dell’est , senza contare quelle arrivate
negli stessi periodi a seguito di processi
di decolonizzazione o di problemi politici,
da altri continenti - Medio Oriente,
Africa, Sri Lanka, America Latina...
La società centro-europea (ma ormai
dell’intera Europa) si avvia sempre più
ad essere multietnica, con tutte le crisi
di adattamento che ciò comporta.
Questo processo di adattamento non è
un fatto collettivo o politico-sociale
soltanto. È (anche) un processo faticoso
al quale, in misura maggiore o minore,
ognuno si deve - volente o nolente sottoporre. Il migrante è costretto da difficoltà gravi (economiche, politiche o
altro) a lasciare la sua terra, spesso
senza disporre di strumenti culturali che
gli facilitino l’inserimento nel paese di
destinazione; spesso non ne conosce la
lingua e non è minimamente a
conoscenza degli usi e della mentalità
locali.
Mancanza di riferimenti culturali e
povertà di contatti con connazionali
(spesso non meglio “attrezzati” di lui)
facilitano un vissuto di isolamento, di
povertà umana, di scarsezza (quando
non di assenza) di speranza. Questo disagio esistenziale si può trasformare, col
tempo e in casi che - per ragioni
genetiche, difficoltà vissute in fasi cruciali dello sviluppo, vulnerabilità costituzionale - sono predisposti, in vero e
proprio “disagio psicosomatico”, che tipicamente - si esprime, inizialmente,
con sintomi apparentemente fisici: mal
EDITORIALE
di testa, dolori muscolari diffusi, dolori
addominali, e qualche volta con veri e
propri “disturbi conversivi” (crisi “cardiache” o “respiratorie”, paralisi senza
lesioni organiche, ecc.) per evolvere poi
in disagio psichico (depressione, nelle
sue varie forme, talvolta psicosi).
Spesso, l’iter medico di queste persone
comincia con consultazioni presso il
generalista, il medico di famiglia.
Effettuate le indagini somatiche ritenute
necessarie, ci si arrende, spesso solo in
un secondo tempo, alla realtà della natura
psicosomatica/psichica del disturbo.
Davanti a questi problemi, la psichiatria/psicoterapia si trova in difficoltà non
meno che le altre discipline mediche. Si
tratta infatti di disturbi multifattoriali,
complessi, le cui cause non sono
(almeno in parte) biologiche ma sociali,
quindi difficilmente influenzabili dalla
medicina, e se sì, solo in tempi molto
lunghi.
La presa a carico individuale, poi, è resa
difficile da incomprensioni interculturali,
da difficoltà di lingua, da radici etniche,
religiose ecc. troppo diverse per essere
adeguatamente affrontate da chi non
dispone di strumenti e preparazione
adeguati. Inoltre, il disturbo, quando
giunge all’attenzione dello psichiatra,
spesso è sintomatico da anni e ha
imboccato un corso ormai irreversibile.
In qualche caso, il ricorso all’invalidità
diventa inevitabile.
Ma dev’essere chiaro che a far ricorso
all’invalidità non sono solo gli immigrati.
Tutt’altro. Vi sono persone sfortunate
che all’AI devono far ricorso per gravi
2
problemi di salute presenti dalla nascita
o dall’infanzia; in più, oltre alle “trasformazioni” sociali legate all’emigrazione,
ve ne sono altre, ancor più importanti,
avvenute nel mondo del lavoro.
Sta di fatto che il ritmo e la pressione sul
posto di lavoro (legata anche all’incertezza di conservarlo) sono andati
crescendo e determinando in molti uno
stato di stress sempre più forte.
Informatizzazione, fusioni, razionalizzazioni, globalizzazione e logica del massimo profitto (ideologia che sembra fare
del famoso “shareholders value” il “summum bonum”) hanno reso superflui
molti lavori, sia manuali/artigianali che
del settore terziario, senza produrre
niente che potesse in qualche modo
sostituirli. Non serve molto - come in
passato è stato fatto a gran voce e ora
viene fatto più sommessamente - invocare “flessibilità” dal lavoratore rimasto
disoccupato o in procinto di esserlo.
Lo stress può, indubbiamente, avere
aspetti positivi, alimentando l’attività e
riducendo la noia, portando così a una
produttività gratificante anche per il
lavoratore. Ma se è esagerato e se,
soprattutto, come si è visto diventare
pratica corrente, purtroppo, anche da
noi da qualche anno - è accompagnato
dalla perversa pratica del “mobbing”,
diventa nocivo, finendo per provocare
sintomi analoghi a quelli che presentano
gli emigranti in difficoltà: ansia, insonnia,
depressione, disturbi psicosomatici, ecc.
Tutto ciò non è sopportabile a tempo
indeterminato.
Le capacità individuali di adattarsi, piegarsi, riqualificarsi e di ricominciare non
sono illimitate e, generalmente, diminuiscono con gli anni, specie se per tanto
tempo si è esercitato un lavoro monotono, ripetitivo, poco stimolante, ma anche
un lavoro così impegnativo da non lasciare spazio a formazione di interessi
paralleli.
Certo, anche qui le concause personali
giocano un ruolo importante. Vi sono
giovani incapaci di imparare un nuovo
mestiere e anziani che non temono di
adattarsi alle nuove tecnologie. Sarebbe
interessante - ma troppo impegnativo in
questa sede - interrogarsi sul perché di
queste differenze e cercare di capire
quali caratteristiche favoriscano l’adattamento alla novità anche negli (in certi)
anziani.
Prima o poi il lavoratore andrà dal
medico, sarà in inabilità lavorativa, consulterà (forse) uno psichiatra; più in là,
se le cose non migliorano, dovrà fare
ricorso all’invalidità (sempre che non si
ammali sul piano fisico e deceda,
oppure commetta suicidio).
di gente che vuole l’invalidità”. Queste
affermazioni segnalano - nella migliore
delle ipotesi - disinformazione e superficialità. Ben vengano riforme che consentano di riqualificare i “candidati all’AI”,
nuovi posti di lavoro che riescano a valorizzare chi nell’economia di mercato non
è più collocabile. Ma come crearli, con
quali mezzi, in una situazione difficile per
le finanze pubbliche come quella che stiamo vivendo?
E quali sbocchi potranno avere siffatte
attività, in un’economia che non cresce?
In questo scenario difficile, v’è il rischio
che da un lato si “producano” nuovi invalidi e dall’altro, con l’obiettivo, legittimo e
condivisibile di contenere abusi e
sprechi, si colpiscano le persone più in
difficoltà e le istituzioni, pubbliche e private che di esse si occupano.
Riducendo le già insufficienti possibilità
occupazionali per invalidi e disabili non
si farà altro che migliorare (di poco) gli
aspetti contabili, aumentando però il
malessere sociale.
Queste situazioni incidono pesantemente sui costi della salute, sia come
spese di cura che come perdita di giornate lavorative che, infine, come costi
per rendite e/o misure di riqualifica.
Vi sono persone (tra cui anche uomini
politici di peso) che ritengono che a fare
richiesta di invalidità siano soprattutto
simulanti, parassiti sociali. Uno di loro ha
recentemente affermato che “basta
guardare i cognomi dei pazienti dei
reparti psichiatrici per capire che si tratta
EDITORIALE
3
DISABILITÀ E CORSE:
LAVORARE A FIANCO
DI FRANK WILLIAMS
di Silvia Hoffer Frangipane, WilliamsF1 Press Officer
La prima volta che mi resi veramente
conto della disabilità di Frank fu il
giorno in cui mi fu affidato il lavoro di
addetta stampa per la sua scuderia.
