LA FONTE DEF INFORMAZIONE 11/05
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LA FONTE DEF INFORMAZIONE 11/05
NOTIZIARIO UFFICIALE SOMMARIO 4 | UNO SGUARDO DALL’ESTERNO Disabilità e corse 6 11 MAGGIO 2005 INVALIDITÀ, NUOVA MALATTIA SOCIALE? di Dr. med. Carlo Calanchini, Membro del Consiglio di Fondazione | FONDAZIONE Un nuovo modello organizzativo 8 | AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE Un feedback da parte della CIP... 12 | PAROLA AI PROTAGONISTI Abillitazione alla professione di psicologo 14 | SPAZIO STRUTTURE Il lavoro alla caffetteria SUPSI 16 | OPINIONE SUL TEMA Volontariato e solidarietà 20 | VARIE Grandi novità all’Ago nel pagliaio FONDAZIONE LA FONTE Membri del Consiglio Luciano Clerici (Presidente), Elena Soldati (Vice Presidente), Carlo Calanchini, Elios Giorgetti, Maurizio Canetta, Gianandrea F. Rimoldi, Fabia Dell’Acqua-Cornaro, Carlo Terzaghi, Wanda Bassani-Antivari. Che i casi d’invalidità dovuti a motivi psichici stiano aumentando - e già da anni - è cosa ormai ben nota. I media ne riferiscono periodicamente, con segnali d’allarme giustificati. A livello politico ci si preoccupa di questo fenomeno e si è alla ricerca - non facile - di un rimedio a una tendenza inquietante. Cosa sta capitando? Come sempre in questi casi, siamo davanti a una domanda complessa, che non può avere che una risposta articolata e - probabilmente - mai davvero esaustiva. Chiariamo subito un punto importante: non è compito del medico attestare un’invalidità. EDITORIALE Il medico può solo accertare l’esistenza di un’incapacità di lavoro. Se questa si protrae oltre un certo limite di tempo (p.e. un anno d’incapacità completa al lavoro) si comincia a prendere in considerazione la possibilità di un’invalidità di lunga durata o permanente, che darebbe diritto a prestazioni da parte della competente assicurazione sociale (AI). Queste possono consistere in una rendita o in misure di riqualifica professionale. Il medico, perciò, è spesso solo uno degli ultimi anelli di una catena, che con- 1 INDISPENSABILITÀ DI RIFORME, DI NUOVI POSTI DI LAVORO PER VALORIZZARE CHI NON È PIÙ COLLOCABILE NELL’ECONOMIA DI MERCATO duce il paziente-assicurato dalla piena o parziale capacità di lavoro/guadagno alla totale/parziale incapacità, e si trova a dover constatare la conclusione (o per lo meno le fasi conclusive) di un iter iniziato talvolta anni - forse decenni prima. Quali altri elementi costituiscono questa catena? Il più importante (e anche il più ovvio, tanto che ci si dimentica spesso di considerarlo) è il passare del tempo. Il lavoratore invecchia e la società (e con essa soprattutto l’economia) evolve. Nei decenni scorsi abbiamo vissuto (e credo che ciò sia evidente per chi abbia più di trenta o quarant’anni) una trasformazione importante dell’assetto politicoeconomico mondiale, le cui ripercussioni non potevano risparmiare la vita di tutti noi. Il dopoguerra ha presentato una lunga fase di crescita economica per il mondo occidentale; dietro la cortina di ferro e nel terzo mondo ciò non avveniva o avveniva in modo sensibilmente più lento (con qualche eccezione). L’ Europa occidentale era in condizioni di sviluppare un sistema di previdenze e di ammortizzatori sociali prima quasi inesistenti. L’ economia garantiva non solo il pieno impiego ma offriva più lavoro di quanto le risorse umane locali potessero soddisfare. Ne scaturirono importanti flussi migratori con l’insediamento in Europa occidentale (in realtà, soprattutto nell’Europa centro-occidentale) di “colonie” straniere numerose: italiani, greci, turchi, spagnoli, portoghesi, jugoslavi... In epoca successiva, dopo il crollo del muro di Berlino e dell’impero sovietico, a queste comunità si sono aggiunte quelle provenienti dall’Europa dell’est , senza contare quelle arrivate negli stessi periodi a seguito di processi di decolonizzazione o di problemi politici, da altri continenti - Medio Oriente, Africa, Sri Lanka, America Latina... La società centro-europea (ma ormai dell’intera Europa) si avvia sempre più ad essere multietnica, con tutte le crisi di adattamento che ciò comporta. Questo processo di adattamento non è un fatto collettivo o politico-sociale soltanto. È (anche) un processo faticoso al quale, in misura maggiore o minore, ognuno si deve - volente o nolente sottoporre. Il migrante è costretto da difficoltà gravi (economiche, politiche o altro) a lasciare la sua terra, spesso senza disporre di strumenti culturali che gli facilitino l’inserimento nel paese di destinazione; spesso non ne conosce la lingua e non è minimamente a conoscenza degli usi e della mentalità locali. Mancanza di riferimenti culturali e povertà di contatti con connazionali (spesso non meglio “attrezzati” di lui) facilitano un vissuto di isolamento, di povertà umana, di scarsezza (quando non di assenza) di speranza. Questo disagio esistenziale si può trasformare, col tempo e in casi che - per ragioni genetiche, difficoltà vissute in fasi cruciali dello sviluppo, vulnerabilità costituzionale - sono predisposti, in vero e proprio “disagio psicosomatico”, che tipicamente - si esprime, inizialmente, con sintomi apparentemente fisici: mal EDITORIALE di testa, dolori muscolari diffusi, dolori addominali, e qualche volta con veri e propri “disturbi conversivi” (crisi “cardiache” o “respiratorie”, paralisi senza lesioni organiche, ecc.) per evolvere poi in disagio psichico (depressione, nelle sue varie forme, talvolta psicosi). Spesso, l’iter medico di queste persone comincia con consultazioni presso il generalista, il medico di famiglia. Effettuate le indagini somatiche ritenute necessarie, ci si arrende, spesso solo in un secondo tempo, alla realtà della natura psicosomatica/psichica del disturbo. Davanti a questi problemi, la psichiatria/psicoterapia si trova in difficoltà non meno che le altre discipline mediche. Si tratta infatti di disturbi multifattoriali, complessi, le cui cause non sono (almeno in parte) biologiche ma sociali, quindi difficilmente influenzabili dalla medicina, e se sì, solo in tempi molto lunghi. La presa a carico individuale, poi, è resa difficile da incomprensioni interculturali, da difficoltà di lingua, da radici etniche, religiose ecc. troppo diverse per essere adeguatamente affrontate da chi non dispone di strumenti e preparazione adeguati. Inoltre, il disturbo, quando giunge all’attenzione dello psichiatra, spesso è sintomatico da anni e ha imboccato un corso ormai irreversibile. In qualche caso, il ricorso all’invalidità diventa inevitabile. Ma dev’essere chiaro che a far ricorso all’invalidità non sono solo gli immigrati. Tutt’altro. Vi sono persone sfortunate che all’AI devono far ricorso per gravi 2 problemi di salute presenti dalla nascita o dall’infanzia; in più, oltre alle “trasformazioni” sociali legate all’emigrazione, ve ne sono altre, ancor più importanti, avvenute nel mondo del lavoro. Sta di fatto che il ritmo e la pressione sul posto di lavoro (legata anche all’incertezza