isabelle caro, sua madre, l`anoressia che uccide

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isabelle caro, sua madre, l`anoressia che uccide
Published in www.psiconline.it 2011, www.edizioni-psiconline.it 2011 e www.anthropos1987.org 2011.
ISABELLE CARO, SUA MADRE,
L’ANORESSIA CHE UCCIDE
Luciano Peirone
Elena Gerardi
Isabelle Caro: la tragedia continua
Dopo la figlia, la madre. Dopo Isabelle, Marie.
Senza voler entrare nel merito della specifica questione, in virtù del rispetto di chi soffre e
della deontologia professionale, ancora una volta gli specialisti si trovano sollecitati ad
esprimere un parere (in via generale) su certi aspetti, tragici, della condizione del malato
anoressico e della sua famiglia.
Sensi di colpa
La madre di un soggetto anoressico non di rado si sente in colpa in quanto, proprio per il
ruolo che ricopre, è direttamente causa o con-causa della anoressia filiale, soprattutto se ad
ammalarsi è una figlia femmina.
Simbiosi madre-figlia
Particolarmente rischiosa (e purtroppo non infrequente) è la condizione simbiotica: “Tu
sei me; io sono te; noi due siamo un tutt’uno”. Condizione che può essere
soggettivamente “vissuta” (solo nella mente) oppure anche concretamente imposta e subita
nella vita pratica, attraverso limitazioni, ordini, ricatti. La simbiosi per il bambino già
grandicello, per l’adolescente e per il giovane non è un fatto positivo (anche se talvolta viene
scorrettamente interpretata quale segno di amore): è un legame stretto, strettissimo, troppo
stretto e quindi soffocante: una prigione, anche se a volte una “gabbia dorata” (per
riprendere l’espressione della psicoterapeuta Hilde Bruch).
Famiglia unita. Troppo? E come?
Il problema non è sostanzialmente diverso qualora tutta la famiglia (la triade figlio-madrepadre) si trovi “invischiata” (per usare l’espressione del terapeuta familiare Salvador
Minuchin): ovvero, quando i rapporti all’interno del cosiddetto “sistema familiare” siano
aggrovigliati, contorti, paradossali, con messaggi contraddittori e conflittuali, con individui che
non sono “individui” nel pieno senso della parola, bensì degli “esseri” non ben definiti ciascuno
nella sua propria identità. In altri termini, in questo caso si ha una simbiosi del sistema
familiare (e non della coppia madre-figlia), ma analogamente incentrata sulla confusione di
ruoli e funzioni.
Tutti uniti. Troppo uniti, e male. Un grande caos.
Suicidio del malato anoressico
In questo tremendo stato caotico che produce sofferenza, ma soprattutto sconcerto, non
manca il suicidio, inteso in un duplice significato: suicidio diretto (veloce, immediato,
d’impulso) e suicidio indiretto (lento, differito: non è forse l’anoressia un tentativo di portare
se stessi alla morte, in una lenta e lunga agonia che infligge torture al corpo e all’anima?).
Suicidio del genitore del malato anoressico
Talvolta, anche un genitore (di solito quello maggiormente coinvolto nel rapporto con il
figlio anoressico) non ce la fa a reggere il tremendo impatto con la malattia della propria
creatura, alla quale aveva dato vita. La non infrequente insolubilità del problema anoressico fa
allora esplodere il disperato senso di colpa e di inadeguatezza, la tremenda sensazione di
impotenza, soprattutto quando la morte del figlio ha sancito definitivamente il fatale verdetto.
Rabbia e aggressività
Emergono, a questo punto, in modo chiaro, quanto Malessere e quanto Male possano
esistere nell’anoressico e nei suoi genitori. Emerge, in tutta la sua dilatata espressione, il
nocciolo duro, durissimo della anoressia: malinconia, disperazione, rabbia inconscia, rabbia
non correttamente espressa, sentimenti buoni pressoché azzerati, aggressività coltivata in
silenzio, aggressività rivolta all’esterno (odio, aggressione agita), aggressività rivolta all’interno
(sentirsi colpevoli, sentirsi depressi, sentirsi senza via di scampo), tentativo di suicidio, suicidio
riuscito.
Ricorrere agli specialisti (medici, psicologi): quando? tardi? troppo tardi?
L’errore tipico è perdere tempo, negare il problema (sia da parte del malato sia da parte dei
familiari). Sottovalutare, rimuovere (e quindi far crescere) la malattia.
Terapia faticosa, prevenzione strada migliore
I medici e soprattutto gli psicoterapeuti lo sanno bene: curare (e guarire) un anoressico è
impresa impegnativa, che comporta fatica (e, purtroppo, anche insuccessi): ma ciò è
direttamente proporzionale al ritardo con il quale si agisce (ed è consentito allo specialista di
agire). Grande è pertanto la responsabilità dei genitori, dei parenti, degli amici, degli
insegnanti, nello stimolare per tempo una ragazza (ma anche un ragazzo) a stare molto
attenta al “rischio anoressia”. Quindi, si tratta di “pre-venire”. Anticipare è più facile.
Prevenire è meglio che curare…
Come promuovere la salute e combattere l’anoressia?
No polemiche, sì informazione: in questo semplice slogan si può condensare
l’importanza della prevenzione. Il ruolo degli esperti e dei mass media è fondamentale nel
trasmettere attenzione e sensibilità, consapevolezza e prudenza, aiuto e non allarmismo,
talvolta anche crudezza purché efficace, voglia di vivere e speranza. In una espressione:
costruendo salute.