Eravamo a Melbourne, per il GP
d’Australia del 1999 ed un suo collaboratore mi venne a chiamare nel box
della Minardi, con la quale stavo per
iniziare la mia seconda stagione in F1.
Mi condusse nel box della Williams per
parlare con il capo che, contrariamente
a quanto mi sarei aspettata, era ritto in
piedi e non seduto sulla sua sedia a
rotelle. Compresi più avanti che Frank –
tetraplegico dal 1986, in seguito ad un
incidente automobilistico sulla strada di
ritorno dal circuito francese di Le
Castellet – aveva bisogno di tanto in
tanto di essere appeso per favorire la
circolazione e la funzionalità degli
organi interni, in una posizione che lo
faceva sembrare, a prima vista, come se
fosse realmente in piedi.
Se quel giorno Frank mi aveva chiamata, era perché avevo superato il colloquio di qualche mese prima, tenuto
a Grove, sede del team, nella
tipica, rigogliosa campagna inglese
dell’Oxfordshire e mi accorsi così che
ero arrivata alla rispettabile età di 33
anni senza aver mai conosciuto da vicino la disabilità. Frank Williams non
passa inosservato nel paddock di F1,
ovviamente, ma per una forma di rispetto e pudore nessuno lo guarda mai a
lungo ed anch’io avevo fatto altrettanto
sin’ora.
Frank Williams si allena con Alan Jones, pilota della sua scuderia nel 1978
Ma adesso mi trovavo vicino a lui e d’un
tratto mi accorsi che non erano solo le
gambe a non funzionare, ma anche le
braccia, che poteva muovere solo
comandandole approssimativamente
con movimenti delle spalle. Le mani
erano immobili.
Sono passati sette anni da quel giorno
e lavorando per questa scuderia ho
imparato tante cose dal punto di vista
professionale, certo, ma molto di più ho
appreso lavorando e vivendo in continuo contatto con quest’uomo sfortunato
ma nella sfortuna sicuramente privilegiato.
UNO SGUARDO DALL’ESTERNO
Essendo oggi tra gli uomini più ricchi
del Regno Unito, Frank può permettersi
di essere accudito 24 ore al giorno,
sette giorni su sette da professionisti e
persino di viaggiare con un jet privato
per essere presente ad ogni Gran
Premio. Frank è letteralmente un selfmade-man che agli inizi della sua carriera era veramente senza una lira.
Per anni, pur di far gareggiare la sua
squadra, ha dormito in macchina e
mangiato panini, quando andava bene.
Ha investito ogni più piccola risorsa nel
suo team fino a farlo diventare quello
che è oggi: una scuderia di vertice che
negli anni ha vinto nove Campionati del
Mondo Costruttori e sette Campionati
Piloti.
4
Quello che ancor’oggi impressiona di
Frank è la sua immensa passione per la
Formula 1, che - come lui stesso dice dopo quasi 30 anni di attività “è il motivo per il quale la mattina esco dal letto”.
Con la sua tenacia, la sua caparbietà, la
sua grinta, Frank è esempio per tutti nel
team.
Non può arrivare tra i primi in ufficio la
mattina, perché nonostante si svegli
verso le sei, deve fare lunghe sessioni
di fisioterapia prima di uscire di casa
ma è sempre l’ultimo - o quasi - ad
uscire dagli uffici (se si escludono gli
operai del turno di notte!). E per recuperare le ore perdure la mattina, passa
in ufficio ogni fine settimana in cui non
si svolga un GP.
Si fa chiamare solo “Frank” da tutti,
soprattutto da tutti quelli che lavorano
per lui. Nonostante qualcuno che lo
incontri per la prima volta azzardi un
“Mr. Williams” o – peggio ancora – “Sir
Frank” (nel 1999 Frank ha ricevuto il
Cavalierato dalla Regina d’Inghilterra
per meriti nel mondo delle competizioni
motoristiche) con un sorriso lui dice
“please, call me Frank, just Frank!”
(prego, chiamami Frank, solo Frank!).
E’ un uomo potente ma allo stesso
tempo sempre accessibile. Un papà
pronto ad ascoltare le lamentele dei
dipendenti ed un capo severo. Ed è per
questo che io, come ciascun membro
del team, sono orgogliosa di lavorare
per lui.
Ogni giorno Frank attraversa i corridoi
del quartier generale e saluta tutti i
dipendenti. Dall’officina all’ufficio contabile, conosce tutti i nomi a memoria.
Scherza, fa battute, chiede informazioni
sulla famiglia. Da parte sua Frank ha
una moglie, Virginia (detta Ginny) e tre
figli: Jonathan, Claire e Jamie, che sono
a dir poco la sua fotocopia.
La cosa più evidente è comunque che
Frank non si considera per nulla disabile.
Nell’affrontare ogni situazione ragiona
come se fosse assolutamente normale
dal punto di vista fisico e questo lo
rende tale agli occhi degli interlocutori.
Spesso e volentieri mi dimentico che
Frank è su una sedia a rotelle. Vedo lui,
non vedo la sua sedia.
Frank Williams oggi
UNO SGUARDO DALL’ESTERNO
5
VERSO UN NUOVO MODELLO
ORGANIZZATIVO
di Rossano Cambrosio, Direttore
È innegabile! La nuova legge di finanziamento degli Enti sussidiati, prevista
dall’anno venturo, imporrà, con tutta
probabilità, alle istituzioni un approccio
alla gestione delle varie attività assai
differente da quello sino a ora percorso.
E non solo in termini di efficienza economica.
Si pensa in particolare a quelle istituzioni di dimensione medio/grandi
che gestiscono molteplici strutture
sparse sul territorio, con differenti
branchie di attività, che ospitano differenti
target di utenti, ognuna di esse orientata
al raggiungimento di un determinato obiettivo.
UN APPROCCIO MENTALE
NECESSARIAMENTE DIFFERENTE
L’idea di fondo, sulla quale si basa il
nuovo modello organizzativo, è presto
detta: uscire da una logica di gestione
e quindi di pensiero, legata al localismo,
per entrare in una dimensione periferica,
che possa tener conto dei bisogni istituzionali nella loro globalità.
Ciò significherà, quindi, gestire le varie
strutture orientando il bisogno laddove
si ritenga che esso sia più indispensabile.
La nostra Fondazione, che con lo scorso
gennaio è entrata nell’ultima fase del
periodo di sperimentazione detto
“pilota”, in quest’ultimo biennio ha avuto
modo di interrogarsi lungamente circa
gli indirizzi guida che dovranno essere
perseguiti nell’immediato futuro.
In parole più semplici, allocare le
risorse a disposizione dell’istituzione
(siano esse sia economiche che legate
al fattore umano) dove vi è l’effettivo
bisogno, gestendo il capitale globale
assegnatoci dall’Ente sussidiante
affinché i servizi erogati a favore degli
utenti, e della clientela che ruota
attorno all’istituzione, rispondano effettivamente al bisogno.
Nello spazio di informazione odierno
non si intendono però ripercorrere i
soliti temi legati alla questione economica; di quelli abbiamo già ampiamente discusso negli scorsi numeri del
nostro organo di informazione e,
inevitabilmente, avremo modo di riparlarne in futuro.