di conservarlo) sono andati crescendo e determinando in molti uno stato di stress sempre più forte. Informatizzazione, fusioni, razionalizzazioni, globalizzazione e logica del massimo profitto (ideologia che sembra fare del famoso “shareholders value” il “summum bonum”) hanno reso superflui molti lavori, sia manuali/artigianali che del settore terziario, senza produrre niente che potesse in qualche modo sostituirli. Non serve molto - come in passato è stato fatto a gran voce e ora viene fatto più sommessamente - invocare “flessibilità” dal lavoratore rimasto disoccupato o in procinto di esserlo. Lo stress può, indubbiamente, avere aspetti positivi, alimentando l’attività e riducendo la noia, portando così a una produttività gratificante anche per il lavoratore. Ma se è esagerato e se, soprattutto, come si è visto diventare pratica corrente, purtroppo, anche da noi da qualche anno - è accompagnato dalla perversa pratica del “mobbing”, diventa nocivo, finendo per provocare sintomi analoghi a quelli che presentano gli emigranti in difficoltà: ansia, insonnia, depressione, disturbi psicosomatici, ecc. Tutto ciò non è sopportabile a tempo indeterminato. Le capacità individuali di adattarsi, piegarsi, riqualificarsi e di ricominciare non sono illimitate e, generalmente, diminuiscono con gli anni, specie se per tanto tempo si è esercitato un lavoro monotono, ripetitivo, poco stimolante, ma anche un lavoro così impegnativo da non lasciare spazio a formazione di interessi paralleli. Certo, anche qui le concause personali giocano un ruolo importante. Vi sono giovani incapaci di imparare un nuovo mestiere e anziani che non temono di adattarsi alle nuove tecnologie. Sarebbe interessante - ma troppo impegnativo in questa sede - interrogarsi sul perché di queste differenze e cercare di capire quali caratteristiche favoriscano l’adattamento alla novità anche negli (in certi) anziani. Prima o poi il lavoratore andrà dal medico, sarà in inabilità lavorativa, consulterà (forse) uno psichiatra; più in là, se le cose non migliorano, dovrà fare ricorso all’invalidità (sempre che non si ammali sul piano fisico e deceda, oppure commetta suicidio). di gente che vuole l’invalidità”. Queste affermazioni segnalano - nella migliore delle ipotesi - disinformazione e superficialità. Ben vengano riforme che consentano di riqualificare i “candidati all’AI”, nuovi posti di lavoro che riescano a valorizzare chi nell’economia di mercato non è più collocabile. Ma come crearli, con quali mezzi, in una situazione difficile per le finanze pubbliche come quella che stiamo vivendo? E quali sbocchi potranno avere siffatte attività, in un’economia che non cresce? In questo scenario difficile, v’è il rischio che da un lato si “producano” nuovi invalidi e dall’altro, con l’obiettivo, legittimo e condivisibile di contenere abusi e sprechi, si colpiscano le persone più in difficoltà e le istituzioni, pubbliche e private che di esse si occupano. Riducendo le già insufficienti possibilità occupazionali per invalidi e disabili non si farà altro che migliorare (di poco) gli aspetti contabili, aumentando però il malessere sociale. Queste situazioni incidono pesantemente sui costi della salute, sia come spese di cura che come perdita di giornate lavorative che, infine, come costi per rendite e/o misure di riqualifica. Vi sono persone (tra cui anche uomini politici di peso) che ritengono che a fare richiesta di invalidità siano soprattutto simulanti, parassiti sociali. Uno di loro ha recentemente affermato che “basta guardare i cognomi dei pazienti dei reparti psichiatrici per capire che si tratta EDITORIALE 3 DISABILITÀ E CORSE: LAVORARE A FIANCO DI FRANK WILLIAMS di Silvia Hoffer Frangipane, WilliamsF1 Press Officer La prima volta che mi resi veramente conto della disabilità di Frank fu il giorno in cui mi fu affidato il lavoro di addetta stampa per la sua scuderia. Eravamo a Melbourne, per il GP d’Australia del 1999 ed un suo collaboratore mi venne a chiamare nel box della Minardi, con la quale stavo per iniziare la mia seconda stagione in F1. Mi condusse nel box della Williams per parlare con il capo che, contrariamente a quanto mi sarei aspettata, era ritto in piedi e non seduto sulla sua sedia a rotelle. Compresi più avanti che Frank – tetraplegico dal 1986, in seguito ad un incidente automobilistico sulla strada di ritorno dal circuito francese di Le Castellet – aveva bisogno di tanto in tanto di essere appeso per favorire la circolazione e la funzionalità degli organi interni, in una posizione che lo faceva sembrare, a prima vista, come se fosse realmente in piedi. Se quel giorno Frank mi aveva chiamata, era perché avevo superato il colloquio di qualche mese prima, tenuto a Grove, sede del team, nella tipica, rigogliosa campagna inglese dell’Oxfordshire e mi accorsi così che ero arrivata alla rispettabile età di 33 anni senza aver mai conosciuto da vicino la disabilità. Frank Williams non passa inosservato nel paddock di F1, ovviamente, ma per una forma di rispetto e pudore nessuno lo guarda mai a lungo ed anch’io avevo fatto altrettanto sin’ora. Frank Williams si allena con Alan Jones, pilota della sua scuderia nel 1978 Ma adesso mi trovavo vicino a lui e d’un tratto mi accorsi che non erano solo le gambe a non funzionare, ma anche le braccia, che poteva muovere solo comandandole approssimativamente con movimenti delle spalle. Le mani erano immobili. Sono passati sette anni da quel giorno e lavorando per questa scuderia ho imparato tante cose dal punto di vista professionale, certo, ma molto di più ho appreso lavorando e vivendo in continuo contatto con quest’uomo sfortunato ma nella sfortuna sicuramente privilegiato. UNO SGUARDO DALL’ESTERNO Essendo oggi tra gli uomini più ricchi del Regno Unito, Frank può permettersi di essere accudito 24 ore al giorno, sette giorni su sette da professionisti e persino di viaggiare con un jet privato per essere presente ad ogni Gran Premio. Frank è letteralmente un selfmade-man che agli inizi della sua carriera era veramente senza una lira. Per anni, pur di far gareggiare la sua squadra, ha dormito in macchina e mangiato panini, quando andava bene. Ha investito ogni più piccola risorsa nel suo team fino a farlo diventare quello che è oggi: una scuderia di vertice che negli anni ha vinto nove Campionati del Mondo Costruttori e sette Campionati Piloti. 4 Quello che ancor’oggi impressiona di Frank è la sua immensa passione per la Formula 1, che - come lui stesso dice dopo quasi 30 anni di attività “è il motivo per il quale la mattina esco dal letto”. Con la sua tenacia, la sua caparbietà, la sua grinta, Frank è esempio per tutti nel team. Non può arrivare tra i primi in ufficio la mattina, perché nonostante si svegli verso le sei, deve fare lunghe sessioni di fisioterapia prima di uscire di casa ma è sempre l’ultimo - o quasi - ad uscire dagli uffici (se si escludono gli operai del turno di notte!). E per recuperare le ore perdure la mattina, passa in ufficio ogni fine settimana in cui non si svolga un GP. Si fa chiamare solo “Frank” da tutti, soprattutto da tutti quelli che lavorano per lui. Nonostante qualcuno che lo incontri per la prima volta azzardi un “Mr. Williams” o – peggio ancora – “Sir Frank” (nel 1999 Frank ha ricevuto il Cavalierato dalla Regina d’Inghilterra per meriti nel mondo delle competizioni motoristiche) con un sorriso lui dice “please, call me Frank, just Frank!” (prego, chiamami Frank, solo Frank!). E’ un uomo potente ma allo stesso tempo sempre accessibile. Un papà pronto ad ascoltare le lamentele dei dipendenti ed un capo severo. Ed è per questo che io, come ciascun membro del team, sono orgogliosa di lavorare per lui. Ogni giorno Frank attraversa i corridoi del quartier generale e saluta tutti i dipendenti. Dall’officina all’ufficio contabile, conosce tutti i nomi a memoria. Scherza, fa battute, chiede informazioni sulla famiglia. Da parte sua Frank ha una moglie, Virginia (detta Ginny) e tre figli: Jonathan, Claire e Jamie, che sono a dir poco la sua fotocopia. La cosa più evidente è comunque che Frank non si considera per nulla disabile. Nell’affrontare ogni situazione ragiona come se fosse assolutamente normale dal punto di vista fisico e questo lo rende tale agli occhi degli interlocutori. Spesso e volentieri mi dimentico che Frank è su una sedia a rotelle. Vedo lui, non vedo la sua sedia. Frank Williams oggi UNO SGUARDO DALL’ESTERNO 5 VERSO UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO di Rossano Cambrosio, Direttore È innegabile! La nuova legge di finanziamento degli Enti sussidiati, prevista dall’anno venturo, imporrà, con tutta probabilità, alle istituzioni un approccio alla gestione delle varie attività assai differente da quello sino a ora percorso. E non solo in termini di efficienza economica. Si pensa in particolare a quelle istituzioni di dimensione medio/grandi che gestiscono molteplici strutture sparse sul territorio, con differenti branchie di attività, che ospitano differenti target di utenti, ognuna di esse orientata al raggiungimento di un determinato obiettivo. UN APPROCCIO MENTALE NECESSARIAMENTE DIFFERENTE L’idea di fondo, sulla quale si basa il nuovo modello organizzativo, è presto detta: uscire da una logica di gestione e quindi di pensiero, legata al localismo, per entrare in una dimensione periferica, che possa tener conto dei bisogni istituzionali nella loro globalità. Ciò significherà, quindi, gestire le varie strutture orientando il bisogno laddove si ritenga che esso sia più indispensabile. La nostra Fondazione, che con lo scorso gennaio è entrata nell’ultima fase del periodo di sperimentazione detto “pilota”, in quest’ultimo biennio ha avuto modo di interrogarsi lungamente circa gli indirizzi guida che dovranno essere perseguiti nell’immediato futuro. In parole più semplici, allocare le risorse a disposizione dell’istituzione (siano esse sia economiche che legate al fattore umano) dove vi è l’effettivo bisogno, gestendo il capitale globale assegnatoci dall’Ente sussidiante affinché i servizi erogati a favore degli utenti, e della clientela che ruota attorno all’istituzione, rispondano effettivamente al bisogno. Nello spazio di informazione odierno non si intendono però ripercorrere i soliti temi legati alla questione economica; di quelli abbiamo già ampiamente discusso negli scorsi numeri del nostro organo di informazione e, inevitabilmente, avremo modo di riparlarne in futuro. In tal senso va ricordato che, con la nuova legge di sussidiamento delle strutture, una volta determinato e attribuito il budget globale, l’Ente sussidiante permetterà alle singole istituzioni di distribuire autonomamente le risorse all’interno del perimetro istituzionale. Oggi l’oggetto di discussione è invece mirato a illustrare la strategia gestionale, che orienterà le attività future della Fondazione, mettendo al centro della riflessione il nuovo modello organizzativo modulato in funzione degli anni a venire. Un cambiamento importante e radicale rispetto al passato, che fondamentalmente si distanzia dalle solite logiche del controllo consuntivo; una modalità che responsabilizzerà maggiormente le singole istituzioni nel gestire con flessibilità le risorse a disposizione. FONDAZIONE Mi si dirà che la logica del togliere a taluni per dare ad altri può essere vista come una sorta di “guerra tra poveri”. In parte forse lo è, poiché è pur vero che le risorse oggi a disposizione sono comunque già calibrate per rispondere all’effettivo bisogno. Ma ciò non deve rappresentare un alibi per evitare di affrontare un inevitabile cambiamento. Dovrà piuttosto fungere da stimolo per ricercare quali e quanti spazi di intervento potranno essere ancora sfruttati per una gestione più efficiente delle risorse istituzionali. La difficoltà nell’entrare in questa nuova dimensione, che per certi aspetti rimette in discussione tutta una serie di garanzie e di diritti acquisiti, sarà quella di far comprendere a tutti i collaboratori che se si vorranno mantenere i servizi a favore degli utenti a un certo livello, se si vorranno garantire tutti gli attuali impieghi, se dovremo tempestivamente rispondere al bisogno di restare all’interno di un costo globale sostenibile, sarà inevitabile adeguarsi a un modello gestionale sostanzialmente differente da quello ormai in voga dai primi anni di attività della Fondazione. Non bisogna infatti dimenticare che la nostra istituzione, nel corso della propria storia, ha allargato in modo esponenziale il proprio raggio di azione, mantenendo però sinora inalterato il modello gestionale. Quindi un nuovo modo di pensare sarà inevitabilmente richiesto a tutto il corpo istituzionale; indipendentemente dal profilo professionale assunto in seno 6 all’istituzione; cercando infine di lasciare alle spalle una mentalità forse troppo arroccata nel preservare, anche a giusta ragione, delle condizioni di lavoro considerate acquisite, e a tutt’oggi intoccabili. IL NUOVO MODELLO Si volta dunque pagina, nella piena consapevolezza che un progetto di simile ampiezza e portata andrà costantemente monitorato nel tempo, alfine di poter valutare attentamente se la soluzione prospettata sia quella che effettivamente permetterà di poter rispondere alle mutate esigenze istituzionali. Ma come siamo arrivati a ciò? Essenzialmente con un lavoro comune di costruzione del modello, che ha cercato di coinvolgere tutte le componenti in gioco; in modo specifico i responsabili delle attuali strutture in gestione alla Fonte. Dunque un approccio e una strategia di lavoro partecipativo e coinvolgente, non sempre semplice, che ha mosso forti inquietudini ed interrogativi, che non ha ottenuto l’unanimità ma che, in conclusione, ha però permesso di elaborare il nuovo organigramma istituzionale basato su alcuni principi di fondo, che di seguito elenchiamo: • mantenimento della neutralità dei costi di gestione; • raggruppamento delle attività istituzionali per aree