In tal senso va ricordato che, con la
nuova legge di sussidiamento delle
strutture, una volta determinato e
attribuito il budget globale, l’Ente sussidiante permetterà alle singole istituzioni di distribuire autonomamente le
risorse all’interno del perimetro istituzionale.
Oggi l’oggetto di discussione è invece
mirato a illustrare la strategia gestionale, che orienterà le attività future
della Fondazione, mettendo al centro
della riflessione il nuovo modello organizzativo modulato in funzione degli
anni a venire.
Un cambiamento importante e radicale
rispetto al passato, che fondamentalmente si distanzia dalle solite logiche
del controllo consuntivo; una modalità
che responsabilizzerà maggiormente le
singole istituzioni nel gestire con
flessibilità le risorse a disposizione.
FONDAZIONE
Mi si dirà che la logica del togliere a
taluni per dare ad altri può essere vista
come una sorta di “guerra tra poveri”.
In parte forse lo è, poiché è pur vero
che le risorse oggi a disposizione sono
comunque già calibrate per rispondere
all’effettivo bisogno.
Ma ciò non deve rappresentare un alibi
per evitare di affrontare un inevitabile
cambiamento. Dovrà piuttosto fungere
da stimolo per ricercare quali e quanti
spazi di intervento potranno essere
ancora sfruttati per una gestione più
efficiente delle risorse istituzionali.
La difficoltà nell’entrare in questa
nuova dimensione, che per certi aspetti rimette in discussione tutta una serie
di garanzie e di diritti acquisiti, sarà
quella di far comprendere a tutti i collaboratori che se si vorranno mantenere i servizi a favore degli utenti a
un certo livello, se si vorranno garantire
tutti gli attuali impieghi, se dovremo
tempestivamente rispondere al bisogno
di restare all’interno di un costo globale
sostenibile, sarà inevitabile adeguarsi a
un modello gestionale sostanzialmente
differente da quello ormai in voga dai
primi anni di attività della Fondazione.
Non bisogna infatti dimenticare che la
nostra istituzione, nel corso della propria storia, ha allargato in modo esponenziale il proprio raggio di azione,
mantenendo però sinora inalterato il
modello gestionale.
Quindi un nuovo modo di pensare sarà
inevitabilmente richiesto a tutto il corpo
istituzionale; indipendentemente dal
profilo professionale assunto in seno
6
all’istituzione; cercando infine di lasciare
alle spalle una mentalità forse troppo
arroccata nel preservare, anche a giusta
ragione, delle condizioni di lavoro considerate acquisite, e a tutt’oggi intoccabili.
IL NUOVO MODELLO
Si volta dunque pagina, nella piena
consapevolezza che un progetto di
simile ampiezza e portata andrà
costantemente monitorato nel tempo,
alfine di poter valutare attentamente
se la soluzione prospettata sia quella
che effettivamente permetterà di poter
rispondere alle mutate esigenze istituzionali.
Ma come siamo arrivati a ciò?
Essenzialmente con un lavoro comune
di costruzione del modello, che ha cercato di coinvolgere tutte le componenti
in gioco; in modo specifico i responsabili
delle attuali strutture in gestione alla
Fonte.
Dunque un approccio e una strategia
di lavoro partecipativo e coinvolgente,
non sempre semplice, che ha mosso
forti inquietudini ed interrogativi, che
non ha ottenuto l’unanimità ma che, in
conclusione, ha però permesso di elaborare il nuovo organigramma istituzionale basato su alcuni principi di
fondo, che di seguito elenchiamo:
•
mantenimento della neutralità dei
costi di gestione;
•
raggruppamento delle attività istituzionali per aree distinte; residenziale, lavorativa, servizi di appoggio
trasversali;
•
garanzia di mantenimento dell’ attuale offerta in favore degli utenti;
•
ridimensionamento del tavolo della
presa di decisioni e rispettiva
creazione del consiglio di direzione;
•
messa in gioco di due nuove figure
operative, che permetteranno da un
lato di ridurre le distanze tra i livelli
operativi e, dall’altro, di filtrare talune
disposizioni interne in funzione di
uno snellimento delle pratiche deci-
sionali. Quelle del coordinatore di
area in sostituzione della figura dell’attuale responsabile e quelle del
capo-équipe, sostanzialmente un
educatore sociale al quale verranno
attribuite, per una certa quota, funzioni di ordine gestionale;
•
intervento, per gradi, nell’ambito di
una fase “di transizione”, che possa
portare alla riorganizzazione globale
dell’assetto sfruttando le opportunità date dai vincoli istituzionali
attuali. Cioè, non forzando la mano
ma piuttosto operando dove
le condizioni già lo permettano,
senza dunque entrare in una logica
conflittuale con i collaboratori;
IL NUOVO ASSETTO ORGANIZZATIVO
COSIGLIO DI FONDAZIONE
COMITATO ESECUTIVO
UFFICIO QUALITÀ
DIRETTORE PEDAGOGICO
AMMINISTRATORE
CONSIGLIO DI DIREZIONE
AREA SERVIZI GENERALI
TRASVERSALI
• SICUREZZA • SALUTE
COORDINATORE
COORDINATORE
SETTORE RESIDENZIALE
SETTORE DIURNO E
LAVORATIVO
• 5 CAPI ÉQUIPE
• 4 CAPI ÉQUIPE
FONDAZIONE
7
UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO:
UNA SOLUZIONE CHE PERMETTERÀ DI
POTER RISPONDERE ALLE MUTATE ESIGENZE
ISTITUZIONALI.
•
raggiungimento dell’obiettivo finale
entro gennaio 2006, in concomitanza
con la nuova legge Cantonale di
finanziamento.
A partire da tali presupposti si è quindi
potuto mappare un nuovo sistema
organizzativo della Fondazione che, se
da un lato permetterà di rispondere in
modo adeguato nel riequilibrio di
alcune situazioni interne “disarmoniche”, dall’altro siamo convinti permetterà a tutto il corpo istituzionale di
poter affrontare le sfide in divenire con
un assetto più dinamico e corrispondente a moderne esigenze gestionali.
Un nuovo assetto che il Consiglio di
Fondazione ha definitivamente avvallato
nelle scorse settimane, permettendo di
fatto il passaggio alla fase pratica.
Quella più sensibile e delicata, poiché
toccherà il sistema istituzionale nella
sua globalità, assegnando nel contempo
nuovi compiti a talune figure professionali.
UNA BREVE RIFLESSIONE CONCLUSIVA
La realizzazione di progetti istituzionali
di ampia portata, quali il cambiamento
di un assetto gestionale, deve essere
affrontata con trasparenza e determinazione, nella consapevolezza che il
percorso si presenterà inevitabilmente
tortuoso e irto di insidie.
In particolare la rimessa in discussione
di ruoli acquisiti e consolidati nel
tempo, per taluni non permette di
intravedere nuove prospettive operative subito.
Convenire situazioni del tutto nuove,
che comunque “sembrerebbero” (il
condizionale è sempre d’obbligo)
prospettarsi più efficienti per affrontare
un futuro comunque incerto, diventa di
fatto un esercizio ostico.
Il progetto di riorganizzazione della
Fondazione La Fonte, questo va sottolineato, si è delineato in una fase assolutamente delicata per la vita delle istituzioni presenti nel nostro Cantone, già
confrontate con richieste di sacrifici
non indifferenti, alle quali il nostro settore non era forse abituato.