distinte; residenziale, lavorativa, servizi di appoggio trasversali; • garanzia di mantenimento dell’ attuale offerta in favore degli utenti; • ridimensionamento del tavolo della presa di decisioni e rispettiva creazione del consiglio di direzione; • messa in gioco di due nuove figure operative, che permetteranno da un lato di ridurre le distanze tra i livelli operativi e, dall’altro, di filtrare talune disposizioni interne in funzione di uno snellimento delle pratiche deci- sionali. Quelle del coordinatore di area in sostituzione della figura dell’attuale responsabile e quelle del capo-équipe, sostanzialmente un educatore sociale al quale verranno attribuite, per una certa quota, funzioni di ordine gestionale; • intervento, per gradi, nell’ambito di una fase “di transizione”, che possa portare alla riorganizzazione globale dell’assetto sfruttando le opportunità date dai vincoli istituzionali attuali. Cioè, non forzando la mano ma piuttosto operando dove le condizioni già lo permettano, senza dunque entrare in una logica conflittuale con i collaboratori; IL NUOVO ASSETTO ORGANIZZATIVO COSIGLIO DI FONDAZIONE COMITATO ESECUTIVO UFFICIO QUALITÀ DIRETTORE PEDAGOGICO AMMINISTRATORE CONSIGLIO DI DIREZIONE AREA SERVIZI GENERALI TRASVERSALI • SICUREZZA • SALUTE COORDINATORE COORDINATORE SETTORE RESIDENZIALE SETTORE DIURNO E LAVORATIVO • 5 CAPI ÉQUIPE • 4 CAPI ÉQUIPE FONDAZIONE 7 UN NUOVO MODELLO ORGANIZZATIVO: UNA SOLUZIONE CHE PERMETTERÀ DI POTER RISPONDERE ALLE MUTATE ESIGENZE ISTITUZIONALI. • raggiungimento dell’obiettivo finale entro gennaio 2006, in concomitanza con la nuova legge Cantonale di finanziamento. A partire da tali presupposti si è quindi potuto mappare un nuovo sistema organizzativo della Fondazione che, se da un lato permetterà di rispondere in modo adeguato nel riequilibrio di alcune situazioni interne “disarmoniche”, dall’altro siamo convinti permetterà a tutto il corpo istituzionale di poter affrontare le sfide in divenire con un assetto più dinamico e corrispondente a moderne esigenze gestionali. Un nuovo assetto che il Consiglio di Fondazione ha definitivamente avvallato nelle scorse settimane, permettendo di fatto il passaggio alla fase pratica. Quella più sensibile e delicata, poiché toccherà il sistema istituzionale nella sua globalità, assegnando nel contempo nuovi compiti a talune figure professionali. UNA BREVE RIFLESSIONE CONCLUSIVA La realizzazione di progetti istituzionali di ampia portata, quali il cambiamento di un assetto gestionale, deve essere affrontata con trasparenza e determinazione, nella consapevolezza che il percorso si presenterà inevitabilmente tortuoso e irto di insidie. In particolare la rimessa in discussione di ruoli acquisiti e consolidati nel tempo, per taluni non permette di intravedere nuove prospettive operative subito. Convenire situazioni del tutto nuove, che comunque “sembrerebbero” (il condizionale è sempre d’obbligo) prospettarsi più efficienti per affrontare un futuro comunque incerto, diventa di fatto un esercizio ostico. Il progetto di riorganizzazione della Fondazione La Fonte, questo va sottolineato, si è delineato in una fase assolutamente delicata per la vita delle istituzioni presenti nel nostro Cantone, già confrontate con richieste di sacrifici non indifferenti, alle quali il nostro settore non era forse abituato. Soprattutto per quei cambiamenti di portata epocale, come quelli che stiamo attraversando, che dipendono in larga misura da situazioni congiunturali legate a fattori del tutto esogeni alla nostra condizione di operatori della sfera sociale. Cambiamenti che vanno accettati, anche a malincuore, cercando di adeguare il sistema istituzionale in modo da poter contenere la portata delle potenziali conseguenze; che non sempre, è bene prenderne atto, devono essere lette a carattere negativo. Nella locale adiacente il mio ufficio, dove ho l’occasione di ospitare frequenti incontri di lavoro, tengo bene in vista una massima, che ritengo sia un buon viatico per affrontare qualsiasi progetto, e alla quale faccio, e chiedo possibilmente, di fare, sempre riferimento. Essa cita: “C’è del rischio quando si cambiano le cose; ma spesso ce n’è di più quando non si vuole cambiare niente”. Cambiamenti già in parte messi in atto, altri che già si delineano nell’immediato orizzonte, che a loro volta metteranno in fibrillazione l’intero sistema istituzionale. A volte a giusta ragione, a volte un po’ meno. Va da sé che per taluni cambiamenti non viene richiesto un nostro specifico parere; lo si deve soltanto accettare. FONDAZIONE 8 UN FEEDBACK DA PARTE DELLA CIP SULLA CONFERENZA DEL PERSONALE 2004 di Stefano Rimoldi, Presidente Commissione interna del personale Lo scorso ottobre si è svolta la consueta conferenza per il personale, evento che annualmente viene organizzato a beneficio di tutti i collaboratori. La conferenza 2004 ha avuto la particolarità, relativamente a tematica e relatori, di essere stata organizzata dalla Cip (Luca Berva ha seguito il progetto), dopo aver raccolto suggerimenti da parte di tutto il personale attraverso questionari. Il tema della conferenza (Dream Team: l’utopia del gruppo perfetto) è stato selezionato in risposta alla maggioranza dei suggerimenti raccolti, inerenti proprio l’importanza del gruppo di lavoro e del suo buon funzionamento. Per consentire di raccogliere le impressioni dei colleghi, la Cip ha inoltre sottoposto ai presenti un questionario (a cura di Laura Perletti). Desidero dunque comunicarne i risultati basandomi proprio su una parte dei dati raccolti ed elaborati (da Jessica Suares, Valentin Grigore e Laura Perletti). È, a mio avviso, il modo di dare il più oggettivamente possibile voce al personale, è più utile di un parere che, invece, esprimerei solo a titolo individuale. Siamo stati lieti di constatare che l’evento è stato apprezzato dalla maggior parte dei colleghi (riquadro 1). Meno uniformi i giudizi relativi a tempi e luogo della conferenza, benchè sostanzialmente positivi. Relativamente alla Commissione Interna, si registra una situazione analoga: da una parte si rileva una discreta conoscenza della Cip; dall’altra si osserva come il nostro lavoro debba ancora progredire per poter fugare alcune perplessità. Nel medesimo questionario la Cip ha raccolto anche diversi suggerimenti relativamente alla tematica su cui incentrare la conferenza per il personale del 2005. L’obiettivo futuro sarà quello di prediligere delle tematiche d’interesse generale per tutta l’istituzione e non solo di settore. I dati raccolti rappresentano una buona base di partenza per orientare il nostro lavoro futuro. In questo senso invito tutti i colleghi nel non risparmiare suggerimenti o critiche e, ancora meglio, nell’affiancarci per conoscere, oltre alla conferenza, quali sono i nostri programmi. SCELTA DEL TEMA (Tabella ricavata dai risultati dell’inchiesta) Numero di questionari consegnati: 83 Numero di questionari consegnati in bianco: 2 1. Secondo te l'argomento è stato trattato in modo esaustivo? 