Soprattutto per quei cambiamenti di
portata epocale, come quelli che stiamo
attraversando, che dipendono in larga
misura da situazioni congiunturali
legate a fattori del tutto esogeni alla
nostra condizione di operatori della
sfera sociale.
Cambiamenti che vanno accettati,
anche a malincuore, cercando di
adeguare il sistema istituzionale in
modo da poter contenere la portata
delle potenziali conseguenze; che non
sempre, è bene prenderne atto, devono
essere lette a carattere negativo.
Nella locale adiacente il mio ufficio,
dove ho l’occasione di ospitare frequenti incontri di lavoro, tengo bene in
vista una massima, che ritengo sia un
buon viatico per affrontare qualsiasi
progetto, e alla quale faccio, e chiedo
possibilmente, di fare, sempre riferimento.
Essa cita: “C’è del rischio quando si
cambiano le cose; ma spesso ce n’è di
più quando non si vuole cambiare
niente”.
Cambiamenti già in parte messi in atto,
altri che già si delineano nell’immediato
orizzonte, che a loro volta metteranno in
fibrillazione l’intero sistema istituzionale. A volte a giusta ragione, a
volte un po’ meno.
Va da sé che per taluni cambiamenti
non viene richiesto un nostro specifico
parere; lo si deve soltanto accettare.
FONDAZIONE
8
UN FEEDBACK DA PARTE
DELLA CIP SULLA CONFERENZA
DEL PERSONALE 2004
di Stefano Rimoldi, Presidente Commissione interna del personale
Lo scorso ottobre si è svolta la consueta
conferenza per il personale, evento che
annualmente viene organizzato a beneficio di tutti i collaboratori.
La conferenza 2004 ha avuto la particolarità, relativamente a tematica e
relatori, di essere stata organizzata
dalla Cip (Luca Berva ha seguito il
progetto), dopo aver raccolto suggerimenti da parte di tutto il personale
attraverso questionari.
Il tema della conferenza (Dream Team:
l’utopia del gruppo perfetto) è stato
selezionato in risposta alla maggioranza
dei suggerimenti raccolti, inerenti proprio l’importanza del gruppo di lavoro e
del suo buon funzionamento.
Per consentire di raccogliere le
impressioni dei colleghi, la Cip ha
inoltre sottoposto ai presenti un questionario (a cura di Laura Perletti).
Desidero dunque comunicarne i risultati basandomi proprio su una parte dei
dati raccolti ed elaborati (da Jessica
Suares, Valentin Grigore e Laura
Perletti). È, a mio avviso, il modo di dare
il più oggettivamente possibile voce al
personale, è più utile di un parere che,
invece, esprimerei solo a titolo individuale.
Siamo stati lieti di constatare che
l’evento è stato apprezzato dalla maggior parte dei colleghi (riquadro 1).
Meno uniformi i giudizi relativi a tempi
e luogo della conferenza, benchè
sostanzialmente positivi. Relativamente
alla Commissione Interna, si registra una
situazione analoga: da una parte si rileva
una discreta conoscenza della Cip; dall’altra si osserva come il nostro lavoro
debba ancora progredire per poter
fugare alcune perplessità.
Nel medesimo questionario la Cip ha
raccolto anche diversi suggerimenti
relativamente alla tematica su cui
incentrare la conferenza per il personale
del 2005. L’obiettivo futuro sarà quello di
prediligere delle tematiche d’interesse
generale per tutta l’istituzione e non
solo di settore.
I dati raccolti rappresentano una buona
base di partenza per orientare il nostro
lavoro futuro. In questo senso invito
tutti i colleghi nel non risparmiare suggerimenti o critiche e, ancora meglio,
nell’affiancarci per conoscere, oltre alla
conferenza, quali sono i nostri programmi.
SCELTA DEL TEMA
(Tabella ricavata dai risultati dell’inchiesta)
Numero di questionari consegnati: 83
Numero di questionari consegnati in bianco: 2
1. Secondo te l'argomento è stato trattato
in modo esaustivo?
2. Hai trovato interessante il contenuto?
3. Ha soddisfatto le tue aspettative?
4. Ritieni che sia stata formativa/utile?
5. Hai gradito il modo di esporre l'argomento
dei due relatori?
SI
NO
?
Senza risp.
71
78
69
72
4
1
6
2
5
2
4
7
1
2
-
77
-
3
1
Osservazioni:
- Complimenti! Super! Ottimo Team!
- Interessanti i "giochini" (molto educativi); complimenti ai due relatori.
- Presentazione brillante/interessante, un po' lunga, non è un tema che si esaurisce.
- Troppo lunga la prima parte (foto).
- Sarebbe interessante proseguire con questa tematica. Il tempo era limitato per affrontare il tema in modo esaustivo.
- Bella e interessante la parte pratica, ogni tanto è bello interagire in modo diverso, fuori dai soliti contesti istituzionali.
- Non devono essere dimenticate esigenze e tendenze politiche estranee, ma determinanti, nella futura configurazione del "sociale".
- Gradite le situazioni proposte che rendono bene l'idea e le problematiche di un team.
- Presentazione molto coinvolgente anche se pochi contenuti nuovi (non abbastanza formativa).
Tutti i dati relativi alle altre domande del questionario sono a disposizione presso la Cip per essere consultati
AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE
9
COORDINAMENTO DELLE COMMISSIONI
INTERNE DEL PERSONALE
DELLE ISTITUZIONI SOCIALI (CIP)
di Patrizia Marty e Catherine Ferrara, educatrici e membri della CIP
Nel corso dell’autunno 2004 la nostra
CIP si è adoperata nel ripristinare il
coordinamento delle commissioni
interne del personale delle istituzioni
sociali. Questo coordinamento era nato
nel corso del 2002, nell’ambito del rinnovo del contratto collettivo di lavoro
(CCL), con lo scopo di sensibilizzare e
coinvolgere maggiormente tutto il personale rispetto alle proprie condizioni di
lavoro.
Ci sono stati due incontri, in cui i presenti hanno presentato la propria realtà
istituzionale con le relative problematiche. Sono pure state espresse le preoccupazioni per il prossimo futuro (vedi
rinnovo del CCL). Il gruppo ha quindi
ritenuto importante poter continuare a
incontrarsi, definendo i bisogni e quindi
alcuni obiettivi con relative proposte di
lavoro :
1. I bisogni sono quelli legati allo scambio e alla conoscenza delle varie realtà
istituzionali, anche in merito al rinnovo
del Contratto Collettivo di Lavoro.
2. Gli obiettivi che ci siamo preposti, e
che andranno aggiornati man mano che
il gruppo crescerà, sono:
AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE
•
Allestire una lista degli argomenti
trattati all’interno delle varie CIP
(messa in comune delle conoscenze e
dell’esperienza di ciascuno).
•
Proporre una riflessione sulla
compatibilità della politica sociale di
oggi rispetto alla LISPI
(Legge sull’integrazione sociale e
professionale degli invalidi).
•
Sviluppare strategie nell’ambito del
rinnovo del CCL.
•
Sviluppare strategie rispetto
al coinvolgimento del personale.
•
Coinvolgere le istituzioni che non
erano presenti ai primi due incontri.