2. Hai trovato interessante il contenuto? 3. Ha soddisfatto le tue aspettative? 4. Ritieni che sia stata formativa/utile? 5. Hai gradito il modo di esporre l'argomento dei due relatori? SI NO ? Senza risp. 71 78 69 72 4 1 6 2 5 2 4 7 1 2 - 77 - 3 1 Osservazioni: - Complimenti! Super! Ottimo Team! - Interessanti i "giochini" (molto educativi); complimenti ai due relatori. - Presentazione brillante/interessante, un po' lunga, non è un tema che si esaurisce. - Troppo lunga la prima parte (foto). - Sarebbe interessante proseguire con questa tematica. Il tempo era limitato per affrontare il tema in modo esaustivo. - Bella e interessante la parte pratica, ogni tanto è bello interagire in modo diverso, fuori dai soliti contesti istituzionali. - Non devono essere dimenticate esigenze e tendenze politiche estranee, ma determinanti, nella futura configurazione del "sociale". - Gradite le situazioni proposte che rendono bene l'idea e le problematiche di un team. - Presentazione molto coinvolgente anche se pochi contenuti nuovi (non abbastanza formativa). Tutti i dati relativi alle altre domande del questionario sono a disposizione presso la Cip per essere consultati AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE 9 COORDINAMENTO DELLE COMMISSIONI INTERNE DEL PERSONALE DELLE ISTITUZIONI SOCIALI (CIP) di Patrizia Marty e Catherine Ferrara, educatrici e membri della CIP Nel corso dell’autunno 2004 la nostra CIP si è adoperata nel ripristinare il coordinamento delle commissioni interne del personale delle istituzioni sociali. Questo coordinamento era nato nel corso del 2002, nell’ambito del rinnovo del contratto collettivo di lavoro (CCL), con lo scopo di sensibilizzare e coinvolgere maggiormente tutto il personale rispetto alle proprie condizioni di lavoro. Ci sono stati due incontri, in cui i presenti hanno presentato la propria realtà istituzionale con le relative problematiche. Sono pure state espresse le preoccupazioni per il prossimo futuro (vedi rinnovo del CCL). Il gruppo ha quindi ritenuto importante poter continuare a incontrarsi, definendo i bisogni e quindi alcuni obiettivi con relative proposte di lavoro : 1. I bisogni sono quelli legati allo scambio e alla conoscenza delle varie realtà istituzionali, anche in merito al rinnovo del Contratto Collettivo di Lavoro. 2. Gli obiettivi che ci siamo preposti, e che andranno aggiornati man mano che il gruppo crescerà, sono: AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE • Allestire una lista degli argomenti trattati all’interno delle varie CIP (messa in comune delle conoscenze e dell’esperienza di ciascuno). • Proporre una riflessione sulla compatibilità della politica sociale di oggi rispetto alla LISPI (Legge sull’integrazione sociale e professionale degli invalidi). • Sviluppare strategie nell’ambito del rinnovo del CCL. • Sviluppare strategie rispetto al coinvolgimento del personale. • Coinvolgere le istituzioni che non erano presenti ai primi due incontri. 10 LE PREOCCUPAZIONI DEL DIRETTORE SONO ANCHE QUELLE DEL PERSONALE di Valentin Grigore, educatore e membro della CIP L’articolo “Preoccupazioni attuali…. in una prospettiva necessariamente ottimistica” del direttore Cambrosio, pubblicato su La Fonte d’informazione di novembre 2004, accenna alla “fase pilota” del contratto di prestazione. Richiama la necessità, dopo un anno di esperienza, di “attenersi rigorosamente al rispetto del budget finanziario” e segnala che la Fondazione si trova in uno stato economicamente deficitario a causa di tre fattori: aumento dei costi del personale, diminuzione di incassi dovuti agli ospiti che rientrano a domicilio, alle camere non immediatamente rioccupate. Il direttore sottolinea inoltre che la situazione venutasi a creare nel 2003 è continuata nel 2004 tanto che ci si è trovati di fronte “alla scarsità di risorse economiche e alle inevitabili conseguenze”, ed esprimendo la preoccupazione che in futuro “il concetto di sopravvivenza economica prevalga sulle altre esigenze”, preannuncia che i vari problemi “potranno essere risolti solo ed esclusivamente con radicali e drastici cambiamenti di ordine strutturale”. L’ultimo biennio ha dimostrato, infatti, come la collaborazione reciproca possa dare buoni frutti. Non da ultimo, visto che i sacrifici in futuro dovranno coinvolgere tutte le parti in causa, ci sembra opportuno dare voce anche a chi, dalla base, è impegnato a rispondere al meglio ai bisogni degli utenti. La commissione interna del personale, preso atto sia delle considerazioni appena riassunte sia di come esse costituiscano materia di preoccupazione per tutti i collaboratori, ha espresso la richiesta al direttore di poter essere coinvolta, in rappresentanza del personale, nel dialogo per chiarire e orientare le situazioni per il buon andamento della Fondazione. La richiesta nasce non solo in ottemperanza al mandato che il CCL attribuisce alla Cip (testualmente, “discutere con la direzione tutte le questioni di interesse comune”), ma soprattutto nell’obiettivo di proporsi quale risorsa istituzionale supplementare. AREA COMMISSIONE DEL PERSONALE 11 ABILITAZIONE ALL’ESERCIZIO DELLA PROFESSIONE DI PSICOLOGO di Stefano Pelascini, Educatore Fonte 2 La decisione di compiere questo stage, obbligatorio per l’ottenimento del permesso d’esercizio, giunge piuttosto tardiva rispetto al mio iter scolastico, per tutta una serie di circostanze che elencherò di seguito. Ho infatti concluso gli studi universitari in psicologia a Friborgo nell’ormai lontano novembre del 1996, per poi venire assunto in dicembre dalla Fondazione La Fonte in qualità di educatore. Il caso ha voluto che si liberasse un posto nel laboratorio protetto di Fonte 2, dove già avevo avuto occasione di fare alcune supplenze durante gli studi e dove ho trovato immediatamente un ambiente accogliente, giovane e dinamico, sia a livello di utenza che di équipe. Ho potuto finalmente abbandonare la statuto di studente, eternamente al verde, per passare a quello di lavoratore e di indipendenza economica. Fin dall’assunzione il direttore Cambrosio mi ha garantito piena disponibilità non appena avessi deciso di terminare l’iter professionale svolgendo lo stage di un anno per l’abilitazione. A differenza di altri cantoni, che permettono il libero esercizio fin dall’ ottenimento della licenza in psicologia, il canton Ticino prevede una serie di condizioni ben precise fin dal 1979 per avere tale riconoscimento. Per l’ottenimento delle autorizzazioni cantonali di psicologo occorrono: a) Diploma o licenza universitaria in psicologia, conseguiti presso un’università svizzera oppure diplomi equipollenti rilasciati da università estere. Se gli studi sono stati effettuati presso un’università estera non riconosciuta viene richiesto il superamento degli esami finali in psicologia (totali o parziali a dipendenza del curriculum di studio precedente) presso un ateneo svizzero e di conseguenza la relativa licenza universitaria. In