10
LE PREOCCUPAZIONI
DEL DIRETTORE SONO ANCHE
QUELLE DEL PERSONALE
di Valentin Grigore, educatore e membro della CIP
L’articolo “Preoccupazioni attuali….
in una prospettiva necessariamente ottimistica” del direttore
Cambrosio, pubblicato su La Fonte
d’informazione di novembre 2004,
accenna alla “fase pilota” del contratto di prestazione.
Richiama la necessità, dopo un
anno di esperienza, di “attenersi
rigorosamente al rispetto del budget
finanziario” e segnala che la
Fondazione si trova in uno stato
economicamente deficitario a
causa di tre fattori: aumento dei
costi del personale, diminuzione di
incassi dovuti agli ospiti che rientrano a domicilio, alle camere non
immediatamente rioccupate.
Il direttore sottolinea inoltre che la
situazione venutasi a creare nel
2003 è continuata nel 2004 tanto
che ci si è trovati di fronte “alla
scarsità di risorse economiche e
alle inevitabili conseguenze”, ed
esprimendo la preoccupazione che
in futuro “il concetto di sopravvivenza economica prevalga sulle
altre esigenze”, preannuncia che i
vari problemi “potranno essere
risolti solo ed esclusivamente con
radicali e drastici cambiamenti di
ordine strutturale”.
L’ultimo biennio ha dimostrato,
infatti, come la collaborazione reciproca possa dare buoni frutti. Non
da ultimo, visto che i sacrifici in
futuro dovranno coinvolgere tutte
le parti in causa, ci sembra opportuno dare voce anche a chi, dalla
base, è impegnato a rispondere al
meglio ai bisogni degli utenti. La commissione interna del personale, preso atto sia delle considerazioni appena riassunte sia di come
esse costituiscano materia di preoccupazione per tutti i collaboratori,
ha espresso la richiesta al direttore
di poter essere coinvolta, in rappresentanza del personale, nel dialogo
per chiarire e orientare le situazioni
per il buon andamento della
Fondazione.
La richiesta nasce non solo in ottemperanza al mandato che il CCL
attribuisce alla Cip (testualmente,
“discutere con la direzione tutte le
questioni di interesse comune”),
ma soprattutto nell’obiettivo di proporsi quale risorsa istituzionale
supplementare.
AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE
11
ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO
DELLA PROFESSIONE
DI PSICOLOGO
di Stefano Pelascini, Educatore Fonte 2
La decisione di compiere questo stage,
obbligatorio per l’ottenimento del permesso d’esercizio, giunge piuttosto tardiva rispetto al mio iter scolastico, per
tutta una serie di circostanze che
elencherò di seguito.
Ho infatti concluso gli studi universitari
in psicologia a Friborgo nell’ormai lontano novembre del 1996, per poi venire
assunto in dicembre dalla Fondazione
La Fonte in qualità di educatore.
Il caso ha voluto che si liberasse un
posto nel laboratorio protetto di Fonte 2,
dove già avevo avuto occasione di fare
alcune supplenze durante gli studi e
dove ho trovato immediatamente un
ambiente accogliente, giovane e dinamico, sia a livello di utenza che di équipe.
Ho potuto finalmente abbandonare la
statuto di studente, eternamente al
verde, per passare a quello di lavoratore
e di indipendenza economica. Fin dall’assunzione il direttore Cambrosio mi ha
garantito piena disponibilità non appena
avessi deciso di terminare l’iter professionale svolgendo lo stage di un anno
per l’abilitazione. A differenza di altri
cantoni, che permettono il libero esercizio fin dall’ ottenimento della licenza in
psicologia, il canton Ticino prevede una
serie di condizioni ben precise fin dal
1979 per avere tale riconoscimento.
Per l’ottenimento delle autorizzazioni
cantonali di psicologo occorrono:
a) Diploma o licenza universitaria in psicologia, conseguiti presso un’università
svizzera oppure diplomi equipollenti
rilasciati da università estere. Se gli studi
sono stati effettuati presso un’università
estera non riconosciuta viene richiesto il
superamento degli esami finali in psicologia (totali o parziali a dipendenza del
curriculum di studio precedente) presso
un ateneo svizzero e di conseguenza la
relativa licenza universitaria. In ogni caso
si dovrà elencare un piano dettagliato
dei corsi frequentati e degli esami
sostenuti con le relative valutazioni.
b) Certificato attestante almeno un
anno di pratica clinica effettuata dopo il
conseguimento del diploma o della
licenza nel settore ove si intende
esercitare. A sua volta, il riconoscimento
della pratica clinica soggiace a precise
direttive.
Lo scopo della pratica clinica richiesta
consiste nell’acquisire un’adeguata
esperienza teorico-pratica relativamente
a una vasta gamma casistica, nonché di
modalità d’intervento (dalla diagnosi, alle
indicazioni, ai trattamenti) nell’ambito
della psicologia.
Oltre alla possibilità di seguire in modo
individuale diversi pazienti, lo stage
prevede e garantisce pure 4 ore settimanali di studio o di partecipazione a
seminari di formazione, 2 ore settimanali
di formazione psicodinamica, 1 ora settimanale di supervisione per nuovi casi, 1
ora settimanale di supervisione per casi
seguiti e 1 ora quindicinale per una
supervisione individuale.
PAROLA AI PROTAGONISTI
Tutto questo con l’obiettivo di garantire
un’adeguata esperienza nell’esame
clinico, nel counseling, nel trattamento
individuale o di gruppo, nell’esame
testologico e psicodinamico ed eventualmente nella psicologia peritale e
giuridica, nella consulenza a ospedali,
cliniche, istituti, nella supervisione di
personale paramedico o di operatori
sociopedagogici.
Vengono riconosciute tre categorie di
enti o istituzioni che si ritiene permettano al praticante di acquisire l’esperienza clinica sopra descritta:
• Categoria A: enti o istituzioni che si
occupano di una vasta e differenziata
casistica ed esplicano diverse modalità
di indagine e di intervento (almeno 6
mesi del periodo di pratica devono
essere svolti in questa categoria);
• Categoria B: enti o istituzioni che si
occupano di una “fascia” particolare di
casistica e/o che esplicano solo alcune
modalità di intervento o di indagine;
• Categoria C: enti o istituzioni nell’ambito delle quali la psicologia clinica
viene esercitata in modo accessorio e
marginale, oppure che si occupano
solo di una gamma molto ristretta e
poco variabile di casistica.
In Ticino, gli unici enti o istituti
riconosciuti come categoria A sono i
servizi medico-psicologici e psicosociali cantonali e l’Ospedale neuropsichiatrico cantonale.
12
Essendo i posti limitati, esiste una lista
d’attesa piuttosto importante; questo ha
fatto sì che il mio stage slittasse di anno
in anno fino ad arrivare al 2004, dopo
circa 6 anni di attesa. La Fondazione La
Fonte rientra negli istituti di categoria C,
con un periodo massimo di tempo
riconosciuto di 3 mesi in vista del permesso d’esercizio come psicologo.
Questo mi ha permesso di svolgere l’abilitazione su 9 mesi invece dei 12 di
norma previsti. Per chi desiderasse
avere informazioni più dettagliate, vi è la
possibilità di consultare il sito Internet
messo a disposizione dal Dipartimento
della Sanità e della Socialità.
Per quanto riguarda il mio caso specifico,
dopo aver postulato presso tutti gli istituti di categoria A, la possibilità di fare
l’anno di abilitazione mi si è presentata
all’interno della CPC di Mendrisio. Avrei
preferito fare quest’esperienza all’interno
di un SPS, per alcuni pregiudizi che
avevo e che forse hanno molte persone
che non conoscono la clinica psichiatrica.
Ero infatti convinto di dovermi occupare
di persone in una fase molto critica della
propria vita e, per certi versi, anche
imprevedibili e che questo potesse
essere destabilizzante anche per me.
Mi aspettavo che i conflitti fra pazienti o
con il personale curante potessero
essere all’ordine del giorno in relazione
alla fase acuta del loro malessere e al
fatto che molti ricoveri vengono imposti
in modo coatto con relativa difficoltà a
trovare poi una certa “compliance”.
La realtà si è rivelata molto diversa. Il
clima all’interno della clinica è molto
tranquillo, fatta eccezione per rari
momenti di tensione che sono però
gestiti con molta professionalità dal personale curante.
In relazione alla mia formazione, l’anno di
abilitazione mi ha permesso di
conoscere pazienti molto diversi tra loro,
ognuno con la sua storia e con la sua
sofferenza, col denominatore comune di
essere, in una fase della vita di bisogno,
di sostegno per superare una situazione di crisi esistenziale.
Lavorare con queste persone mi ha
pure permesso di affinare e di imparare
tecniche di intervento clinico per me
note solo a livello teorico. Ho pure potuto apprezzare una presa a carico multidisciplinare, con diverse figure professionali tutte coinvolte in differenti ambiti
di competenza e relativi tipi di approccio,
ma tutte collaboranti fra loro, lasciando
al paziente sempre un ruolo centrale,
anche nelle scelte e nelle decisioni, cercando di imporre il meno possibile.
Vi è quindi una presa a carico ad ampio
respiro del paziente, con continui
aggiornamenti e passaggi di informazione tra i diversi attori impegnati
nella presa a carico.
In qualità di psicologo, mi sono state chieste inizialmente valutazioni testistiche
sia cognitive che di personalità per assicurare allo psichiatra più informazioni
possibili per meglio mirare l’intervento,
per poi passare a una presa a carico
PAROLA AI PROTAGONISTI
maggiormente di sostegno.
Lavorare a stretto contatto con psichiatri, infermieri e psicologi formati mi ha
permesso di vedere differenti approcci
nella presa a carico del paziente. Devo
pure sottolineare l’approccio di base,
molto responsabilizzante, che vige all’interno della clinica.
Mi è stata data infatti piena autonomia
nell’organizzazione della mia settimana
lavorativa.
Vi erano momenti precisi, il mattino, in
cui l’équipe al completo si riuniva per
discutere di ogni paziente, poi ognuno
svolgeva il proprio lavoro secondo le proprie competenze e il proprio ruolo.
Mi è stato assegnato un ufficio in cui
ricevere i pazienti, un computer collegato
in rete con una cartella informatica dove
poter condividere ogni informazione
circa il ricovero dei pazienti e nella quale
inserire a mia volta le informazioni raccolte durante i colloqui.
Ho veramente potuto lavorare in modo
autonomo e responsabile, certamente
con una gerarchia interna, ma con pieno
rispetto delle specifiche competenze e
con il sentimento di fiducia che il
mandato affidatomi fosse svolto senza
bisogno di verifiche o di ispezioni.
È questo clima di lavoro che spero di
poter ritrovare all’interno del laboratorio
in cui opero e che mi auguro di poter
contribuire a incentivare.
13
ESPERIENZE DI LAVORO
ALLA CAFFETTERIA
DELLA SUPSI DI MANNO
di Liliana Presti, operatrice ausiliaria
E’ un’esperienza molto positiva che
mi arricchisce. Nuova dell’ambiente,
mi sono trovata subito a mio agio.
Credo molto nel lavoro di gruppo
nel quale ognuno ha la responsabilità in prima persona di portare
avanti un progetto comune e mi
sento di far parte di questa famiglia
allargata.
Ho conosciuto belle persone che
hanno “attualmente” limiti diversi
dai miei, comunque ricche di sentimenti e di voglia di rendersi utili.
Sono contente quando è la loro settimana di turno perché possono
lavorare a contatto altre persone
(allievi, docenti, ecc.).
Mi rendo conto che per loro tornare
al lavoro in laboratorio, anche se in
un ambiente sereno, non è così stimolante come il confronto con
l’esterno. Ben vengano queste
iniziative coraggiose che danno
loro speranza in un futuro!
E’ importante per ognuno di noi
sentire di avere un valore come persona; il lavoro è un mezzo indispensabile, è una grande scuola di
vita.
Anche per i nostri “clienti” il contatto è importante. Nei nostri
riguardi hanno dimostrato interesse, disponibilità e tolleranza per le
nostre difficoltà iniziali.
di
professionale
iversitaria e
i
un
tr
al
la
n
uo
sc
co
la
lla SUPSI,
La SUPSI è
la
la buvette de
re
al
fa
ro
ti,
vo
en
la
ud
Io
Manno.
rvire gli st
Dobbiamo se
miei colleghi.
.
i tavoli, …
cassa, pulire
e la
da fare. A m
n c’era molto
tipo
no
,
se
o
co
od
ù
ri
pi
pe
In questo
si facessero
se
llo
be
alla
e
bb
Io
Sare
d’altro.
SUPSI piace.
re qualcosa
pu
on
op
N
0.
vi
.0
iti
17
er
13.30 alle
preparare ap
re la
meriggio dalle
te
po
et
m
di
r
ro
pe
vo
la
no
SUPSI
il magazzi
oso. Poi c’è
granché da
è molto fatic
non facciamo
tte
ve
bu
ra
st
o abbiamo
no
ld
la
ca
el
i
N
merce.
è ridotto. D
io
az
sp
zze.
lo
hé
ni, insalate, pi
mangiare perc
o ci sono pani
me ci
st
o
re
il
nd
r
co
Pe
Se
e.
le lasagn
ovi prodotti.
nu
o
nn
resto
ra
il
ve
r
ri
l genere. Pe
Io spero che ar
o qualcosa de
i
sh
su
il
ne
starebbe be
e così.
ero sarà sempr
mi piace e sp
Marc
SPAZIO STRUTTURE
Convivere quotidianamente anche
con la malattia dovrebbe renderci
grati di tutto ciò che abbiamo, che noi
non notiamo più perché scontato.
Non dimentico l’aspetto finanziario
del progetto. Al di là dell’iniziativa
sociale si parla anche di un’attività
commerciale che, quindi, deve rendere. Non è facile quantificare in
anticipo le vendite in modo da
accontentare tutti nelle scelte e contemporaneamente non avere alla
fine della giornata troppi scarti!
I clienti soddisfatti sono la migliore
pubblicità. Noi tutti ci stiamo
adoperando per rendere le cifre in
attivo. Come qualsiasi cosa ci vuole
tempo e positività.
L’entusiasmo non dovrebbe mancare
mai perché ciò che noi portiamo alla
nostra “clientela”, oltre a una
Caffetteria funzionante, sono un
momento di ascolto, un ambiente
accogliente dove poter trascorrere
una pausa rigenerante tra una
lezione e l’altra.
Alcuni studi dicono che gli stati
d’animo sono contagiosi, che noi
siamo tutti collegati gli uni agli
altri. Mi piace poter pensare che le
persone nella nostra Caffetteria
sentano la nostra positività e
disponibilità e che a loro volta la
diffondano in altri ambienti. Anche
questo, per me, è sociale.