ogni caso si dovrà elencare un piano dettagliato dei corsi frequentati e degli esami sostenuti con le relative valutazioni. b) Certificato attestante almeno un anno di pratica clinica effettuata dopo il conseguimento del diploma o della licenza nel settore ove si intende esercitare. A sua volta, il riconoscimento della pratica clinica soggiace a precise direttive. Lo scopo della pratica clinica richiesta consiste nell’acquisire un’adeguata esperienza teorico-pratica relativamente a una vasta gamma casistica, nonché di modalità d’intervento (dalla diagnosi, alle indicazioni, ai trattamenti) nell’ambito della psicologia. Oltre alla possibilità di seguire in modo individuale diversi pazienti, lo stage prevede e garantisce pure 4 ore settimanali di studio o di partecipazione a seminari di formazione, 2 ore settimanali di formazione psicodinamica, 1 ora settimanale di supervisione per nuovi casi, 1 ora settimanale di supervisione per casi seguiti e 1 ora quindicinale per una supervisione individuale. PAROLA AI PROTAGONISTI Tutto questo con l’obiettivo di garantire un’adeguata esperienza nell’esame clinico, nel counseling, nel trattamento individuale o di gruppo, nell’esame testologico e psicodinamico ed eventualmente nella psicologia peritale e giuridica, nella consulenza a ospedali, cliniche, istituti, nella supervisione di personale paramedico o di operatori sociopedagogici. Vengono riconosciute tre categorie di enti o istituzioni che si ritiene permettano al praticante di acquisire l’esperienza clinica sopra descritta: • Categoria A: enti o istituzioni che si occupano di una vasta e differenziata casistica ed esplicano diverse modalità di indagine e di intervento (almeno 6 mesi del periodo di pratica devono essere svolti in questa categoria); • Categoria B: enti o istituzioni che si occupano di una “fascia” particolare di casistica e/o che esplicano solo alcune modalità di intervento o di indagine; • Categoria C: enti o istituzioni nell’ambito delle quali la psicologia clinica viene esercitata in modo accessorio e marginale, oppure che si occupano solo di una gamma molto ristretta e poco variabile di casistica. In Ticino, gli unici enti o istituti riconosciuti come categoria A sono i servizi medico-psicologici e psicosociali cantonali e l’Ospedale neuropsichiatrico cantonale. 12 Essendo i posti limitati, esiste una lista d’attesa piuttosto importante; questo ha fatto sì che il mio stage slittasse di anno in anno fino ad arrivare al 2004, dopo circa 6 anni di attesa. La Fondazione La Fonte rientra negli istituti di categoria C, con un periodo massimo di tempo riconosciuto di 3 mesi in vista del permesso d’esercizio come psicologo. Questo mi ha permesso di svolgere l’abilitazione su 9 mesi invece dei 12 di norma previsti. Per chi desiderasse avere informazioni più dettagliate, vi è la possibilità di consultare il sito Internet messo a disposizione dal Dipartimento della Sanità e della Socialità. Per quanto riguarda il mio caso specifico, dopo aver postulato presso tutti gli istituti di categoria A, la possibilità di fare l’anno di abilitazione mi si è presentata all’interno della CPC di Mendrisio. Avrei preferito fare quest’esperienza all’interno di un SPS, per alcuni pregiudizi che avevo e che forse hanno molte persone che non conoscono la clinica psichiatrica. Ero infatti convinto di dovermi occupare di persone in una fase molto critica della propria vita e, per certi versi, anche imprevedibili e che questo potesse essere destabilizzante anche per me. Mi aspettavo che i conflitti fra pazienti o con il personale curante potessero essere all’ordine del giorno in relazione alla fase acuta del loro malessere e al fatto che molti ricoveri vengono imposti in modo coatto con relativa difficoltà a trovare poi una certa “compliance”. La realtà si è rivelata molto diversa. Il clima all’interno della clinica è molto tranquillo, fatta eccezione per rari momenti di tensione che sono però gestiti con molta professionalità dal personale curante. In relazione alla mia formazione, l’anno di abilitazione mi ha permesso di conoscere pazienti molto diversi tra loro, ognuno con la sua storia e con la sua sofferenza, col denominatore comune di essere, in una fase della vita di bisogno, di sostegno per superare una situazione di crisi esistenziale. Lavorare con queste persone mi ha pure permesso di affinare e di imparare tecniche di intervento clinico per me note solo a livello teorico. Ho pure potuto apprezzare una presa a carico multidisciplinare, con diverse figure professionali tutte coinvolte in differenti ambiti di competenza e relativi tipi di approccio, ma tutte collaboranti fra loro, lasciando al paziente sempre un ruolo centrale, anche nelle scelte e nelle decisioni, cercando di imporre il meno possibile. Vi è quindi una presa a carico ad ampio respiro del paziente, con continui aggiornamenti e passaggi di informazione tra i diversi attori impegnati nella presa a carico. In qualità di psicologo, mi sono state chieste inizialmente valutazioni testistiche sia cognitive che di personalità per assicurare allo psichiatra più informazioni possibili per meglio mirare l’intervento, per poi passare a una presa a carico PAROLA AI PROTAGONISTI maggiormente di sostegno. Lavorare a stretto contatto con psichiatri, infermieri e psicologi formati mi ha permesso di vedere differenti approcci nella presa a carico del paziente. Devo pure sottolineare l’approccio di base, molto responsabilizzante, che vige all’interno della clinica. Mi è stata data infatti piena autonomia nell’organizzazione della mia settimana lavorativa. Vi erano momenti precisi, il mattino, in cui l’équipe al completo si riuniva per discutere di ogni paziente, poi ognuno svolgeva il proprio lavoro secondo le proprie competenze e il proprio ruolo. Mi è stato assegnato un ufficio in cui ricevere i pazienti, un computer collegato in rete con una cartella informatica dove poter condividere ogni informazione circa il ricovero dei pazienti e nella quale inserire a mia volta le informazioni raccolte durante i colloqui. Ho veramente potuto lavorare in modo autonomo e responsabile, certamente con una gerarchia interna, ma con pieno rispetto delle specifiche competenze e con il sentimento di fiducia che il mandato affidatomi fosse svolto senza bisogno di verifiche o di ispezioni. È questo clima di lavoro che spero di poter ritrovare all’interno del laboratorio in cui opero e che mi auguro di poter contribuire a incentivare. 