14
I CLIENTI SODDISFATTI SONO LA MIGLIORE
PUBBLICITÀ. NOI TUTTI CI STIAMO ADOPERANDO PER RENDERE LE CIFRE IN ATTIVO. COME QUALSIASI COSA CI VUOLE
TEMPO E POSITIVITÀ.
Il bar della caffetteria della SUPSI
La SUPSI si trova al sesto piano in un locale della scuola dove noi abbiamo il nostro spazio. Io ho cominciato a
lavorare nell’ottobre 2004. In questo locale abbiamo due
grandi frigo, un grande forno ad aria calda, un
microonde e un altro fornello. Poi c’è una lavastoviglie,
una grande vetrina dove si mettono le torte di formaggio,
di verdura, le brioches, i gipfel, le bibite fredde e i panini.
Insieme a me lavorano due utenti della Fonte e un educatore. Un altro gruppo prepara i panini a Vezia e alle
10.30 circa ce li consegnano per la vendita. Alla mattina
si vendono i prodotti e si fanno i caffè e i cappuccini. Poi
a mezzogiorno si vendono le pizze e i panini, ecc.
Il lavoro mi soddisfa tanto perché è variato, si è a contatto con molti studenti e docenti e mi dà molte gratificazioni.
Marina
ta
venu
ebbe , non
r
a
s
sa
che
ubbio
po’
tizia
a no un po’ d ata e un a
l
o
t
a
s
d
e
o
ist
r
a
v
SI e
rei
anno
a, sp
mi h alla SUP po’ pers he mi sa tarmi a
o
d
adat entili
Quan ffetteria o, ero un gente c
n
to di
ca
,g
la
una evo nessu tta quel ho cerca lto carini l pera
o
tu
o
sc
a
p
o
t
m
a
n
a
,
m
t
d
o
e
e
t
o
c
il t
o dir che ada
tata
v
n
biam
n
e
o
b
e
c
d
o
v
,
d
n
o
a
e
n
spa ti, però
n
i
h
o
o
c
po’
he s
oro
i son
n
dava studenti c tempo m ipo di lav suda un essere
“
i
i
il
lt
quest nti. Con tteria e a rienza, s il capo,
e
e
ie
fe
e paz della caf bella esp come dic
a
le
sona e. E’ un scattare e
chiac
er
a
n
g
o due mezzi
o
svolg
s
n
i
a
b
i
b
to
a
m
quan
attin
in
si sca
i”.
erza, vano la m po passa o
h
c
s
tonic
i
i
s
r
m
m
,
r
e
a
e
t
i
a
d
c
o
c
il
ri
he si zzi quand è bello e ro che fa iro un
t
lo è c
a
o
Il bel con i rag ambiente e di lav lavorare
r
accon
’
i
e
o
L
r
d
d
e
.
a
e
i
i
o
t
a
c
a
t
ch
ch
s
t
i
i
o
c
n
p
n
s
e
riu
rm
o fi
lle
addo Per que e; quand di essere
r
.
o
a
a
d
t
n
t
n
o
e
a
i
g
fr
ns
ra
na ra
vo pe
Chia
bisog di sollie
o
r
i
p
s
.
o
s
tti
re tu
tenta
SPAZIO STRUTTURE
15
Dopo 4 mesi d’attività presso la caffetteria SUPSI, il
bilancio è positivo. La possibilità di svolgere un lavoro
costantemente, lungo tutta la settimana, mi ha permesso di poter tornare ad avere un ritmo lavorativo.
L’opportunità di avere contatti umani con i colleghi e i
clienti mi ha aiutato per un nuovo reinserimento professionale e affettivo.
Il mio auspicio è di poter continuare l’esperienza presso
la Fondazione “La Fonte”, nella speranza che prevalgano
sempre la giusta considerazione della persona, l’umanizzazione dell’attività lavorativa. L’indipendenza dell’utente dovrebbe essere un traguardo per ogni fondazione
che assiste il percorso evolutivo di ogni persona.
Ringrazio dell’opportunità che ho avuto attraverso la
Fondazione, di poter nuovamente reinserirmi, dopo
molto tempo di malattia. Con la presente vi saluto cordialmente.
Roberto
La prima cosa ch
e mi è piaciuta è
stato il contatto
i collaboratori ed
con
il gerente. Loro er
ano contenti di
perché ogni volta
me
che c’era un pr
oblema lo dice
subito. I clienti
vo
che venivano a
fare la pausa li
trovati molto posit
ho
ivi nei nostri conf
ronti.
All’inizio è stato
difficile concentra
rmi sull’insieme
lavoro, però con
del
il tempo mi sono
ambientato e mi
trovato sempre
sono
meglio. Devo an
cora fare l’esper
sull’arco dell’an
ienza
no e penso che
tutto sarà ancora
serio. Quindi prin
più
cipalmente posso
solo dire, sulla ba
dell’esperienza ch
se
e ho fatto, che
mi sono trovato
serio come lavo
più
ratore e più indi
pendente, però co
stesso feeling ch
n lo
e ho avuto fino ad
esso con la Font
e.
i panini
per preparare
alla panetteria
no
e tanto.
so
ac
o,
pi
i
tin
m
at
Al m
gnia è bella e
pa
m
co
proLa
o
I.
ad esempi al
per la SUPS
tipi di panini,
i
allo
rs
o,
ve
di
nn
o
to
m
al
ia
Prepar
crudo, alcuni
to
ut
ci
ai.
os
m
pr
o
al
n mi stanc
sciutto cotto,
ozzarella. E no
m
lla
la
re
al
za
ni
oz
m
cu
al
la
speck e
gherita con
e la pizza mar
ch
an
o
m
ia
cc
Fa
di pomodoro.
ed i pezzettini
lio di quando sto
ni mi sento meg
ni
pa
i
ero di
io
cc
fa
Io quando
l mio futuro sp
laboratorio e ne
rare
in
lio
ig
no
m
or
r
gi
pe
il
o,
tutto
per il Fornai
re
ra
mi
vo
la
ria
a
tte
re
poter anda
ndo in pane
vo
azione. Lavora
de
rm
e
fo
ch
ia
m
So
la
tutta
miei compiti.
i
de
bo
le
la
bi
sa
In
.
sento respon
ata, eccetera
mi
i, lavare l’insal
or
ria
od
tte
m
ne
po
i
pa
re
taglia
ti fissi. In
non ho compi
ratorio invece
e.
sento important
Anna Maria
Da qu
in
prepar dici giorni
are ass
alla m
ie
a
vendu
ti al me ad altri p ttina mi re
la b
co a V
anini e
Confez
u
v
ez
pizze c
io
et
he verr ia per
crudo, niamo foca te della
a
cce e
nno
allo sp
S
U
PSI
cia
eck, all
a M poi
a moz batte al pr
anno
zarella
o
Le foc
, al br sciutto cotto .
ac
ie e al
e
pomod ce e le cia
tonno.
ba
or
pasta d i tagliati, fo tte vengono
gli
e
a
mozza lla pizza è già e d’insalata nche guarn
, cetrio
rella ta
ite con
p
r
e
c
otta. A
li e ba
gliata
risulta
ggiu
silic
a
m
all’inte oto impegn cubetti. Qu ngiamo pom o. La
es
rno de
a
l labor tiva e varia ta occupazio odori e
atorio
ne no
il lavo
di Agn
n
ro quo
o.
tidiano
Luca
Anthony
SPAZIO STRUTTURE
16
VOLONTARIATO E SOLIDARIETA’
di Lic. Soc. Mimi Lepori, CONSONO e presidente ATIS
Ho accettato volentieri la proposta fattami dal direttore di prender la penna
(ops il MAC) e indirizzare alle lettrici e
lettori, attraverso questo bollettino,
alcune riflessioni sul tema del volontariato. Un tema a me caro perché molto
presente nella mia vita e perché sollecitata, ogni settimana da giovani a
indicare nuove forme di attività.