13 ESPERIENZE DI LAVORO ALLA CAFFETTERIA DELLA SUPSI DI MANNO di Liliana Presti, operatrice ausiliaria E’ un’esperienza molto positiva che mi arricchisce. Nuova dell’ambiente, mi sono trovata subito a mio agio. Credo molto nel lavoro di gruppo nel quale ognuno ha la responsabilità in prima persona di portare avanti un progetto comune e mi sento di far parte di questa famiglia allargata. Ho conosciuto belle persone che hanno “attualmente” limiti diversi dai miei, comunque ricche di sentimenti e di voglia di rendersi utili. Sono contente quando è la loro settimana di turno perché possono lavorare a contatto altre persone (allievi, docenti, ecc.). Mi rendo conto che per loro tornare al lavoro in laboratorio, anche se in un ambiente sereno, non è così stimolante come il confronto con l’esterno. Ben vengano queste iniziative coraggiose che danno loro speranza in un futuro! E’ importante per ognuno di noi sentire di avere un valore come persona; il lavoro è un mezzo indispensabile, è una grande scuola di vita. Anche per i nostri “clienti” il contatto è importante. Nei nostri riguardi hanno dimostrato interesse, disponibilità e tolleranza per le nostre difficoltà iniziali. di professionale iversitaria e i un tr al la n uo sc co la lla SUPSI, La SUPSI è la la buvette de re al fa ro ti, vo en la ud Io Manno. rvire gli st Dobbiamo se miei colleghi. . i tavoli, … cassa, pulire e la da fare. A m n c’era molto tipo no , se o co od ù ri pi pe In questo si facessero se llo be alla e bb Io Sare d’altro. SUPSI piace. re qualcosa pu on op N 0. vi .0 iti 17 er 13.30 alle preparare ap re la meriggio dalle te po et m di r ro pe vo la no SUPSI il magazzi oso. Poi c’è granché da è molto fatic non facciamo tte ve bu ra st o abbiamo no ld la ca el i N merce. è ridotto. D io az sp zze. lo hé ni, insalate, pi mangiare perc o ci sono pani me ci st o re il nd r co Pe Se e. le lasagn ovi prodotti. nu o nn resto ra il ve r ri l genere. Pe Io spero che ar o qualcosa de i sh su il ne starebbe be e così. ero sarà sempr mi piace e sp Marc SPAZIO STRUTTURE Convivere quotidianamente anche con la malattia dovrebbe renderci grati di tutto ciò che abbiamo, che noi non notiamo più perché scontato. Non dimentico l’aspetto finanziario del progetto. Al di là dell’iniziativa sociale si parla anche di un’attività commerciale che, quindi, deve rendere. Non è facile quantificare in anticipo le vendite in modo da accontentare tutti nelle scelte e contemporaneamente non avere alla fine della giornata troppi scarti! I clienti soddisfatti sono la migliore pubblicità. Noi tutti ci stiamo adoperando per rendere le cifre in attivo. Come qualsiasi cosa ci vuole tempo e positività. L’entusiasmo non dovrebbe mancare mai perché ciò che noi portiamo alla nostra “clientela”, oltre a una Caffetteria funzionante, sono un momento di ascolto, un ambiente accogliente dove poter trascorrere una pausa rigenerante tra una lezione e l’altra. Alcuni studi dicono che gli stati d’animo sono contagiosi, che noi siamo tutti collegati gli uni agli altri. Mi piace poter pensare che le persone nella nostra Caffetteria sentano la nostra positività e disponibilità e che a loro volta la diffondano in altri ambienti. Anche questo, per me, è sociale. 14 I CLIENTI SODDISFATTI SONO LA MIGLIORE PUBBLICITÀ. NOI TUTTI CI STIAMO ADOPERANDO PER RENDERE LE CIFRE IN ATTIVO. COME QUALSIASI COSA CI VUOLE TEMPO E POSITIVITÀ. Il bar della caffetteria della SUPSI La SUPSI si trova al sesto piano in un locale della scuola dove noi abbiamo il nostro spazio. Io ho cominciato a lavorare nell’ottobre 2004. In questo locale abbiamo due grandi frigo, un grande forno ad aria calda, un microonde e un altro fornello. Poi c’è una lavastoviglie, una grande vetrina dove si mettono le torte di formaggio, di verdura, le brioches, i gipfel, le bibite fredde e i panini. Insieme a me lavorano due utenti della Fonte e un educatore. Un altro gruppo prepara i panini a Vezia e alle 10.30 circa ce li consegnano per la vendita. Alla mattina si vendono i prodotti e si fanno i caffè e i cappuccini. Poi a mezzogiorno si vendono le pizze e i panini, ecc. Il lavoro mi soddisfa tanto perché è variato, si è a contatto con molti studenti e docenti e mi dà molte gratificazioni. Marina ta venu ebbe , non r a s sa che ubbio po’ tizia a no un po’ d ata e un a l o t a s d e o ist r a v SI e rei anno a, sp mi h alla SUP po’ pers he mi sa tarmi a o d adat entili Quan ffetteria o, ero un gente c n to di ca ,g la una evo nessu tta quel ho cerca lto carini l pera o tu o sc a p o t m a n a , m t d o e e t o c il t o dir che ada tata v n biam n e o b e c d o v , d n o a e n spa ti, però n i h o o c po’ he s oro i son n dava studenti c tempo m ipo di lav suda un essere “ i i il lt quest nti. Con tteria e a rienza, s il capo, e e ie fe e paz della caf bella esp come dic a le sona e. E’ un scattare e chiac er a n g o due mezzi o svolg s n i a b i b to a m quan attin in si sca i”. erza, vano la m po passa o h c s tonic i i s r m m , r e a e t i a d c o c il ri he si zzi quand è bello e ro che fa iro un t lo è c a o Il bel con i rag ambiente e di lav lavorare r accon ’ i e o L r d d e . a e i i o t a c a t ch ch s t i i o c n p n s e riu rm o fi lle addo Per que e; quand di essere r . o a a d t n t n o e a i g fr ns ra na ra vo pe Chia bisog di sollie o r i p s . o s tti re tu tenta SPAZIO STRUTTURE 15 Dopo 4 mesi d’attività presso la caffetteria SUPSI, il bilancio è positivo. La possibilità di svolgere un lavoro costantemente, lungo tutta la settimana, mi ha permesso di poter tornare ad avere un ritmo lavorativo. L’opportunità di avere contatti umani con i colleghi e i clienti mi ha aiutato per un nuovo reinserimento professionale e affettivo. Il mio auspicio è di poter continuare l’esperienza presso la Fondazione “La Fonte”, nella speranza che prevalgano sempre la giusta considerazione della persona, l’umanizzazione dell’attività lavorativa. L’indipendenza dell’utente dovrebbe essere un traguardo per ogni fondazione che assiste il percorso evolutivo di ogni persona. Ringrazio dell’opportunità che ho avuto attraverso la Fondazione, di poter nuovamente reinserirmi, dopo molto tempo di malattia. Con la presente vi saluto cordialmente. Roberto La prima cosa ch e mi è piaciuta è stato il contatto i collaboratori ed con il gerente. Loro er ano contenti di perché ogni volta me che c’era un pr oblema lo dice subito. I clienti vo che venivano a fare la pausa li trovati molto posit ho ivi nei nostri conf ronti. All’inizio è stato difficile concentra rmi sull’insieme lavoro, però con del il tempo mi sono ambientato e mi trovato sempre sono meglio. Devo an cora fare l’esper sull’arco dell’an ienza no e penso che tutto sarà ancora serio. Quindi prin più cipalmente posso solo dire, sulla ba dell’esperienza ch se e ho fatto, che mi sono trovato serio come lavo più ratore e più indi pendente, però co stesso feeling ch n lo e ho avuto fino ad esso con la Font e. i panini per preparare alla panetteria no e tanto. so ac o, pi i tin m at Al m gnia è bella e pa m co proLa o I. ad esempi al per la SUPS tipi di panini, i allo rs o, ve di nn o to m al ia Prepar crudo, alcuni to ut ci ai. os m pr o al n mi stanc sciutto cotto, ozzarella. E no m lla la re al za ni oz m cu al la speck e gherita con e la pizza mar ch an o m ia cc Fa di pomodoro. ed i pezzettini lio di quando sto ni mi sento meg ni pa i ero di io cc fa Io quando l mio futuro sp laboratorio e ne rare in lio ig no m or r gi pe