In Svizzera il volontariato è un’attività
che tocca 1 persona su 4 e il 23% della
popolazione svolge volontariato in
maniera informale, cioè non organizzato,
ma aiutando normalmente la vicina di
casa, i parenti. Questi dati, ripresi dal
censimento federale dimostrano come
il volontariato sia espressione normale
dello svizzero.
Questo dato è pure confortato dalle
miriade di associazioni che sorreggono
le attività sociali, ambientali, culturali,
ecc. di una società.
Tre le domande che mi pongo e alle
quali voglio tentare di dare una risposta
in queste righe.
CHI SONO I VOLONTARI DI
OGGI E AI GIOVANI INTERESSA
ANCORA L’ESPERIENZA DI
VOLONTARIATO?
Dal mio osservatorio (ho un ufficio con
mandati per svolgere formazione, informazione, consulenza e progetti nel settore del non profit) mi sembra di poter
dire che il volontario non appartiene più
a un gruppo identificabile come nel
secolo scorso (i cattolici, la sinistra,
ecc.) ma è trasversale alla società.
Il giovane arriva a chiedere di svolgere
attività di volontariato spesso perché ha
bisogno di una spinta nuova che gli dia
carica per affrontare il quotidiano.
Spesso è il giovane che vuole cambiare
attività e prima di farlo vuole “provare”
per conoscere.
La molla, la motivazione che spinge il
giovane o il meno giovane a chiedere di
impegnarsi in un’attività di volontariato
rispecchia un insieme di fattori legati
più alla sua situazione particolare che a
un discorso di valori, di gruppo e scelta
di campo.
OPINIONE SUL TEMA
17
IL VOLONTARIO NON APPARTIENE PIÙ A UN
GRUPPO IDENTIFICABILE COME NEL SECOLO
SCORSO, MA È TRASVERSALE ALLA SOCIETÀ.
MA IN CHE SETTORI VUOLE
IMPEGNARSI IL VOLONTARIO?
Mi ricordo che da giovane universitaria
svolgevo del volontariato con gli immigrati italiani e spagnoli a Friborgo.
Con alcuni amici andavamo nella Basse
Ville, in una baracca a incontrare un
gruppo di lavoratori stagionali e insegnavamo loro un po’ di francese, sbrigavamo
alcune questioni amministrative e
soprattutto cercavamo di trascorrere
alcune ore in amicizia. Dalla Basse Ville
ero passata al settore dei disabili, organizzando per più di 10 anni colonie integrate e poi negli anni 90 ho iniziato con
azioni di volontariato con dei progetti
all’estero.
Ancora oggi i settori nei quali si muove
il giovane sono moltissimi e spaziano in
tutti i segmenti della società; forse, più
di ieri, c’è un settore che sta prendendo
molto i giovani. Quello della cooperazione.
Vuoi perché la mobilità è un fattore
ormai alla portata di tutti, vuoi perché
l’incontro con altre culture è un dato di
fatto, vuoi perché la povertà di altri
Paesi ci interroga o semplicemente
perché il desiderio di aiutare colma il
vuoto che spesso il giovane vive nella
nostra società, il settore della cooperazione è molto gettonato.
QUALE È LA MISSIONE DEL
VOLONTARIO?
Nella letteratura sul volontariato spesso
si legge che il volontario svolge un ruolo
da profeta perché apre delle strade e
risponde a dei bisogni precedendo l’organizzazione dello Stato. Si legge pure
che il volontario ha un ruolo politico (nel
senso più ampio del termine) perché
denuncia nuovi bisogni e sollecita le
forze istituzionali ad assumere nuove
responsabilità.
OPINIONE SUL TEMA
18
Sono riflessioni giuste, personalmente
credo che il volontario, quello di ieri
come quello di oggi è una persona che
grazie al suo agire si arricchisce interiormente, sviluppa nuove competenze,
instaura nuovi rapporti umani, partecipa a
progetti comuni e crea una solidarietà
più grande tra le persone.
Questo il compito del volontario, un
compito prezioso perché le relazioni
vere e la solidarietà sono dei beni
preziosi da non perdere.
OPINIONE SUL TEMA
19
P. P.
6991 Neggio
GRANDI NOVITÀ
ALL’AGO NEL PAGLIAIO !
L’atelier “Ago nel pagliaio” sempre alla
ricerca di nuove proposte da offrire
alla sua vasta e preziosa clientela, sta
producendo una serie di nuovi oggetti
regalo molto simpatici e adatti ad ogni
occasione, pur mantenendo la sua abituale produzione. Tra le novità segnaliamo
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
6991 Neggio, ccp. 69-2955-7
Tel. 091 606 56 56
Direttore Rossano Cambrosio
Amministratore Patrizia Lotti
FONTE 1
CENTRO DIURNO
Via Pezza 3, 6982 Agno
Tel. 091 604 58 54
Responsabile Monica Kolb
CICCIOSPICCIO
la candela accendifuoco per il vostro
camino: conveniente, semplice, ecologica
e sicura. Brucia con fiamma alta e
costante per circa 12 / 15 minuti assicurando una perfetta accensione del
fuoco. Siete incuriositi? Allora senza
indugio venite a farci visita nel nostro
atelier ad Agno.
L’ Ago nel Pagliaio sarà inoltre presente
a manifestazioni esterne che al momento
non siamo ancora in grado di specificare. Per eventuali informazioni telefonare allo 091 604 58 43 e rivolgersi
al signor Pierre Santini.
FONTE 2
LABORATORIO PROTETTO
Via Pezza 3, 6982 Agno
Tel. 091 604 58 43
Responsabile Mirko Scherler
FONTE 3
FOYER
6991 Neggio
Tel. 091 606 56 56
Responsabile Giuseppe Tami
FONTE 4
AZIENDA AGRICOLA PROTETTA
Fondazione Lions Club, Lugano
6947 Vaglio
Tel. 091 943 42 47
Responsabile Mauro Bocchi
FONTE 5 e 6
FOYER / APPARTAMENTI PROTETTI
Via J. Corty, 6982 Agno
Tel. 091 605 38 58
Responsabile Claudio Guimaraes
FONTE 7
PANETTERIA PASTICCERIA “IL FORNAIO”
• Sede di Via G. Buffi - Via Fogazzano
Tel. 091 921 04 24
• Sede di Piazza Molino Nuovo
Tel. 091 921 44 48
6900 Lugano
Responsabile Mirko Scherler
FONTE 8
FOYER
Via Beltramina 18a, 6900 Lugano
Tel. 091 976 08 18
Responsabile Omar Lomazzi
L’Atelier “Ago nel pagliaio” alla fiera di San Provino ad Agno (14 marzo 2005)
VARIE
20