il o, tutto per il Fornai re ra mi vo la ria a tte re poter anda ndo in pane vo azione. Lavora de rm e fo ch ia m So la tutta miei compiti. i de bo le la bi sa In . sento respon ata, eccetera mi i, lavare l’insal or ria od tte m ne po i pa re taglia ti fissi. In non ho compi ratorio invece e. sento important Anna Maria Da qu in prepar dici giorni are ass alla m ie a vendu ti al me ad altri p ttina mi re la b co a V anini e Confez u v ez pizze c io et he verr ia per crudo, niamo foca te della a cce e nno allo sp S U PSI cia eck, all a M poi a moz batte al pr anno zarella o Le foc , al br sciutto cotto . ac ie e al e pomod ce e le cia tonno. ba or pasta d i tagliati, fo tte vengono gli e a mozza lla pizza è già e d’insalata nche guarn , cetrio rella ta ite con p r e c otta. A li e ba gliata risulta ggiu silic a m all’inte oto impegn cubetti. Qu ngiamo pom o. La es rno de a l labor tiva e varia ta occupazio odori e atorio ne no il lavo di Agn n ro quo o. tidiano Luca Anthony SPAZIO STRUTTURE 16 VOLONTARIATO E SOLIDARIETA’ di Lic. Soc. Mimi Lepori, CONSONO e presidente ATIS Ho accettato volentieri la proposta fattami dal direttore di prender la penna (ops il MAC) e indirizzare alle lettrici e lettori, attraverso questo bollettino, alcune riflessioni sul tema del volontariato. Un tema a me caro perché molto presente nella mia vita e perché sollecitata, ogni settimana da giovani a indicare nuove forme di attività. In Svizzera il volontariato è un’attività che tocca 1 persona su 4 e il 23% della popolazione svolge volontariato in maniera informale, cioè non organizzato, ma aiutando normalmente la vicina di casa, i parenti. Questi dati, ripresi dal censimento federale dimostrano come il volontariato sia espressione normale dello svizzero. Questo dato è pure confortato dalle miriade di associazioni che sorreggono le attività sociali, ambientali, culturali, ecc. di una società. Tre le domande che mi pongo e alle quali voglio tentare di dare una risposta in queste righe. CHI SONO I VOLONTARI DI OGGI E AI GIOVANI INTERESSA ANCORA L’ESPERIENZA DI VOLONTARIATO? Dal mio osservatorio (ho un ufficio con mandati per svolgere formazione, informazione, consulenza e progetti nel settore del non profit) mi sembra di poter dire che il volontario non appartiene più a un gruppo identificabile come nel secolo scorso (i cattolici, la sinistra, ecc.) ma è trasversale alla società. Il giovane arriva a chiedere di svolgere attività di volontariato spesso perché ha bisogno di una spinta nuova che gli dia carica per affrontare il quotidiano. Spesso è il giovane che vuole cambiare attività e prima di farlo vuole “provare” per conoscere. La molla, la motivazione che spinge il giovane o il meno giovane a chiedere di impegnarsi in un’attività di volontariato rispecchia un insieme di fattori legati più alla sua situazione particolare che a un discorso di valori, di gruppo e scelta di campo. OPINIONE SUL TEMA 17 IL VOLONTARIO NON APPARTIENE PIÙ A UN GRUPPO IDENTIFICABILE COME NEL SECOLO SCORSO, MA È TRASVERSALE ALLA SOCIETÀ. MA IN CHE SETTORI VUOLE IMPEGNARSI IL VOLONTARIO? Mi ricordo che da giovane universitaria svolgevo del volontariato con gli immigrati italiani e spagnoli a Friborgo. Con alcuni amici andavamo nella Basse Ville, in una baracca a incontrare un gruppo di lavoratori stagionali e insegnavamo loro un po’ di francese, sbrigavamo alcune questioni amministrative e soprattutto cercavamo di trascorrere alcune ore in amicizia. Dalla Basse Ville ero passata al settore dei disabili, organizzando per più di 10 anni colonie integrate e poi negli anni 90 ho iniziato con azioni di volontariato con dei progetti all’estero. Ancora oggi i settori nei quali si muove il giovane sono moltissimi e spaziano in tutti i segmenti della società; forse, più di ieri, c’è un settore che sta prendendo molto i giovani. Quello della cooperazione. Vuoi perché la mobilità è un fattore ormai alla portata di tutti, vuoi perché l’incontro con altre culture è un dato di fatto, vuoi perché la povertà di altri Paesi ci interroga o semplicemente perché il desiderio di aiutare colma il vuoto che spesso il giovane vive nella nostra società, il settore della cooperazione è molto gettonato. QUALE È LA MISSIONE DEL VOLONTARIO? Nella letteratura sul volontariato spesso si legge che il volontario svolge un ruolo da profeta perché apre delle strade e risponde a dei bisogni precedendo l’organizzazione dello Stato. Si legge pure che il volontario ha un ruolo politico (nel senso più ampio del termine) perché denuncia nuovi bisogni e sollecita le forze istituzionali ad assumere nuove responsabilità. OPINIONE SUL TEMA 18 Sono riflessioni giuste, personalmente credo che il volontario, quello di ieri come quello di oggi è una persona che grazie al suo agire si arricchisce interiormente, sviluppa nuove competenze, instaura nuovi rapporti umani, partecipa a progetti comuni e crea una solidarietà più grande tra le persone. Questo il compito del volontario, un compito prezioso perché le relazioni vere e la solidarietà sono dei beni preziosi da non perdere. OPINIONE SUL TEMA 19 P. P. 6991 Neggio GRANDI NOVITÀ ALL’AGO NEL PAGLIAIO ! L’atelier “Ago nel pagliaio” sempre alla ricerca di nuove proposte da offrire alla sua vasta e preziosa clientela, sta producendo una serie di nuovi oggetti regalo molto simpatici e adatti ad ogni occasione, pur mantenendo la sua abituale produzione. Tra le novità segnaliamo DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE 6991 Neggio, ccp. 69-2955-7 Tel. 091 606 56 56 Direttore Rossano Cambrosio Amministratore Patrizia Lotti FONTE 1 CENTRO DIURNO Via Pezza 3, 6982 Agno Tel. 091 604 58 54 Responsabile Monica Kolb CICCIOSPICCIO la candela accendifuoco per il vostro camino: conveniente, semplice, ecologica e sicura. Brucia con fiamma alta e costante per circa 12 / 15 minuti assicurando una perfetta accensione del fuoco. Siete incuriositi? Allora senza indugio venite a farci visita nel nostro atelier ad Agno. L’ Ago nel Pagliaio sarà inoltre presente a manifestazioni esterne che al momento non siamo ancora in grado di specificare. Per eventuali informazioni telefonare allo 091 604 58 43 e rivolgersi al signor Pierre Santini. FONTE 2 LABORATORIO PROTETTO Via Pezza 3, 6982 Agno Tel. 091 604 58 43 Responsabile Mirko Scherler FONTE 3 FOYER 6991 Neggio Tel. 091 606 56 56 Responsabile Giuseppe Tami FONTE 4 AZIENDA AGRICOLA PROTETTA Fondazione Lions Club, Lugano 6947 Vaglio Tel. 091 943 42 47 Responsabile Mauro Bocchi FONTE 5 e 6 FOYER / APPARTAMENTI PROTETTI Via J. Corty, 6982 Agno Tel. 091 605 38 58 Responsabile Claudio Guimaraes FONTE 7 PANETTERIA PASTICCERIA “IL FORNAIO” • Sede di Via G. Buffi - Via Fogazzano Tel. 091 921 04 24 • Sede di Piazza Molino Nuovo Tel. 091 921 44 48 6900 Lugano Responsabile Mirko Scherler FONTE 8 FOYER Via Beltramina 18a, 6900 Lugano Tel. 091 976 08 18 Responsabile Omar Lomazzi L’Atelier “Ago nel pagliaio” alla fiera di San Provino ad Agno (14 marzo 2005) VARIE 20